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9 Febbraio. — Il Papa incomincia a risentirsi della grave spesa che sostiene pel mantenimento dei vescovi, e ier l’altro, conversando con alcuni suoi famigliari, si espresse con tali parole:

«Se questi vescovi non si sbrigano, saremo costretti a mantenerli con patate».

Ogni vescovo mantenuto ha, oltre l’alloggio:

Caffè tre volte al giorno,
La mattina latte e caffè con cinque pani.

Per pranzo:

Zuppa,
Quattro piatti,
Un dolce e vino; tutto in abbondanza.

La sera due piatti.

Vi sono varii cuochi nei punti più centrali agli alloggi de’ vescovi, i quali trasmettono i pranzi.

Naturalmente, questi trattamenti, regolati dallo Spagna, maestro di casa di palazzo, passando per diverse trafile, vanno soggetti ad alterazioni.

[p. 627 modifica]15. — Dupanloup, vescovo d‘Orleans, ultimamente andò a fare una visita al Papa. Dopo ben lungo colloquio, di reciproca soddisfazione, nello accomiatarsi, volle baciare al Papa il piede, e, per ciò fare, dovette superare gli sforzi che Pio IX, nella sua bontà, faceva per impedirglielo; ma alla fine cedette.

Uscito monsignor Dupanloup, entrò monsignor vescovo Nardi, uditore di rota per l’Austria, ed il Papa, mostrandosi soddisfatto della visita avuta dal medesimo, e lodando la di lui devozione ed il di lui attaccamento, raccontò la specie di lotta che aveva sostenuta per impedirgli il bacio del piede. Monsignor Nardi aggiunse qualche bella parola su tale atto di ossequio, che certamente doveva essere sincero. Pio IX, col suo linguaggio franco e frizzante, rispose:

«Speriamo che non sia come il bacio di Giuda».

Monsignor Nardi, uscito dall’udienza, raccontò tosto, dovunque, le ultime parole del Papa, tanto che furono risapute dallo stesso monsignor Dupanloup.

Questi, oltremodo dispiacente ed offeso della incerta stima in cui Pio IX teneva le espressioni della sua devozione, ne scrisse una lettera di rammarico al Papa.

Non potendo egli smentire ciò che realmente avea detto, s’irritò contro monsignor Nardi, che, alla sua volta, non poteva scusare la sua imprudenza.

Pensò di vendicarsi col vescovo d’Orleans, come quegli che lo aveva fatto cadere nella disgrazia sovrana.

Scrisse una confutazione sopra l’opuscolo dal medesimo già stampato, relativo al Concilio; lo attaccò [p. 628 modifica]come lavoro non proprio, usurpato ad altri, per cui era nullo il merito.

Si prevede che, allorquando le critiche del Nardi perverranno al vescovo di Orleans, seguiranno altre conseguenze.

18. — Fu rimarcato che ieri il Papa, alla esposizione, era di pessimo umore. Minacciò di prendere per le orecchie un palatino che, con mal garbo, conteneva la folla degli intervenuti, e diede del seccante all’architetto Vespignani che cercava di fargli osservare alcuni lavori.

Monsignor Nardi, nel suo opuscolo contro il vescovo d’Orleans, confutando il celebre articolo sulla infallibilità del Papa, prova che il concetto, oltre che è contrario alla S. Sede, è rubato al canonico Döllinger, di Baviera, personaggio che non è in troppo buon odore al Vaticano.

26. — Un venditore di fosfori a piazza Colonna, il giorno 21 corrente, gridava: «Sono tutti infallibili». Poco dopo fu arrestato.

A proposito della infallibilità, sulla quale tanto si disputa e discorre, il Papa, in una sua particolare conversazione, dicendo che tra i Padri chi ammette la infallibilità e chi la fallibilità, conchiuse:

«Mentre essi contrastano su tale argomento, la faccenda si prolunga, ed io poi sarò il vero fallito», intendendo alludere alla spesa che sostiene nel mantenimento dei vescovi.

[p. 629 modifica]Circola per Roma un ritornello popolare, di carattere politico, ed è il seguente:

«Fiore di cicoria
Se i preti vedremo andare a pancia in aria
Del cardinale Antonelli sarà tutta la gloria».

Questo prende il significato dalla ostinazione di non ammettere le riforme governative che si dice siano state nuovamente consigliate da Napoleone III.

Prosegue la dimostrazione negativa e solenne dei Romani pel carnevale.

Le carrozze, sempre mancanti per il Corso, scelsero il passeggio fuori di porta Pia e S. Pancrazio.

15 Marzo. — Il S. Padre aveva disposto di accordare amnistia generale agli emigrati e esigliati romani per reati politici; ma le ciarle dei giornali liberali, relativamente a protesta dell’Austria ed Italia, e più ancora quella di una nota inviata dalla Francia per costringere la S. Sede a concessioni, indussero il Papa a modificare la sua disposizione di animo onde non dar motivo a credere che agisse sotto la pressione.

Quindi, invece, stabili che l’amnistia si accordasse a tutti coloro che ne facessero domanda in scritto ricredendosi sul passato e con promessa di essere, in avvenire, fedeli sudditi.

In tal modo molti politici sono di già rientrati.

19. — Occupandosi il mondo politico e cattolico della infallibilità del Papa, che è sul punto di [p. 630 modifica]provarsi dal Concilio, vi fu chi volle riassumere la sostanza di siffatta definizione dogmatica nelle seguenti satiriche ed argute parole:

«Quando Eva morse e morder fece il pomo.
Iddio per salvar l’uomo si fece uomo;
Or per distrugger l’uomo il nono Pio,
Nato dal fango, vuol crearsi Iddio».

26. — Viene assicurato che, ultimamente, il cardinale Antonelli, conversando con un suo amico sulle cose politiche, disse:

«Temo più la quiete attuale che il chiasso di Garibaldi quando era alle porte di Roma».

Alcuni tra gli zuavi, allorché passa il Papa, gridano: «Viva l’infallibilità».

Intanto il malcontento, per la pubblica amministrazione interna, cresce, per aggravi di tasse comunali, che sono state aumentate.

Il Municipio portò il preventivo delle tasse a tre milioni di scudi.

5 Aprile. — I vescovi armeni, che si ricusarono in massa di rassegnare al Papa il diritto di eleggere le loro autorità supreme, diritto che fanno rimontare ai tempi di S. Pietro, il giorno 30 dello scorso mese, si riunirono, in una specie di sinodo, in una sala di Propaganda Fide.

Si assicura che il S. Padre è indignatissimo contro cotesti refrattarii e voleva farne incarcerare due. Si aggiunge che i suddetti vescovi pensano di partire [p. 631 modifica]da Roma per quindi liberamente alzar la voce contro gli attentati da cui si chiamano gravati.

Del resto, si parla dovunque, senza mistero, delle scisme che sempre più insorgono tra i Padri del Concilio e dell’ira grande di taluni contro il vescovo Dupanloup.

I cambiamenti politici annunziati nel Parlamento francese fecero al Governo pontificio adottare precauzioni, nella ipotesi del ritiro delle truppe.

S’incominciarono lavori di fortificazioni fuori delle porte.

Sono incominciati i preparativi per festeggiare il solito anniversario del 12 aprile e varii deputati parrocchiali girano per raccogliere le oblazioni.

In tutti i Dicasteri civili e militari, a carico degli impiegati, viene fatta una ritenuta proporzionata al soldo per lo stesso oggetto: così tutti i corpi religiosi sono messi a contribuzione.

12. — Le feste del 12 aprile, stante la settimana santa, sono state trasportate al 20 corrente.

In quest’anno, in alcune parrocchie, vi è freddezza e non si trovarono deputati per raccogliere le oblazioni, chiamate spontanee, che, chieste al domicilio, ne perdono il carattere e fanno temere di compromessa i renitenti.

15. — Si dice da alcuni che se Pio IX toccherà il 25° anno di pontificato abdicherà il trono.

[p. 632 modifica]A proposito di lui si dice:

«Ei fu sempre gran prodigio di Piero
Che alcun Papa non fosse a lui primiero;
Ma se tu otterrai, o nono Pio,
Il segnalato favor dal sommo Dio
Allora il grande enigma è sciolto:
La terra ed il ciel hai tu sconvolto».

5 Maggio. — Alla caserma di Cimarra sono stanziati i carabinieri esteri. In una delle scorse notti, la sentinella avvertì un qualche rumore sotterraneo.

Ne avvisò l’uffiziale di guardia e si andò a fare una perquisizione.

Al loro apparire, alcuni individui fuggirono per altra porta segreta e si trovarono varii barili di polvere sotterrata sotto al fabbricato per farlo saltare in aria.

1° Giugno. — I Gesuiti, temendo che si meditasse dal partito sedizioso di minare le loro case, o di gettare qualche bomba nei sotterranei, murarono, al vasto fabbricato di S. Ignazio e Collegio romano, tutte le inferriate.

21. — Noi Romani diciamo che il termometro politico è il cardinale vicario. Se questi pubblica Inviti Sacri per speciali pubbliche divozioni, si è sicuri che le faccende hanno nuove cose serie.

E siamo nel caso coll’aver egli fatto appello, la scorsa settimana, ai fedeli Cristiani onde, con un triduo solenne nelle principali Chiese, e processioni di penitenza, si chiedessero dallo Spirito Santo i [p. 633 modifica]lumi necessari per iscorgere, fra tante tenebre, la luce di salvamento.

A ciò si aggiunga che dal ministero delle armi furono testè riaperti i ruoli militari.

Molti asseverano che per la prossima solennità di S. Pietro sarà pubblicato il decreto con un atto sovrano strepitoso del Papa, cioè un’amnistia generale.

Nè debbono siffatte voci tenersi in totale dispregio e diffidenza, poichè, da vario tempo, aveva in animo Pio IX di far uso di un tale atto di clemenza per temperare, in qualche modo, le passate e presenti severità esercitate dal suo Governo; ma i mali consigli dei dominatori ne lo dissuasero, siccome atto che sarebbe stato censurato di pressione de’ potentati; cosicchè, come abbiamo detto, adottò, invece, il temperamento che coloro i quali desiderassero di conseguire il perdono ai trascorsi politici lo dovessero implorare in iscritto; e alcuni già lo fecero.

Checchè sia di ciò, sta in fatto che la fede è oramai accreditata che il dogma della infallibilità non sarà una chimera od una parola vuota di senso, e che tutti gli ostacoli saranno, ad ogni costo, rimossi e, sempre mai, col corollario proverbiale che: «Portæ inferi non prevalebunt».

Sono poi stati molti gli attacchi su tale punto, che taluni tra i vescovi ebbero il coraggio di sostenere, e le scandalose conseguenze derivatene.

Fra i più caldi e recenti oppositori fu il vescovo di Montpellier, il quale perciò, fatto segno alle più pronunziate persecuzioni, si vide costretto a chiedere un congedo che gli fu negato.

[p. 634 modifica]Allora si appigliò al partito di evadere; ma, prima di partirsene, nella sua prudenza, abitando presso piazza Nicosia, che è sul Tevere, gettò nel medesimo tutte le carte relative al Concilio, lasciando il suo equipaggio, con istruzioni alla padrona di casa di spedirglielo.

La Polizia, saputane la partenza, accedette colà coll’idea di perquisirla; ma il prelato aveva recato seco le chiavi, e instruita dalla depositaria che, avendo presenziato e coadiuvato l’apparecchio dei bagagli, in essi contenevansi oggetti di vestiario, ritirandone una sua dichiarazione in iscritto, abbandonò le ulteriori ricerche.

Intanto, si cercò d’impadronirsi di alcune tra le carte galleggianti sul Tevere.

I vescovi tedeschi, per essersi permesso di parlare con opposizione sopra articoli proposti nelle adunanze conciliarie, furono richiamati all’ordine.

Del che lagnatisi, riunitisi tutti in assemblea, presso il Primate di Ungheria, formularono una solenne protesta al Papa, reclamando la libertà della parola, quale era stata ripromessa nel programma della sinodale convocazione.

II S. Padre, pro bono pacis, s’interpose, e, con parole conciliative, calmò i loro animi.

La pubblica finanza, a fronte di tanti bisogni e spese crescenti, trovasi in angustie.

La Propaganda Fide, che sempre sopperisce, con le immense ricchezze che perennemente le pervengono, per generosi lasciti di fedeli, agli urgenti bisogni della Chiesa, avendo oramai esausta la cassa, da alcuni giorni è costretta vendere qualche capitale.

[p. 635 modifica]22. — Ieri, 21 corrente, giornata rimarchevole, come quella che apriva il ventesimo quinto anno della coronazione di Pio IX. Questo avvenimento fu festeggiato, direi cosi, ufficialmente, poichè la popolazione non prese alcuna parte a gioia pubblica.

Soltanto le solite visite di congratulazione, illuminazione, nella sera, degli edificii governativi e stabilimenti pubblici, concerti musicali dei varii corpi militari che, insolitamente, seguivano le ritirate lungo la via del Corso e musica al casino militare. Alle truppe furono distribuiti cinquanta centesimi a testa.

L'Osservatore Romano, messo a festa, espresse caldi voti per poter registrare anche nell’anno venturo le glorie del pontefice e re.

24. — Il cardinale Guidi, arcivescovo di Bologna, domenicano, è uno dei più dotti del sacro collegio. Questi mostrò molto coraggio civile nelle adunanze sinodali arringando, con paroli autorevoli e libere, colla vera impronta del «Non erubesco evangelium». Egli, nell’ultima adunanza, si pronunziò fermo ed energico oppositore del dogma della infallibilità del Papa, del che molti dei Padri furono scandalizzati.

Il Papa, dopo che fu terminata l’adunanza, lo fece chiamare a sè e lo rampognò, ad alta voce ed aspramente, dello scandalo dato; ma il dotto arcivescovo rispose che tanto gli dettavano la coscienza, le nozioni teologiche, la propria convinzione ed il bene stesso della S. Sede e della sacra persona sua.

Tutta la città conosce ciò e se ne parla dovunque, senza mistero, con gl’inerenti commenti.

[p. 636 modifica]25. — Il generale francese Dumont, che è a Civitavecchia, venne a felicitare il Papa per l’anniversario della coronazione.

Sua Santità, sempre affabile, chiese al generale che cosa si dicesse del Governo pontificio, e quali fossero le censure più gravi contro di esso.

Il generale, francamente, gli rispose che non ultima di queste era la ostinatezza di non volersi conciliare col Governo italiano.

Allora il Papa soggiunse che di buon grado avrebbe fatto smentire la proverbiale rampogna che la Santa Sede vuol restare sempre codina.

Essa esser sempre disposta a trattare una composizione, quante volte prima venga restituito ciò che fu usurpato ed i traviati tornino all’ovile del comune pastore e padre.

29. — Il Papa, solito a uscire ogni giorno a fare la sua trottata, dal 26 non fu più veduto, quindi si disse che aveva avuto uno degli sturbi cui va soggetto, attribuendosene la causa al forte dispiacere provato per la professione di fede del cardinale Guidi ed alla prevaricazione di monsignor Vitelleschi, vescovo di Osimo e Cingoli, che ne avrebbe seguito l’esempio

Si soggiungeva che, nelle sue irritazioni nervose, mandasse in pezzi due tabacchiere.

Non può garantirsi quanto vi sia di vero in queste voci. Però il Papa ieri fece la funzione come l’avrà fatta oggi.

[p. 637 modifica]Pasquino, che in affari gravi non si rimane silenzioso, consigliò il cardinale Guidi dicendo:

«Guidi la testa perdesti! or che fai?
Fuggi, torna a Bologna: per te son guai,
Guardati, non ti fidare: tu il sai
Il prete, se pur tace, non perdona mai».

Il cardinale Guidi ricevette molti biglietti di visita.

1° Luglio. — Saprete che per la solennità di San Pietro si conia una medaglia commemorativa, con un soggetto sacro ed artistico, d’oro e d’argento per dispensarsi alla Corte, agli impiegati, ecc.

La prima medaglia in oro venne offerta al S. Padre.

Presala nelle mani, osservò che rappresentava il Campo Santo.

Disdegnoso, anzi che no, appressandola alle narici, ironicamente disse:

«Pute di morticino; il concetto sviluppato dall’artefice sia per altrui; non vogliamo accettare si triste augurio», e respinse la medaglia.

2. — Una parte del clero ben pensante non vede chiaro l’orizzonte, dopo la proclamazione dell’infallibilità, nè ha fidanza nell’attuale quiete nel mondo politico1.

[p. 638 modifica]4. — Per una innocente combinazione, che in persone di sospetti principii sarebbe criminoso, il maestro Rolland, del concerto dei gendarmi, la sera di S. Giovanni, che ebbe l'onore di essere prescelto colle melodie militari a piazza Colonna, per festeggiare il fausto giorno onomastico del Papa, apri il concerto con una marcia funebre e terminò con altra marcia funebre.

Non poteva la cosa trascorrere inosservata, e taluni ne risero.

Il ministro della guerra (Kanzler) chiamò il maestro e lo rimproverò del suo imprudente procedere.

7. — Ieri i vescovi non si riunirono in Concilio.

Attendono l’intimazione della generale pubblica riunione, nella quale sarà proclamato il dogma della infallibilità.

Alcuni, che si dicono bene informati, l’annunziano per il giorno 18.

Tutte le campane suoneranno a distesa per un’ora intiera, le artiglierie tuoneranno dal forte Sant’Angelo e dai monti Aventino e Gianicolo.

La Chiesa, esultante, non verrà meno al compito suo coll’innalzare speciali preci all’Altissimo coi cantici ambrosiani e del Paracleto imperatore, e la città, con luminarie della solita spontaneità, metterà il suggello alle preordinate dimostrazioni. Insomma, sorgerà la nuova èra del cristianesimo progressivo, in cui il primo ministro del santuario stringe la mano al Re dei Re, al dominatore dei dominatori, misurandosi colla sua potenza divina.

[p. 639 modifica]12. — Monsignor Ferrari, ministro delle finanze, è sempre agli estremi della sua vita.

Si dice che Pio IX non sia estraneo, con una delle sue iettature, nella malattia, poiché la signora Brigida, sorella del ministro, chiamata la ministressa, per il dominio interno ed esterno che sempre esercita (vergando di propria mano rescritti), andata dal Papa, ebbe dal medesimo il suggerimento di applicare al fratello un cauterio, come mezzo sicuro di salute.

Naturalmente, creduto infallibile il consiglio di Pio IX, immediatamente, e senza parere dei medico, il cataplasma fu applicato.

La podagra di cui soffriva retrocesse, gli umori maligni affluirono in una piaga escarotica che aveva in una gamba e la cancrena sempre più si pronunziò.

Una febbre sopraggiunta, che minacciava la nervosa, obbligò al chinino e questo riusci dannoso all’indole del male.

13. — L’eclissi di ieri sera, nell’ingresso nella penombra, presentava varii fenomeni che ad alcuni urtarono i nervi. Nientemeno che, per un momento, sembrò di vedere la luna offuscata da una testa umana dai grandi mustacchi, e minaccevole, somigliante a Vittorio Emanuele....

Fortuna che era troppo in alto, altrimenti avrebbero investito il mostro.

Ad evitare però che l’inconveniente si riproduca, Pasquino propose che, d’ora in poi, in Roma siano proibite le eclissi visibili.

[p. 640 modifica]14. — I reverendissimi Padri del Concilio Ecumenico ieri e ier l’altro tennero congregazione generale nell’Aula Vaticana per la votazione definitiva sul dogma della infallibilità.

Soltanto si può assicurare che il voto, mentre da persone stesse addette ai Vaticano veniva assicurato sarebbe stato segreto, fu invece pubblico.

Centoquarantaquattro vescovi diedero il voto contrario, molti altri si astennero. Però, la maggioranza risultò favorevole ed il dogma restò ammesso.

Domenica prossima è tutto disposto per la solenne pubblicazione.

Si dice che ai Papa si era fatto credere che, tranne poche teste calde, gli altri vescovi sarebbero tutti favorevoli, tanto che calcolavasi in una quasi unanimità.

Ultimamente, Pio IX non dubitava di esprimersi con alcuno dei suoi ministri che oramai si erano vuotate tutte le casse pubbliche e private; ma che alcuni avvenimenti prossimi a verificarsi avrebbero cangiato la posizione angustiosa ed ampliato i domimi della S. Sede.

Nè ciò deve recare meraviglia poiché il nostro ministro della guerra, Kanzler, con piena fidanza, va ripetendo che se Pio IX gliene desse il permesso, egli, in pochi momenti, rivendicherebbe le Marche, sicuro che, al presentarsi delle coccarde papaline, quei popoli, oppressi dalla tirannide, impazienti di tornare sotto il paterno regime del pontefice romano, insorgerebbero per cingergli di allori la fronte.

[p. 641 modifica]15. — Vengo assicurato che negli scorsi giorni fu diretto al Papa un opuscolo francese contro la infallibilità. Gli venne il desio di leggerlo; ma fu preso da tale e tanta indignazione che, declamando contro l’anonimo autore, si abbandonò ad impeti di collera lanciando in aria l’opuscolo, battendo i piedi ed i pugni sulla scrivania, infrangendo qualche oggetto tra cui la tabacchiera.


16. — I Gesuiti ed i clericali sono ebbri dalla gioia di vedere impegnato Napoleone III in una probabile guerra nella quale lo sperano soccombente.

Appena nella segreteria di Stato si ebbero gli ultimi dispacci, con un insolito contento e insolita premura, ne fu data comunicazione ai cardinali e ai Gesuiti, i quali tutti se ne rallegrarono. I savii, però, deplorano una tanta aberrazione di eccessiva ingratitudine.

20. — Benché i Padri del Concilio Ecumenico fossero vincolati dal segreto, per le materie e le cose relative alle discussioni, questo non fu mantenuto.

Spesso nei giornali si lesse la sostanza delle sessioni con talune particolarità, le più segrete, il che molto spiacque al S. Padre.

Ultimamente furono dati alle stampe, da autori anonimi, due opuscoli intitolati:

Ce qui se passe au Concile, e La dernière heure du Concile, che mettono in piena luce tutto l’andamento delle sedute; le materie trattate e gli [p. 642 modifica]triti tra i dissidenti, taluni de’ quali scandalosi e la pressione esercitata sulla discussione della infallibilità del Papa.

Questi opuscoli furono mandati e letti da Pio IX che ne fu oltremodo indignato 2.

Nella congregazione generale del giorno 16 si comunicò agli adunati una protesta, redatta dai cardinali presidenti delle congregazioni generali.

De Angelis,
De Luca,
Bizzarri,
Bilio,
Capalti,

in disapprovazione delle calunnie sparse dai giornali, e segnatamente di quelle contenute nei due indicati opuscoli, contro il Concilio, invitando i Padri, come testimonii della verità, a voler significare il loro avviso intorno alla protesta suddetta.

Il Giornale di Roma del 16 corrente, numero 159, asserisce:

«A questo invito hanno i Padri universalmente manifestato la loro pienissima adesione e, dietro invito degli stessi Eminentissimi presidenti, hanno confermato i Padri coll’apporre la propria firma ad uno degli esemplari della protesta per conservarsi negli atti dei Concilio, a perpetua memoria del fatto».

La sostanza della protesta è che tutta si dichiara falsa e calunniosa, ed in dispregio ed in offesa del [p. 643 modifica]Papa, della S. Sede ed a disdoro del Sacrosanto Sinodo, l’asserzione che non siasi dato luogo alla libertà di parola e siasi esercitata pressione.

In ossequio del vero, deve ratificarsi che pochi Padri soltanto sottoscrissero la protestale la maggioranza si ricusò dicendo che «troppo ripugnava alla loro coscienza di dover mentire così spudoratamente la verità esposta nei due opuscoli».

Tale ulteriore atto di mala fede e novella pressione irritò maggiormente l’animo dei Padri, alcuni dei quali appunto si decisero a partire quello stesso giorno ed altri di non intervenire alla quarta ed ultima sessione pubblica del lunedi 18.

Il perchè gli oppositori presenti furono soltanto due, un vescovo napolitano ed uno americano, che, con molta fermezza, a chiara ed alta voce, risposero all’appello «Non placet».

Gli altri contrarii, come si disse, in numero di 140, non si presentarono.

Allora la maggioranza trionfante, senza rispettare la casa di Dio, ritta sulle panche e agitando i fazzoletti, proruppe in applausi strepitosi e grida frenetiche di «Viva Pio IX, infallibile».

Intanto, la tempesta era nel suo pieno; le folgori guizzavano fragorose, (un fulmine cadde al palazzo Lepri, in via Condotti, con danno esterno) ed il Papa, cedendo il varco alla dimostrazione della meteora, dispose che le artiglierie e le campane tacessero, quindi tutto restò nel profondo silenzio, e la sera soltanto poche luminarie in qualche edifizio pubblico, coll’aumento delle fiammelle a gas [p. 644 modifica]per il Corso, ci avvertirono che il grande atto era stato consumato.

La sera, senza perdere tempo, i vescovi francesi e molti di altre nazioni se ne partirono, quasi tumultuariamente.

Si assicura che ieri è partito da Roma il conte Trauttmansdorff, ambasciatore d’Austria, e si dice che seguiranno il di lui esempio quello di Francia ed altri rappresentanti diplomatici.

Tale partenza si vorrebbe come conseguenza della proclamazione del dogma dell’infallibilità, contro il quale i diversi Governi avevano protestato.

25. — La mattina che fu proclamata la infallibilità caddero tre fulmini dentro la città. Uno al Pincio, presso la caserma dei veterani, che danneggiò il muro ed alquanto pure la palma americana che è sul vicino piazzale, un altro a via Condotti, presso il palazzo Lepri, che similmente recò danno al muro esterno, ed il terzo ai Monti, il cui elettricismo fece cadere in terra un fanciullo.

Il primo, che fu il più strepitoso, cadde nel momento che intuonavasi a S. Pietro il Te Deum. Pose tale sgomento che i palatini dicono esser stati sul punto di fuggire dalla Chiesa.

La Polizia, nelle attuali condizioni di cose, adottò misure di rigore sulle persone provenienti dal regno d’Italia.

Ad un individuo, giunto ier l’altro, creduto sospetto, furono accordate sei ore di dimora.

I clericali e l’esercito sono sicuri che l’alleanza dell’Italia colla Francia avrà per conseguenza [p. 645 modifica]indispensabile il ritiro delle truppe, e che dall’Italia si faranno nuovi tentativi per invadere la capitale; ma essi non solo li respingeranno, ma, trionfanti, entreranno nelle Romagne, nelle Marche, rivendicando tutti i paesi usurpati.

31. — Ieri Kanzler chiamò a sè tutti i capi di corpo per concertare l’occorrente. La base è di respingere la forza colla forza. Il colonnello dei cacciatori esteri fece qualche osservazioue sulla inutilità di tale spargimento di sangue, sullo scoraggiamento delle truppe e sulla disparità delle forze.

De Charrette rispose che gl’inimici si combattono senza numerarli.

Alcuni zuavi dissero, a tal proposito, dentro pubblici luoghi, che la disparità di numero cessava quando si riflettesse che ogni zuavo può misurarsi con 50 soldati italiani.

Corre voce che il Papa, nel ricevere l’annunzio del ritiro delle truppe, si abbandonò ai soliti impeti di collera, maltrattando il dispaccio, rovesciando oggetti della sua camera, calpestandoli, e che rivolgesse parole aspre ed ironiche all’ambasciatore di Francia.

Nella notte susseguente il Papa, per l’urto nervoso, non potè prendere riposo. Quindi il giorno seguente era di umore pessimo e minacciava di andarsene via da Roma.

Per Roma si dice che i Francesi, partendo da Civitavecchia, si strapparono dal petto la medaglia di Mentana e, gettandola in mare, gridarono: «Morte al Papa, viva la Francia e l’Italia».

[p. 646 modifica]A Terni e Narni si lavorano camicie rosse e nere per i volontari che accorrono da ogni parte. A ciascuno si retribuiscono lire tre al giorno.

Corre voce che nell’interno della capitale è concertato un movimento rivoluzionario, il quale anderà di conserva con quello dei volontari, impegnandosi cosi una lotta con la truppa pontificia, che si troverà in mezzo a due fuochi.

1° Agosto. — Pasquino disse che i vescovi erano venuti in Roma pastori ed erano partiti pecore.

9. — Si crede che l’ambasciatore francese abbia rimarcato che il Papa si mostrasse al pubblico appena ricevuto il bollettino della guerra sfavorevole alla Francia.

A tale proposito si aggiunge (senza che l’estensore assuma responsabilità del vero) che S. Santità, nello scorso giovedì, visitando alcune monache presso il Quirinale, parlando della guerra conchiuse:

«Quello che possiamo dire si è che dalla parte della Prussia vi è Dio e dalla parte della Francia Satana».

11. — Nella notte dagli 8 ai 9 corrente, i posti di fazione, essendo coperti da Italiani, non furono tirate schioppettate.

Anzi, viene assicurato che al loro quartiere fu trovato affisso uno scritto in cui dicevasi che sinora si porta un riguardo alla loro nazionalità; quando però si macchiassero di azioni indegne, anch’essi resterebbero vittime come i mercenarii esteri.

[p. 647 modifica]15. — Questa mattina, ai devoti cristiani che sono andati a comunicarsi, i parroci distribuirono un foglietto d’invito per pregare Iddio che cessi presto l’orrore della guerra.

Alcuni dissero: «Purché trionfasse la Prussia».

21. — Nel giorno dell’Assunzione (15) il Papa andò, secondo il solito, a Santa Maria Maggiore. Alcuni della società dei plaudenti promossero qualche evviva, ma con limitato successo.

Si assicura che quattro Gesuiti siano partiti alla volta di Parigi con molto denaro.

Nello stesso giorno (20 corrente) che l’Osservatore Romano pubblicava notizie infauste della guerra per l’armata francese, il Papa, nelle ore pomeridiane, passeggiò per un tratto del Corso a piedi.

Nel giorno 19 (per quanto si dice) il Papa tenne una Congregazione di cardinali per stabilire il modus tenendi nella previdibile congiuntura dell’entrata delle truppe italiane.

Due cardinali (uno de’ quali si vuole sia l’Antonelli) opinarono per la resistenza, due contro e gli altri di rimettersi nelle mani del Signore.

Intanto il generale Zappi andò a Civitavecchia dando le disposizioni più energiche per i preparativi di resistenza.

25. — Il generale Zappi disse al cardinale Vicario che ai mezzi di difesa che aveva il Governo sarebbe stato desiderabile aggiungere due mitragliatrici.

[p. 648 modifica]Si racconta che sua Eminenza rispondesse:

«Per carità, caro generale, non metta femmine nell’esercito perchè le donne fanno sempre confusione e danno».

Nelle presenti contingenze politiche non manca la satira romana di farsi sentire. Relativamente alla Francia, si disse:

«La nazione ciarlatana
Vincitrice di Mentana
Non appena fu sul Reno
Che s’è venuta meno».

Inoltre, fu rappresentato Napoleone III dentro un bigoncio con addosso una quantità di mele, lo che indicherebbe trovarsi in modo da non potersi muovere, sopraffatto dalle busse ricevute.

Tra i sogni degli esaltati del partito clericale è pur quello che la Prussia potesse inviare al Papa una flotta per proteggere la S. Sede.

Alcuni giovinastri di bell’umore spaccarono una quantità di grosse zucche e cocomeri piantandovi su ciascuno una bandieretta prussiana e, gettatele nel Tevere, le fecero trascorrere per le sue acque col motto: «Flotta prussiana».

Si racconta che il Papa, nella sua infallibilità, in una di queste mattine ebbe sospetto che il caffè che gli fu apprestato fosse avvelenato. Ne volle far prendere alcun poco ad un gatto e questo mori.

Tra i frizzi del Papa si parla sempre di quello che, in una pubblica premiazione a cui assisteva, sentendo il cognome Galli, disse:

«Ora però i galli non cantano più».

[p. 649 modifica]3 Settembre. — Si assicura che il Papa è stato a benedire alcune barricate e, tra le altre, quella di porta Pia, del Popolo, ecc.

10. — Nella notte dal 6 al 7 corrente, dopo notizie avutesi dello sconfinamento di truppe italiane su diversi punti, il Governo ordinò che si portassero 4 cannoni alla stazione, 8 ai giardini vaticani, al Gianicolo e all’Aventino 6.

Le truppe ebbero il ritengo.

Il S. Padre, alle 5 pomeridiane dei 6 corrente, entrò a piedi da porta del Popolo sino a piazza di Venezia con un silenzio sepolcrale.

Nella notte precedente ai 10 si sparsero, per Roma, cartellini per insorgere e proclamare la repubblica; stante che dal Re Galantuomo (Vittorio Emanuele) nulla era a sperare.

Il conte Ponza di S. Martino, all’udienza del Papa dei 10, si trattenne 10 minuti.

Persone che si dicono bene informate assicurano che S. Santità ripetesse il solito: Non possumus.

Nella sera si tenne innanzi al Papa congregazione di sette cardinali. La maggioranza si pronunziò per opporre resistenza.

Si aggiunge che il Papa dicesse al conte Ponza di S. Martino che avrebbe, non ostante, preso tempo a riflettere; ma gli fu risposto che la sua missione era di consegnare la lettera del suo Sovrano e di prevenirlo della deliberazione adottata di occupare Roma. Quindi non poteva garantire se nel momento stesso che parlava le truppe erano in marcia.

[p. 650 modifica]Il conte, nel mattino degli 11 (domenica), ripartì alla volta di Firenze.

Si proseguono, alacremente, lavori di fortificazioni e barricate anche nell’interno della città. Alcune porte furono chiuse.

Le truppe indigene si dice che non vogliano battersi.

Gli zuavi sono quasi tutti inviati contro gl’invasori.


9-11. — Si piantarono cannoni nei giardini vaticani, ai monti Gianicolo ed Aventino ed alla stazione.

Si lavorano fortificazioni in varii posti suburbani; si murarono alcune porte della città, le meno necessarie, le altre si barricarono, ed ora si attende il nemico per combatterlo.

Però, è a tutti noto che gli indigeni e gli Svizzeri non intenderanno di battersi con truppe regolari.

Vi sono gli zuavi i quali sosterranno l’onore della bandiera, che saranno i sacrificati; essi si trovano quasi tutti nell’esterno della città e presso i varii confini.

Si sparse la voce che ad un uffiziale degli zuavi fu trovata una nota delle botteghe ed abitazioni dei principali orefici della città, e le insinuazioni del partito anarchico fecero credere alla popolazione che fosse per saccheggiarle.

Nella stessa sera il Papa tenne una congregazione di sette cardinali. La maggioranza fu di respingere qualsiasi conciliazione e di opporre [p. 651 modifica]resistenza. Si dice che i cardinali Di Pietro e Mertel furono di contrario parere.

L’inviato italiano aveva preso alloggio all’albergo della Minerva, dove ricevette una quantità di biglietti e, uscendo, era sempre salutato da una folla di Romani.

Stabilitosi dal Governo pontificio di resistere alla armata italiana, si ordinarono fortificazioni ai bastioni di Castel S. Angelo.

12. — Allorchè giunse la notizia che Napoleone era caduto prigioniero dei Prussiani, col grosso dell’esercito, i clericali si abbandonarono ad una sfrenata e scandalosa letizia.

Circa 10 preti entrarono nel caffè Ferrucci, in piazza della Valle, tutti lieti, ordinarono granite e paste, ed uno lesse ad alta voce l’articolo del giornale che ne riportava la notizia, tra i sarcasmi più bassi. Alla fine, tutti uniti, gridarono: «Finalmente è caduto questo infame».

14. — Si assicura che Orvieto, Viterbo, Alatri, Frosinone ed altri luoghi adiacenti già sieno occupati quasi pacificamente, essendosi le piccole guarnigioni pontificie ritirate per concentrarsi sulla capitale.

Alcuni impiegati governativi di quei luoghi si recarono a Roma.

Dovunque si fecero dimostrazioni di giubilo allo ingresso degli Italiani.

Ieri sera si temeva una rivoluzione nell’interno, allo scopo di prendere il forte di S. Angelo. Si [p. 652 modifica]posero 80 sentinelle avanzate con cannoni, pronti a spararsi sugli aggressori, non che quattro compagnie di gendarmi ai Prati.

Si sospettò pure che si volesse assalire la caserma del corpo di riserva a Belvedere. Ma di tutto ciò nulla avvenne.

Il generale Cadorna, che comanda il corpo d’armata italiano, con un Ordine del Giorno, ha annunziato che quanto prima avrebbe fatto l’ingresso a Roma pacificamente3.

Ieri sera, in Trastevere, fu esplosa una bomba e vi fu qualche sconcerto.

[p. 653 modifica]Altro trambusto si verificò verso la Bocca della Verità, dov’erano alcuni popolani con i fucili.

È stato già minato, e già mandato in aria, un ponte della strada ferrata, fuori porta Salara.

Ieri mattina si è pubblicato, dal ministro delle armi, Kanzler, lo stato d’assedio.

Nella sera si videro compagnie di guardia urbana, ossia della riserva, con alla testa un uffiziale in perlustrazione della città.

Varie pattuglie di gendarmeria a cavallo percorrevano le strade con carabine, pistole, ecc.

Le botteghe furono tutte chiuse in prima sera.

Ieri gl’italiani (circa cinque mila) entrarono in Albano e Frascati.


15. — Il corpo diplomatico si è recato in deputazione dal Papa per scongiurarlo di risparmiare una inutile effusione di sangue resistendo.

Anche i principi romani si recarono per lo stesso oggetto.

Il principe Chigi, fin dal 14, andò dal Papa per rimettergli una somma proveniente dall’obolo di S. Pietro; il Papa gli disse che si rassicurasse, poiché, dopo un primo colpo di resistenza, non ve ne sarebbero altri ed esso stesso sarebbe stato il primo a sventolare il fazzoletto bianco di pace.

Intanto, i preparativi di resistenza proseguono; e si assicura che il Consiglio dei ministri insiste per la resistenza.

Però, due legni francesi sono venuti nelle acque di Civitavecchia per imbarcare gli zuavi ed antiboini.

[p. 654 modifica]Si dice che ieri Cadorna mandò un Parlamentario a significare che avrebbe atteso fino al mezzo giorno di oggi, scorso il quale sarebbe venuto avanti, non potendo rispondere dei suoi soldati.

Si vuole che il Papa mandasse a rispondere che prima di tale ora avrebbe evaso alla intimazione, volendo attendere il termine di un triduo che si fa a S. Pietro, che scade appunto questa mattina.

Intanto, molti del partito retrogrado sognano interventi di Prussia e perfino della Cina, e che se pure avvenisse l’occupazione sarebbe precaria perchè gli invasori saranno poscia discacciati.

Ieri sera, verso le 11, s’intesero colpi di moschetteria verso il Monte Mario, dove trovasi il grosso dell’esercito pontificio.

Roma ha un aspetto tranquillo, ilare ed impaziente per l’ingresso delle truppe.

Ieri in Corso sembrava carnevale.

Non si videro più pattuglie. I soldati sono tutti alle mura ed a piazza Colonna.

Gli stabilimenti del Governo e de’ luoghi pii fecero murare le ferritoie corrispondenti ai sotterranei, per tema di mine.

Si continuano gli arresti e le perquisizioni.

Ieri sera giunse in Roma, proveniente da Firenze, il ministro di Prussia, accreditato presso la S. Sede.

16. — Continuandosi sempre le barricate, ieri si ordinò che si coprisse di materassi la porta del Popolo. A tale ufficio furono impiegati alcuni pompieri e borghesi.

[p. 655 modifica]Nelle ore pomeridiane di ieri un aiutante di campo del generale Cadorna venne per la terza volta, a quanto dicesi, a parlamentare4.

Una carrozza chiusa, con cortine tirate, scortata da dragoni, con un uffiziale allo sportello, si recò da Kanzler: dopo 30 minuti ritornò via.

Si dice che fu rifiutato l’ingresso delle truppe senza ostilità.

Ieri sono arrivate a Roma tutte le guarnigioni dei paesi occupati dalle truppe italiane che si ritirarono al loro avvicinarsi.


17. — Ieri il Papa uscì nelle ore pomeridiane recandosi a visitare la Chiesa dell’Aracoeli.

Nello stesso giorno uno squadrone di dragoni pontifici fu mandato in perlustrazione fuori porta Angelica presso il Monte Mario. Poco dopo si videro circondati da truppa italiana, senza scampo di sottrarsi.

Un uffiziale italiano, riconosciuto che non erano esteri, stringendo la mano a quello pontificio, gli disse: «Noi non ci battiamo con fratelli italiani, andate pure liberamente».

[p. 656 modifica]Nel cortile della panetteria al Quirinale, nella scorsa settimana, furono incendiati i processi politici che si custodivano in un archivio di palazzo.

Nel giorno 16 corrente, nella Polizia, s’incendiarono altri processi e carte compromettenti.

Monsignor Randi, direttore di Polizia, incominciò a sgombrare il suo appartamento e portar via carte, mobilia, ecc.

Alcuni impiegati di Polizia più compromessi si sono fatti liquidare la giubilazione.

La popolazione, nella sua piena tranquillità, è però assai irritata nel vedere per la città pattugliare le brutte faccie degli squadriglieri ritiratisi a Roma dalle provincie di campagna i quali, a dir vero, sembrano briganti, e temono che, nel momento di trambusto, riassumino il vero loro mestiere.

Questa mattina si è fatto spargere la voce che a Firenze vi era stata rivoluzione, che erasi proclamata la repubblica, e che di già quarantamila austriaci erano in Ancona.

Letizia dei clericali.


18. — Le truppe italiane, che si vedevano al di là di ponte Molle, ripiegarono verso porta Salaria e porta Pia, dove sembra si siano occupati nei lavori di approccio per battere in breccia le mura di quei lati, che sono le più deboli e che non hanno monumenti prossimi da restare danneggiati. Quindi molti speravano che l’operazione fosse di breve durata e potessero entrare in giornata.

Altri poi del partito clericale, dalle mosse della armata, trassero argomento per far credere che [p. 657 modifica]aveva avuto l’ordine di ritirarsi in seguito a proteste delle potenze.

S’intesero alcuni colpi di cannone che furono tirati dai papalini per molestare i lavori dell’inimico.

Si raddoppiarono barricate e si riunirono alle parti minacciate maggiori rinforzi.

Intanto la popolazione va tutta curiosando con gioia, ed il concorso di carrozze dovunque, e di passeggieri, è veramente insolito.

Oggi, verso porta Pia, si vedeva un passeggio animatissimo con qualche vescovo, frati e perfino Gesuiti con volto tranquillissimo.

Nella decorsa notte fu eseguita una perquisizione in casa di una certa Contessa, dove si trovarono molte bandierette italiane.

Nei terrazzi dei più elevati casamenti si riuniscono molte persone per osservare, con i canocchiali, il campo nemico.

La Polizia incominciò a diffidare di tali riunioni ed inibì ad alcuni di potervi fare accedere estranei, togliendo ad altri perfino le chiavi.

Per la città non si vede altro che pattuglie di 10 o 12 gendarmi, zuavi e squadriglieri, birri e anche di cavalleria, e tutti a breve distanza, pronti a congiungersi in forte numero al primo bisogno.


19. — Gl’Italiani ieri, alle varie cannonate che tirarono i nostri, per molestarli, non risposero punto. Lanciarono soltanto una granata la quale, secondo si assicura, uccise cinque zuavi, due squadriglieri e ferì varii altri.

[p. 658 modifica]L’armata nemica raccolse le palle che furono tirate e le consegnarono ad un carrettiere che si recava a Roma perchè le restituisse ai palatini.

Nelle ore pomeridiane, dal campo italiano, fu mandato altro Parlamentario che, dopo pochi minuti, ripartì.

Nella decorsa notte sono stati arrestati i tre fratelli Danesi, litografi in via del Gambero. Si dice che, nella perquisizione, fu trovato un Proclama del re d’Italia.

Questa mattina si sparse la voce che Parigi avesse capitolato. Quindi da ciò si trasse argomento dal partito clericale per vagheggiare nuove risorse.


Ingresso degli Italiani in Roma.


20. — Questa mattina, alle 4 1|2, gl’italiani incominciarono l’attacco battendo in breccia, tra porta Pia e porta Salara. Il cannoneggiamento fu continuato ed orribile. Dopo 5 ore, resero praticabile la breccia, e, attaccati i papalini (zuavi) alla baionetta, con due scariche, li costrinsero alla fuga5. Poco dopo fecero sventolare la bandiera bianca e capitolarono: ma, non ostante la capitolazione, gli zuavi, a tradimento, fecero una scarica sopra una compagnia di bersaglieri uccidendo un maggiore Valenziani6.

[p. 659 modifica]Alle 10 il fuoco di artiglieria e moschetteria cessò e si videro bandiere bianche, sulla croce del cupolino di S. Pietro, all’Angelo di Castello.

Circa il mezzo giorno alcune compagnie dei bersaglieri giunsero nell’interno della città e stazionarono a piazza Colonna 7.

Grida ed acclamazioni entusiastiche, abbracci fraterni, bandiere tricolori improvvisate, nastri.

Intanto i gendarmi, che erano acquartierati a S. Marcello, non sapendo nulla della resa, non vollero sopportare con pazienza alcuni insulti che vennero loro fatti da una turba di popolo che si era data a trascorrere la città festevole e fecero fuoco. Ne seguì un trambusto con varii feriti.

Presso i Crociferi il popolo si scagliò contro una frazione di artiglieria e zuavi e li disarmò completamente impadronendosi di un pezzo, e questo, e le sciabole, i fucili e i revolvers portarono per il Corso, trionfalmente.

Fu tolta a quelli la bandiera pontificia, fatta a brani, calpestata e gettata in una chiavica.

[p. 660 modifica]Il generale Zappi, De Curten, De Charrette, dentro una carrozza chiusa, si rifugiarono nel palazzo Sciarra.

Vi fu chi se ne avvide, e tosto un picchetto di bersaglieri italiani occupò il palazzo, guardandoli a vista.

Mentre alcune compagnie d’italiani difilavano a piazza Colonna, altre di zuavi, prigionieri, tuttora armati, provenienti dal Popolo si venivano a consegnare al comando della Piazza. Quelli erano accolti da grida entusiastiche, questi da fischi, imprecazioni ed insulti.

Maggiore però, e veramente pieno di apprensione, fu lo spettacolo nelle ore pomeridiane, allorchè giunsero a piazza Colonna tutte le altre compagnie di zuavi prigionieri, disarmate, in mezzo ai bersaglieri italiani. Grida: «Morte agli zuavi, cani, assassini, infami», fischi, urli.

In sostanza, furono soggetti ad umiliazioni che faceva pena assistervi, talchè un uffiziale a cavallo, non potendo reggere a tali e tante provocazioni, curvatosi sul cavallo, fece atti di vendicarsi contro il popolo con le pugna.

Fu un momento di orgasmo temendosi qualche seria catastrofe. Il contegno, però, degl’Italiani fu superiore ad ogni elogio. Bei modi, sangue freddo e rigorosa disciplina valsero ad evitare inconvenienti.

Del resto, tutto il Corso fu imbandierato e messo a gioia carnevalesca; canti italiani, acclamazioni [p. 661 modifica]all’armata italiana continuarono fino a notte avanzata con luminarie.

Un busto del re d’Italia, in mezzo a migliaia di bandiere, fu portato sul dorso da un individuo per il Corso, al qual busto tutti tributavano omaggi di riverenza e di affetto.

Non mancarono grida di «Morte ai preti ed ai Gesuiti, morte al cardinale Antonelli». Nè fu rispettato un prete, che traversò il Corso con un uffiziale italiano, poichè venne preso a fischiate.

Al portone del colonnello Evangelisti furono tirate sassate con grida minacciose.

Si atterrarono stemmi pontifici, e gli altri furono coperti da tele bianche.

Si dice che presso la Rotonda un emigrato romano uccise, con un colpo di revolver, uno zuavo ed uno squadrigliere.

Altrove, dal popolo, furono malmenati e disarmati soldati esteri.

Del resto, esecrazioni generali al Papa per la resistenza che aveva voluto si facesse con spargimento di sangue.

Mentre però la piazza di Roma trovavasi già occupata militarmente, il Campidoglio era tuttora in mano dei papalini i quali, difendendosi perdutamente, non volevano cedere. Fu circondato dai bersaglieri e, dopo un combattimento, alla fine fu ceduto.

Gl’Italiani ebbero 5 morti e 17 feriti8.

[p. 662 modifica]I papalini ebbero... morti 9, tra cui un maggiore 10 di artiglieria che fu fatto a pezzi da una palla nemica, mentre appuntava un cannone avanti la Chiesa della Vittoria, insieme ad altro artigliere.





FINE





Note

  1. Qui il Roncalli ripete le parole dell’Antonelli, riferite già a pag. 630, sulla quiete politica di quel momento.
  2. L’ultimo dei due opuscoli fu quello che, secondo riferisce il Roncalli, sotto la data del 15 di luglio, tanto irritò il pontefice.
  3. Ecco il Proclama del generale Cadorna:

    «Italiani delle Provincie Romane!

          «Il Re d’Italia m’ha affidata un’alta missione, della quale Voi dovete essere i più efficaci cooperatori.
          » L’Esercito, simbolo e prova della concordia e dell’Unità Nazionale, viene tra Voi con affetto fraterno per tutelare la sicurezza d’Italia e le vostre libertà. Voi saprete provare all’Europa come l’esercizio di tutti i vostri diritti possa congiungersi col rispetto alla dignità ed all’Autorità Spirituale del Sommo Pontefice. La indipendenza della Santa Sede rimarrà inviolabile in mezzo alle libertà cittadine, meglio che non sia mai stata sotto la protezione degli interventi stranieri.
          » Noi non veniamo a portare la guerra, ma la pace e l’ordine vero. Io non devo intervenire nel Governo e nelle Amministrazioni a cui provvederete voi stessi. Il mio compito si limita a mantenere l’ordine pubblico ed a difendere l’inviolabilità del suolo della nostra Patria comune.
          » Terni, 11 Settembre 1870.

    »Il Luogotenente Generale
    » Comandante il 1° Corpo dell'Esercito

    » R. Cadorna».


  4. Il generale Cadorna, il giorno 15 di settembre, mandò a Roma il colonnello Caccialupi al generale Kanzler «per invitarlo a lasciare occupare dalle truppe italiane la città di Roma, senza ostinarsi in una difesa il cui risultato sarebbe stato quello di un inutile spargimento di sangue». N’ebbe una ripulsa; eguale sorte gli toccò il giorno 16, per rinvio del generale Carchidio. (Vedasi Operazioni militari del 4° Corpo d’esercito nelle Provincie già pontificie dal IO al 20 settembre 1870. Relazione a S. E. il Ministro della Guerra. Firenze, Carlo Voghera, 1870, pag. 15 e 19).
  5. I difensori di Porta Pia, i quali non avevano potuto allontanarsi prima dell’entrata dei soldati italiani, deposero le armi.
  6. Fu il maggiore Pagliari, comandante il 34° battaglione dei bersaglieri che venne ucciso mentre, in testa al suo battaglione, dava l’assalto alla breccia. Il tenente Augusto Valenziani, romano, cadde alla barricata di porta Pia.
          Il generale Cadorna narra che «alla breccia la bandiera bianca o non essendo stata innalzata, o non veduta, avveniva ancora qualche conflitto coi difensori postati alla villa Bonaparte, finchè contr’essi si arresero in numero di 120 circa» (Relazione citata, pag. 34).
  7. I primi ad entrare in Roma furono il 19° e il 41° reggimento di fanteria e il 34° dei bersaglieri che occuparono il Quirinale, piazza del Popolo e il Pincio.
  8. Trentadue morti e centoquarantatrè feriti.
  9. Quindici morti, dei quali cinque combattendo e dieci per riportate ferite.
  10. Non un maggiore rimase morto in quel giorno, ma il tenente dei dragoni Alessandro Piccadori da Rieti.