Dell'entusiasmo delle belle arti/Introduzione all'opera
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INTRODUZIONE
ALL’OPERA.
E nol diss’io dieci anni sono al pubblicar questo saggio, che tal m’avrebbe mirato siccome un pazzo, e l’opera mia tenuta avrebbe in conto di un vero sogno, e delirio? Posso almeno vantarmi di non essere stato falso profeta, e d’averne ottenuto autorevolmente l’onore da uomini illustri. Il primo si fu l’abate Lami dottissimo, come ognuno sa, e in Toscana massimamente tra più grand’uomini venerato.1 L’altro è stato un francese anch’esso insigne ed applaudito per critica, e per autorità in ogni letteratura2. Amendue di pari merito m’han del pari assegnata la stanza nell’ospitale de’ pazzarelli, benchè il secondo più espressamente e in termini più precisi. Vero è che un altro toscano ed un altro francese potrebbero ristorarmi3 del danno con due giudicj favorevolissimi, ma non sò poi quanto autorevoli, perchè non sò di qual mano essi possan venire, siccome ignoro per qual rara ispirazione un tedesco abbia trovato il mio entusiasmo tutto greco di gusto, ed italiano, degno d’esser tradotto in sua lingua e stampato4. Ben vorria l’amor proprio appoggiarsi a cotai testimonj a lui favorevoli ed alle lettere avute da molti illustri anch’essi piene di lodi assai lusinghiere fondate in esami e giudici dell’opera stessa, le quali ei conserva gelosamente, ed è talora tentato di pubblicare, se io nol ritenessi, quando sentesi pizzicato da quelle critiche in sul vivo, e come sembragli fuor di ragione. Ma chi volesse dar retta a costui arrischierebbe di troppo, e ne sarebbe punito di leggieri col farsi deridere, ed in materia di lettere massimamente, siccome par l’amor proprio più sdegnosetto, ed insofferente, così per poco n’è beffeggiato. I letterati lo sanno, ed io che rido talora di loro smanie, o che ne sento pietà, ben lungi dall’arrecarmene, amo quelle due critiche ancor che grossolane, e non fondate in qualche pruova palpabile, e riprendo per mano l’opera mia, la ricompongo, la rimpasto per pur vedere se fuggir possa da quelle stanze malaugurate, ov’essi m’han posto; tanto più che fu messa in luce sol abbozzata lungi da me, e senza che le potessi dar l’ultima mano5. Il gran punto si è di fissar l’idea dell’entusiasmo, qual io la veggio, ed intendo, non quale altri la vuole, e se la mia val quanto l’altrui a prò delle lettere, e della gioventù. In questo secolo filosofico appellato non si vorrebbe che sola filosofia, metafisica sola, e i dabben poeti ed oratori, gli scrittori perfin di teatro o di romanzo per essere, come dicesi, alla moda, si son fatti anatomici dello spirito e del cuor umano, han poste le dissertazioni in pulpito, e sulla scena, han trattato delle passioni, e sin degli amori più delicati per via di teoremi, di ragioni dirette, e inverse, di proporzioni e d’equilibri. Per me non vaglio a tanto, vò terra terra ed amo meglio render sensibili le cose astratte, che trasportare con volo d’aquila in su le nuvole e più là come certi pretendono, il sentimento e le immagini delle bell’arti. Eccovi tutto il mio pensiero posto in fronte alla trattazione perchè subito ognun lo vegga, e sappia bene qual libro gli dò a leggere, e non si prenda
la briga di fare un suo libro leggendo il mio. Lo scopo di questa operetta si è ravvivare lo studio delle bell’arti, e sostenerlo contro gli studi inimici della immaginazione. Oggi veggiamo i progressi incessanti della ragionatrice ed osservatrice filosofia, la qual quanto giova al sapere, tanto nuoce all’immaginare.
Geometri e fisici vanno tra noi multiplicando ogni giorno con grande onore ed utilità delle scienze, e il lor dominio si stende allo stile, si mesce col gusto nell’opere d’eloquenza, e di poesia, dicendo alcuni perfino che la conversazione divien filosofica. Verran dunque meno i buoni poeti, gli egregi oratori, e cesserà quella dolce illusione, che bilanciava gli error col diletto, la qual tanto è pur necessaria alla vita quanto forse la verità, se nell’umano sapere verità conosciamo sicure. E se alcuno dimandi o disputi, come si suole, qual più meriti il nostro studio se il filosofare o il poetare, parmi dover rispondere che l’uno e l’altro secondo la disposizione d’ognuno; e guai al filosofo ed al poeta, che vanno insieme screditandosi, e scemando così le ricchezze e i piaceri ma, che già non abbondan di troppo. Non è dunque essa ben chiara l’idea propostami nel mio scrivere? E perchè un altra tutta diversa ed anzi contraria vuolsi a questa sostituire chiedendomi un trattato di metafisica? Sia sublime chi ’l vuole, io non ambisco, il ripeto, poggiar tant’alto per sedere a mensa co’ genj celesti del secolo, e ber con loro l’ambrosia e il nettare delle incomprensibili a noi mortali altissime teorie dell’olimpo filosofante. E ciò tanto meno m’alletta quanto più dopo quindici anni ch’io scrissi, e dopo dieci che pubblicai le mie idee veggo ognora multiplicarsi, e dominare per tutto quelle sdegnose divinità sprezzataci de’ semplici affetti umani, de’ dolci moti del cuore, e d’ogni dono imperatoci dalla natura, che tanto piacque a que’ rozzi secoli, non so perchè detti d’oro, de’ greci, e de’ latini. Avrebbon essi saputo immaginare giammai, siccome i nostri autori moderni, quella gloria di render difficile il facile, di far un arte e un sistema d’ogni più semplice, sensazione, d’affaticar l’intelletto per le vie spontanee del cuore. Essi che si studiarono di sparger fiori per gli sentieri di spine agevolandone il passo, ed isgombrando la strada da bronchi, e sterpi, ed allettandovi li svogliati per via del piacere, essi che amarono d’esser letti e gustati da quel bel sesso ed amabile, che preferisce il sentire all’erudirsi? Oh gl’ignari, che nelle lor opere tanto cercarono la semplicità, e consultarono la natura, ed usarono quello stile lontan dall’arte e dallo sforzo, che supplisce ai termini, ed alle frasi scientifiche con le metafore tolte da più noti e più prossimi oggetti, e colle più lusinghevoli descrizioni e similitudini parlando alla fantasia per istruire l’intelletto, nascondendo il metodo, che con rigore si prefiggevano, ornando la stessa filosofia de’ gaj vestimenti, e leggeri, della pompa magnifica e dei vezzi gentili della poetica immaginazione! Come pensarono mai così, e come ottennero mai d’andare all’immortalità! Noi seppimo ben trovar altre strade, noi ci andiamo con ben maggior gloria tutto volgendo in sistemi, chiamando tutto alle analisi, ornando tutto di fina geometria, e delle figure e dei termini dell’arte, dando alle scene, ed ai poemi l’aria e l’abito de’ trattati fisici e matematici, tracciando a sesta e a compasso le nostre definizioni, le divisioni, ed i metodi nella storia, e nell’eloquenza, parlando sempre all’ingegno, ed argomentando pel raziocinio con esclusione severa del linguaggio, della figure, de’ simboli della immaginazione. Oh come arrossirebbono in faccia a noi que’ Sofocli, e quegli Aristofani, que’ Plauti e Terenzj al veder oggi gli amanti moderar tanta le lor passioni, divenir tanto serj in sul teatro, che a gara co’ loro servi e confidenti sappiano definire, misurar, calcolare ogni moto, ogni fibra, ogni nascondiglio del cuore, e invece del ridere grossolano, o del compungersi troppo volgare, che lor premeva pur tanto, applicarsi oggi gli spettatori a seguir il filo, ad intendere le finezze, a penetrare la profondità del terrore, e della compassione, delle gelosie, dell’infedeltà, degli stratagemmi, dei viluppi, degli amori, e de’ matrimoni, ridendo invece di piangere, e piangendo invece di ridere, ma sempre con ingegno, e speculazione, che degna sia d’un teatro divenuto accademia e liceo. Quanto poi allo stile que’ buoni antichi pensarono, che la proprietà delle parole, l’aggiustatezza delle metafore, la sobrietà delle figure, e delle comparazioni fossero doti bastanti del bello stile unite alla purità della lingua, all’eleganza, all’armonia, e a tutti i pregi, che sol sà dare il talento naturale e bene esercitato senz’altr’arte, che quella delle buone letture, e del consiglio degli ottimi giudici nel buon gusto, e soprattutto di quel gran segreto poco ognor conosciuto ed usato, il segreto di cancellare secondo l’avviso d’Orazio, di Pope, e della sperienza. I moderni all’incontro han dati senza stile trattati dello stile, han voluto insegnarlo per geometria, e per analisi risalendo a’ primi elementi de’ pensieri, e delle parole, pesando a rigore il valor de’ vocaboli, tracciando le proporzioni delle metafore, onde venissero le frasi, i periodi, e le figure dimostrativamente fondate nelle leggi primitive dell’anima, e degli organi suoi stromenti a spiegare i concetti spirituali colla meccanica facoltà della parola. Quand’uno abbia trovato il bel segreto di così scrivere e ragionare per angoli, e per ridasi pure di tutti gli antichi e d’ogni eloquenza, che senza buon gusto, e senza naturale disposizione troverà stile perfetto più che non l’ebbero Platone e Tucidide, M. Tullio e Tito Livio, sarà scrittore ed oratore filosofo, ai filosofi piacerà, in che che stà la vera ed unica gloria oggidì; essi soli l’intenderanno, e ciò basta dovendo ogni altro sottomettersi a quest’oracolo, inappellabil giudice di tutta l’Europa, e del secolo decimottavo. Io pertanto protettomi nuovamente d’aver tentata una strada diversa trattando delle bell’arti, e specialmente di poesia, nella qual tutte ponno raffigurarsi, e nelle quali han parte insieme l’anima e i sensi per dilettarsi perfezionando l’umana natura, e temperando con tal piacer dilicato gl’incomodi della vita. Per quanto il profondo geometra tenga i versi in conto d’inezie, dicea però un maestro6 scrittore, a scommettersi pur sarebbe che non avrà quel gran Neuton sì lunga vita nella memoria de’ posteri coma Omero, poichè non hanno già tutti gli uomini ad egual grado quel lume d’ingegno, che scopre l’oscura via delle scienze, ma si han tutti per poco quel sentimento che basta ad amare, e coltivare sino ad un certo segno l’arti amabili precisamente, e liberali. Non nego già io per questo che in un pien trattato dell’entusiasmo non abbia luogo la filosofia, cioè quell’ordine, e quell’esame più intimo di sue proprietà, onde distinguansi i suoi veri caratteri, e riducansi a giusti confini per le bell’arti, sicchè l’indoli si riconoscano e i talenti fatti per quelle sentenziando autorevolmente que’ che nacquero a tal destino e quei che nò. Dico solo e confermo non esser ciò solo ufficio del metafisico, e della specolazione astratta, ma richiedersi a tal impresa difficile insieme ed utilissima un profondo filosofo, che sia non meno esercitato nell’arti belle, ciò che raro s’incontra, uom dotato d’acuto ingegno attentissimo e quasi fisico osservatore d’oggetti non corporei, non circoscritti, non docili, come que’ della fisica, uomo insieme sommamente ragionevole, e sensibile, pensatore a guisa d’una semplice intelligenza, ed irritabile a un tempo per tutti i sensi ad ogni scossa del cuore e della immaginazione, che non voglia sentire se non quanto può intendere, e conoscer non voglia se non quanto può immaginare. Il fondo in somma del suo lavoro è metafisico, fantastica la tessitura; mai spesso la fantasia fa parte del fondo, e diviene il tessuto di metafisica. La quale difficoltà gli è comune co’ suoi lettori, i quali o per troppa vivacità naturale, o per educazion d’altri studi più facili e piani, o per legami al pensiero più stretti, e più larghi all’immaginazione fan creder talvolta che i lor cervelli non usino volontieri d’entrar in se stessi, d’esser soli con l’anima, e di cavar la miniera sul proprio cuor meditando e su l’ingegno. Ned io già gli accuso, sapendo or bene per mia sperienza quanto sforzo mi sia’ costato il concentrarmi nell’intimo seno delle mie facoltà intellettuali, e conversare a lungo co’ miei pensieri, ed insieme sentir le scosse del cuore, e degli affetti, seguir le vie delle fantastiche illusioni, dividermi in due personaggi l’un tutto riflessione, l’altro capriccio, quinci meditando e quindi sognando, ma con sogni osservati dalla ragione, che sta sopra loro qual giudice, ed al suo tribunal gli assoggetta. Posto ciò perchè dunque mi chiedono un primo principio, una cagione efficiente, l’ultima risoluzione spirituale dell’entusiasmo, quand’io voglio principalmente farlo sentire, eccitarlo, istruire i cuori, e gl’ingegni nella pratica facoltà dell’umane lettere e dell’arti d’immaginazione?
Voi mi fate, alcun mi dirà, voi mi fate sperare un idea dell’entusiasmo più distinta e più chiara dell’altre, che abbia ragion di principio, e guidi il lettore allo svolgimento dell’altre idee secondarie illustrandole nella progressione; e voi mi parlate di sollevamento di mente, di rapimenti, di voli ec.
Havvi pur da trovarsi una nozione, a fissarsi un termine donde scenda il lettore con voi nell’analisi dell’entusiasmo. Cerco una cagione, e voi mi date gli effetti. Poichè desso è una macchina di molte potenze, il cui movimento sia simultaneo o piuttosto d’una sì rapida successione, e veloce, che sembri tale; pur debbon esse ricevere il moto da una impulsione che sia prima e principale, la qual vuolsi accennata dal valente artefice, che sciogliendomi innanzi tutta la macchina mostrarne intenda il lavoro il travaglio il maneggio e le varie operazioni. I voli, i rapimenti convengono a comporla, ma donde prendon essi la scossa, e chi li determina? Son queste le idee che formar devono a nozione dell’entusiasmo e spiegarne il meccanismo, e però star a capo della definizione, e così con un idea più semplice che non e la compostissima di rapimenti di voli ec. fermar da principio il lettore dandogli in mano il bandolo della matassa che venite svolgendo. Ricordatevi che parlate d’operazioni interne, e nella spiegazione di queste non potete prescindere dalla metafisica e por dovete del vostro sistema distinti e chiari principi. Ma e quai ponno essere codesti mai? Dirovvi ch’è più facile spiegare l’economia dell’entusiasmo, che di formarne una definizione. Pur s’ei non è cieco, siccome tal non dev’essere, ha da riconoscersi in gran parte effetto della ragione riconoscendo anteriormente una sua operazione motrice di lui. È vero che questa ragione non è qualunque, ma poetica nel poeta, musica nel musico, pittorica nel pittore, la qual ragione si fattamente modificata rifletta nel suo oggetto o musico, o poetico, o pittorico per ogni parte considerandolo in tutti gli aspetti, che le possano presentar le bellezze della poesia della pittura della musica; a misura che tali bellezze le si parano innanzi essa si stende, sollevasi, l’anima n’è presa, e per un sentimento di piacere, e d’incanto si mette a fronte del dilettante obbietto, e questo così contemplato determina l’immaginazione, la qual sorviene, e ravvivando, e raccrescendo le meditate bellezze cerca trasfonderle dentro l’anima contemplatrice; quindi sprigionamento, e agitazione di spiriti, e tutto il popolo poetico delle immagini sono in moto a colorire la conceputa beltà. Ecco che la ragion dee dominar l’entusiasmo ed è quella sola che mette l’ordine in quel gran tumulto ch’ei porta seco.
Ed ecco, rispondo io quello appunto, che far non voglio, e che inutile reputo al mio intento. Perchè qual prò, ripeterò sempre, qual uso pratico ne riesce per le bell’arti, e pe’ giovani a quelle chiamati dalla natura? Avrò fatto un nuovo sistema, sarò filosofo, sederò in compagnia de’ pensatori del secolo, e in gara con loro di nuova fabbrica astratta e sublime, aspetterò il giudicio solenne sopra la sua solidità,7 di cui sento gran dubbj per ogni parte al sorgerne una novella, che atterra le antiche, e urtandosi di continuo, e crollando l’una sopra dell’altra su gli aerei lor fondamenti. Loke è stato, diss’io, il maestro dopo gli antichi dell’ottima metafisica, e quanto ha fatto per sgombrare gli umani errori? Il sig. di Condillac ha poi scoperti i suoi, e il sig. Bonnet fa vederne quegli del Condillac, nè mancan censori al Bonnet. Quanto dunque è ancor8 nuova questa scienza trattata ab antico da tanti? Quanto incerta la strada del vero se sì tardi scoprissi? Quanti sentieri bisogna battere, e in quanti errare prima di farla piana diritta e sicura? Molto più se parliamo dell’entusiasmo di cui molti han dati sistemi, ed analisi metafisiche a nostri giorni, come gli enciclopedisti,9 gli Andrè, i Batteux, i Schatfibury, i Sultzer, i Marmontel, i Paradisi, i Gerard, i Condillac, per dir solo de’ principali. E perchè aggiugnere un nuovo sistema, perchè il fatto rifare, o perchè piuttosto non prender da loro esempio per sfuggire l’inutilità, o gli errori lor imputati? Pur nondimeno affin di salvar le apparenze, o di rispettare i pregiudicj dominatori ho citati ed esposti i miglior trattati tra quelli, e n’ho lodati gli autori, e gl’ingegni, siccome il merita in cotal genere di lavoro ciascuno. Ma nel tempo stesso ognor ricordomi le riflessioni de’ saggi critici sopra quell’opere. Leggo infatti:10 Quest’opera dovrebb’essere per la sua chiarezza intelligibile alla gioventù. Ma chi tra giovani potrà seguire l’autore nelle profondità della metafisica, ove s’è inviluppato? Longino ha saputo evitar questo scoglio essendo in tutto il suo trattato del sublime egli stesso chiaro per tutto, e d’una facile intelligenza. Il signor Gerard non s’è stancato in cotai discussioni filosofiche, colle quali si sforza di far la notomia delle intellettuali facoltà, nell’opera sua sopra il gusto coronata a Edimburgo il 1756. Bramerebbesi ch’egli avesse seguito il modello proposto a se stesso. Il suo novo saggio sul genio spogliato di quest’apparato scientifico non ne sarebbe che più giovevole. Al qual giudicio può aggiugnersi quel del fisico illustre di Norimberga, che pur sì profondo filosofo è riputato nelle famose sue lettere sopra l’uomo, quando dice nella seconda: Sopra di tutto vorremmo sofisticare: una metafisica puerile analizzerà freddamente i sentimenti invece di scaldar l’anima; le quali parole, per non citarne molt’altre d’autorevoli giudici a me bastano per giustificarmi non solo, ma per confermarmi nel mio pensiero di fuggire per una parte il soverchio sottilizzare, che nelle bell’arti secca in erba, e divora i vivi germi de’ giovanili talenti, e per l’altra di scuoter l’anima quanto posso e gli affetti loro facendo ufficio di cote11 ad esempio d’Orazio, o di tromba, che sveglia, ed infiammali a correr l’arringo come l’araldo12 in Virgilio. Del qual ufficio, benchè inferiore di pregio per molti, non arrossisco, purchè utile sia, parendomi invero che gran bisogno ve n’abbia, che un tal libro ci manchi, e che il pretendono invano aver fatto, mel perdonino pure, non solo i grandi filosofi, ma i dotti maestri in gran tomi di rettoriche, di poetiche, e di magisteri delle bell’arti. Ognun frattanto può veder le opinioni di quelli, e le loro definizioni nelle varie lor opere, che sono in mano di tutti senza ch’io ne ingrossi di citazioni il mio libro, bastandomi far breve cenno di quegli antichi o moderni men conosciuti filosofi precettori e poeti.
Platone distingue in un luogo quattro entusiasmi divini tutti e santi, il profetico spirato d’Apolline, il bacchico da Bacco, il poetico dalle Muse, e P amoroso da Venere!
in altro luogo.assomiglia i poeti a sacerdoti di Cibele ne’ balli lor furibondi, e alle Baccanti fuor di se trasportate, onde sogliono quelli più per impeto e per furore che per ragion favellare, e pei un istinto poetico, qual era il demone di Socrate ( i ), che con subita illuminazione rapisce i pensieri e gli affetti, di cui non può farsi regola, e trovasi ancor negl’indotti. Così tutti i platonici col lor maestro seguendo il sistema dell’anime scese dai cieli, ove godevano lunga felicità per avvivare i corpi, rivolano per P entusiasmo dai sensibile, the le circonda, a riveder sulle sfere a riempirvisi della divinità e beatitudine una volta lassi< conosciute. Quella visione rende V anima estatica, (i) ^oiifxov che vien detto una pura emanazione deli’esser supremo, un genio celestiale che abita in noi, e che ben servito dq poi ne rende feiici.
ca, assorbisce i pensieri penetrandola intimamente d’una profonda passione, che la fa beata ec. Teofrasro, Plutarco, Longino, ed altri s’accordano in tal linguaggio, che a’metafisici par di soverchio poetico, ma che in se racchiude assai parte di vero, se ben s’inrenda toltone il velo simbolico. Aristotele và Jontan da Platone affermando venir I’estro jioerico dall’umor malinconico generato aprendo il campo così ai moderni filosofi, che fisicamente han voluto spiegarlo. Quindi il celebre Vallisnieri la cagione attribuisce a un interna fermentazione de’ nostri fluidi posti in moto straordinario ec. e il sig. Soria lo pore nell’organo immaginante, e nella sua connessione macchinale col paro intercostale e col paro quinto de’ nervi ec. De’ precettori basti il Quadrio, che tutti gli ha compresi dicendo eccitarsi l’entusiasmo mediante l’immaginativa, le passioni, la musica, e il vino, essendo esso un furore tía naturale camion prodotto, e talor da cagione sopra natura ec. osservando però, che tre gran dottori deli’ arte poetica il Castelvetro, il Bisciola, e il Beni negarono l’esistenza di tal entusiasmo 22INTR0-D,UZIONE siasmo perchè noi sentirono mai, 0 creder non vollero a chi ’1 sentiva. Venendo poeti che lo sentirono, e degni sono più eh’altri d’esser creduti, perchè parlano di loro sperienza, ed usano il proprio linguaggio deli’ entusiasmo, ecco i loro sensi. Da principio un chaos informe e confuso senz’ordine o legge occupa tutta l’anima: non san donde mova, nè dove vada un nuovo ardor de’ lor cuori, pieni sentonsi del lor nume, ispirati illuminati dall’alto, e trai vortici della fantastica agitazione strisciano lampi e luce, da cui rischiarasi il cupo fondo di quelle tenebre, e risplendono alla mente oggetti sublimi, e figure ed immagini e scene, che rapiscono a volo il sopraffatto poeta, gl’infiammano il cuore, il trasportano fuor di lui non sa più come nè dove. Quindi vengon le loro espressioni di stravaganza, e di pazzia, onda pscktde Democrito (i) dall’elicona come Hisgit(0 Exeludir sanos Helicone poetas Democritus Hor. Art. pout.
Et rabie fera corda tument, majorque videri Nec giitimi que’ poeti, che savj siano, e Platone afferma la p oesia del furioso esser migliore di quella del saggio, e Virgilio ne fa il ritratto qual d’un ossesso, Ora b torrente Pindaro, e senza legge (0 in audaci ditirambi precipita, udiamo parlare loro medesimi, or sente Ovidio un Dio che scaldalo, e lo trasporta con impeto, or prende /’ali fuor d’uso, e divien cigno Orazio che dove, grida, dove Bacco mi traggi pieno di te? tra quali selve m’aggiro, tra quai spelonche son tratto da novo spirito?.... Dirò cose mirabili inusitate jQual è Baccante al mirar l’Ebro attonita al risvegliarsi.... Oh nume possente.... niente dirò di basso, niente che sia d’uom mortale. E’dolce il periglio di seguir te. Così nell’Ode ip. del libro Nec mortale sonans, afflatur numine quando Jam propiore dei À!n. /. VI.
(1) Qui per audaces nova dityrambos verba devolvit. Hor. I. III. Ode 23.
Est Deus in nobis agitante calescimus ilio &c. Fast. I. I.
Non usirata nec tenui ferar penna canorus ales.... & album &c.
C 4 fcro III. E nella 16. del II. Bacco io vidi àsttar versi tra rupi solingbe, credetelo, o posteri, le ninfe ascoltavano, e tene an ritte V oreccbie i satirelli. Evoì cb’io sento /’anima presa di nuovo orrore e pien di quel Dia gioisco, e mi confondo insiemi. Perdona gran nume perdonami Bacco pel tirso tremendo.* dirò canterò delle Ti adì furibonde ec.
Così parlerebbono le bell’arti, se tutte usassero il linguaggio dell’entusiasmo, come i poeti; e tal lo conobbe pur l’eloquenza di Marco Tullio (i) allorchè una forza divina at(i) Mihi vero ne ha*c quidem notiora & illustriora carere vi divina videntur, ut ego aut poetam grave plerumque carinen sine ca:Jesti aliquo mentis instinètn putem fondere aut eloquentiam.
Audivi caiterarum rerum studia & dottrina & pra:ceptis & arte constare, poetam natura ipsa valere & mentis viribus excitari, & quasi divino quodam spiritu afflari.
Pacuvium puraris in scribendo leni animo ac remisso fuisse? fieri ullo modo potuit, sxpe enim audivi poetam bonum neminem sine inflammation? animorum existere posse, & sine quodam;,tflatu quasi furoris: Dt oratore e altrove.
Ali’OfERi.2f attribuì a’ poeti, celeste istinto ¿eli’ ani-, ma, e quando lor diede per sola maestra la natura con certo spirito quasi di-vino, e replicollo pur nuovamente come detto da Platone, e da Democrito. Così il Tasso nè discorsi poetici, crediam, dice, esser pieno il poeta di verità, e da divin fuoco rapito sopra se stesso, e sovra l’uso comune, e quasi con un altra mente, e con un altra lingua gli S! concede pensare c favellare. Boccaccio infine la poesia definisce un certo fervore di scrivere o dire astrattamente e stranieramente quello, che avrai trovato, il qual derivando dal sei à’Iddio a poche menti, come penso, nella creazione è conceduto.
Laonde, perchè è mirabile, i poeti furon rarissimi (1). Or io domnndo se un tal linguaggio di questi, e di mill’altri così gravi autori debba prendersi rutto per un cotal modo di dire figurato, e metaforico, che nulla chiuda in se di vero e di proprio; se l’Entheos, e il Foèos de’Greci, i’ affiatus spi(i) Gtneal, degli dei.
jpiritus, infiammano, furor quasi divinili dei larini, il sollevamento della mente, l’ispirazione, e furor divino degl’italiani, ond’è definita la parola entusiasmo, sian traslati ed iperboli senza senso. Ma in verità se M.
Tullio filosofo a un tempo oratore e poeta jn più luoghi usa sempre gli stessi termini ¿i forza divina, di celeste istinto, di spirazione ddl’alro, di fiamma, di fiato, d’impeto, d’anima, che vien da Dio, parmi aversi a cercare in queste loro espressioni, piìi che in metafisiche idee astratte, la natura eie proprietà dell’entusiasmo delle bell’arti, e spiegar quindi e far sentire ciò, che intesero, e che sentirono le anime privilegiate, i gran poeti principalmente, ammirati perciò da tutti i secoli, e le nazioni, e degni d’esser maestri dell’arte loro arcana, più che i sottili e freddi analitici co’ 1 or sistemi. Estraendo pertanto da cotai detti un intimo e vero significato, io riconosco in essi fspresse le due primarie proprietà dell’entusiasmo, onde l’altre derivano, immaginaz’one t sensibilità. I voli, i rapimenti, le visioni t: gli spettacoli illustri, ed accompagnati dall’ dall3 impeto, e dallo spirito di furore appar.
tengono alla prima, e le fiamme, gli ardori, Je gioie, i trasporti per accendere altrui alla seconda; quella va al grande e al bello mirabile, e Io presenta a questa, che ne sente la forza, lo ama, ne gode, e lo diffonde d’intorno a se: tutto poi è celeste, divino, spirato dall’alto perch’è fuor d’uso per ogni altr’arte, o professione, che liberale non sia, o non si accosti almeno all’arti liberali, in seno alle quali è propriamente la sede dell’immaginazione, e della sensibilità. Ed ecco le metafore ed i traslati tolto loro il velo ridotti a giusto e filosofico senso intelligibile a chiunque è capace per dono di natura di rale filosofia. Ecco perchè il vero poeta parla, pensa, dipigne, inventa diversamente dagli altri uomini, che s’innalza, si scalda, commovesi oltre l’usato, che sembra infine non operar da se solo, ma trasportato e rapito sopra e fuori di lui per una forza e da un impeto maggior di lui; e così a proporzione i veri oratori, pittori, e lor compagni nell’arti eccoli posti secondo l’indole loro e talento in una classe particolare. Questa, par-28I»T*ODU2IOWI parrai, non fu sin ora così circoscritta e mostrata abbastanza riguardandosi comunemente come un grado maggior di calore, un movimento più forte, una fantasia più vivace, non come una luce, ed un ardore, da cui sorge una facoltà singoiare, eh’è data ad alcuni, ad altri è negata talora interamente, ciò« l’entusiasmo.
£ qui prima di tutto bisogna chiedere a noi stessi quanta attitudine abbiam sortita per cotal facoltà dalla* natura. Imperciocchè siccome v’ha degli uomini nati senza alcun senso, o con pochissimo dell’armonia, ed insensibili a ciò che incanta e rapisce altri fuor di se, onde può dirsi, che mancan d’un organo, e quasi d’un senso, che sarebbe il sesto in quegli altri; così ve n’ha veramente di quelli, che all’entusiasmo dell’arti sono immobili e sordi naturalmente; a quali se pur volesser conoscerlo io direi volentieri; che allor possono sospettarlo quando non san che farsi della lor anima, e più s’annoiano udendo o leggendo, perchè il sol raziocinio e la logica sola, per così dire., dell’anima avendo, ove quest, non ha eser-all’Opfha.2<> esercizio cq occupazione, come avviene nel1* opere a lei straniere dell’entusiasmo, debbon essi trovarsi appunto in ozio totale, e quindi il redio sentire dell’inazione. Di che molti esempi sappiamo, come di que! peomerra che leggendo le scene più passionate della Fedra, e dell’Ifigenia di Radne, che tante lagrime han fatto spargere, dimandava in aria di stupefatto, e che prova t,mesto? cercando quivi una dimostrazione, che sol cercava ne’libri e intendeva; simile a quello che non avea di più gran piacere leggendo Virgilio fuor di quello di veder su Ja carta geografica il viaggio d’Enea; ed era ur. matematico anch’esso. Così color, che non amano le lettere della Sevignè, delizia semina de’ cuor sensibili, che al teatro, ed alla predica o nell’accademia recitandosi cose eccellenti, a cui freme od è assorta l’udienza, sbadigliano dormigliosi, oso« distratti in altri pensieri, que’che trovano sol pazzie nell’Ariosto, ed in lui notano e ne’miglior poemi solo i difetti, che li trovano ne!
disegno di Tiziano e di Paolo, o nel colorito di Mi-he! Angelo, e del Primaticcio, senza 3:1 riflettere alle bellezze, e in generale par landò gli scolastici di professione, i matematici e i fìsici elementari, i giurisprudenti, gli antiquari, qual era il Lami dottissimo in pergamene, medaglie, iscrizioni, e lingue antiche, che con tutta ragione trovò stravagante il inio entusiasmo, come dissi a princi* pio, in ragion d’antiquario profondo. ( i ) Già non intendo per questo dannarli essendo non per lor colpa, ma per natura così disposti, e potendosi in cambio racconsolare colla fermezza e la calma dell’anima, che li rende più atti a discutere le questioni, a seguir il filo degli argomenti, ad osservar la na( i ) Vi son bellezze, che non appaiono al volgo, nè il dilettano, ma sono a poeti serbate, come chi è nato al mare o in collina ivi sente un eie! diverso e gli pare un altro verde un altr’aria un altro sole; dove al contrario gli abitatori di basse pianure o palustri quivi provano doglie e stemperamenti.
Chi nacque sui colli d’Elicona certe liriche cose udendo senton ivi quasi l’aria nativa del lor paese, che al vol^o è inutile o poco graia = Ceva Vita di Lemene.
natura, a calcolare le proporzioni, ed i numeri, a spiegare e promovere le ricerche dell’erudizione, mentre gli uomini d’estro a ciò non vagliono comunemente; pareggiate così le sorti non dee presumere alcuno o sprezzar gli altri con pueril gelosia di professione e d’amor proprio ( I ). Chi per contrario nacque disposto ed abile all’entusiasmo riconoscalo in se per contrassegni diversi. Al sentire una musica, all’udire una predica, o una tragedia, al veder una tela, o una statua di man maestra senton questi in fondo all’anima una forte commozione straordinaria. Ed ecco il come e il perchè si scoprirono spesso i talenti, e divennero tanti a questo invito oratori, poeti, pittori, come narrano mille storie, e il vediam tutto gior:ft>. Così soleva anch’io tra cento giovani talor ( i ) Può taluno anche trar vanto da ciò accompagnandosi con quel grand’uomo di M.
Antonino, che ringraziava gli Dei d’avergli negato il gusto dell’eloquenza, e della poesia, perchè noi distogliessero da’ più gravi cure, e più utili del governo.
lor tentarne l’indole, e discoprirne gli oc» culti ignicoli recitando loro su varie corde di voce chiara ed armonica i miglior passi d’antichi e di moderni poeti, oratori, e scrittor passionati animandomi di lor passioni, ed osservando negli occhi, ne’moti, nell’attenzione desìi uditori i segni di loro risentimenta, od insensibilità, e gli uni spronava per la via delle lettere, gli altri mettea consigliandoli in altri sentieri, e gli uni infatti levaronsi alla gloria d’orator, di poeti, di buoni scrittori, gli altri radono ancor la terra volendo scrivere ostinaramente contro minerva, o più saggi lasciando le muse riuscirono in altro o destri politici, o magistrati integerrimi, o buoni economi, e taluno eccellente geometra, fisico perspicace, naturalista preclaro, e potrei nominarli e mostrarli a dito.
A questi dunque protesto di non parlare, ma sì a quelli, che soli intender ponrio e giudicare di tal materie e del mio libro. Il miglior giudice è la naturale disposizione, la qual pretendo porre a cimento il più che può farsi; perchè parlo deli’anima più sensibile rnen.
piente, che niuno ancor non ha fatto. Il mio trattato non è come gli altri e;s:r sogliono, e non dee leggersi come gli altri trattati. Il lettor qui dev’essere autore, o compagno almen dell’autore che scrive, ed io scrivo per consultarlo standomi cheto in disparte a rimirar ciò ch’ei sente, ciò che risponde a me, che in lui risponde alior che legge. Così la natura e il sentimento sono le nostre consigliò“0* i veri autori del libro. Ognun dunque leggendo entri in se stesso, e consultisi, indi sentenzi, e quando avremo raccolto qualche migliaio di tai sentenze e di rat giudici tra lor di accordo alior l’opera sari compiuta. Imbandisco una mensa, e i convitati del par con meco decideranno secondo il gusto, e il sapore del lor palato, se n’hanno.
Che se frattanto alcun dicesse non trovar altro nell’opera mia fuorchè indovinamento, e speculazione immaginaria, mi scuserei confessando non esser io nè un profondo filosofo, nè un ingegno privilegiato, ma di propor dubitando i miei pensieri, ed invitando alcuna di quell’anime più sublimi a rivelar suoi arcani, poichè al fin tocca all’entuTomo III. D si-siasmo più illustre ed eccelso a parlar di se degnamente, ed ei fassicon pena a ragionare e filosofar metodicamenre delle cose anche sue.
Basti a ir.e l’accostarmi quanto più posso alla pratica verità, giacche ho mostrato noti poter farsene un magistero per esperimenti sicuri, e precisi, come in fisica, essendo sotto ad un velo i principi ed elementi di tal facoltà. E se noi la ragion prima ignoriamo eziandio delle corporee sensazioni,come quelle sapremo degli atti interni, e delie affezioni dello spirito e del cuore? Può condursi forsanco a qualche probabilità fondata su fermi appoggi una serie di metafisiche verità, massimamente dopo che il nostro secolo v’ha per entro portata una luce novella, pur mai non avran quella luce evidente, che sforzi e appaghi il nostro intelletto, come le geometriche.
Lungi adunque da noi e il sotti! metafisico, ed il severo geometra, ed il freddo e secco analitico, dove han seggio primario immaginazione e sensibilità. Per tal ragione il mio metodo si troverà lontan dall’uso, e potrà ceb-censurarsi a prima vista; ina poi forse ve.
drassi che in altro metodo e stile non vuol esser trattata una cosa di sentimento più che di ragione, eppù’r dell’uno, e dell’altra parrecipe; che quest’opera è piuttosto oratoria che filosofica, più dell’immaginazione che dell’intelletto. Parnii ad un certo modo aprir qui un’accademia delle bell’arti, nella qual si voglia i principi cercare di quelle filosofando, ridurle a sistema, indagarne le principali proprietà, e gli essenziali attributi con ordine, con diduzione, con raziocinio; ma gli accademici tutti a tal fin meco raccolti non han che pennelli e scalpelli, stranienti di suono, e di canto, nè sanno appena pur ragionare se non che dipignendo e cantando; tra lor s’intendono, è vero, ed hanno insieme una comunicazione, fanno una società più viva forse più intima più concorde, che non usano gli altri, ma tutto và per la via dell’anima, e delle passioni,. della fantasia, e dei sensi, non come l’altre accademie per argomenti e dimostrazioni e calcoli e dispute dell’ingegno. Quest’arte loro è scolpita dalla natura nel cuor umano, non è nel celabro scrit-scrina o nei libri; si vedran dunque dei quadri in una tale accademia, si sentiranno dell’arie, e delle sinfonie, chi perora e chi danza, chi disegna ora statue ora edifiz;, e chi verseggia; ognun sente e si passiona e ride e piagne e gusta a suo modo, e così ognuno a suo modo ad ottenere intende il fin proposto; gente in oltre talor capricciosa ed indocile, e tutta libera e indipendente, che altro fren non conosce che un saggio istinto, altra guida che un dolce affetto. Per la qual cosa non dovrebbe il mio stile ed il gusto spregiarsi dell’opera usando io sol Io stile ed il gusto degli accademici miei compagni. Così fossi di lor degno scrivendo! Ma siccome prolestomi esser tra loro discepolo, ed osservatore, così contento sarò di riscuoterne alcun più degno a palesare il segreto dell’arte sua, r. cui non han posto mano sinora fuorchè de’ languidi e faticosi precettori, o de’ troppo astratti e poco intelligibili filosofanti- Così bastami un pò suscitare i bei talenti all’aniore delle bell’arti senza molto ammaestrarli, ripetendo quel detto: ad impellendum s.ttis, ad eàoèendum parum.
Che Che se alcuno col Lami citato mi rimbrot tasse d’aver in mano ripigliata un’opera, che a lui sembri o troppo inutile e vana per ur,a cotale apparenza d’immaginario sistema inviluppato da tenebre, o troppo men utile che non sarebbe la cuia di mia salute e tranquillità, non so rispondere se non che col sentimento medesimo, che Sallustio in circonstanza simile si ben esprime. = Ubi animus ex multis miseriis atque periculis requie-vit, (¿r vìi hi reliquam atatem a re pu èlica procul hnbendam decrevi, non fiat consilium socor¡li* atque desidia bonum otium conterere. =3 Mi consolerei poi coll’esempio d’autor: pregiati, trà quali il Sig. Mendelshom nel suo celebre libro de’pn/icip/generali deJle belle lettere ed arti stampato qualch’anno dopo il mio entusiasmo sembra avere con questo non lieve rassomiglianza, massimamente ove parla dell’ammirazione nella parte seconda. Poco tempo è che ne vidi una traduzione recente in italiano. Può recarmi pur qualche conforto il veder molti nell’opere loro tenere quel mio lavoro in qualche pregio addottandone de’pensieri, e talor le parole eziandio dio trasportando ne1 loro componimenti, tri quali a mio grand’onore rammento il sig.
abate Godard professore di belle lettere nel Collegio Romano in quel suo ragionamento recitato per la coronazione famosa, e stampato sì nobilmente in Parma; poichè sin dalla pagina quadragesimasettima trovo in esso trascritti gl’interi squarci del mio entusiasmo non isdegnando egli di farli suoi compiutamente.
Se poi altri pensasse da me venir troppo accesa la fantasia de’ giovani già per se troppo caldi, onde diano in qualche eccesso scrivendo, io rimetto al mio libro l’incarico di giustificarsi, ove alcun più fervido cervello n’abusi e mai l’intenda. Sento invece da’buoni estimatori delle cose d’ingegno affermarsi, che i miglior libri dall’entusiasmo produconsi, che non disconviene un pò di passione agli autori, giovani“’specialmente, inverso gli obbj’etti e gli argomenti da lor trattati, che giova anzi alle lettere come alle scienze quel fuoco, che le ravviva, le afforza, e profittevoli altrui le rende. Che produsser mai gli animi freddi di bello e di grande? Perchè gli antichi e i moderni più illustri son coll’opere re loro fatti esempio del grande e del bello, se non per l’entusiasmo, onde levaronsi sopra se stessi, e spinsero l’arti loro e le scienze per quello oltre l’usato? Ah fosse pur vero che per me si scuotessero gli italiani da quella oziosa mediocrità, di cui sono dai saggi accusati tanti egregi ralenti! Tal fu sempre la mia speranza per questo libro, il qual se non prova l’assunto, non afferra l’oggetto, non compie l’idea per ogni sua parte, aprirà forse almeno un bel campo a’begl’ingegni animandoli col diletto di non aspra e non precettiva filosofìa, onde dicano i più cortesi, che in sembianza d’addottrinare i miei concittadini ho inirato più veramente a liberarli da’ pregiudici, istillare in loro il buon gusto, 1* amor dell’arti, il genio degli studj jiù amabili ed onorati incontro all’ozio ed pi mali seguaci di quello.
D 4 IMDELL'ENTUSIASMO
DELLE BELLE ARTI
Parte Prima.
IMMAGINAZIONE
O FANTASIA.
Il gran barone di Verulamio con alcuni seguaci attribuirono alla fantasia tutto il talento delle bell’ arti, e l’entusiasmo principal- mente. Ma che intendesi per fantasia, o per immaginazione? Viene spesso confusa la forza d’immaginare coll’atto immaginante, questo che crea per imitazione gl’idoli i simolacri fantastici con quell’altra che rappresenta all’anima nostra gli oggetti lontani, o nascosti. Altri13 distinguono la materiale dalla spirituale, altri dividonla in sensifica ed in visifica, ed altri in altre guise pretendono definirla, e conciliarne le apparenti contraddizioni, e stabilire il confine, che le separa dalla memoria, dalla ragione, dalle passioni14.
- ↑ E per vero dire il suo entusiasmo è un certo non so che, che non sa dir ch’egli è... Per altro all’autore non manca se non di piangere tante parole vanamente spese, tanto tempo infelicemente perduto, tanta carta sì malamente impiegata. Un tomo così grosso per istancare il leggitore e per non imparar nulla? Nov. di Firenze 1769.
- ↑ V’ha un fondo di verità in tutto questo, ma gli originali, che ponno riconoscersi da tali caratteri sono all’ospedale de’ pazzi; e gl’ispettori o cappellani di tali alberghi ne contraggono spesso un contagio, e vanno alfine ad occuparne delle celle. Gazzetta letteraria di due Ponti. 1778. pag. 732.
- ↑ Giornale di Pisa, e Journal des Scavans del 1769.
- ↑ A Berna 1778.
- ↑ Confidai a un dotto amico il MS. perchè il migliorasse: dopo un anno mi scrisse averlo dato a stampare pur senza toccarlo
- ↑ Bernis ragionamento sopra la poesia.
- ↑ Vedi nota prima.
- ↑ Vedi l’appendice del p. Soave all’opera di Loke; cioè la sua analisi dell’intelletto, Tom. I.
- ↑ Vedi nota seconda.
- ↑ Saggio sopra il Genio del signor Girard Bovillon: Avril. 1775. p. p. pag. 21.
- ↑ Fungar vice cotis Hor.
- ↑ Ære ciere viros &c. Æn. 6.
- ↑ Vedi l'abate Conti de’ fantasmi poetici.
- ↑ Vedi la nota terza.