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dell'Opera 23

giitimi que’ poeti, che savj siano, e Platone afferma la p oesia del furioso esser migliore di quella del saggio, e Virgilio ne fa il ritratto qual d’un ossesso, Ora b torrente Pindaro, e senza legge (0 in audaci ditirambi precipita, udiamo parlare loro medesimi, or sente Ovidio un Dio che scaldalo, e lo trasporta con impeto, or prende /’ali fuor d’uso, e divien cigno Orazio che dove, grida, dove Bacco mi traggi pieno di te? tra quali selve m’aggiro, tra quai spelonche son tratto da novo spirito?.... Dirò cose mirabili inusitate jQual è Baccante al mirar l’Ebro attonita al risvegliarsi.... Oh nume possente.... niente dirò di basso, niente che sia d’uom mortale. E’dolce il periglio di seguir te. Così nell’Ode ip. del libro Nec mortale sonans, afflatur numine quando Jam propiore dei À!n. /. VI.

(1) Qui per audaces nova dityrambos verba devolvit. Hor. I. III. Ode 23.

Est Deus in nobis agitante calescimus ilio &c. Fast. I. I.

Non usirata nec tenui ferar penna canorus ales.... & album &c.

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