Biologia marina/Capitolo III
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CAPITOLO III
Cenni sulla Influenza del fondo marino
I dominî biologici marini
i caratteri dei fondi e degli organismi costieri
Intorno alla configurazione generale del fondo marino vi bastino pochi cenni. Senza dubbio gli abissi maggiori superano in profondità l’altezza delle montagne più eccelse dell’Asia; 9788 è la quota registrata dalla nave tedesca «Planet» in uno scandaglio eseguito nella Fossa delle Filippine tra Cebù e Ternate (Oceano Pacifico); 8341 il massimo sinora trovato per l’Atlantico. Nel Mediterraneo lo scandaglio ha segnato una profondità di 4404 m. tra la Sicilia e Candia. Tale profondità massima fa parte di una depressione detta levantina; oltre che in questa, il Mediterraneo si avvalla in tre altre depressioni principali: la esp erica tra la penisola spagnola, la Corsica e la Sardegna, con una profondità massima di 3150 m.; la tirrenica, tra le due isole di Sardegna e Sicilia e la penisola italica, con 3730 m.; la pontica, nel Mar Nero, con 2618 m. L’Adriatico ha una profondità massima di 1228 m.
Ma nei confronti fra la morfologia del fondo marino e quella della terra emersa, più ancora delle profondità massime ha importanza la media, la quale, secondo i calcoli dei più autorevoli talassografi, si aggira intorno ai 3500 metri ed è quindi multipla di 5 volte la cifra ammessa come altezza media dei continenti.
E siccome i pendii del fondo marino non risentono l’azione demolitrice della pioggia, del disgelo e di altri fattori che agiscono sulla terra emersa, si conservano assai meno ripidi e più uniformi.
È condizione normale che dal battente del mare si giunga per un declivio assai dolce ad una profondità di 200 metri circa; più innanzi il pendio si accentua e rapidamente conduce ai fondi abissali di oltre 1000 metri, di guisa che i continenti sono circondati da una sorta di scarpata, la platea continentale1.
I paesi a coste piatte o lentamente degradanti hanno, come ben s’intende, una platea continentale assai estesa, mentre questa è molto ristretta nelle plaghe simili alla nostra Liguria, dove aspre montagne scendono quasi a precipizio sul mare. Uno sguardo ad una carta recente delle profondità marine riesce molto istruttivo a questo riguardo. In tali carte la platea continentale è segnata in bianco, le successive zone batimetriche in colore tanto più carico quanto più grande risulta la profondità. Orbene, l’Inghilterra apparisce circondata da una larga zona bianca, la quale, ad oriente, ricolma tutto lo spazio compreso fra le isole Britanniche e la costa Finlandese, abbracciando la base della penisola Scandinava ed inoltrandosi fino all’estremità settentrionale del Baltico, fatta eccezione per una tenue striscia che segue le coste della Svezia. Questo ampio tratto di mare è dunque costituito quasi unicamente dalla platea continentale. Invece un orletto bianco appena visibile segue le rive del Mediterraneo Occidentale, se facciamo astrazione da una zona di bassifondi, non continua del resto, che s’incontra tra la Sicilia e la Tunisia. La metà settentrionale dell’Adriatico e buon tratto del Mar Nero (più d’un terzo dell’intera superficie) dalla parte Nord hanno fondi inferiori ai 200 metri. Lungo le coste liguri il pendio divalla, in alcuni tratti, ripidissimo, tantoché un abisso di ben 914 metri si apre a soli 3 km. a S. E. di Capo Noli; nel territorio di Savona (ftg. 7) e la linea isobata di 2000 m. passa a poco più di 12 miglia da Capo Berta (Oneglia)2. 11 confronto è istruttivo dal punto di vista biologico; infatti ninno contesta oramai che la povertà della nostra pesca costiera e le dovizie peschereccie dei mari nordici dipendano, almeno in parte,, dalla diversa estensione della platea continentale.
Accanto alla configurazione giova studiare anche la natura del fondo, come fattore di prima importanza nella distribuzione degli organismi marini. Se, indossato l’abito del palombaro, noi muovessimo
Fig. 7.
Riva a picco, in vicinanza di fondi abissali: Capo di Noli in Liguria. Fotogr. originale.
In tesi generale i fondi nelle vicinanze dei continenti e nei mari interni, come il Mediterraneo, sono coperti da quei depositi che il Murray ed il Renard chiamano «terrigeni», cioè costituiti in prevalenza da materiali provenienti dalla terra emersa o pel veicolo dei corsi d’acqua e delle correnti atmosferiche o per l’azione demolitrice del mare. Ter contro nei bacini oceanici, lontano dalle coste, i depositi risultano in buona parte di gusci e di scheletri d’organismi che hanno vissuto nelle zone d’acqua soprastanti, e vengon perciò denominati depositi pelagici dagli autori predetti.
Mentre nel Mediterraneo i saggi d’alto fondo sono composti di una melma azzurrognola o giallastra, generalmente assai povera in sostanze organiche, nei grandi Oceani la melma d’alto fondo, eccezione fatta per la cosidetta melma rossa (red day), è piena zeppa di avanzi riferibili a specie pelagiche. Prima per importanza è la melma a Globigerine, composta quasi per intero di piccoli gusci calcarei appartenenti a Foraminiferi pelagici. Predomina fra gli altri un guscio lungo mezzo millimetro o poco più, che si presenta all’occhio armato di lente come un aggregato di sferule bianchiccie d’in uguale grossezza: è quello della Globigerina hulloides. A profondità superiori ai 5500 metri i gusci calcarei subiscono una lenta dissoluzione, tantoché negli abissi maggiori la melma a Globigerine cede il posto ad un fango di colore rossastro. Ma nella zona compresa fra i 700 e 5500 m. circa la sua diffusione è grandissima; la si trova infatti in gran parte dell’Atlantico e per un tratto molto esteso del Pacifico e dell’Oceano Indiano (da 72° lat. N. a 60° lat. S.)- In plaghe assai limitate dell’Atlantico e del Pacifico tropicali, dov’è scarsa la variazione annua di temperatura, accompagnano o sostituiscono i gusci di Poraminiferi resti d’altri organismi calcarei, specialmente conchiglie di Molluschi appartenenti ai due gruppi pelagici dei Pteropodi e degli Eteropodi. Questa melma a Pteropodi non discende oltre ai 3 km. di profondità.
Le melme ricche di resti silicei sono caratteristiche dei mari freddi; così la melma a Diatomee contenente innumerevoli gusci di queste Alghe microscopiche, occupa una larga striscia nell’Oceano Glaciale Antartico ed un’altra più stretta nel Pacifico settentrionale a profondità variabili da un migliaio di metri sino ad un massimo di 3500. Proprie dei mari tropicali, ma di acque profonde e per conseguenza fredde, sono le melme a Radiolari. Gli scheletri silicei fantasticamente vari e delicati di questi Protozoi, predominano in certe regioni del Pacifico Tropicale e dell’Oceano Indiano, fra 2000 e 5000 m. circa di profondità; talvolta furono riscontrate sino a 7000 m. Pare che la loro presenza sia connessa non soltanto alla temperatura, ma anche ad una salsedine relativamente bassa e ad una certa quantità di detrito minerale sospeso nelle acque superficiali.
Ma la maggiore estensione fra i depositi pelagici si attribuisce all’argilla rossa raccolta nelle grandi profondità oceaniche sino alle massime quote esplorate ed alla quale fanno gradualmente passaggio le melme ricche di detriti animali. Essa ha consistenza simile a quella del burro ed è composta specialmente di argilla, ma vi si rinvengono anche concrezioni minerali diverse, sopratutto noduli di manganese, denti di pescecane, ossa timpaniche di Cetacei. Indagini recenti l’iian dimostrata molto ricca in sostanze radioattive.
Già s’intravede da questo cenno sommario l’interesse che presentano pel biologo i fondi marini. Anzitutto essi offrono, a chi li sa interpretare, un quadro istruttivo, sebbene incompleto, della fauna e della flora viventi negli strati superiori. Non si deve poi dimenticare l’importanza’ che ha lo stato di aggregazione del fondo. Finché ci troviamo nel campo sconfinato dei depositi oceanici è questo un fattore pressoché uniforme, perché si tratta quasi sempre di melma; le cose però mutano di aspetto appena ci avviciniamo alla costa. «Dimmi su che fondo abiti e ti dirò chi sei», potremmo sentenziare a proposito di fauna costiera, se i proverbi fossero ancora di moda. E invero l’area di abitazione di innumerevoli specie non tanto é segnata dalla profondità, quanto dalla natura del fondo marino; allorché si trova un certo tipo di fondo in una determinata regione si é sicuri di rintracciarvi alcuni caratteristici abitatori. I sedentari che tenacemente si iittiiccaiio allo scoglio, i timidi che si seppelliscono nella sabbia o s’insinuano fra i detriti, i girovaglii che passeggiano sulle fronde delle piante marine, acquistano bene spesso una certa aria di famiglia che non può sfuggire all’occhio esperto del naturalista.
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Ma l’influenza del fondo marino merita di essere discussa sotto un punto di vista più generale. Tutti i biologi ammettono oggi che dal fondo si debba trarre un criterio di prima importanza per stabilire i diversi modi di esistenza. Infatti lo studio comparativo degli organismi marini ci dimostra chiaramente come la forma e le abitudini si orientino secondo direzioni diverse a seconda che la vita si svolge in relazione col fondo oppure indipendentemente dal fondo stesso. Si chiamano bentonici i primi e bentos (da βἑνϑος, dfono) il loro complesso; planctonici oppure pelagici gli altri eplancton (da πλάζω, vagare, e πἑλαγος, mare) l’insieme loro, abbracciando con questi termini tanto i vegetali quanto gli animali.
Dipendono evidentemente dal fondo le piante crittogame o fanerogame che vi stanno abbarbicate, nonché gli animali che aderiscono al fondo o se ne valgono, camminando e strisciando, come di substrato. Al plancton appartengono invece tutti gli organismi che per un periodo continuato della propria esistenza galleggiano o si mantengono fluttuanti a mezz’acqua ed alle cui attività vitali si conservi estranea la presenza del fondo.
E gli animali dotati di potenti organi natatori, come la maggior parte dei Pesci, molti Cefalopodi e qualche Crostaceo, dovranno ascriversi al plancton oppure al bentos? Dirò subito come si ammetta da taluni un terzo gruppo biologico detto necton comprendente i forti nuotatori che si spostano con mezzi propri, attribuendo al plancton soltanto gli organismi che vivono in balia delle onde e si lasciano trasportare passivamente dalle correnti.
Io non riterrei necessario il concetto di necton; per vedere chiaro nelle varietà della natura a nulla giova rendere più complesse le classificazioni e meglio vale ordinare queste intorno a semplici idee. In pratica se può riuscire artificiosa la separazione tra bentos e plancton, risulta encor più arbitraria la distinzione tra gli organismi che subiscono un trasporto passivo e quelli che progrediscono con mezzi propri. Non soltanto si verificano gradi numerosi di transizioni da specie a specie, ma lo stesso animale che vince, colle sue natatoie, una corrente di debole intensità, può essere incapace di nuotare contro una corrente più forte. E sopratutto giova osservare come il criterio della dipendenza dal fondo sia quasi sempre suscettibile di applicazione anche quando si tratta di necton. Infatti se taluni Pesci costieri sogliono di tanto in tanto abbandonare le vicinanze immediate del fondo, tali incursioni sono generalmente assai limitate nel tempo e nella distanza. Inoltre questi animali dipendono dal fondo in larga misura perchè quivi ricercano il nutrimento o almeno si cibano di altri animali pascolanti sul suolo sottomarino. Analoghe considerazioni potremmo applicare alle schiere degli Invertebrati; i Gamberetti nuotano con agilità ed hanno qualche carattere in comune (ad esempio la rasparenza del corpo) coi Crostacei planctonici, non dimeno si comprendono nel bentos perchè frequentano i declivi coperti di Alghe, le praterie di Zosteracee, le arene ingombre di detriti vegetali e quivi si procurano cibo. D’altra parte i Pesci pelagici che a regolare intervallo si avvicinano alla costa, vi rimangono durante un periodo relativamente breve che coincide per lo più coll’epoca riproduttiva. Criterio fondamentale sarà dunque per noi la durevole relazione col fondo marino; della diversa natura ed autonomia dei movimenti conviene tener conto soltanto in via subordinata.
Possiamo quindi ammettere un bentos natante (molti Pesci, Cefalopodi, Crostacei) in contrapposto ad un bentos sedentario o sessile (Attinie, Coralli) strisciante (molti Vermi e Molluschi), ambulante (moltissimi Crostacei). Distinzioni tutt’altro che assolute, poiché alcuni animali possono nuotare e strisciare (Polpi, molti Anellidi) oppure nuotare e camminare (taluni Crostacei), ma non inutili, poiché si può ritenere come tipica la forma di locomozione più spesso adoperata.
Moltissimi organismi bentonici hanno larve che vivono nel plancton e discendono al fondo quando stanno per raggiungere la condizione adulta. L’inversa condizione può dirsi eccezionale; ricorderò i Copepodi appartenenti alla famiglia Monstrillldae, che allo stato di larva vivono da parassiti nel sangue di Anellidi bentonici, mentre allo stato adulto conducono libera vita nel pelago. In entrambi i casi non sarebbe lecito parlare di un modo di esistenza intermedio fra bentos e plancton, poiché tutta la prima parte della vita si svolge in un ambiente e tutta l’ultima parte nell’altro.
Taluni animali combinano i due modi d’esistenza, con ritmo determinato, nel periodo adulto; così fanno certi Anellidi che strisciano sul fondo durante il giorno e di notte vengono a turbinare alla superfìcie, nonché certi Molluschi nudi, come le Tethys, che in un breve periodo dell’anno si trovano fluttuanti nelle correnti superficiali, sebbene il fondo melmoso sia loro abituale dimora,
Organismi adulti per i quali mi par dubbio il riferimento al bentos piuttosto che al plancton sarebbero alcuni Crostacei (Copepodi), che in certi mari poco profondi si allontanano molto dalle coste e si raccolgono promiscuamente al plancton tipico, mentre in altri mari non sogliono abbandonare le vicinanze immediate della scogliera rivestita di Alghe.
Ma bentos e plancton dovranno presentare variazioni importanti a seconda della zona marina che frequentano; di qui la necessità di stabilire alcune suddivisioni dell’ambiente marino, distinte, oltre che dalle loro proprietà fisiche, da particolari aggruppamenti di organismi.
Occupiamoci per ora dell’ambiente marino bentonico, ossia del fondo e delle sue immediate vicinanze. Che la parte più profonda e più oscura si debba distinguere dalla più superficiale e meglio illuminata si riconosce da ogni biologo; non regna però l’accordo circa il numero e la relativa estensione delle singole parti. Ecco una prima suddivisione, semplice e di applicazione generale: chiameremo dominio costiero la platt’a continentale, e dominio batibentonico la distesa dei fondi sottostanti; come linea di separazione adotteremo convenzionalmente quella di duecento metri. Istituita in base ad un concetto geografico, una tale ripartizione si accorda tuttavia con criteri biologici, poiché la vita vegetale non scende che in via d’eccezione oltre ai duecento metri di profondità. I termini «costiero» e «batibentonico» corrispondono a «litorale» ed «abissale» di molti autori.
Conviene ora procedere a suddivisioni ulteriori, ma qui regna tra i biologi grande disparità di vedute. Variano i concetti che presiedono alla classificazione di regioni e di zone, varia l’estensione a queste attribuita; spesso un nome prescelto dall’autore X per denotare una zona, viene applicato dall’autore Y con significato diverso. Le indagini accurate di specialisti moderni e sopratutto del Pruvot hanno documentato scientificamente due verità che già dovevano risultare evidenti a chiunque abbia cognizioni un poco estese di biologia marina:
1ª Le suddivisioni proposte per un dato mare molto spesso non si adattano ad un altro mare, sia per quanto concerne la distribuzione dei fondi, sia per quanto si riferisce alle comunità biologiche proprie dei fondi stessi.
2ª È vana impresa voler suddividere il dominio costiero in strisce orizzontali, limitate, sia pure in via approssimativa, da una linea batimetrica. Risulta infatti che la natura del fondo è il fattore più importante nella distribuzione degli organismi costieri e che alla medesima profondità si trovano, anche in località vicine, fondi assai vari per natura e per estensione. Chiunque abbia pratica di fauna marina riconosce a prima vista il prodotto di una pesca fatta a 20 metri di profondità in fondo a coralline da quello di un’altra pesca fatta pure a 20 metri, in fondo sabbioso o prateria di Posidonia. Supponiamo per contro di avere dinanzi agli occhi il contenuto di due reti tratte su fondo melmoso, l’una a 60, l’altra a 100 metri di profondità; distinguere in tal caso la pesca più profonda dalla meno profonda mercè l’ispezione delle specie raccolte, riesce spesso difficile anche ad un naturalista provetto.
Per conseguenza è opportuno applicare una suddivisione in regioni batimetriche limitatamente a un certo tratto di mare e non è possibile segnare limiti di profondità che non risultino molto elastici, e subordinati alla natura del fondo.
Le condizioni dei dintorni di Genova corrispondono presso a poco a quelle indicate dal Pruvot per un tratto del Mediterraneo francese occidentale (Banyuls) e forse valgono a un dipresso per tutto il Mediterraneo. In base a queste condizioni ammetterei nel dominio costiero due regioni, una superiore© litorale, l’altra inferiore o sublitorale (corrispondente alla regione costiera del Pruvot). La regione litorale si distingue per la natura svariata dei suoi fondi e per la rigogliosa vegetazione di Crittogame (Alghe) e di Fanerogame (Zosteracee) che vi alligna. Nella regione sublitorale è caratteristico il fondo di materiale finamente suddiviso; per lo più melma, qualche volta sabbia; le piante marine vi sono molto scarse o mancano del tutto.
La regione litorale si lascia ancora suddividere ìi;l zone a seconda del fondo e i caratteri di queste zone, come vedremo meglio più innanzi, si presentano di versi secondo la natura della costa prescelta come punto di partenza. Altra è la successione dei fondi lungo la scogliera, altra lungo la spiaggia, altra in una insenatura tranquilla ove la melma può depositarsi a tenue profondità e giungere in certi casi fino alla riva.
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Mentre fauna e fiora costiere dimostrano radicali mutamenti, anche nello spazio di pochi metri, col crescere della profondità e col cambiare del substrato, la fisionomia complessiva degli organismi costieri, esaminata in senso orizzontale, si mantiene uniforme in plaghe molto vaste del nostro globo, tantoché rOrtmann, uno zoologo il quale ha studiato a lungo la distribuzione degli animali marini, si limita a stabilire per il dominio costiero sei grandi provincie biogeografiche, cioè due circumpolari (la artica e la antartica) e quattro circumtropicali (la indo -pacifica, la americana occidentale, la americana orientale, la africana occidentale, la africana orientale. Per dirla in termini più succinti e più tecnici, gli organismi costieri sono molto specializzati dal punto di vista a m bientale, meno dal punto di vista geografico. In ciò si manifesta una sensibile differenza fi-a gli esseri che popolano i declivi sommersi dei continenti e quelli che vivono sui continenti medesimi. Se non mancano fra gli organismi litorali famiglie o generi propri a determinate regioni, è ben difficile di trovare un gruppo tassonomico superiore alla famiglia (ordine o classe) che risulti esclusivo al una plaga ristretta del globo e manchi totalmente in altre.
Soltanto il sott’ordine dei Cefalopodi tetrabranchiati è limitato alla regione indopacifica e l’ordine degli Xifosuri (Crostacei) a questa regione ed alle coste occidentali dell’America settentrionale. Notate però che questi gruppi sono entrambi rappresentati da un sol genere; Nautilus pei primi e Limulus pei secondi; entrambi superstiti di epoche geologiche assai remote.
Le indagini comparative sulla fauna marina hanno dimostrato che la temperatura è fattore di primissima importanza nella distribuzione geografica del bentos litorale. Dipende sopratutto dalla temperatura la tendenza che manifestano specie e gruppi bentonici a diffondersi piuttosto nel senso dei paralleli che in quello dei meridiani. Questa tendenza può liberamente esplicarsi laddove le coste dei continenti decorrono secondo una direzione generale non molto divergente da quella dei paralleli. Non crediate invece che sia facile la diffusione dove le coste sono orientate secondo i meridiani e dove, per conseguenza, la via di propagazione della specie parallelamente all’equatore attraversa un grande oceano; i fondi abissali frappongono un ostacolo insormontabile alla grandissima maggioranza degli animali e delle piante che popolano il dominio costiero. Molti organismi bentonici hanno bensì larve o stadi giovanili che menano vita pelagica, fluttuando alla superficie e negli strati intermedi del mare. Ma tutto induce a credere che questi non possano varcare l’oceano e propagarvi la specie sull’opposto litorale. Non soltanto le larve plancto niclie muoiono se, al momento di posarsi sul fondo, non trovano il substrato opportuno all’ulteriore sviluppo, ma diffìcilmente possono venir trascinate per molte centinaia di miglia lungi dalla costa senza incontrare correnti che, per temperatura e salsedine, mal si convengono alla loro esistenza.
Oltre alla temperaturn ed alla salsedine che circoscrivono l’habitat dei meno eurialini e dei meno eurite.rmi (e si noti che certi animali altamente euritermi della zona di marea hanno diffusione pressoché mondiale), oltre alle correnti che trasportano le larve, la distribuzione attuale del bentos, come di tutto il mondo mai ino e di tutto il mondo vivente, dipende anche da fattori d’altra natura. In primo luogo bisogna pensare alla concorrenza vitale, fonte di lotte continue tra le diverse specie, sopratutto là dove la vita è molto rigogliosa. Tali lotte hanno per conseguenza la eliminazione di alcune specie, mentre favoriscono la diffusione di altre. In secondo luogo fa d’uopo tener conto delle condizioni passate del nostro pianeta, cioè della distribuzione relativa delle terre e delle acque in tempi geologici trascorsi.
Comunicazioni aperte in tempi remoti sono attualmente intercettate; terre emerse si elevano dove si stendeva il mare, mentre le acque marine soverchianti hanno diviso, sminuzzato o completamente sommerso vasti continenti.
Conviene avvertire come la importanza da attribuirsi ai mutamenti geologici nel tracciare le vie di diffusione sino all’attuale dimora delle specie, sia molto diversa a seconda delle idee che si accettano sulla origine delle specie. le specie nuove sono nate in UH solo punto della terra (è Fidea dominante dei centri di diffusione) e allora i mutamenti in parola si debbono ad ogni passo invocare. Oppure si ammette, col Rosa, che ima specie nuova abbia potuto originarsi contemporaneamente in più località separate e allora molto si spiega senza di quelli.
Ma qualunque sia la premessa, l’indagine degli strati nel terreno e lo studio degli organismi fossili offrono in taluni casi testimonianza sicura che i cambiamenti nella configurazione terrestre hanno influito in larga misura sull’attuale distribuzione del bentos. E ricordo un esempio. La fauna marina nel litorale Atlantico delle Americhe è molto diversa da quella del litorale Pacifico; come mai si cancellano le differenze lungo le opposte rive dell’istmo di Panama congiungente le due terre! Rispondono subito la geologia e la paleontologia, e c’insegnano come le due Americhe fossero, in epoca relativamente recente, separate da un braccio di mare poco profondo: di qui la somiglianza delle faune.
È necessario completare queste indicazioni con qualche cenno intorno al bentos litorale del Mediterraneo (almeno per quanto concerne la fauna), considerato nelle sue relazioni col bentos litorale degli Oceani. Quantunque si manifesti connessione molto intima colla vita Atlantica, la fauna della platea continentale mediterranea presenta un carattere suo proprio, dovuto al fatto che molte specie sono ad essa peculiari. La parte dell’Atlantico dove meglio si rivela l’affinità zoologica è indubbiamente quella che bagna i lidi dell’Africa occidentale, possiamo quindi accettare il criterio dell’Ortmann che fa del Mediterraneo, dal punto di vista del bentos, una subregione della regione Africana occidentale.
Ma le relazioni tra il Mediterraneo ed il confinante Oceano hanno più volte mutato, anche in epoca geologica assai recente, e non si possono bene apprezzare senza por mente ad alcuni dati che la paleontologia ci fornisce. Al principio dell’era quaternaria c’è stato un periodo, il cosidetto periodo siciliano, durante il quale una serie di specie (ricorderemo, fra le altre, la Cyprina islandica) proprie delle acque fredde e provenienti dall’Atlàntico settentrionale, ha invaso il Mediterraneo, lasciando vestigia numerose in taluni depositi fossiliferi, per esempio a Monte Pellegrino ed a Ficarazzi presso Palermo. Di tali specie sono estinte, altre sopravvivono nel nostro mare; a spiegare questa immigrazione dal Nord, si invoca dai geologi un abbassamento della soglia di Gibilterra che avrebbe lasciato libero afflusso alle fredde correnti dei bassifondi Atlantici.
Un periodo successivo, che recenti autori denominano Tirreno, è distinto invece dall’inverso fenomeno; specie di acque calde, proprie dei lidi Africani, invadono la platea Mediterranea in numero assai più grande dell’attuale. Così fi-a i Molluschi il Conus testudinarius, lo Strombus huhonius, il Tapes senegalensis, oggi scomparsi dalle nostre acque, abbondano in certi giacimenti fossiliferi (ad esempio presso Cagliari), e prosperano ancor oggi lungo le rive del Senegal.
Se passiamo ad esaminare la distribuzione delle specie litorali entro ai confini del Mediterraneo, confrontando le faune a diverse latitudini, troviamo una notevole uniformità. Rivolgendo la nostra attenzione soltanto ai mari che bagnano le nostre terre, le specie che noi raccoglieremmo, a mo’ d’esempio, a Genova od a Nizza sono su per giù le stesse che in pari condizioni d’ambiente ritroveremmo a Palermo, a Taranto; a Tripoli. Noteremo soltanto come taluni abitatori meridionali non oltrepassino le coste di Spagna e di Algeri; come un certo numero di specie del bacino occidentale del nostro mare manchi nell’Adriatico e sopratutto nella sua parte più settentrionale, ove per compenso abbondano poche specie, le quali compariscono assai rare, oppure mancano totalmente lungo la opposta riva della penisola.
A differenza di quanto si rileva nello stretto di Panama, gli abitatori del litorale Mediterraneo presentano radicali differenze rispetto a quelli del contiguo Mare Rosso. Né il canale di Suez, aperto omai da quasi mezzo secolo, ha potuto determinare una copiosa mescolanza di specie mediterranee con specie eritree. Secondo osservazioni del Tillier, direttore della navigazione francese dello stretto, riferite anche dal Cuénot, soltanto undici specie di Molluschi prove-, nienti dal Mar Rosso si sono acclimate a Porto Said, e non più di quattro sono giunte dal Mediterraneo fino a Suez. Ancor più ristretta è stata la migrazione dei Pesci; otto specie soltanto hanno passato il canale in un senso o nell’altro e pare non abbandonino le immediate vicinanze dei due sbocchi. E il motivo ì in realtà molti animali si avventurano nel canale di Suez, ma la maggior parte di essi vien trattenuta dai laghi Amari, una zona intermedia di acqua sopra salata (circa 75 grammi per litro di sali), che lascia passare soltanto poche specie singolarmente eurialine, funzionando così da barriera.
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Il bentos litorale, colle sue innumerevoli forme sedentarie, vaganti, striscianti e natanti, popola dunque i pendii della platea continentale. Nessun altro gruppo biologico offre maggiore ricchezza di fauna, sfoggio più grande di forme di colori, di atteggiamenti variati.
Aspra è la concorrenza vitale, quindi molteplici e raffinati i mezzi per la conquista del nutrimento e la difesa dei nemici; nei siti meglio favoriti dal clima e dai ripari naturali raggiunge il più alto grado quel fenomeno che potrebbesi chiamare la occupazione intensiva dello spazio libero. Non v’ha fronda di alga, non dorso di granchio o voluta di conchiglia a cui non aderiscano altri organismi. E questi, per loro conto, dan spesso ricetto ad altri viventi più piccoli, donde quelle multiple e complicate associazioni di animali con vegetali o di animali fra loro che stupiscono il profano e lasciano perplesso il biologo frettoloso d’interpretare e di concludere. Poiché la più forte cagione d’incostanza nelle condizioni fisiche del mare risiede nella irossimità della terra emersa, ne consegue che il dominio costiero, sopratutto nella regione litorale, è di tutti il più variabile, A seconda delle vicissitudini atmosferiche i corsi d’acqua che sfociano in mare diluiscono più o meno l’acqua marina e la intorbidano coi loro detriti; inoltre in certe plaghe d’acqua sottile e tranquilla le condizioni di tempera tura si allontanano da quelle medie accennate poc’anzi per seguire più da vicino le variazioni atmosferiche. Coir aumento continuo del traffico i grandi porti divengono centri perenni d’inquinamento e sarebbe interessante il conoscere con indagini metodiche, come reagiscano gli organismi viventi al diffondersi delle impurità disciolte nella massa acquea, galleggianti alla superficie, o accumulate nella fanghiglia fetente del fondo.
Risulta da tutto ciò come si convengano al dominio litorale gli organismi capaci di tollerare mutevoli condizioni di vita; in tutta la regione e particolarmente nelle zone superiori predominano le specie euriterme ed eurialine ed, in tesi generale, le specie molto resistenti.
Questa parte dell’ambiente marino può dirsi il regno della vegetazione d’acqua salsa; sono di sua esclusiva pertinenza le boscaglie variopinte delle Alghe pluricellulari richiamanti a frotte gli animali erbivori e le praterie di Zosteracee; mentre il plancton non comprende che vegetali minutissimi. I Sargassi dei grandi Oceani, colla loro fauna speciale, rappresentano in realtà un lembo di vita litorale sospinto e trattenuto in alto mare.
Del bentos d’acqua salsa fanno parte animali appartenenti ad ogni tipo conosciuto (eccettuato quello pelagico dei Ctenofori) ed al maggior numero delle classi. Ciononostante, se consideriamo con uno sguardo d’insieme il quadro biologico dei fondi marini, quali si presentano ad occhio nudo, vediamo che i rappresentanti di pochi gruppi, sia per la frequenza, sia per le dimensioni, appariscono come le principali figure del quadro. Si tratta di Crostacei superiori o Crostacei decapodi, di Molluschi lamellibranclii protetti da conchiglia bivalve e Gasteropodi a conchiglia generalmente spirale, più di rado nudi; di Echinodermi dal corpo corazzato (ricci, stelle di mare, Ofiure, Oloturie). Talvolta vi si aggiungono Anellidi emergenti da tubi o striscianti sul fondo mediante appendici armate di setole. A questi organismi vaganti o striscianti fa d’uopo aggiungerne altri sessili che, vivendo in colonie numerose, contribuiscono in misura più o meno larga a formare lo sfondo fìsso del quadro; Ascidiacei (tipo dei Tunicati) dal corpo cilindrico munito di doppia apertura, Spugne, polipi di Antozoi isolati o riuniti in colonie arborescenti; colonie di Briozoi a crosta o ad alberetto, Alghe svariate, Zosteracee. Un altro elemento, talvolta costante, tal’altra mutevole e passeggero per la rapidità dei movimenti è dato dalla grande schiera dei Pesci marini. Soltanto un esame minuzioso, ad occhio nudo o armato di lenti, può darci un’idea della caterva di organismi più piccoli, appartenenti a svariatissimi gruppi, che circolano fra i primi, si nascondono nel fondo, si associano in varia guisa alle piante ed agli animali maggiori, e costituiscono come uixa fauna secondaria o epifauna, sovrapposta o commista alla principale.
Poiché gli aggruppamenti biologici del dominio costiero sogliono cambiar faccia col mutare del fondo, la conoscenza del substrato è indispensabile alle indagini del biologo ed alla pratica del pescatore.
La successione dei fondi, studiata in paesi diversi, oifre tratti molto importanti in comune, dovuti a relazioni fisiche e biologiche generali, ma si notano com’è naturale, varianti non lievi in relazione colla natura delle rive, l’ampiezza della marea, la temperatura, la salsedine, la configurazione eia storia geologica del litorale. Farmi sufficiente in proposito una esposizione sommaria di quanto si verifica lungo le coste Liguri e corrisponde su per giù alle condizioni che voi ritrovereste in buona parte nel Mediterraneo. Il quadro si presenterà un poco diverso a seconda che prenderete le mosse dalla spiaggia oppure dalla scogliera arenosa (fig. 8).
Partite, per questa volta, da una delle nostre spiaggette sassose, tanto diverse dalle molli arene di Viareggio o di Eiccione. Al battente del mare troverete una cintura di materiale grossolano, strappato alla scogliera dalle onde oppure convogliato alla spiaggia dai corsi d’acqua e poi ridotto, pel lavorio delle acque, in tanti ciottoli appiattiti e levigati. Per un certo tratto il ciottolato viene scoperto e sommerso con regolare alternativa dalla marea, ma si tratta di zona ben piccola, data la tenue ampiezza che la marea possiede lungo le nostre rive. Il suo interesse biologico è nullo o quasi nullo poiché il forte attrito allontana da quei ciottoli ogni organismo vivente. I materiali travolti dal mare cadono tanto più lontani e tanto più lenti quanto più sono leggieri, perciò nello spazio di pochi metri vedrete i ciottoletti far seguito ai ciottoli più vistosi, poi la ghiaia ai ciottoletti e poco a poco la sabbia grossolana e finalmente la sabbia minuta rimanere padrona del campo.
Questa sabbia pura, o arena litorale, olire substrato poco adatto ai vegetali; do*^e invece si trova commista ad una certa quantità di melma, il bassofondo si tra Fig. 8
Schema dei tipi più importanti di fondo costiero nel Mare ligure (Mare aperto). Originale. sforma in una verdeggiante prateria costituita da fanerogame marine appartenenti alla famiglia delle Zosteracee, e sopratutto aAìa, Posidonia oceanica. Gli ultimi cespugli isolati di Posidonia cessano a poche diecine di metri di profondità (a Genova non oltre 50 m.) e subentrano gradatamente, spesso coll’interposizioue di una breve zona di ghiaia melmosa, contenente numerosi resti animali, le melme che ricoprono di un manto quasi continuo la regione sublitorale.
Se invece di muovere dalla spiaggia vorrete iniziare le vostre esplorazioni dalla scogliera, prima di raggiungere il battente del mare, troverete un tratto più o meno ampio esposto agli spruzzi del mare agitato; una interessante zona di confine, dove il topo sbucato dalla cantina gareggia in velocità col Crostaceo amfibio, che tratto tratto vien fuori dal mare per compiere sulla rupe le sue scorrerie.
Segue, più in basso, una zona che alternativamente si scopre e si sommerge per effetto della marea; malgrado la tenue ampiezza della oscillazione nelle nostre acque tale zona non manca d’importanza biologica perchè accoglie rappresentanti tipici ed abbastanza numerosi dei due regni.
Ora scendete sotto al livello delle acque basse; vi sarà facile riconoscere come le rupi della scogliera, rivestite da un manto lussureggiante di Alghe, continuino sott’acqua con forme poco meno ardite e capricciose di quelle ohe vi sono famigliari nella parte emersa e vadan poi a terminare nei declivi del fondo a Coralline. Concorrono a formar questo fondo materiali diversi: detriti d’ogni grandezza rotolati dalle pendici della scogliera, gusci di rnolluschi, resti cai carei di Briozoi, di Coralli. Il tutto è intonacato e più o meno saldamente cementato insieme da incrostazioni dovute all’attività di speciali Alghe dette Coralline. Queste Alghe hanno la specialità di secernere uno strato di carbonato di calcio assai compatto, mentre altri organismi, come gli Anellidi tubiceli, ne coadiuvano l’azione cementante; i frammenti di roccia cosi rivestiti presentano una certa rassomiglianza colle formazioni stallatitiche delle caverne e coi travertini formati da certe sorgenti termo -minerali. La zona delle Coralline comincia a profondità variabili, talora soltanto a venti metri e non si estende generalmente oltre ad una sessantina di metri; i pescatori liguri la conoscono sotto il nome di erena oppure di sina. La medesima formazione vien pure designata come fondo coralligeno perchè in certe località vi abbonda il Corallo, tuttavia l’ambiente ove meglio prospera il prezioso Celenterato non si deve generalmente ricercare in diretta continuazione della riva scogliosa, ma bensì sopra banchi di scoglio che emergono come isole dalle melme circostanti a 70, 100, 150 e più metri dalla superfìcie. Classica località coralligena è il banco di Sciacca tra la Sicilia e la Tunisia. Lo stesso cemento a base di Alghe incrostanti intonaca anche, sino ad un certo livello, le rupi profonde; è noto anzi come le costruzioni delle Coralline raggiungano grande potenza nelle cosidette secche a Coralline che sorgono dai fondi del golfo di Napoli e godono meritata fama per la fauna ricca ed interessante che vi alligna.
Partendo da una profondità variabile (per lo più 50-70 metri in mare aperto) si entra nella regione sublitorale e il fondo assume un tipo uniforme sia din nanzi alla spiaggia, sia dinnanzi alla scogliera. Oltrepassate le arene scoperte e le praterie di Posidonia nel primo caso; i fondi coralligeni nel secondo, si varca per lo più una breve striscia di minuta ghiaia fangosa commista a gusci di Molluschi e ad altri avanzi animali, poi si trova la melma grigiastra sublitorale che pili non ci abbandona sino alle massime profondità. La monotonia di questa fanghiglia vien rotta soltanto a rari intervalli da qualche spuntone di scoglio profondo. Farmi superfluo insistere sul fatto che i diversi tipi di fondo noji sono sempre ben distinti e che dall’uno all’altro si passa con transizioni graduali. Aggiungerò che i limiti batimetrici tra le zone variano a seconda della configurazione della riva e di altri fattori locali.
I dati suesposti si riferiscono al mare aperto; )resso alla foce.dei corsi d’acqua le melme si avvicinano sovente alla riva; nelle piccole insenature e nei porti ben riparati giungono talvolta sino a terra. Per contro in località molto esposte all’impeto del mare e ai piedi delle scogliere molto erte si trovano ciottolati e grosse ghiaie, libere da incrostazioni di Coralline, anche a notevole profondità e distanza dalla riva, come si verifica presso il Capo di Noli.
Rispetto alla profondità ed alla natura del fondo gli organismi si comportano come verso altri fattori dell’ambiente esterno; vi sono quindi, con tutte le sfumature intermedie, gli s p e e i a 1 i z z a t i e gli i n d i f ferenti. La natura del fondo e la profondità possono limitare in modo rigoroso l’area di abitazione di un animale, mentre sappiamo che talune specie prosperano con substrati vari ed a livelli diversi. Per ci tare due esempi, i Mollusclii bivalvi hanno generalmente una distribuzione verticale molto estesa, mentre spesso fra gli Echinoidi (Ricci di mare) le specie sono regolarmente scaglionate sui fondi; così nel golfo di ’Sa.ipoìiV Arbacia pustulosa della scogliera non discende sotto ai tre metri, mentre Echinus mierotuberculatus si trova tra i 5 ed i 25 metri. In tesi generale ciascun fondo ha una fisionomia caratteristica, poiché se tutte le specie non sono ad esso peculiari, è almeno caratteristica una determinata associazione o comunità di animali e di vegetali.
Farmi difficile concretare qualche norma generale circa le variazioni che si notano nel bentos litorale col crescere della profondità. Osserverò soltanto che paragonando tra di loro specie dello stesso genere o della stessa famiglia, molto spesso riconosciamo che quelle viventi in acque superficiali o a pochi metri di fondo sono più piccole, più variopinte e più vivaci nel muoversi di altre che abitano a qualche diecina di metri.
Fra l’ambiente popolato dal bentos costiero ed il periodo riproduttivo si manifestano importanti relazioni ed è merito del Lo Bianco l’averle poste in luce. Così le specie del golfo di Napoli che vivono esposte all’impeto delle onde si riproducono quasi sempre nella stagione delle calme (ossia nei mesi più caldi dell’anno), senza di che le larve appena schiuse non potrebbero sopravvivere alle burrasche. E la piccola minoranza che fa eccezione alla regola, figliando d’inverno e di primavera (Asterina Murex, Blennius, ecc.) suol fissare tenacemente le uova alla rupe e proteggerle mediante una capsula. Le acque sottili e dor mieliti (lei porti, soggette ad intense putrefazioni ed a soverchio riscaldamento, sopratutto nella stagione estiva, sono popolate da specie che si riproducono iu prevalenza durante l’in verno e la primavera; le specie commensali e parassite che vivono in ambiente costante e ricco di nutrimento depongono le uova in ogni stagione. Meritano speciale menzione certi Idroidi (Pennaria, Gorydendrium) che si spogliano dei loro polipi ed entrano in uno stato di vita latente al sopraggiungere delle tempeste autunnali, per emettere poi nuovi rami e ricoprirsi di polipi nel maggio successivo. Il Lo Bianco attribuisce tale sospensione di attività vitale ad una difesa contro i movimenti delle onde; io non escluderei del tutto il dubbio che altri fattori (temperatura, densità, nutrimento) debbano rivelare, all’indagine, una relazione più o meno stretta coli’ interessante fenomeno.
Conoscere, nei diversi mari e sui diversi fondi, la densità relativa del bentos sulla platea continentale; non sarebbe vana fatica; se ne trarrebbero infatti deduzioni interessanti intorno alla produttività del mare. Il biologo danese Petersen ha pensato di applicare al bentos metodi statistici sul tipo di quelli già da tempo in uso per gli organismi pelagici. Con una sorta di doppio cucchiaio (simile alle benne automatiche in uso nei nostri porti moderni per raccogliere il carbone nelle stive delle navi e trasportarlo nei magazzeni) taglia ed asporta un campione di fondo di superfìcie determinata, poi classifica e numera gli organismi che vi si trovano e pesa il quantitativo totale di sostanza organica3. Ricavando i suoi dati dalle medie di nume rosissime osservazioni e mercè il corredo di accurate indagini fìsiche, egli spera di giungere a conclusioni importanti sulle relazioni che intercedono tra la composizione e la densità del bentos ed i diversi fattori che ne regolano l’esistenza.
Per studiare il problema da un punto di vista generale, sarebbe desiderabile che metodi consimili, colla necessaria critica e larghezza divedute, venissero adottati anche nello studio del Mediterraneo.
Aggimigo in appendice uno schema di domini bentonici4 avvertendo ancora che le cifre indicanti profondità (e sopratutto quella relativa al confine inferiore della regione litorale) figurano allo scopo di fissare i concetti, ma si debbono intendere come limiti convenzionali e variabili. La fig. 8 indica schematicamente la successione dei fondi più importanti nel dominio costiero, in mare aperto. Cenni sulla influenza del fondo marino ecc.
Schema dell’ambiente marino bentonico e delle sue suddivisioni.
In corsivo le comunità biologiche corrispondenti (Mediterraneo N.O.).
DOMINIO COSTIERO
(platea continentale) sino a 200 m.
Bentos costiero
DOMINIO BABIBENTONICO
Da 200 M. in giù Babibentos
Regione litorale (fondo di svariata natura); sino a 60-70 m. Bentos litorale (fauna e flora).
Regione sublitorale (fondo in gran prevalenza melmoso); da 60-70 m. a 200 m.
Bentos sublitorale (fauna e scarsa flora).
Regione profonda (melmosa); da 200 m. a 500 m. Bentos profondo (fauna).
Regione abissale (melmosa); da 500 m. in giù.
Bentos abissale (fauna).
BIBLIOGRAFIA
CARUS V., Prodromus faunae mediterraneae (in 2 vol.). Stuttgart, Schweizerbart, 1885, 1889-93. Chun C., Aus den Tiefen des Weltmeeres. Jena, Fischer, 1903. Clark H., On the deep sea and comparable Faunas. «Internat. Revue d. ges. Hydrobiologie u. Hydrographie», Bd. 5, Hft. 1, 1912. CUÉNOT, La genèse des espèces animales. Paris, Alcan, 1911. FOWLER C. H., Science of the sea. Edited by Challenger Society, London, Murray, 1912. GIGLIOLI E. H., Studi talassografici. Pubblicati per cura del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Pagina:Biologia marina.djvu/104
Note
- ↑ I termini comunemente adoperati sono zoccolo continentale oppure piattaforma continentale; quello di platea continentale è usato in uno scritto popolare di Jack la Bolina.
- ↑ Isobate si dicono, nella carte idrografiche, le linee che riuniscono i punti di uguale profondità.
- ↑ L’indagine deve naturalmente limitarsi ai fondi costituiti di materiale suddiviso: ghiaie, arene, melme.
- ↑ Lo schema è dell’autore, sebbene 1 concetti fondamentali siano tratti dal Pruvot. Per quanto si riferisce al dominio batibeutonico vedi il Capitolo VII.