Biologia marina/Capitolo II
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CAPITOLO II
Uno sguardo alle condizioni fisiche del mare
ed alla loro influenza generale
sugli organismi viventi
Una scienza sorta da pochi decenni, la talassografia (dal greco θαλάττα, mare) abbraccia oggi tutte le indagini scientifiche del mare1. Disciplina multiforme perchè richiede il concorso di specialisti diversi: fisici, chimici, zoologi, botanici; ma nel tempo stesso unitaria, perchè i vari suoi rami si valgono in parte di mezzi comuni di ricerca (laboratori marini, navi talassografiche) e tutti concorrono, sapientemente coordinati, a risolvere i problemi generali che si riferiscono al mare.
Ogni cultore moderno di biologia marina (o se meglio vi piace, di talassobiologia) deve avere una esatta conoscenza delle proprietà fisiche e chimiche dell’acqua marina, dei movimenti del mare, del fondo marino.
Nozioni elementari relative a questi fattori ed alla
loro importanza generale nella vita degli organismi
marini trovano posto nel presente capitolo e in parte
Fig. 3.
Le suddivisioni del Mediterraneo: Bi, golfo di Biscaglia — Ca, golfo di Cadice — Al, mare di Alboran — Ct, mare Catalano
— G, golfo del Lione — Li, mare Ligure — Ba, mare Balearico — T, mare Tirreno — Ad, mare Adriatico — S, mare di Sidra — I, mare Ionio — E, mare Egeo — Lv, mare di Levante — M, mare di Marmara — N, mar Nero (Schmidt).
di quello che segue. Poichè in tali cenni mi soffermo volentieri sui dati che si riferiscono al Mediterraneo, reputo necessario avvertire ch’io parlo del Mediterraneo inteso in senso lato o Mediterraneo romano. Per quanto concerne le suddivisioni, mi attengo a quelle recentemente adottate dallo Schmidt; nomi e confini delle singole parti sono chiaramente dimostrati dall’annessa cartina (fìg. 3).
Le sostanze solide disciolte nell’acqua marina richiamano l’attenzione del biologo sia per l’azione chimica esercitata da ciascuna di esse sopra gli organismi viventi, sia per l’azione fisica che spiegano, nel loro complesso, innalzando la densità del liquido, e di questa abbiamo già parlato trattando dei fenomeni che si producono nei tessuti col passaggio dell’acqua dolce al mare e viceversa.
Il problema si presenterebbe ovunque negli stessi termini se tutti i mari avessero salsedine uguale.
Ciò tuttavia non si verifica; mentre si può ammettere, come media, un residuo solido di 35 gr. per litro, corrispondente alla salsedine media dell’Atlantico, si trova pel nostro Mediterraneo una cifra più elevata che varia da 37 gr. a 39 gr. per litro. Per la scarsa quantità d’acqua dolce che vi affluisce e per la forte evaporazione il Mare Kosso è il più salato di tutti (circa 45 ‰) mentre la massa ingente d’acqua dolce recata dai fiumi e dai ghiacciai montani e la scarsa evaporazione rendono assai meno salata l’acqua dei mari nordici. Così l’Oceano Glaciale Artico ha soltanto 17,6 ‰ di sali; il Baltico 7,4 ‰ nella parte mediana, mentre all’estremità settentrionale l’acqua è pressoché dolce (0,60 ‰) ©d alberga organismi lacustri.
Finché si tratta di conoscere il residuo fisso totale, non è difficile il metodo, né dubbio il risultato. Assai più ardua, è la. valutazione dei singoli componenti, tanto che si v discusso a. lungo so le j()porzioiii l’elative degli elementi mutino da una località all’altra. Oggi però i talassografi si trovano d’accordo nel considerare l’acqua marina come una soluzione più o meno diluita, ma a proporzioni praticamente costanti, di guisa che, raccolto un saggio qualunque, e determinato coll’analisi il quantitativo d’un solo elemento chimico, ad esempio del cloro, si deduce senz’altro la salsedine totale e si potrebbe altresì dedurre il quantitativo degli altri elementi. Sono d’uso comune in oceanografìa le tabelle di Knudsen, nelle quali, accanto alla cifra esprimente il tencrre in cloro si legge la salsedine corrispondente. Nelle analisi chimiche riprodotte dai trattati, occupa il primo posto il cloruro sodico (circa 27 gr. su 35); seguono, in ordine di peso, cloruro di magnesio, solfato di magnesio, solfato di calcio; vengono poi, in dose molto minore, bromuro di magnesio, carbonato di calcio; quantità piccolissime di cloruro di rubidio, metafosfato di calcio, bicarbonato di ferro e tracce di corpi diversi, fra i quali la silice. In realtà il chimico potrà dire con esattezza la quantità dei singoli elementi, mai composti enumerati nelle analisi rappresentano combinazioni puramente arbitrarie; si ammette infatti che nell’acqua marina come in tutte le soluzioni saline diluite, i sali si trovino in gran parte dissociati allo stato di ioni; anzi secondo recenti indicazioni soltanto il 10 % delle sostanze disciolte risulterebbe non dissociato.
Che cosa dobbiamo pensare, in tesi generale, della importanza biologica che spetta alle sostanze disciolte? La fisiologia non è ancora in grado di rispondere in modo esauriente a questa domanda, ma già si conoscono in proposito fatti molto interessanti. Il sale marino o cloruro di sodio è senza dubbio il composto caratteristico, il composto principe dell’acqua marina. Eppure possiamo oggi affermare che il cloruro di sodio non è in grado di determinare, senza il concorso di altri sali, un ambiente compatibile colla vita organica; difatti un animale marino, immerso in acqua avente la stessa densità del mare, ma contenente soltanto cloruro sodico, cessa di vivere dopo un tempo più o meno lungo. La vita invece si mantiene perfettamente quando al sale marino vengano aggiunte piccole quantità di cloruri di calcio e di potassio. Questi sali, che fatti agire da soli riuscirebbero nocivi, esercitano adunque un’azione antagonistica rispetto al primo e valgono a neutralizzarne l’azione tossica.
Altro fatto importante è che la presenza di questi tre elementi, nelle medesime proporzioni in cui l’analisi li rivela nell’acqua marina, non è necessaria soltanto agli organismi d’acqua salsa, ma anche ai terrestri; tant’è vero che il siero del sangue nei mammiferi li contiene tutti e tre in soluzione meno concentrata, ma su per giù colle stesse proporzioni relative che vengono indicate per l’acqua marina.
Alcune sostanze contenute nell’acqua salsa non son rivelate dai metodi più delicati d’indagine chimica, data la loro quantità estremamente tenue; deve tuttavia tenerne conto il biologo poiché molti organismi hanno la proprietà di concentrarne qualcuna nei propri tessuti. Col puzzo di iodoformio che sparge il Balanoglossas tradisce la presenza dell’iodio nei suoi tessuti. Il rame ha nel sangue di molti animali marini (ad es. dei Cefalopodi e di alcuni Crostacei) la funzione die compete al ferro nella emoglobina del sangue dei Vertebrati; il fosforo si trova in quantità notevole nelle Spugne, il Manganese nelle Zosteracee (piante monocotiledoni marine), il fluoro e l’argento in alcuni coralli; il rubidio ed il cerio, metalli assai rari sulla terra emersa, furono riconosciuti nel guscio delle Ostriche.
I sali di calcio non occupano quantitativamente un posto segnalato nella serie dei componenti principali, per l’uso larghissimo che ne fanno gli organismi del mare fissandolo in quantità più o meno considerevole. Che la deposizione del carbonato di calcio sia favorita dalla temperatura elevata attestano, colle imponenti costruzioni, le Madrepore tropicali. Il tallo delle Alghe incrostanti, i gusci dei Foraminiferi che si accumulano in quantità stragrande nei fondi marini, le conchiglie dei Molluschi e dei Brachiopodi sono costituiti principalmente di carbonato di calcio; allo stesso materiale debbono la loro solidità le spicule delle Spugne calcaree, le corazze elegantemente scolpite degli Echinodermi e dei Crostacei, La silice ha un impiego assai più limitato e comparisce come materiale da costruzione soltanto in alcuni gruppi d’organismi inferiori: gusci di Diatomee (Alghe microscopiche), scheletri di Radiolari dalla fantastica varietà di forme (fig. 4, 5 e 6), spicule di Spugne silicee. È interessante la proprietà del silicio di dar luogo a forme più ornate, a disegno più minuto e complicato, e geometricamente più regolari di quanto non faccia il calcio, e la quistione meriterebbe di venir studiata a fondo dal punto di vista fisiologico e chimico -fisico.
La densità dell’acqua marina a pressione costante dipende dalla salsedine e dalla temperatura. Ora i più autorevoli tra i talassografi moderni sogliono fare una distinzione ben netta fra densità dell’acqua marina e gravità specifica della stessa. Parlano di
Fig. 4.
Radiolario feodario: Planktonetta atlantica, subsp. robusta Haecker, >< 20.
Secondo V. Haecker («Valdivia»), 1908.
Fig. 5.
Kadiolario feodario: Circospalhis sexfurca Haecker x 18.
Secondo V. Haecker («Valdivia»), 1908.
Tuttavia nell’uso comune s’indicano come densità anche i valori relativi alla gravità specifica e tutte le densità ricordate in questo volumetto sono gravità specifiche calcolate in base all’ultimo criterio.
Del resto da uno qualunque dei tre valori dianzi definiti si può facilmente passare agli altri due mediante formule, o meglio tabelle già preparate, che figurano nel manuale del Knudsen. Collo stesso mezzo la cifra relativa alla salsedine totale si traduce subito nella densità corrispondente.
Dirò, per citare due sole cifre, che la densità dell’acqua Atlantica con 35 ‰ <ii sali è 1,028, quella dell’acqua Mediterranea con 39 % di 1,0312. Dal punto di vista biologico la densità è fattore importante non soltanto nel caso estremo del passaggio di un organismo dall’acqua dolce all’acqua marina e viceversa, ma anche entro a limiti assai più ristretti.
Il biologo deve aver presente che non tutti gli organismi si comportano nello stesso modo di fronte a questo fattore; da una parte abbiamo gli stenoalini che hanno bisogno di una salsedine e quindi d’una den Fig, 6. — Radiolario feodario: Gorgonetta mirabilis Hacckel, >< 44.
Secondo l’Haeckel («Challenger»), 1867. sita pressoché costante; dall’altra gli eurialini capaci di resistere a variazioni relativamente forti.
Gli stessi gas respiratori dell’atmosfera, disciolti nell’acqua marina, provvedono ai bisogni degli organismi marini. Ricorderò come la solubilità dell’ossigeno diminu^isca coli’ aumento della salsedine e, in proporzioni maggiori, coll’aumento della temperatura.
Un litro d’acqua marina a 10^ di temperatura e 35‰ di salsedine discioglie circa cm. 6,4 di ossigeno e cmc. 12 di azoto. Indagini recenti hanno dimostrato che il ricambio dell’azoto nelle acque marine può venir modificato da particolari Bacterì i quali hanno la proprietà di fissare l’azoto libero producendo composti nitrogenati (nitrati, nitriti, sali d’ammonio).
Aggiungerò a questo proposito come varia e complessa sia l’azione chimica svolta dai Bacteri marini e come i risultati sicuri conseguiti dai biologi nello studio del problema siano finora molto scarsi.
Per quanto concerne l’anidride carbonica, si può considerare come media una dose di 50 cmc, nella quale però il gas libero è rappresentato soltanto da pochi decimi di cmc.; ma tale quantità dipende in larga misura dalla presenza degli organismi animali e vegetali che la emettono nei processi respiratori, nonché degli organismi vegetali che la consumano pei bisogni della nutrizione. La pianta infatti assimila il carbonio scindendo l’anidride carbonica nei suoi due componenti carbonio ed ossigeno; mediante il carbonio e l’acqua fabbrica gl’idrati di carbonio, donde, per sintesi sempre più complicate, procede alla ricostruzione della stessa materia vivente di cui è plasmata.
Una volta si attribuiva ai gas delle profondità marine una pressione tanto più elevata quanto più alta era la colonna d’acqua sopraincombente. Oggi è noto che i gas disciolti si diffondono anche a grandissima profondità come una massa continua ed omogenea e non si trovano quindi sotto pressione; ne consegue che la respirazione degli animali d’alto fondo si compie in condizioni press’a poco uguali a quelle che si verificano negli strati superiori.
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La superfìcie del mare, riscaldata dai raggi solari, assume temperature diverse a seconda della latitudine e di altri fattori. Notiamo subito come gli organismi marini sottostiano a condizioni termiche assai meno variabili dei terrestri. Ci vuol molto più calore per riscaldare allo stesso grado una massa d’acqua, che non un egual volume d’aria; ne consegue che il mare segue in ritardo e con minore ampiezza le variazioni termiche dell’atmosfera; così la temperatura superficiale annua del Mediterraneo nelle acque Liguri varia in cifre tonde, da 12» a 25°, mentre l’escursione annua della temperatura all’ombra è di circa due volte e mezzo maggiore (a Genova, per esempio, la temperatura atmosferica ha variato, nel 1912, da un minimo di — 1,7 ad un massimo di 31,2). Si aggiunga che i massimi riscontrati, in alto mare, nella zona torrida superano di poco i 35» (35,5° nel golfo Persico).
Ma anche nei limiti ristretti della variabilità termica marina si rivelano i tolleranti e gli intolleranti. per cui sogliamo distinguere gli organismi euritermi, che sopportano variazioni cospicue di temperatura, dagli stenotermi che richiedono invece una temperatura pressoché costante.
Per quanto concerne la distribuzione verticale della temperatura in seno ai mari, ricorderò questa nonna generale; la temperatura dei grandi Oceani decresce di regola colla profondità, di guisa che al fondo si trovano acque molto prossime allo zero (2 14° circa, in media, nell’Atlantico); è questa una ragione d’incompatibilità, certo non meno importante della luce e della pressione, tra la fauna della superfìcie e la fauna degli abissi. Tuttavia in seno ai mari polari correnti relativamente tepide possono mitigare, negli strati intermedi il gelo prodotto dai ghiacci superficiali.
L’abbassamento del termometro lungo la linea verticale non si manifesta nell’Oceano in modo uniforme.
Così nell’Atlantico settentrionale la temperatura, misurata durante la stagione estiva, decresce molto rapidamente, per i primi 50-100 metri, indi assai lentamente.
Più in basso s’incontra nuovamente una zona, il cosidefcto strato ter modino, dove la decrescenza si fa brusca (tra 450 e 750 metri circa), poi questa si fa di nuovo lentissima e graduale sino al ■’ondo.
Nei mari quasi completamente chiusi, si danno condizioni termiche affatto speciali. Così nel Mediterraneo possiamo distinguere, lungo la verticale, due zone termiche. La profonda (che raggiunge quattro km. di potenza) mantiene una temperatura pressoché uniforme in tutti i suoi strati, e costante in ogni stagione dell’anno; tale temperatura è di qualche decimo di grado superiore a 13o nel bacino Orientale, di qualche decimo inferiore nel bacino Occidentale. La superficiale, molto pili sottile (da 200 a 400 metri circa) ha temperatura variabile, influenzata dalle stagioni. D’inverno la differenza termica fra le due zone scomparisce e si può dire allora che l’acqua Mediterranea, dalla superfìcie sino al fondo di 4000 e più metri, presenti una condizione di omotermia. Indagini dovute sopratutto al comandante Magnaghi della Marina Italiana e molto i^iù tardi alla spedizione danese diretta dallo Schmidt, hanno posto in chiaro che omotermia, nel senso rigoroso del vocabolo, non si verifica, poiché fu più volte riscontrato un minimo di temperatura intermedio fra le due zone anzidette e, molto più in basso, un massimo intermedio situato a profondità variabili, ma generalmente comprese fra i mille e i millecinquecento metri. Non bisogna tuttavia dimenticare che siffatte differenze ammontano appena a pochi decimi di grado.
Durante l’estate la diminuzione di temperatura che si osserva nella zona superiore scendendo lungo la verticale è, di necessità, molto rapida, perchè dai massimi superficiali di 25o o 26° si raggiunge, dopo poche centinaia di metri, lo strato costante a 13°.
È chiaro dunque che l’Atlantico non comunica la gelida temperatura dei suoi abissi al bacino Mediterraneo, dal quale lo separa una soglia sottomarina che sbarra, fino a 360 metri dalla superfìcie, lo stretto di Gibilterra.
Tutti riconoscono l’importanza biologica della temperatura. Le migrazioni periodiche di certi Pesci vanno attribuite agli impulsi, che secondo ogni probabilità, debbono sospingere questi animali verso acque di determinata temperatura e salsedine e dipendere per ciò direttamente dal fattore termico. È pure assodata la importanza della temperatura marina nei fenomeni di accrescimento, così la crescita di alcune specie, rapidissima nella stagione calda, si rallenta o rimane sospesa durante i rigori invernali. La stratificazione termica dei mari ha pure una influenza non dubbia sulle migrazioni verticali degli organismi viventi fra due acque.
Per quanto concerne l’azione dei raggi luminosi, le recenti campagne della nave norvegese «Michael Sars» hanno dimostrato come la luce penetri in seno alle acque marine assai più profondamente di quanto dapprima si opinasse. Non tutti i colori dello spettro solare sono ugualmente penetranti; primi ad estinguersi sono i raggi rossi, poi i gialli ed i verdi; gli azzurri ed i violetti hanno impressionato leggermente la lastra fotografica ad un migliaio di metri di profondità.
Certo gli ultra-violétti discendono più in basso; ad ogni modo, in un esperimento compiuto alla quota di 1700 metri la gelatina sensibile non ha subito alterazioni di sorta.
Quando si dice che le zone superiori del mare sono illuminate, non bisogna pensare ad una luce paragonabile a quella che godiamo in pieno giorno sulla terra emersa. Basta scendere di un metro, secondo le indicazioni del Kégnard, perchè la intensità luminosa si riduca del 50 % e un palombaro che si tuffa nelle nostre acque, col più bel sole, scorge intorno a sé alla profondità di una diecina di metri una luce appena paragonabile a quella del crepuscolo. Corollari biologici d’alto interesse si traggono dalle nozioni acquisite intorno al comportamento della luce. Ricorderete come le piante marine» per nutrirsi, decompongano l’anidride carbonica disciolta nell’acquii e come un tale processo, al pari di quanto si verifica nelle piante terrestri, sia dovuto ad una speciale sostanza colorata tipicamente in verde, la clorofilla, che funziona mercè il concorso della luce. Ora è indubitato che vari fattori, ancora non ben conosciuti nei loro effetti, governano la distribuzione delle Alghe; citerò soltanto l’agitazione delle acque e la natura del substrato, ma una influenza di prim’ordine va certamente ascritta ai raggi luminosi. In tesi generale possiamo ammettere che le Alghe verdi richiedano una maggiore intensità luminosa; esse vivono sino a poche diecine di metri di profondità e ben di rado oltrepassano i cento. Per contro si può ritenere che le Alghe rosse (le quali hanno un pigmento rosso mescolato alla clorofilla) si contentino di una debolissima luce; sebbene non manchino rappresentanti lungo la scogliera superficiale, talune specie discendono a profondità più che doppia (almeno 250 m.). Secondo una teoria molto in voga tra i biologi qualche tempo fa, la distribuzione delle Alghe dipenderebbe in larga misura dal colore dei raggi luminosi inquantochè la pianta tenderebbe ad assumere la tinta complementare di quella dei raggi superstiti ad una determinata profondità. Le Alghe verdi starebbero là dove i raggi rossi (molto efficaci per l’assimilazione) filtrano ancora in at)bondanza; le Alghe rosse là dove i raggi rossi sono estinti e giungono soltanto i verdi, gli az zurri, i violetti. Ma la teoria non sembra confermata né dall’indagine in natura, né dalle esperienze di laboratorio.
Più in basso la luce troppo affievolita impedisce in modo assoluto qualsiasi traccia di vita vegetale; scompariscono quindi gli animali che si nutrono di Alghe viventi, mentre persistono i carnivori e i mangiatori di detriti. I Bacteri infimi organismi sprovvisti di pigmento assimilatore non discendono, per quanto finora ci é noto, molto più in basso delle Alghe.
La penetrazione della luce vien regolata sopratutto da due fattori. In primo luogo si ha penetrazione massima laddove i raggi del sole colpiscono perpendicolarmente la superfìcie delle acque; per conseguenza la zona illuminata sarà tanto più sottile quanto più ci avviciniamo ai poli. Questa circostanza consente un’applicazione biologica immediata. Vi sono specie d’alto mare che hanno una diffusione larghissima in mari diversi; l’Hyort ha notato come alcune di esse compariscano sotto latitudini elevate del nostro emisfero a tenue profondità, mentre procedendo verso mezzogiorno sogliono rifugiarsi in acque profonde.
Il fatto si spiegj); ammettendo che la vita di quelle s)ccie sia intonata ad un certo grado di semi-oscurità, il quale domina in zone tanto più lontane dalla superfìcie, quanto più grande è la distanza dall’equatore.
In secondo luogo l’acqua si lascia attraversare meno facilmente dai raggi luminosi quando la sua purezza è turbata da particelle solide in sospensione. Anche qui entra in campo la biologia, perchè non si tratta solamente di particelle minerali, ma anche di organismi piccolissimi, galleggianti in seno al liquido.
Un disco bianco, calato in alto mare presso ai tròpici si può vedere ancora fino a 50 metri di profondità, nell’oceano tropicale, e fino a 45 metri nel Mediterraneo (secondo le esperienze del Padre Secchi), mentre nel mare di Norvegia, più ricco di detriti e di plancton, il limite di visibilità non oltrepassa i 25 metri.
Si può affermare, in tesi generale, che le abitudini di molti animali marini siano intimamente connesse al loro modo di comportarsi verso la luce. Alcuni la fuggono nascondendosi sotto alle pietre, entro a tane o a fessure, altri cercano invece le zone meglio illuminate, altri sono attratti o respinti secondo un ritmo determinato dalle loro condizioni fisiologiche. Sappiamo con certezza che molti animali natanti fra due acque sogliono compiere delle migrazioni verticali salendo di notte in zone meno profonde; sebbene il fenomeno non sia ancora sufiSicientemente chiarito, si deve ritenere che in siffatte migrazioni abbiano larga parte i raggi solari.
Quelle tenuissime quantità di luce capaci d’impressionare una lastra fotografica a 500-1000 metri di profondità non sarebbero certo percepite dalla nostra retina; nasce spontanea la conclusione che, partendo da un livello relativamente poco profondo, debbano regnare nelle acque marine le tenebre più complete.
Invece la fosforescenza animale, fenomeno limitato nelle acque superficiali, assume una diffusione larghissima nel mare profondo, ed un chiarore paragonabile a quello di un vivido plenilunio regna probabilmente in certe zone dove la vita abissale si manifesta più rigogliosa. Speciali Bacteri fan rilucere la melma dei fondi marini; Vermi, Echinodermi, Ctenofori, Molluschi emettono dal tegumento un muco luminoso; nei Crostacei, nei Molluschi Cefalopodi e nei Pesci la fosforescenza si localizza in organi speciali. L’indagine di queste lampadine viventi o fotofori desta il più alto interesse per i molti problemi biologici che richiama; non mancherò di darne più innanzi un cenno descrittivo.
La pressione che l’acqua esercita negli strati profondi ha certo una importanza non trascurabile dal punto di vista biologico, non però così grande come una volta si riteneva. A produrre una pressione di un’atmosfera basta una colonna d’acqua dolce alta metri 10,33; se la colonna è d’acqua marina (con salsedine del 35 ‰) hasta un’altezza di metri 10,07, poiché l’acqua salsa è più pesante. Parlando quindi in cifre rotonde, a 100 metri di profondità domina una pressione di 10 atmosfere, ed alla profondità media degli Oceani, che è circa 3600 metri, si, avrà una pressione di 360 atmosfere. Il preconcetto pel quale gli abissi marini venivano descritti una volta come immensi deserti, si basava sopratutto sulla considerazione di queste cifre imponenti; oggi si è convinti che la pressione, di per sé, non costituisce un serio ostacolo al diffondersi della vita. Anzitutto essa agisce da ogni parte ed agli animali d’acqua profonda non porfca alcun, danno la colonna d’acqua soprastante, come a noi non reca molestia l’atmosfera che c’incombe. Inoltre i tessuti animali di alto fondo si sviluppano in quell’ambiente ed i fluidi che ne ricolmano le lacune acquistano una pressione tale da far equilibrio alla pressione esterna dell’acqua.
Conosciamo, del resto, specie tolleranti che migrano giornalmente, in senso verticale, anche per più centinaia di metri senza risentirne alcnn danno. Certo fra i Pesci forniti di vescica natatoria, cioè di un serbatoio d’aria che funziona come organo idrostatico, ve ne sono che non possono sopportare squilibri forti e repentini di pressione. Quando son tratti a bordo da grandi profondità e la tensione del gas interni non è più controbilanciata dalla pressione che si esercita sulla superficie esterna, il corpo si rigonfia, le squame si distaccano, la vescica natatoria fa ernia fuori della bocca e talvolta scoppia; gli occhi fuorescono dalle orbite.
Tuttavia, prescindendo da particolari disposizioni anatomiche, la rapida morte delle specie abissali portate alla superficie si suole attribuire oggi piuttosto alla differenza di temperatura che alla differenza di pressione.
A proposito della pressione marina vige ancora nel pubblico un pregiudizio curioso che mi giunse alle orecchie quando tutti parlavano del «Titanic», del sontuoso piroscafo inglese naufragato nell’Atlantico. Da persona non incolta sentii esprimere l’opinione che la carcassa dell’enorme postale e le salme dei naufraghi, trovando negli strati profondi dell’Oceano una densità mano a mano accresciuta dalla pressione della colonna d’acqua soprastante, non dovessero mai scendere al fondo ma vagare indefinitamente fra due acque. L’errore apparisce evidente a chi non ignora come l’acqua sia corpo suscettibile bensì di venir compresso, ma soltanto in tenuissimo grado. Ricorda l’Hyort come a 4000 metri di profondità, la pressione di 400 atmosfere abbia per effetto di aumentare la densità dell’acqua di 1,8 % soltanto. Applicando questa nozione ad un caso pratico, si supponga di buttare in mare un pezzo di ferro del peso di 1 kg.; immediatamente al di sotto della superficie questo corpo, in virtù del principio d’Archimede, subisce una spinta dal basso in alto equivalente al peso del volume d’acqua spostato, e si comporta come se pesasse gr. 869; a 4000 metri di profondità si comporta come se il suo peso fosse ridotto a gr. 866 e avesse subito, nell’ingente dislivello, la perdita insignificante di 3 gr. Ma v’ha di piii; abbandonati a sé stessi negli abissi oceanici, scendono al fondo non soltanto i corpi massicci, ma anche corpi organici o spoglie di organismi, i quali contenendo nel loro interno cavità chiuse, ripiene d’aria o d’altro gas, galleggerebbero se posati alla superficie. Infatti, allorché le pareti dei vacui sono cedevoli, il volume del gas e quello dei vacui diminuiscono per effetto della pressione e il corpo cade tanto più rapidamente quanto più la pressione si eleva. Queste relazioni fìsiche hanno evidentemente una importanza notevole nella nutrizione della fauna profonda, poiché moltissimi organismi abissali si cibano di detriti pioventi dall’alto.
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Contemplate ora lo specchio azzurro d’uno dei nostri golfi; esso apparisce immobile nella calma piatta di certi crepuscoli estivi. Ma la quiete perfetta non é che illusione; anche in quei crepuscoli le acque marine si muovono senza posa.
Esporre i complicati problemi relativi ai movimenti del mare dal punto di vista fisico e indagare le molteplici influenze che tali movimenti esercitano sulla forma e sulle abitudini degli organismi marini è impresa che esorbita dai confini modesti del presente capitolo. Vi basti un concetto sommario dei fenomeni ed un cenno intorno alla loro influenza generale sulla vita.
Importa prima di tutto distinguere l’azione dei moti che hanno carattere oscillatorio: moto ondoso e maree, da quella dei moti che si producono con direzione definita: le correnti.
L’onda sollevata dal vento raggiunge spaventose altezze nei mari vasti e poco ingombri, si parla infatti di onde alte 18 metri nell’Oceano Glaciale Antartico e poco meno nel Pacifico; onde meno alte s’incontrano nei bacini minori e rinchiusi fi’a le terre; nel nostro Mediterraneo pare non superino i 9 metri. La prima conseguenza biologica che si manifesta quando il mare comincia ad agitarsi è la discesa di molti organismi galleggianti, i quali lasciano la superficie per trovare rifugio in zone più profonde, ove l’acqua è tranquilla.
Ma a quale livello dovrà trovarsi la calma? Si legge che, teoricamente, l’onda si propaga sino ad una profondità pari a 350 volte la sua altezza, per conseguenza le onde di 5 metri dovrebbero mandare le ultime vibrazioni sino a 1750 metri di fondo. Io crederei di non errare ritenendo che ad un centinaio di metri le onde, se non sono completamente sopite, non esercitano più, nelle nostre acque Mediterranee, una sensibile influenza sugli organismi.
Però bassifondi generalmente calmi vengon tal volta agitati e sconvolti dalle mareggiate piìi violente; accade allora di vedere piante marine ed anche qualche animale morto o semivivo gettato sulla spiaggia. In scala più vasta suol ripetersi il fenomeno quando sopravviene l’onda di eccezionale altezza che accompagna le grandi scosse di terremoto; non mancò l’esempio nella recente catastrofe di Messina (1908).
L’onda assume poi un’importanza biologica particolare laddove si frange contro la scogliera, poiché nessuna specie animale o vegetale può sostenere l’impeto, se non possiede mezzi opportuni per mantenere ben salda la sua aderenza alla roccia. Degna di nota è una reciproca difesa che si esercita tra la scogliera e l’organismo contro il mare; da una parte la roccia accoglie nelle sue fessure e nelle sue cavità molti animali che ivi riparano in tempo di burrasca; d’altra parte compatte colonie di specie fìsse (per esempio di Balani e di Mitili) e di Alghe incrostanti intonacano per larghi tratti la rape e la proteggono, vietando, o almeno ritardando, l’azione demolitrice dei colpi di mare.
Non ondulazioni rapide, determinate dall’azione del vento, ma un ritmo lento e regolare, dovuto all’attrazione combinata del sole e della luna, fa giornalmente pulsare le acque marine. Durante sei ore il livello del mare si abbassa per innalzarsi poi durante le sei successive, tanto che due livelli massimi e due minimi si verificano^ nel corso delle ventiquattr’ore.
Allorché i centri dei due astri e quello della terra si trovano su di una stessa linea, l’azione del sole e della luna si sommano e l’oscillazione raggiunge allora la massima ampiezza (marea di sigizia), mentre quando le linee congiungenti i centri rispettivi del sole e della luna con quello della terra s’incontrano ad angolo retto, le azioni in parte si elidono e si verifica l’oscillazione minima (marea di quadratura). Se alla superfìcie del globo non vi fosse altro che mare, e l’onda provocata dal sollevarsi delle acque scorresse liberamente, lamareagonfierebbele acque in modo uniforme; invece le còste dei continenti e la varia configurazione del fondo la modificano a tal segno che la sua ampiezza cambia enormemente da un mare all’altro. Le più forti maree che si conoscono sono quelle della baia di Fundy, nella Nuova Scozia, che raggiungono in tempo di sigizia circa 18 metri; al Mont Saint Michel, sulle coste occidentali della Francia, il dislivello è poco minore: 14-15 metri. Nei mari chiusi sul tipo del Mediterraneo la marea si presenta estremamente ridotta, non oltrepassa infatti i 40 centimetri nei dintorni di Genova.
Dove la marea è forte e le spiaggie son basse ed a lento declivio, il mare si ritira per parecchi chilometri lasciando allo scoperto innumerevoli organismi marini, che si rifugiano nella scogliera o si approfondano nella sabbia umida; poi ritorna, irrompendo con violenza, ad alta marea. Hanno così origine correnti di marea che non mancano d’importanza biologica inquantochè portano al largo l’acqua della riva col suo plancton3 e sospingono le acque dell’alto mare verso la riva, operando in tal modo una mescolanza.
Le oscillazioni ritmiche delle onde e delle maree, non rappresentano le sole cause che muovano le acque marine. Queste sono dominate da altri impulsi, che le spostano con direzioni e con velocità svariate non soltanto nella zona superficiale, ma anche nelle profonde; alludo alle correnti ed estendo il vocabolo «correnti» ad ogni moto del mare che non abbia carattere oscillatorio.
Come origine prima delle correnti marine s’invocano da molti i venti costanti dovuti all’aria più fredda e pesante delle regioni polari artica ed antartica, che spira verso l’equatore e viene a prendere il posto di quella più calda e rarefatta delle regioni equatoriali; altri pongono in prima linea la differenza di densità determinata da variazioni della temperatura e’ del contenuto salino, differenze che tendono a compensarsi con spostamenti di acque più o meno ingenti. Anche l’influenza della rotazione terrestre sulle correnti non viene da tutti interpretata cogli stessi criteri. Ora si può affermare che le diverse cause agiscano insieme, ma è difficile problema rendersi conto della loro importanza relativa nei singoli casi.
Ad ogni modo questi movimenti di traslazione si associano e si coordinano in un grandioso movimento di circolazione marina, i cui tronchi principali percorrono i grandi Oceani e si suddividono in numerosissimi rami e ramuscoli di varia importanza che s’insinuano tra le terre e penetrano fin nei più profondi addentramenti delle coste.
Alcune correnti, sopratutto tra le principali, sono perenni, e si muovono sempre nella medesima direzione.
Da queste passiamo per gradi a piccole correnti, dovute a venti locali, che si producono saltuariamente con direzione e con intensità mutevoli. Esorbiterebbe dal mio compito il descrivere sia pure sotto forma sclie matica, la circolazione dei mari; è doveroso però accennare al Gulfstream o corrente del Golfo, che è fra tutte la meglio conosciuta e la più importante per i paesi d’Europa. Staccandosi dalla sua principale radice, la corrente della Florida, il Gulfstream esce dal golfo del Messico ed oltrepassa lo stretto di Florida con una temperatura prossima a 32° ed una densità elevata; prima si dirige a nord lungo il continente americano, poi si allontana dalla costa. d’America, da cui lo separa la corrente fredda che discende dal Canada, e piega verso levante dividendosi a ventaglio in tanti rami, che lambiscono le coste occidentali dell’Europa settentrionale e ne rendono il clima più mite.
E mentre i rami settentrionali si spingono fino alle isole Spitzberg, un ramo importantissimo, la corrente delle Canarie, discende verso sud, e raggiunta la corrente equatoriale, forma insieme col ramo principale di questa un sistema chiuso a modo di anello; nelle acque circoscritte da questo anello si accumulano e galleggiano in quantità stragrande Alghe strappate al litorale della Florida, fra le quali predomina il genere Sargassum: e questo il famoso mare di Sargassi ben noto al biologo per la fauna speciale che vi alligna.
L’andamento della circolazione marina nell’Atlantico settentrionale, secondo l’interpretazione più accettata, si riassumerebbe in un movimento di traslazione superficiale delle acque atlantiche dall’equatore verso il polo Artico, compensato da un ritorno di acque fredde, nelle regioni profonde dal polo verso l’equatore.
Hanno per noi speciale interesse le correnti del Me diterraiieo. Per effetto del clima relativamente caldo e secco, il Mediterraneo perde molto più acqua per evaporazione, che non ne riceva dai fiumi sfocianti lungo le sue coste. A compensare il dislivello che tende così a prodursi, una massa d’acqua Atlantica entra per lo stretto di Gibilterra e, mantenendosi alla superficie, fluisce lungo le coste settentrionali dell’Africa inviando rami nel Mare Balearico e nel Tirreno.
Le acque più salate e più dense del Mediterraneo danno invece origine ad una corrente profonda, che per la stessa via scorre verso l’Atlantico e, superata la soglia di Gibilterra, si approfonda costeggiando l’Europa occidentale. A nord del capo S. Vincenzo (Portogallo) la presenza delle acque Mediterranee si rivela chiaramente a 1500 m. di profondità, con una salsedine di oltre 36 ‰ ®ti una temperatura di 11° (notate che le acque dell’Atlantico orientale alla stessa profondità non misurano che 4o-5o); secondo le recenti investigazioni del «Thor» si rende sensibile anche in plaghe più settentrioneli, cioè a sud-ovest dell’Irlanda.
Circa le correnti del Mare Ligustico è ancora viva la discussione, ma buoni motivi fanno ritenere che il movimento generale delle acque litorali proceda di regola da oriente ad occidente; nell’Adriatico prevale una corrente che ascende lungo la costa dalmata ed istriana per discendere lungo le coste della penisola italica. Lo studio dell’Adriatico dimostra come l’influenza delle acque fluviali si renda sensibile, mercè le correnti, molto lungi dalla foce. Così a 25 ed a 45 miglia al largo di Ancona la nave italiana «Ciclope» registrava una salsedine di oltre 38 ‰ mentre in una zona intermedia, a 35 mis’ lia della stessa città, la salsedine si abbassava a 33 ‰ P^r effetto delle acque padane discendenti da settentrione.
Le correnti, e sopratntto le maggiori, hanno un’importanza di primo ordine nella diffusione degli organismi marini. La loro velocità, in taluni casi considerevole (9 km. all’ora per la corrente della Florida) permette loro di trascinare gli esseri galleggianti a distanze assai grandi dal luogo di nascita di questi.
Ma se la continuità e la relativa uniformità dell’ambiente marino, insieme col facile trasporto dovuto alle correnti, fanno sì che talune specie acquistino negli Oceani un’area di dispersione assai più vasta di quanto si verifichi sulla terraferma; d’altra parte ogni grande corrente, individuata da condizioni fisiche particolari, offre speciali caratteristiche, sia nella quantità, sia nella composizione del suo plancton.
Conosciamo certe plaghe dove giungono a contatto correnti molto diverse per temperatura e per salsedine; in tal caso soltanto le specie più tolleranti passano impunemente dall’una all’altra, mentre innumerevoli organismi stenotermi e stenoalini periscono e cadono sul fondo. Si determinano in tal modo condizioni eccezionalmente favorevoli per la fauna che vive sul fondo sottostante e che gode di questa pioggia d’alimento copiosa e continua.
Investigare il regime delle correnti è necessario a chi esercita la pesca con metodo razionale, perchè la distribuzione e le migrazioni di molte specie di Pesci dipendono dalla temperatura e dalla salsedine e queste sono intimamente connesse alle correnti; la pratica insegna infatti che le variazioni d’intensità e di direzione in certi rami di corrente sono accompagnate da mutamenti correlativi nel cammino seguito dai Pesci migratori.
Abbiamo sinora parlato di circolazione marina in senso orizzontale; i dati di osservazione conducono ad ammettere anche una circolazione in senso verticale. Iniziano il movimento le acque superficiali, rese più pesanti o dall’abbassamento della temperatura, o dall’aumento di salsedine dovuto alla evaporazione; .esse discendono in zone più profonde e vengono sostituite dalle acque degli strati sottostanti. Siffatte correnti si propagano a profondità variabili; pare che nell’Ionio e nel Tirreno interessino soltanto la zona superficiale; nel Mare Ligure e nel Balearico settentrionale sì trasmettano invece fino alle zone più profonde. Col rinnovamento continuo d’acqua, le correnti verticali influenzano in senso favorevole la vita, perché contribuiscono a mantenere entro i limiti richiesti, anche nelle zone profonde, la provvista di gas respirabile.
Detriti organici e minutissimi organismi viventi, incapaci di spostarsi con mezzi propri vengono trascinati in gran copia dalla circolazione verticale; questa possiede adunque notevole importanza come agente distributore di sostanze nutritive.
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Note
- ↑ Nome preferibile a quello, pure molto usato, di oceanografia.
- ↑ Nelle densità marine la prima decimale è 0. E aiccome i metodi moderni permettono di determinare con esattezza cinque decimali, si avrebbe per ogni indicazione un numero di 7 cifre. Per brevità si è convenxito allora di sopprimere l’unità lo zero e di trasportare la virinola fra la terza e la quarta decimale. Così invece di scrivere 1,02974 si suole anche scrivere 29,74.
- ↑ Organismi fluttuanti.