Astronomia/Capitolo terzo/5
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§ V.
Notizie speciali sopra i pianeti esteriori.
marte.
140. Il quarto pianeta, in ordine di distanza dal centro del Sistema, e quindi il primo dei pianeti, rispetto alla Terra, esterni o superiori è Marte; esso gira intorno al Sole entro un’orbita di forma ovale alquanto allungala (eccentrica), il cui raggio medio misura, a un dipresso, 227 milioni di chilometri.
141. Il luogo dell’orbita in cui Marte si trovo nelle condizioni più favorevoli per essere ben osservato dalla Terra è, come già si disse nel precedente paragrafo, il punto A, fig. 31. 11 pianeta è allora nella sua opposizione col Sole, ci presenta il suo disco interamente illuminato, non è lontano in media da noi che 82 milioni di chilometri, mentre, nella congiunzione, si allontana in media fino a 388 milioni di chilometri circa1.
Fra l’opposizione e le quadrature, § precedente, il disco di Marte non è pieno, ma presenta una leggiera fase simile a quella della Luna un po’ prima e un po’ dopo il plenilunio.
142. Marte in circa 687 giorni (686g 23h 30m 41s) compie una rivoluzione attorno al Sole; il tempo che la Terra impiega a compiere la sua rivoluzione intorno al Sole determina il nostro anno, e l’abbiamo dimostrato nel paragrafo VII del capitolo primo; 687 giorni terrestri rappresentano quindi ciò che per analogia può chiamarsi la durata dell’anno di Marte, e l’anno di Marte è per conseguenza poco meno che doppio di quello della Terra.
Marte in 24 ore circa (24h 37m 23s) compie una rotazione intorno a sè medesimo; l’asse intorno a cui Marte ruota ha, per rispetto al piano della sua orbita, un’inclinazione poco differente da quella dell’asse terrestre sull’eclittica.
Dalla rotazione della Terra è determinato il nostro giorno (§ V, capitolo primo); dalla rotazione di Marte è determinato il giorno di chi in esso abitasse; i giorni della Terra e di Marte hanno quindi press’a poco lu stessa durata.
L’inclinazione dell’equatore terrestre sull’eclittica determina sulla Terra la varia durata dei giorni e il succedersi delle stagioni diverse (§§ IX e X, capitolo primo), e poichè su Marte l’inclinazione dell’equatore all’orbita del pianeta è poco diversa dall’inclinazione analoga che alla Terra si riferisce, analoghe alle terrestri devono essere le stagioni di Marte.
Chi abitasse su Marte vedrebbe nell’intervallo di poco più che 24 ore la luce succedersi con perpetua vicenda alle tenebre nelle zone non troppo lontane dall’equatore; vedrebbe i giorni e le notti durare mesi interi nelle zone più prossime ai poli; vedrebbe in generale il giorno e la notte succedersi là come qui con uguali rapporti reciproci, con uguali differenze fra stagione e stagione, fra clima e clima; là come qui avrebbe due zone glaciali o polari, due zone temperate, una zona torrida; doppia quasi della nostra avrebbe la durata dell’anno, e poco meno che doppie del pari avrebbe le durate delle singole stagioni.
V’è quindi una grande analogia fra Marte e la Terra, e questa analogia sarà vieppiù confermata da quanto si dirà qui sotto.
Non si è ben certi se Marte abbia la forma di una sfera perfetta, oppure ruoti esso pure, come la Terra, intorno ad un asse più corto che il suo diametro equatoriale ed abbia per conseguenza la forma di un ellissoide schiacciato ai poli della rotazione. Le ricerche più recenti paiono favorevoli alla forma sua ellissoidica, e danno per lo schiacciamento polare valori compresi fra 1:220 e 1:190. Certo è che Marte è più piccolo della Terra; il suo diametro medio di poco supera la metà di quello della Terra, e ne è i 0.53; la sua superficie è meno che i tre decimi della superficie dello Terra; il suo volume è un settimo circa del volume della Terra.
143. Se si guarda Marte ad occhio nudo, esso ci appare di una tinta rossastra, che lo rende facilmente distinguibile da qualunque altro pianeta. Ma se lo si osserva con un buon telescopio, quella tinta uniforme scompare per lasciar luogo a macchie scure, che qua e là turbano lo splendore generale del suo disco. Sono macchie fisse e permanenti, che in 60 anni e più non hanno mutato forma ed aspetto; non poche sono cupe; hanno estensioni diverse, e van separate le une dalle altre da macchie meno scure, più lucenti, diversamente colorate. Striscie lunghe e nere attraversano le macchie lucenti, e rilegano le oscure. Macchie e striscie formano un intreccio complicato di dettagli difficili a decifrare, ricchi di contrasti di colore, di gradazioni e sfumature di ombre e di luce.
Sull’emisfero australe le macchie oscure (mari) sono più grandi, più numerose, più forti e meglio Fig. 31 bis. definite. Sull’emisfero boreale predominano le macchie lucenti (continenti), e, attraverso ad esse, striscie scure (canali) variamente s’intrecciano formando strane poligonazioni.
Sull’uno e sull’altro emisfero macchie e striscie danno luogo a configurazioni geografiche analoghe per aspetto a quelle della Terra, si che, vedendole, le parole continente, mare, isola, itsmo, stretto, golfo, penisola, promontorio, seno, canale e via sorgono spontanee nella mente e corrono al labbro. Appartengono queste configurazioni alla superficie immutabile del pianeta, e le si conoscono oramai tanto sicuramente che con esse si riesce a formare carte di Marte, le quali prendono il nome di carte aregrafiche, perchè analoghe alle carte delle configurazioni della superficie terrestre ossia alle carte geografiche.
La fig. 31 bis qui di contro rappresenta, così come esige il formato, in piccolo una carta generale di Marte tratta dai lavori dello Schiaparelli.
144. Sul disco di Marte esistono due macchie permanenti, dalle altre diversissime e che meritano una menzione speciale. Sono due macchie bianche e splendenti come neve, che occupano le regioni circostanti ai due poli di rotazione del pianeta. Esse si restringono durante l’estate del rispettivo emisfero, si ricostituiscono durante l’inverno.
Ciascuna di esse all’approssimarsi della stagione calda del proprio emisfero incomincia a restringersi, a diminuire nella sua parte periferica, e va progressivamente riducendo la sua grandezza fino a circa due mesi e mezzo dopo il rispettivo solstizio, a partire dal quale succede un lento incremento delle dimensioni sue, incremento che continua per tutta la stagione invernale.
La similitudine di posizione e di colore colle nevi dei poli terrestri è perfetta; come le nostre nevi polari, esse subiscono variazioni dipendenti dalle stagioni o dalle più o meno intensa irradiazione del Sole a cui van soggette; supporre quindi che esse sieno qualche cosa di analogo alle nostre nevi, che esse sieno realmente masse di materia congelata e cristallizzata, è fare una supposizione non Fig. 32. solo probabilissima ma di certezza quasi assoluta.
I due disegni (fig. 32 e 33) rappresentano la macchia bianca del polo australe di Marte in due posizioni diverse del pianeta.
145. Oltre alle macchie fisse e permanenti, su Marte si osservano talora macchie mutabili, transitorie, fugaci. Si formano con vicenda più o meno rapida, si muovono, si deformano, si allungano in diverse maniere, e qualche volta si sciolgono in filamenti paralleli; nascondono per qualche tempo i dettagli ben noti della superficie del pianeta, quasi fossero un velo; si sciolgono, scompaiono e i dettagli superficiali riappaiono.
Evidentemente Marte è circondato da un’atmosfera, e le macchie sue transitorie sono intorbidamenti momentanei della sua atmosfera. Sono nebbie e nubi dell’almosfera di Marte; e poichè ghiacci e nevi polari esistono sulla superficie di Marte; e poichè ghiacci e nevi che si squagliano e si ricostituiscono non si sanno immaginare senza masse liquide sulla superficie del pianeta, senza vapori da queste generati e successivamente condensatisi; e poichè infine osservazioni, delle quali qui non e opportuno parlare, dimostrano che nell’atmosfera di Marte vapori d’acqua esistono, sono nebbie e nubi probabilissimamente analoghe alle terrestri.
Da qualunque punto di vista lo si consideri, Marte presenta una somiglianza grandissima alla Terra. Somiglianza non vuol però dire identità. La natura non copia mai sè stessa, e Marte, pur ricordando molto da vicino la Terra, ne è per certi riguardi molto diverso; ha una meteorologia propria che non è la terrestre, presenta dettagli sul suolo suo che sulla Terra non hanno riscontro alcuno.
Caratteristici su Marte sono i canali. Una linea di un color rosso-bruno poco più oscuro del fondo dal quale si stucca, talora intensamente nera, in ogni caso ben definita, quasi tracciata a penna, uniforme e regolare in tutta la sua lunghezza, attraversa la superficie rossastra del pianeta (fig. 31 bis). Per analogia la si chiama un canale, ma di essa la natura vera è finora un enigma.
Si osservano nei canali di Marte variazioni sensibili: a certe epoche essi divengono invisibili: a certe altre cambiano di larghezza, e da un filo appena percettibile si trasformano in una riga nera perfettamente e facilmente visibile. Appaiono per tal modo diversamente intensi, e le variazioni di intensità si estendono in un dato canale simultaneamente a tutta la sua lunghezza, ed avvengono bruscamente senza transizione apprezzabile. Se si tratti di un canale che con altri si incontri e da essi venga diviso in più parti o sezioni, l’intensità sua rimane uniforme in ognuna delle sezioni, pur essendo diversa da una ad un’altra sezione. La rete alla quale nel loro insieme i canali danno origine (fig. 31 bis) non ha quindi nulla di stabile, e ad epoche poco lontane presenta aspetti e disegni assai diversi.
11 fenomeno più curioso presentato dai canali di Marte è quello che lo Schiaparelli chiamò la geminazione loro.
In pochi giorni, forse in poche ore, per un processo di trasformazione di cui i dettagli sono fino al presente sfuggiti, un canale si presenta doppio e formato di due striscie ordinariamente uguali e parallele. In apparenza sono l’una all’altra vicinissime, in realtà la loro distanza vario da 6 a 12 gradi di circonferenza di circolo massimo del globo di Marte, da 350 a 700 chilometri. L’una delle striscie conserva talora il luogo del canale primitivo; talora nè l’una nè l’altra delle nuove formazioni coincide coll’antico canale.
Le geminazioni si producono per una rapida metamorfosi, ma non tutti i canali si geminano insieme nello stesso momento. Il fenomeno loro pare regolalo dal periodo delle stagioni di Marte, e avviene principalmente un po’ dopo l’equinozio di primavera dei pianeta e un po’ prima dell’equinozio di autunno: esse scompaiono in gran parte all’epoca del solstizio boreale, scompaiono tutte all’epoca del solstizio australe di Marte; alcune ben visibili in una data opposizione del pianeta, non si vedono affatto nelle opposizioni successive.
Quel che sieno in realtà i canali di Marte non si può ancora dire. Supposero alcuni che Marte sia occupato tuttora da immensi ghiacciai, che le sue lunghe stagioni singolarmente favoriscano lo svolgimento e lo scompiglio periodico delle sue grandi masse di ghiaccio, che i così detti canali sieno crepacci di ghiaccio. Ma questa ipotesi glaciale non è guari sostenibile, contraddetta come è dalla fusione dei ghiacci polari che su Marte succede ogni estate in modo più rapido che da noi, e al polo australe quasi completamente. D’altra parte l’ipotesi che i canali siano percorsi da masse liquide, l’ipotesi che essi sieno grandiosi manufatti, l’ipotesi che essi provengano da speciali vegetazioni o colture, e ogni altra ipotesi che si possa immaginare dietro analogie tratte dalla Terra punto si accorda con la nessuna fissità loro e con le altre apparizioni lungo essi osservate.
Le geminazioni sopratutto rimangono ribelli ad ogni spiegazione; non sono permanenti e connesse indissolubilmente con la superficie solida del pianeta; paiono piuttosto formazioni transitorie e capaci di riprodursi, ma che cosa siano non si sa, nè mancano coloro i quali dubitano della loro realtà e le considerano come apparenze ottiche subiettive. Secondo alcuni anzi i canali stessi indicherebbero soltanto confini di regioni inugualmente tinte, oppure provverrebbero da una integrazione ottica di dettagli troppo piccoli per essere visti l’uno dall’altro distinti.
La verità si è che se si paragonano le carte di Marte uscite dal 1840 al 1903, si nota in esse un grande e graduale progresso. Tutte accennano all’evoluzione compiutasi nelle cognizioni nostre intorno alle configurazioni della superficie del pianeta, tutte riproducono una complessita sempre maggiore di dettagli. Della maggior parte di questi dettagli non sappiamo però ancora darci ragione, e quanti si occupano seriamente di essi ammettono, loro malgrado, che troppo piccolo è ancora il numero delle osservazioni, degne di tal nome, sovr’essi fatte, perchè sia possibile determinare con critica sicura quale fra le varie ipotesi eccitate dalla loro indefinita varietà sia la preferibile.
146. Fino agli ultimi tempi si è creduto che Marte, come Mercurio e Venere, fosse privo di satelliti. Ma nell’agosto del 1877, essendosi il pianeta avvicinato molto alla Terra, riuscì all’astronomo americano professore Hall, armato di un gigantesco telescopio, di scoprirne due piccolissimi, i quali si aggirano intorno al pianeta a poca distanza da esso, l’uno, Phobos, nel periodo di circa 8 ore, l’altro, Deimos, di 30 circa. Questi sono da contarsi fra i più piccoli corpi del Sistema planetario, e, a giudicare dalla poca luce che mandano, si può stimare che il loro diametro non possa di molto eccedere le quindici miglia2.
gli asteroidi o piccoli pianeti.
il piccolo pianeta eros.
147. Dopo Marte, nella regione del cielo che si estende fra questo pianeta e Giove, circolano gli asteroidi o piccoli pianeti ad una distanza media dal Sole pressochè settupla di quella di Mercurio. Il loro numero è ora uguale a 512, ma non passa anno, non passa quasi mese senza che se ne scopra qualcuno.
Sono disseminati sopra una estensione larga tre volle circa la distanza che in media separa la Terra dal Sole; sono tutti piccolissimi e, tranne i principali, non superano in isplendore le stelle di 10a grandezza: soltanto uno di essi, Vesta è abbastanza grande da diventar qualche volta visibile all’occhio nudo, quando si trova nella sua maggior vicinanza alla Terra. Ve ne sono anche di così piccoli da non avere una superficie eccedente l’estensione di una delle nostre provincie.
A cagione della loro esiguità non è meraviglia che nulla di ben sicuro siasi potuto saper finora circa la loro costituzione fisica.
Notevole fra tutti è il piccolo pianeta Eros, contrassegnato dal numero (433). Scoperto nell’agosto del 1898 dall’astronomo tedesco G. Witt, fu in seguilo rintracciato su parecchie fotografie del cielo fatte anteriormente all’osservatorio Harvard, in Cambridge S. U., nei giorni 4 e 5 di giugno del 1896. Colle osservazioni del 1896 e del 1898 fu possibile calcolare del pianeta un’orbita abbastanza precisa, e per mezzo delle posizioni di Eros da essa determinate ritrovare il pianeta in altre fotografie del cielo eseguite anteriormente a cominciare dal 1903. Dimostrano esse che nell’ottobre del 1893 il pianeta era di decima grandezza, che il suo splendore crebbe rapidamente fino a diventare di settima grandezza nel gennaio del 1894, che nel marzo successivo era già di nona soltanto, che poco dopo verso la fine dell’aprile, era tornato di decima. Permisero esse una ulteriore elaborazione dell’orbita del pianeta alla quale attese l’astronomo italiano E. Millosevich, che pose inoltre a base dei proprii calcoli le migliaia di osservazioni fatte in molte specole nel 1898, nel 1899, nel 1900 e nel 1901.
Gli elementi dell’orbita di Eros accennano ad un astro il quale si muove nello spazio a grande distanza dallo sciame dei piccoli pianeti, e il quale portato dal suo movimento orbitale si avvicina al Sole ben più che Marte, si avvicina alla Terra mollo più che ogni altro dei pianeti noti. Mentre i piccoli pianeti si osservano ad una distanza dal Sole uguale in media a 394 milioni di chilometri, la media distanza di Eros dal Sole è, sempre in milioni di chilometri, espressa dal numero 217. Mentre Marte nel punto dell’orbita suo più vicino al Sole dista da questo 205 milioni di chilometri in cifra tonda, Eros si avvicina al Sole fino a prendere da esso la distanza minima di 166 milioni di chilometri. Mentre fra i piccoli pianeti quelli che più si avvicinano alla Terra ne distano ancora 119 milioni di chilometri, mentre Venere e Marte nella loro vicinanza massima alla Terra restano da questa a distanze rispettivamente di 37 e di 54 milioni di chilometri. Eros alla Terra si avvicina fino a soli 22 milioni di chilometri.
Per la grande vicinanza alla Terra in alcuna delle sue opposizioni, per la piccolezza del suo diametro apparente, uguale al più a un quarto di minuto secondo d’arco, Eros è nel Sistema solare l’astro meglio atto a determinare la precisa distanza che separa il Sole dalla Terra, e a tale scopo numerose osservazioni sistematiche internazionali furono fatte durante la sua opposizione del 1900-1901.
Per lo splendor suo che, in causa delle diversissime distanze che esso prende in tempi diversi dalla Terra, oscilla fra la sesta e la duodecima grandezza, Eros diventa anche dal punto di vista fotometrico uno degli astri più attraenti. Si potrà per esso verificare la ben nota legge per la quale si ritiene che l’intensità della luce varia in ragione inversa del quadrato delle distanze; si potrà per esso ad un tempo stabilire se nel sistema del Sole esista o no un mezzo capace di assorbire e di estinguere fino a un certo punto la luce. Già le osservazioni del 1901 diedero al riguardo risultati non aspettati, e dimostrarono che lo splendore di Eros è soggetto a fluttuazioni di corto periodo, le quali per altro non sembrano permanenti.giove.
148. Giove, dopo il Sole, tiene nel Sistema solare il primo posto; è il più grande di tutti i pianeti conosciuti; il suo splendore apparente, malgrado la tanto maggiore sua distanza dal Sole, è poco inferiore al massimo splendore di Venere; non è però possibile confondere l’uno coll’altro pianeta, perchè Venere spessissimo scintilla al pari di una stella, mentre la luce di Giove è sempre tranquilla.
Giove muovesi ad una distanza media dal Sole di circa 774 milioni di chilometri, epperò la sua orbita, che esso percorre in 4332 giorni (quasi 12 anni), include tutte quelle degli asteroidi.
Ogni 400 giorni all’incirca Giove si trova alla sua minima distanza dalla Terra: allora esso si presento nelle condizioni più favorevoli all’osservazione dei fenomeni singolari del suo disco splendente, il suo diametro apparente arrivando ad essere press’a poco la quarantesima parte di quello del disco lunare.
149. Le dimensioni effettive di Giove sono enormi, e si calcola che esso col suo volume occupa uno spazio sufficiente a contenere 1431 globi eguali alla Terra. Per formarsi un’idea approssimata del grande e poderoso pianela, si pensi che un treno celerissimo, il quale viaggiasse giorno e notte senza interruzione colla velocita di 50 chilometri all’ora, impiegherebbe un anno e un terzo di mese circa a farne il giro.
150. La figura di Giove non è esattamente quella di una sfera. Essa è sensibilmente ovale, e Giove rapidamente ruota intorno a sè medesimo; verso i poli appare compresso; appar rigonfio verso l’equatore. Anche la Terra è schiacciata ai poli, ma in Giove lo schiacciamento è assai più sensibile e lo si riconosce a colpo d’occhio; il suo diametro equatoriale è infatti di circa un sedicesimo più grande che il polare.
Giove compie intorno al suo asse polare una rotazione completa in meno di 10 ore. (9h 55m), e lo dimostrarono alcune macchie del suo disco attentamente e per qualche tempo osservate. I punti dell’equatore di Giove percorrono quindi in meno di 10 ore una circonferenza lunga 450 mila chilometri, e si muovono colla velocità di 45 e più mila chilometri all’ora. È una velocità vertiginosa, e a persuadersene pensi il lettore che in grazia della rotazione terrestre un punto del nostro equatore si muove colla velocità di soli 1667 chilometri all’ora.
Alla superficie di Giove, i corpi, a motivo della enorme massa del pianeta3, debbono pesare poco meno che il triplo4 di quello che pesano sulla Terra, ma questo peso, d’altra parte, viene moderato nelle regioni equatoriali da una grande forza centrifuga dovuta alla straordinaria velocità di rotazione.
L’asse intorno a cui Giove ruota è quasi perpendicolare al piano dell’orbita sua. Le conseguenze generali di questo fatto già furono indagate al capo 45 del paragrafo IX del capitolo primo. Per esso in Giove si ha una uniforme variazione di climi dall’equatore ai poli, e poco sensibili sono le diversità fra l’una e l’altra delle sue lunghe stagioni, in quanto almeno climi e stagioni dipendono dalla radiazione del Sole.
151. Osservando Giove con un buon cannocchiale, se ne vede il disco brillante attraversato da parecchie striscie o bande scure sensibilmente parallele all’equatore.
Lunghesso quest’ultimo salta all’occhio una larga zona bianca e lucida che, a mo’ di fascia non interrotta, Fig. 34. circonda intorno intorno tutto il corpo del pianeta. Ai lati di essa due altre fascie di color grigio-scuro quasi plumbeo, d’ampiezze press’a poco uguali, cingono di qua e di là dall’equatore e parallelamente ad esso tutto il pianeta. Più oltre verso nord e verso sud, su ciascuno degli emisferi, altre e molte striscie si osservano alternativamente bianche ed oscure, tulle però più strette e pallide delle equatoriali, tutte limitale ad un breve tratto di superficie, talune anzi bruscamente terminate, quasi rotte. A misura che dall’equatore uno si avvicina ai poli la tinta generale del pianeta diventa più Fig. 34 a. omogenea e grigiastra, e le regioni polari appaiono d’ordinario azzurrognole.
152. Tale è l’aspetto generale, la figura tipica della superficie di Giove, quale d’ordinario si osserva, quale talora per mesi interi perdura, e quale è sommariamente indicata dalle nostre figure 34, 34 a e 34 b. Essa però non conservasi sempre uguale a sè medesima.
Le maggiori fascie, le minori striscie non hanno struttura uniforme, nè presentano in ogni loro parte una identica intensità luminosa; in alcuni tratti più lucide, in altri meno; in alcuni tratti cupe come per maggior addensamento di materia, in altri tenui Fig. 34 b. quasi formate di materia rarefatta. Tal luogo loro che oggi appare denso ed intensamente oscuro, quasi un nodo nella loro struttura generale, cambia in seguito per intero e intensità e splendore; i margini stessi hanno esse mutabilissimi, talora distinti, netti, continui, tale altra qua e là interrotti con insenature, sporgimeli e bracci laterali.
La gran fascia equatoriale, bianca generalmente, appare talora rossa, talora verdognola, talora giallastra, passando per una grande varietà di tinte dalla rossa alla gialla. Ed essa e le due fascie laterali cambiano talora rapidamente e forma e colore; fiumane grandi e nere spingonsi talora violentemente nella grande zona equatoriale del pianeta, fig. 34 a, e la separano in molte e distinte regioni, e allora par quasi che una forza gagliardissima sconvolga tutta quanta la massa superficiale e visibile del pianeta.
Eccezionalmente appaiono su Giove macchie singolari, con caratteri proprii e diversi da tutto ciò che le circonda. Scompaiono, si trasformano profondamente le striscie e le fascie a loro d’intorno, ed esse perdurano mesi ed anni partecipando solo al moto generale di rotazione del pianeta5.
153. Non è facile spiegare queste macchie temporariamente permanenti; non è facile nemmeno spiegare le variazioni di colore, di forma, di splendore, di struttura per le quali passano estesissimi tratti della superficie di Giove; è difficile dire a quali profondità possono arrivare gli sconvolgimenti della sua superficie.
Probabilmente Giove è in tutto od in massima parte ancora fluido; la sua massa fluida e di grande densità è probabilmente in preda a sconvolgimenti continui; forse le fascie di Giove sono dovute a vapori che violentemente erompono da grandi profondità al di sotto della sua superficie visibile; forse le macchie di Giove sono vapori che dalle viscere del pianeta per lungo tempo vengono eruttati e lanciali fin nelle più alte regioni della sua atmosfera; forse su Giove l’elettricità esercita azioni potenti; forse Giove è in un periodo di violenta trasformazione, e attraversa uno stadio di esistenza che la Terra da secoli e secoli ha passalo.
Certo è che quanto oggi succede su Giove non si può ragionevolmente spiegare per mezzo di analogie tratte dai fenomeni attuali della Terra. Giove non è solo un pianeta immenso, rispetto al quale la Terra appare come un pisello a lato d’una melarancia, ma è un mondo dalla Terra interamente diverso quanto allo stato e modo di essere della sua materia. Sovr’esso noi non possiamo immaginare continenti e mari e atmosfera in condizioni analoghe alle terrestri, così come abbiamo fondamento di fare per Mercurio, per Venere e più ancora per Marte. Giove è una massa tuttora fluida, dotata di grande densità, forse di calore grandissimo, certo di grande instabilità.
154. Giove, come già più sopra si disse, ha cinque satelliti che come lune si aggirano intorno ad esso, e con esso formano un mirabile Sistema minore nel maggior Sistema del Sole.
Quattro dei satelliti furono trovati contemporaneamente nel 1610 da Galileo, e segnano la prima scoperta astronomica fatta con cannocchiali; uno fu scoperto nel 1892 dall’astronomo americano Bernard; fu in seguito riosservato e parecchie volte riveduto, ma non è accessibile che ai più potenti cannocchiali del mondo. Furono a questi satelliti dati nomi speciali poco accettati, e si preferisce distinguerli l’uno dall’altro cogli appellativi affatto aritmetici di primo, secondo, terzo, quarto e quinto.
I primi quattro sono i galileiani; hanno tutti un diametro maggiore di quello della Luna, e per ciascuno di essi il seguente quadro numerico dà: la distanza dal centro di Giove espressa in raggi equatoriali di questo: la durata della rivoluzione intorno a Giove espressa in giorni, ore, minuti primi e secondi: il diametro espresso in chilometri, e in numeri ancora abbastanza incerti.
Satellite | Distanza | Durata | Diametro | |||
dal centro | della rivoluzione | |||||
I | 5,94 | 1g | 18h | 27m | 33s | 3814 |
II | 9,46 | 3 | 13 | 13 | 42 | 3413 |
III | 15,08 | 7 | 3 | 42 | 33 | 5580 |
IV | 26,54 | 16 | 16 | 32 | 11 | 4771 |
Il quinto satellite è dei precedenti molto più vicino al pianeta, e per questa vicinanza difficilissimo a rintracciare. Esso compie una rivoluzione attorno a Giove in meno di 12 ore (11h 57m 22s,6), e mentre i quattro satelliti galileiani splendono in cielo come stelle di sesta grandezza, esso ha una grandezza apparente non superiore alla tredicesima. A farsi un qualche concetto di queste grandezze sesta e tredicesima, sulle quali torneremo in altro capitolo, pensi il lettore che diconsi di sesta grandezza le ultime stelle visibili ad occhio nudo, di sedicesima le ultime viste coi grandi cannocchiali moderni sul fondo del cielo.
155. I satelliti galileiani percorrono tutti, eccetto il quarto, orbite assai poco inclinate sul piano dell’orbita del pianeta; ne segue che ogni qualvolta essi passano fra Giove e il Sole, v’ha quasi sempre per qualche luogo della superficie del pianeta eclisse solare; le eclissi prodotte dal quarto satellite sono più rare, perchè la sua orbita è, rispetto all’orbita di Giove, un po’ più inclinata di quelle degli altri tre; le eclissi prodotte da questi tre sono invece frequentissime.
156. Osservati con un buon cannocchiale, 1 moti revolutorii dei satelliti galileiani, a motivo della poca inclinazione delle orbite loro sull’orbita di Giove, e della poca inclinazione di questa sul piano dell’eclittica, ci appaiono quali moti oscillatorii rispetto al pianeta; vediamo cioè i satelliti stessi passare alternativamente da una parte all’altra del disco di Giove, e brillare ora a destra ora a sinistra di esso.
In ciascuna di queste oscillazioni, ogni satellite passa una volta fra la Terra e Giove, una volta dietro di Giove; nel primo caso ha luogo un transito o passaggio del satellite sul iliaco di Giove; nel secondo caso ha luogo od una eclisse od una occultazione del satellite stesso.
Se quando accade il passaggio di un satellite noi ci troviamo fuori della linea che va dal Sole a Giove, il corpo del satellite non potendo in tal caso nascondere agli occhi nostri l’ombra che esso getta dietro di sè, noi vediamo l’ombra stessa, proiettata sul disco del pianeta, passare sovr’esso come un punto nero.
157. L’eclisse di un satellite avviene, come per la nostra Luna, quando esso entra nel cono d’ombra proiettato nello spazio da Giove; l’occultazione avviene quando esso passa semplicemente dietro il disco del pianeta.
Allorchè noi ci troviamo lontani della retta che va dal Sole a Giove, questo non può nasconderci col suo corpo l’ombra che esso proietta; può accadere allora che un satellite scompaia alla nostra vista prima di toccare il lembo del disco del pianeta dietro cui deve passare, e ciò appunto perchè entra prima nell’ombra proiettata dal pianeta; quando tutto questo si avvera succede per l’appunto quello che chiamato abbiamo l’eclisse di quel satellite (fig. 35). Fig. 35. 158. S’intenderanno meglio le cose appena delle osservando appunto la figura 35, nella quale i circoletti E, F rappresentano la Terra in due posizioni particolari della sua orbita; il circoletto J rappresenta il corpo di Giove in un punto determinato della sua orbita; il cono che s’appoggia su J rappresenta il cono d’ombra che Giove proietta nello spazio in direzione opposta al Sole; i quattro circoli attorno ad J rappresentano le orbite dei quattro satelliti galileiani; i punti N, P, O, M, rappresentano i satelliti stessi in un luogo speciale della rispettiva orbita.
Allorchè la Terra si trova nel punto E della sua orbita, il satellite N è per essa Terra nel suo passaggio; il satellite M sta, prima per essere occultato, poi per eclissarsi ed emergere dal cono d’ombra abbastanza lontano dal disco di Giove; il satellite O, sempre per la Terra in E, non è visibile, perchè eclissato ed occultato nel medesimo tempo.
Dalla posizione E della Terra ogni satellite si vede occultato prima che esso entri nel cono d’ombra, e si vede ricomparire soltanto quando esso dal cono d’ombra emerge. Quando la Terra trovasi invece in F, nessun satellite può, da essa, essere visto in occultazione prima che si eclissi, perocchè, come ben lo mostra il disegno, esso deve incontrar il cono d’ombra innanzi di passar dietro del pianeta: ogni satellite eclissato riappare poi alla sinistra del disco di Giove, come se fosse stato in occultazione.
saturno.
159. Questo pianeta offre, osservato con un buon telescopio, il magnifico spettacolo di un globo di diametro sensibile, circondato da 8 satelliti e da un grande anello luminoso (fig. 36).
Esso è in media lontano 1418 milioni di chilometri circa dal centro del nostro Sistema, e intorno ad esso si aggira compiendo un intero giro in press’a poco 29 anni e mezzo 6.
Dopo Giove è il più grosso pianeta del nostro Sistema, misurando il suo diametro circa nove (9,299) diametri terrestri; sotto un volume cosi grande però, esso contiene una massa che è solo una piccola frazione (3 decimi circa) della massa di Giove, e circa i 13 centesimi di quella che contener dovrebbe se la densità media dei materiali suoi fosse eguale a quella dei materiali onde la Terra è formala, ciò che significa essere la densità della materia onde Saturno risulta assai piccola.
La luce di Saturno è tranquilla e bianca; il suo Fig. 36. splendore è pari a quello delle stelle più lucide, ma non raggiunge mai nè quello di Giove, nè quello di Venere. Per gli astrologi Saturno fu l’astro della melanconia e delle sventure.
Durante la sua rivoluzione attorno al Sole, or più or meno si allontana dalla Terra, e prende da essa tutte le distanze comprese fra 1196 e 1654 milioni di chilometri; cambia per conseguenza di grandezza apparente, e lo si vede talora sotto un angolo di 21 secondi d’arco, tale altra sotto uno di 15, più sovente sotto angoli che stanno fra i due.
160. Saturno ha forma ovale, e ruota rapidissimamente intorno a sè, compiendo in circa 10 ore (10h 16m 0s) una rotazione. Si dedusse questa durata dalla osservazione di alcune macchie che qualche volta, sebbene raramente, si scorgono sul suo disco7.
Lo schiacciumento del disco di Saturno è sensibilissimo, maggiore dello schiacciamento di Giove, e il diametro intorno a cui Saturno ruota sta a quello equatoriale press’a poco nel rapporto di 8 a 9.
161. L’asse intorno a cui Saturno ruota fa col piano dell’orbita in cui esso si rivolge un angolo di 64 gradi e mezzo circa. È un angolo non molto diverso da quello che l’asse di rotazione della Terra fa coll’eclittica, e poichè da questo angolo, come a lungo si è spiegalo nel capitolo primo, dipende l’andamento delle nostre stagioni, lecito diventa arguire che, per quanto dipendono dall’elemento qui considerato, analoghe alle terrestri sono le stagioni di Saturno, astrazion fatta dalla loro lunghezza, la quale (essendo uguale al quarto della durata della rivoluzione del pianeta) su Saturno è sette volte circa più grande che non sulla Terra.
162. La superficie di Saturno, fig. 36, presenta striscie e fascio oscure, parallele al suo equatore, analoghe a quelle di Giove, di queste anzi più larghe, sebbene più difficili ad essere osservale.
Questa corrispondenza delle apparenze superficiali, altri fatti dei quali sarà più lardi discorso, portano a pensare che analoga a quella di Giove sia in questo momento la costituzione fisica di Saturno, che esso pure sia circondato da un’atmosfera mollo densa, e che la sua massa sia dessa pure in tutto od in massima porte allo stato di fluidità.
163. Veniamo ora all’anello, di cui ho fatto cenno precedentemente, o megli agli anelli che sono la più bella particolarità la quale contraddistingua questo pianeta.
Una zona di materia disgregata, ma probabilmente non gasosa, e staccata dal pianeta per una distanza di circa 32 mila chilometri, lo circonda nel piano dell’equatore, estendendosi sopra una larghezza di circa 48 mila chilometri, con una grossezza o spessore non bene determinato che però certamente non sorpassa qualche centinaio di chilometri, fig. 36. Questa zona è costituita da tre anelli concentrici, separati fra loro da intervalli oscuri di sensibile larghezza; e questi stessi anelli sembrerebbero risultare ciascuno di altri più stretti.
Dei tre grandi anelli i due esterni sono assai più luminosi dell’anello interno, il quale sembra piuttosto una nebulosità e che perciò riesce appena visibile ne’ forti telescopi.
Certamente la materia disgregata (nebulosa o pulverulenta), di cui sono composti gli anelli, gira intorno al pianeta, e il tempo della rivoluzione è maggiore per le parti degli anelli che si trovano a maggiori distanze dal centro di Saturno8.
164. I satelliti di Saturno non hanno per noi quell’interesse che hanno quelli di Giove, perchè la loro distanza e piccolezza ci rendono difficile e rara l’osservazione dei loro passaggi e delle loro occultazioni.
Il più vicino al pianeta è poco distante dal lembo esterno dell’anello, e gira intorno a Saturno in meno di un giorno. Il più lontano dista da Saturno 29 diametri di questo pianeta, e compie il suo giro in 79 giorni. Un solo di questi satelliti (cioè il sesto in ordine di distanza da Saturno), è visibile nei piccoli telescopi9.urano.
165. Urano è il settimo dei nostri grandi pianeti, e fu agli antichi ignoto. All’occhio nudo esso appare come una stella di sesta grandezza, e quale stella fu appunto osservato nel 1690 e nel 1756. Solo nel 1781 fu riconosciuto il suo moto proprio apparentemente lentissimo, fu determinata l’orbita sua e scoperta la vera sua natura di pianeta.
Esso si aggira attorno al Sole ad una distanza da esso grandissima, ed in media uguale a 2851 milioni di chilometri; a percorrere la sua vasta orbita impiega 84 anni; visto attraverso ad un cannocchiale, il cui ingrandimento sia di almeno 100 diametri, appare come un dischetto pallido, largo apparentemente soli quattro secondi d’arco, di forma non esattamente circolare ma sensibilmente ovale; il suo diametro reale è più che quattro volte (4,64) quello della Terra, ed uguale quindi a 59171 chilometri.
Poco si può affermare con sicurezza intorno alla rotazione e alla costituzione fisica di Urano; pare che esso, come Giove e come Saturno, ruoti rapidissimamente intorno a sè medesimo, pare che attorno ad esso esista un’atmosfera densa, capace di esercitare sulla luce solare un’efficace azione assorbente.
In quale misura Urano sia ovale, e quale ne sia lo schiacciamento non si può ben dire, alcuni avendolo trovato piccolissimo, altri dando per esso valori che oscillano fra 1:10 e 1:14.
Col maggiore o minore schiacciamento della forma del pianeta è intimamente collegata la maggiore o minore velocità della sua rotazione.
Sul disco di Urano si avvertirono qualche volta macchie pallide e striscie di colore diverso, dalle quali si potè indurre con sicurezza che Urano esso pure ruota rapidissimamente intorno a sè medesimo, ma non si potò con altrettanta sicurezza dedurre il tempo nel quale una rotazione si compie, incertissima essendo la durata di 10 ore circa trovata dall’astronomo Perrotin nel 1883.
L’incertezza delle nozioni nostre su Urano dipende specialmente da ciò che le osservazioni delle apparenze sue sono fra le più difficili, e richiedono, oltrecchè potenza non comune di cannocchiali, condizioni di atmosfera molto buone ed eccezionali. A portare quindi qualche luce sulle nozioni stesse, lasciata la via diretta delle osservazioni, si tentò di recente quella indiretta delle indagini teorico-matematiche.
La teoria insegna che lo schiacciamento delta forma di un pianeta esercita sul movimento dei suoi satelliti un’azione, la quale è accusata da un moto speciale del grand’asse delle orbite loro. Fu quindi sottoposta ad attento esame l’orbita del satellite Ariel (v. il n. 166), e si trovò che il moto annuo del punto di essa orbita più vicino a Urano, in quanto dipende dallo schiacciamento di questo, è uguale a 14 gradi.
L’ellitticità della forma di Urano viene per tal modo confermata e messa fuori di dubbio. Resta ancora incerta la sua misura: secondo le ricerche teoriche fatte, ii numero che meglio esprime lo schiacciamento di Urano sarebbe 1:17; il valore più probabile della durata della rotazione suo sarebbe uguale a 11 ore e mezza.
166. Quattro sono i satelliti di Urano; di alcuni altri satelliti è stata affermata l’esistenza, ma non sufficientemente provata.
I satelliti di Urano presentano una singolarità, ed è che il loro moto di rivoluzione si effettua in un piano quasi perpendicolare a quello dell’orbita del pianeta, mentre tutti gli altri satelliti si muovono press’a poco nello stesso piano che il loro pianeta principale.
Sono fra gli oggetti del cielo più difficili ad essere veduti; furono denominati, Ariel, Umbriel Titania, Oberon.
nettuno.
se altri pianeti esistano al di là di nettuno.
167. Nettuno, l’ultimo nella serie dei pianeti, compie intorno al Sole, e a grande distanza, da esso, una rivoluzione in circa 165 anni (164,78). Esso segna oggi il confine noto del Sistema planetario, e poichè la distanza inedia di Nettuno dal Sole è uguale a 4468 milioni di chilometri, il Sistema planetario si estende ad uno spazio press’a poco circolare, del quale il diametro è di poco inferiore a 9 mila milioni di chilometri; è un diametro immenso ed a percorrerlo una palla da cannone, colla velocità di 500 metri al minuto secondo, impiegherebbe 570 anni.
168. Il diametro di Nettuno è circa 4 volte e mezzo (4,39) il terrestre, epperó Nettuno occupa col corpo suo un volume a riempire il quale occorrerebbero 85 globi grossi come la Terra.
Poco si può dire sulla costituzione fisica di Nettuno; alcuni fatti lasciano pensare che essa sia analoga a quella di Urano.
Finora non si conosce di Nettuno che un solo satellite, il quale compie intorno al pianeta il suo giro nel periodo di poco meno che 6 giorni (5g 21h 2,m7); il suo moto è retrogrado, succede cioè da est verso ovest, ossia nel verso opposto a quello secondo cui si muovono tutti i pianeti ed i satelliti di Saturno, di Giove, di Marte e della Terra.
169. È interessante il fatto della scoperta di Nettuno avvenuta nel 1846. imperocchè prova che, studiate le irregolarità del moto di un pianeta, e trovatane la causa nell’influenza esercitata su di esso da un corpo lontano, incognito, è possibile calcolare gli elementi fisici e astronomici di questo corpo, come la massa, il peso, e la posizione, i quali sono capaci di produrre quell’influenza. Cosi è accaduto per Nettuno che fu trovato dall’astronomo tedesco Galle nel luogo preciso del cielo assegnatogli da Le Verrier, dietro il calcolo delle perturbazioni osservate nel moto di Urano.
169 bis. Se al di là di Nettuno esistano o no uno o più pianeti finora ignoti è questione ardua, della quale astronomi di polso e di riconosciuta competenza si occuparono.
S. Newcomb fu dalle proprie ricerche condotto ad affermare che a spiegare i fatti finora osservati non vi è necessità alcuna di ricorrere all’esistenza di un pianeta trans-nettuniano.
W. Lau, il quale da tempo lavora a correggere le tavole dei movimenti di Urano e di Nettuno lasciate da Le Verrier, afferma: che la teoria di Le Verrier rappresenta perfettamente i movimenti di Urano e di Nettuno; che l’ipotesi di un unico pianeta trans-nettuniano è inammissibile; che a rappresentare i movimenti di Urano e di Nettuno è superfluo ammettere al di là di Nettuno parecchi pianeti perturbatori ignoti; che l’ipotesi di questi diversi pianeti ignoti è inoltre inverosimile, perchè nell’orbita di Nettuno non esistono perturbazioni del raggio vettore (distanza del pianeta dal Sole).
Note
- ↑ Marte nelle suo opposizioni può avvicinarsi alla Terra fino a 59 milioni di chilometri, e può allontanarsene nelle congiunzioni fino a 407.
La distanza fra Marte e la Terra muta da una ad un’altra opposizione, secondo che questa avviene trovandosi il pianeta nell’uno o nell’altro punto dell’orbita sua, e ciò perchè questa essendo ovale e non circolare, ha nei diversi punti suoi distanze diverse dai punti più vicini dell’orbita terrestre.I numeri dati nel testo sono, come più sopra già si notò, numeri medii fra quelli corrispondenti alle singole opposizioni e congiunzioni.
- ↑ Sappiamo ora che il diametro di Phobos misura appena chilometri 9,5; quello di Deimos chilometri 8,4.
- ↑ Massa che è 317 volte circa quella della Terra.
- ↑ Per calcolare questo numero bisogna tener conto, oltre che della massa, anche del diametro del pianeta, che si può ritenere 11 e più volte il diametro terrestre.
- ↑ È famosa fra tali macchie quella apparsa nel mese di luglio del 1878, subitamente cospicua, intensamente rossa, di forma ovale, e situata nell’emisfero australe sul confine fra la zona tropica o temperata del pianeta. Anni e anni perdurò, passando per gradi diversi di splendore. Nel 1902 divenne così pallida che il suo contorno appena lo si poteva seguire con molta incertezza; durante il 1903 scomparve affatto, solo il luogo da essa anteriormente occupato apparve lucido, più splendente assai che ognuna delle fascie del pianeta. Va questa vasta macchia rossa dissolvendosi, oppure è da aspettarsi un prossimo suo ritorno alle apparenze del 1878? È impossibile dare oggi una risposta sicura.
- ↑ 29 anni; 166 giorni e qualche ora.
- ↑ Una macchia osservata su Saturno nel 1876 diede un periodo di rotazione del pianeta uguale a 10h 14m 23s 8: un’altra macchia osservata nel 1903 diede per esso periodo il valore 10h 39m 21s,1.
La macchia del 1876 apparteneva alla zona equatoriale del pianeta, quella del 1903 alla zona che va da 30 a 45 gradi di latitudine boreale.È quindi probabile che in Saturno le macchie sotto diverse latitudini diano durate di rotazione sistematicamente diverse; è probabile ancora che Saturno ruoti più rapidamente all’equatore che sotto latitudini dall’equatore lontane; ma è più ovvio e fondato ammettere che le diverse durate di rotazione dedotte dalle osservazioni di macchie diverse provengono da moti proprii delle macchie stesse contemporanei a quello sistematico prodotto dalla rotazione del pianeta, e da ciò che la superficie di Saturno e forse l’intera sua massa sono in preda a sconvolgimenti continui.
- ↑ Il mirabile insieme degli anelli di Saturno vedesi soltanto con forti cannocchiali.
In esso più volte furono osservate mutazioni notevoli, apparenze nuove, non vedute prima, non rivedute poi. Questa mutabilità è in accordo colle teorie meglio accettate intorno alla costituzione sua.Secondo le medesime, gli anelli di Saturno non possono essere solidi e continui, e, questo ritenuto oramai per fermo e dimostrato, pensano alcuni che essi siano semplici aggregati di materia discontinua, quasi sciami di corpuscoli staccati che si aggirino attorno al pianeta, pensano altri che essi sieno invece masse fluide vischiose, l’oscuro eccettuato che potrebbe anche essere gaseiforme.
- ↑ Dei satelliti di Saturno uno fu scoperto già nel 1665, quattro lo furono fra il 1671 e il 1684, due nel 1789, uno nel 1848. Ordinati secondo le loro distanze crescenti dal pianeta, prendono in astronomia i nomi seguenti:
1. Mimas. 5. Rhea. 2. Encelado. 6. Titano. 3. Teti. 7. Iperione. 4. Dione. 8. Iapeto.