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3 gennaio
modificaL'edera di Grazia Deledda, Camillo Antona Traversi (1923)
Nella parete di fondo, a destra, una porta che comunica con la cucina: da questa, per mezzo di un’apertura, s’intravede un cortile rustico: — a sinistra, una parete posticcia nasconde una scala: — tra la scala e la porta della cucina, una specie d’alcova, formata nel sottoscala, dove sta un tettuccio. — Una tenda mobile davanti all’alcova.
Nella parete di sinistra, una porta di architettura antica comunica con un vestibolo esterno e con la strada: — tra questa e la parete posticcia, una cassa di legno nero scolpita e un guardaroba tarlato contro la falsa parete.
Nella parete di destra, una finestra piuttosto alta, munita d’inferriata, dalla quale si scorge un bosco: — sotto la medesima, un antico canapè, dalla stoffa logora.
Nel centro della stanza, una vecchia tavola di noce. — Qua e là, vecchie sedie scolpite, un guindolo, e altri mobili in cattivo stato. — Quadretti sacri, e armi antiche, alle pareti.
Nell’insieme, deve apparire l’antica dimora di nobili proprietarj sardi decaduti.10 gennaio
modificaRoma sotterranea cristiana di Pellegrino Tonini (1879)
Chi abbia già letto il 2.° tomo dell’Opera, facilmente ricorderà come in quello accennasse il ch.mo A. ad un’ampia sotterranea Necropoli, tra la via Appia e l’Ardeatina, a occidente delle Cripte papali, la quale si aggiunge ed allaccia alla vastissima Callistiana. Allora però ei si studiò solamente di determinarne i veri limiti; e l’egregio fratello Michele dimostrò analiticamente, non con ordinaria dottrina geologica e architettonica, essere una e sola vastissima regione, formata di quattro zone, aggiuntesi successivamente le une alle altre.
Non era, è vero, ignota ai sacri Archeologi questa vasta regione della Callistiana necropoli, e già si conosceva nel sec. XV; se non che rimasta fin qua, non pure anonima (senza cioè un particolare storico nome come le altre) non si conosceva nemmeno il suo proprio ed esatto perimetro: donde tante erronee opinioni ne vennero e in fatto di nome e di topografia.24 gennaio
modificaGastronomia di Archestrato di Gela (Antichità), traduzione dal greco di Domenico Scinà (1842)
Quanto conobbi in viaggiar mostrando
A Grecia tutta, ove miglior si trova
ogni cibo dirò ogni liquore.
Di vivande squisite unica mensa
Accolga tutti, ma di tre o di quattro
O di cinque non più sia la brigata:
Perchè se fosser più cena sarebbe
Di mercenari predator soldati.
Dirotti in prima, o caro Mosco, i doni
Di Cerere, la Dea di bella chioma;
Tu nella mente i detti miei conserva.
31 gennaio
modificaMalombra di Antonio Fogazzaro (1881)
In paese sconosciuto.
Uno dopo l’altro, gli sportelli dei vagoni sono chiusi con impeto; forse, pensa un viaggiatore fantastico, dal ferreo destino che, oramai senza rimedio, porterà via lui e i suoi compagni nelle tenebre. La locomotiva fischia, colpi violenti scoppiano di vagone in vagone sino all’ultimo; il convoglio va lentamente sotto l’ampia tettoia, esce dalla luce dei fanali nell’ombra della notte, dai confusi rumori della grande città nel silenzio delle campagne addormentate; si svolge sbuffando, mostruoso serpente, tra il laberinto delle rotaie, sinchè, trovata la via, precipita per quella ed urla, tutto battiti dal capo alla coda, tutto un tumulto di polsi viventi.
V’ha poca probabilità d’indovinare che cosa pensasse poi quel viaggiatore fantastico, rapito tra fiotti di fumo, stormi di faville, oscure forme d’alberi e di casolari. Forse studiava il senso riposto dei bizzarri ed incomprensibili geroglifici ricamati sopra una borsa da viaggio ritta sul sedile di fronte a lui; poichè vi teneva fissi gli occhi, di tanto in tanto moveva le labbra, come chi tenta un calcolo, e quindi alzava le sopracciglia, come chi trova di riuscire all’assurdo.7 febbraio
modificaIl vecchio della montagna di Grazia Deledda (1920)
Melchiorre Carta saliva la montagna, ritornando al suo ovile.
Era un giovine pastore biondastro, di piccola statura; una ruga gli si disegnava fra le sopracciglia folte e nere, che spiccavano nel fosco giallore del suo volto contornato da una rada barbetta rossiccia. Anche la sopragiacca di cuoio del suo costume era giallognola, e il cavallino che egli montava era rossastro, tozzo, angoloso e pensieroso come il suo padrone.
Melchiorre era un giovine di buoni costumi e d’ottima fama; molto spensierato ed allegro non lo era mai stato, ma da qualche tempo si mostrava più taciturno del solito, e si sentiva quasi malvagio, perchè sua cugina Paska lo aveva abbandonato alla vigilia delle loro nozze. E senza motivo! Così, solo perchè ella si era improvvisamente accorta di essere graziosa e corteggiata anche da giovani signori.14 febbraio
modificaL'Esclusa di Luigi Pirandello (1901)
Sotto la cappa del camino, ch’era come una mezza tramoggia enorme rovesciata, la vecchia Pentàgora, quella sera, borbottava tra sè più del solito, mordicchiando le còcche del grosso fazzoletto nero, di lana, che teneva in capo, annodato sotto il mento.
Come se le stipe e i tizzoni, scoppiettando, cigolando o levando fanfaluche, le parlassero, ella soleva tutto il giorno, lì, aggrondata e ingrugnata, far lunghi discorsi col fuoco, e ogni tanto gestiva a scatti, con le mani secche, nere, dalle dita agilissime. Parlava continuamente così, tra sè, fondendo le parole precipitose, quasi imitasse un ruzzolìo di fusi.
Le rare volte che si levava dal canto del fuoco e andava a ronzare come un moscone per casa, pareva s’aggirasse in un sogno smanioso, con gli occhi senza sguardo, le dita sempre irrequiete. Scopriva talvolta.... non si sapeva che cosa, nei muri, per terra, per aria: si arrestava incantata a mirare con gli occhi chiari, ilari, parlanti; la faccia cotta dal fuoco le si allargava in un sorriso di beatitudine, che destava una certa invidia mista di costernazione pure in coloro che la commiseravano.21 febbraio
modificaLe Ferrovie di Filippo Tajani (1911)
L’invenzione delle ferrovie.
Le prime vie di ferro. — Avrete certamente notato che alcune vecchie strade non selciate son munite di due liste di pietra levigata e dura, che servono a rendere più agevole il passaggio dei carri, impedendo che le ruote affondino nel terreno. In questo antichissimo costume, dovuto ad un concetto di estrema semplicità, si può riconoscere l’origine della strada ferrata.
Nelle miniere di carbone inglesi e germaniche anzichè alle liste di pietra, più comuni nei nostri paesi, si soleva ricorrere, sempre allo scopo di rendere più facile il passaggio dei carri, a file di tavoloni su cui si facevano correre le ruote. Così, del resto, si fa anche attualmente nei lavori di sterro, quando il trasporto delle materie scavate ha luogo con carriuole a mano o con carretti a cavalli su sentieri provvisori. In Inghilterra, dove il ferro abbonda, sorse facilmente l’idea di sostituire al legno, che si consuma rapidamente, regoli di ghisa: si ebbero così le prime rotaie.28 febbraio
modificaAnime oneste di Grazia Deledda (1905)
Orolà è una piccola sotto-prefettura sarda, nella provincia di Sassari. Città fiorentissima sotto i Romani, decaduta poi per le scorrerie dei Saraceni, risorse sotto il dominio dei Barisone, giudici o re di Torres, e si mantenne forte sino all’abolizione dei feudi in Sardegna, avvenuta nella prima metà di questo secolo.
Nel censimento delle popolazioni sarde, fatto da Arrius, illustre ploaghese che visitò le 42 città dell’isola ai tempi del console Marco Tullio Cicerone (116-43 a. C.), Orolà figurava per cento mila abitanti, tra l’urbe, i castelli e i villaggi sottoposti, e Antonio di Tharros, nella relazione dei saccheggi saraceni, parla di grandi vestigi lasciati dai Romani in Orolà, fra cui magnifiche terme costrutte sotto il pretore M. Azio Balbo. Al presente Orolà non conserva alcun ricordo della dominazione Romana, tranne che nel costume e nel dialetto latino, e i suoi abitanti sono appena sei o sette mila. Il suo solo monumento è Santa Croce, vecchia chiesa pisana del 1100, con affreschi del Mugano, pittore sardo del secolo XVII.6 marzo
modificaAnnalena Bilsini di Grazia Deledda (1927)
Era una famiglia numerosa: cinque figli maschi, la madre vedova, e uno zio di lei, che, sebbene mezzo paralitico e senza un soldo di suo, poteva dirsene il capo.
Appunto per i consigli dello zio Dionisio, i Bilsini avevano venduto la loro piccola proprietà per prendere in affitto un vasto fondo, già antico feudo gentilizio che, di decadenza in decadenza, acquistato in ultimo a vile prezzo da un fabbricante di scope, veniva da questi concesso a modestissime condizioni annuali: cento dieci lire la biolca, due capponi, quaranta uova d’inverno e un cestino d’uva da tavola d’estate.
Da anni questa terra giaceva in abbandono, eppure i Bilsini vi andavano come verso la Terra Promessa, o meglio come verso una miniera da sfruttare: poichè sapevano che solo laggiù la loro attività e la forza prorompente dalla loro giovinezza potevano esplicarsi e convertirsi in oro.3 aprile
modificaIl cappello del prete di Emilio De Marchi (1888)
A vent’anni voleva farsi frate, ma imbattutosi in un dotto scienziato francese, un certo dottor Panterre, perseguitato dal governo di Napoleone III per la sua propaganda materialistica ed anarchica, colla fantasia rapida e violenta propria dei meridionali, si innamorò delle dottrine del bizzarro cospiratore, che aveva anche una testa curiosa, tutta osso, con due occhiacci di falco, insomma un terribile fascinatore.
Per qualche anno il barone, detto «u barone», lesse dei libri e prese la scienza sul serio: ma non sarebbe stato lui, se avesse per amore della scienza rinunciato alle belle donne, al giuoco, al buon vino del Vesuvio, e ai cari amici. Il libertino prese la mano sul frate e sul nichilista, e dalla fusione di questi tre uomini uscì «u barone» unico nel suo genere, gran giuocatore, gran fumatore, gran bestemmiatore in faccia all’eterno. Nulla, e nello stesso tempo amabile camerata, idolo delle donne, coraggioso come un negro, e a certe lune fantastico come un bramino.10 aprile
modificaOsservazioni critiche intorno ad alcune pratiche comunemente seguite nell'educazione del baco da seta di Gaetano Cantoni (1847)
17 aprile
modificaDescrizione della patria del Friuli di Marin Sanudo il Giovane (1502-1503)
24 aprile
modificaGianni di Parigi di Felice Romani (1839)
Sala nella Locanda ec.
Coro d’inservienti e donne addette alla locanda,
che vanno assettando la sala unitamente a Lorezza.
Su, sbrighiamoci, spazziamo;
Attenzione, diligenza.
Qui le tavole accostiamo,
Là posiamo la credenza;
Ogni cosa sia disposta
Con decenza — e proprietà...
La locanda della posta
Una reggia sembrerà.
Se sapeste a chi s’infiora
Questo albergo fortunato,
Se vedeste la signora
Cui l’alloggio è preparato,
Voi direste: ci vuol altro
Per cotanta maestà!
1 maggio (duplicato)
modificaL'edera di Grazia Deledda, Camillo Antona Traversi (1923)
Nella parete di fondo, a destra, una porta che comunica con la cucina: da questa, per mezzo di un’apertura, s’intravede un cortile rustico: — a sinistra, una parete posticcia nasconde una scala: — tra la scala e la porta della cucina, una specie d’alcova, formata nel sottoscala, dove sta un tettuccio. — Una tenda mobile davanti all’alcova.
Nella parete di sinistra, una porta di architettura antica comunica con un vestibolo esterno e con la strada: — tra questa e la parete posticcia, una cassa di legno nero scolpita e un guardaroba tarlato contro la falsa parete.
Nella parete di destra, una finestra piuttosto alta, munita d’inferriata, dalla quale si scorge un bosco: — sotto la medesima, un antico canapè, dalla stoffa logora.
Nel centro della stanza, una vecchia tavola di noce. — Qua e là, vecchie sedie scolpite, un guindolo, e altri mobili in cattivo stato. — Quadretti sacri, e armi antiche, alle pareti.
Nell’insieme, deve apparire l’antica dimora di nobili proprietarj sardi decaduti.8 maggio (duplicato)
modificaRoma sotterranea cristiana di Pellegrino Tonini (1879)
Chi abbia già letto il 2.° tomo dell’Opera, facilmente ricorderà come in quello accennasse il ch.mo A. ad un’ampia sotterranea Necropoli, tra la via Appia e l’Ardeatina, a occidente delle Cripte papali, la quale si aggiunge ed allaccia alla vastissima Callistiana. Allora però ei si studiò solamente di determinarne i veri limiti; e l’egregio fratello Michele dimostrò analiticamente, non con ordinaria dottrina geologica e architettonica, essere una e sola vastissima regione, formata di quattro zone, aggiuntesi successivamente le une alle altre.
Non era, è vero, ignota ai sacri Archeologi questa vasta regione della Callistiana necropoli, e già si conosceva nel sec. XV; se non che rimasta fin qua, non pure anonima (senza cioè un particolare storico nome come le altre) non si conosceva nemmeno il suo proprio ed esatto perimetro: donde tante erronee opinioni ne vennero e in fatto di nome e di topografia.15 maggio (duplicato)
modificaGastronomia di Archestrato di Gela (Antichità), traduzione dal greco di Domenico Scinà (1842)
Quanto conobbi in viaggiar mostrando
A Grecia tutta, ove miglior si trova
ogni cibo dirò ogni liquore.
Di vivande squisite unica mensa
Accolga tutti, ma di tre o di quattro
O di cinque non più sia la brigata:
Perchè se fosser più cena sarebbe
Di mercenari predator soldati.
Dirotti in prima, o caro Mosco, i doni
Di Cerere, la Dea di bella chioma;
Tu nella mente i detti miei conserva.
22 maggio (duplicato)
modificaMalombra di Antonio Fogazzaro (1881)
In paese sconosciuto.
Uno dopo l’altro, gli sportelli dei vagoni sono chiusi con impeto; forse, pensa un viaggiatore fantastico, dal ferreo destino che, oramai senza rimedio, porterà via lui e i suoi compagni nelle tenebre. La locomotiva fischia, colpi violenti scoppiano di vagone in vagone sino all’ultimo; il convoglio va lentamente sotto l’ampia tettoia, esce dalla luce dei fanali nell’ombra della notte, dai confusi rumori della grande città nel silenzio delle campagne addormentate; si svolge sbuffando, mostruoso serpente, tra il laberinto delle rotaie, sinchè, trovata la via, precipita per quella ed urla, tutto battiti dal capo alla coda, tutto un tumulto di polsi viventi.
V’ha poca probabilità d’indovinare che cosa pensasse poi quel viaggiatore fantastico, rapito tra fiotti di fumo, stormi di faville, oscure forme d’alberi e di casolari. Forse studiava il senso riposto dei bizzarri ed incomprensibili geroglifici ricamati sopra una borsa da viaggio ritta sul sedile di fronte a lui; poichè vi teneva fissi gli occhi, di tanto in tanto moveva le labbra, come chi tenta un calcolo, e quindi alzava le sopracciglia, come chi trova di riuscire all’assurdo.29 maggio (duplicato)
modificaIl vecchio della montagna di Grazia Deledda (1920)
Melchiorre Carta saliva la montagna, ritornando al suo ovile.
Era un giovine pastore biondastro, di piccola statura; una ruga gli si disegnava fra le sopracciglia folte e nere, che spiccavano nel fosco giallore del suo volto contornato da una rada barbetta rossiccia. Anche la sopragiacca di cuoio del suo costume era giallognola, e il cavallino che egli montava era rossastro, tozzo, angoloso e pensieroso come il suo padrone.
Melchiorre era un giovine di buoni costumi e d’ottima fama; molto spensierato ed allegro non lo era mai stato, ma da qualche tempo si mostrava più taciturno del solito, e si sentiva quasi malvagio, perchè sua cugina Paska lo aveva abbandonato alla vigilia delle loro nozze. E senza motivo! Così, solo perchè ella si era improvvisamente accorta di essere graziosa e corteggiata anche da giovani signori.5 giugno (duplicato)
modificaL'Esclusa di Luigi Pirandello (1901)
Sotto la cappa del camino, ch’era come una mezza tramoggia enorme rovesciata, la vecchia Pentàgora, quella sera, borbottava tra sè più del solito, mordicchiando le còcche del grosso fazzoletto nero, di lana, che teneva in capo, annodato sotto il mento.
Come se le stipe e i tizzoni, scoppiettando, cigolando o levando fanfaluche, le parlassero, ella soleva tutto il giorno, lì, aggrondata e ingrugnata, far lunghi discorsi col fuoco, e ogni tanto gestiva a scatti, con le mani secche, nere, dalle dita agilissime. Parlava continuamente così, tra sè, fondendo le parole precipitose, quasi imitasse un ruzzolìo di fusi.
Le rare volte che si levava dal canto del fuoco e andava a ronzare come un moscone per casa, pareva s’aggirasse in un sogno smanioso, con gli occhi senza sguardo, le dita sempre irrequiete. Scopriva talvolta.... non si sapeva che cosa, nei muri, per terra, per aria: si arrestava incantata a mirare con gli occhi chiari, ilari, parlanti; la faccia cotta dal fuoco le si allargava in un sorriso di beatitudine, che destava una certa invidia mista di costernazione pure in coloro che la commiseravano.12 giugno (duplicato)
modificaLe Ferrovie di Filippo Tajani (1911)
L’invenzione delle ferrovie.
Le prime vie di ferro. — Avrete certamente notato che alcune vecchie strade non selciate son munite di due liste di pietra levigata e dura, che servono a rendere più agevole il passaggio dei carri, impedendo che le ruote affondino nel terreno. In questo antichissimo costume, dovuto ad un concetto di estrema semplicità, si può riconoscere l’origine della strada ferrata.
Nelle miniere di carbone inglesi e germaniche anzichè alle liste di pietra, più comuni nei nostri paesi, si soleva ricorrere, sempre allo scopo di rendere più facile il passaggio dei carri, a file di tavoloni su cui si facevano correre le ruote. Così, del resto, si fa anche attualmente nei lavori di sterro, quando il trasporto delle materie scavate ha luogo con carriuole a mano o con carretti a cavalli su sentieri provvisori. In Inghilterra, dove il ferro abbonda, sorse facilmente l’idea di sostituire al legno, che si consuma rapidamente, regoli di ghisa: si ebbero così le prime rotaie.19 giugno (duplicato)
modificaAnime oneste di Grazia Deledda (1905)
Orolà è una piccola sotto-prefettura sarda, nella provincia di Sassari. Città fiorentissima sotto i Romani, decaduta poi per le scorrerie dei Saraceni, risorse sotto il dominio dei Barisone, giudici o re di Torres, e si mantenne forte sino all’abolizione dei feudi in Sardegna, avvenuta nella prima metà di questo secolo.
Nel censimento delle popolazioni sarde, fatto da Arrius, illustre ploaghese che visitò le 42 città dell’isola ai tempi del console Marco Tullio Cicerone (116-43 a. C.), Orolà figurava per cento mila abitanti, tra l’urbe, i castelli e i villaggi sottoposti, e Antonio di Tharros, nella relazione dei saccheggi saraceni, parla di grandi vestigi lasciati dai Romani in Orolà, fra cui magnifiche terme costrutte sotto il pretore M. Azio Balbo. Al presente Orolà non conserva alcun ricordo della dominazione Romana, tranne che nel costume e nel dialetto latino, e i suoi abitanti sono appena sei o sette mila. Il suo solo monumento è Santa Croce, vecchia chiesa pisana del 1100, con affreschi del Mugano, pittore sardo del secolo XVII.26 giugno
modificaLe piacevoli notti di Giovanni Francesco Straparola (1550-1553)
3 luglio
modificaOsservazioni intorno alle vipere di Francesco Redi (1664)
OGNI giorno più mi vado confermando nel mio proposito di non voler dar fede nelle cose naturali, se non a quello che con gli occhi miei propri io vedo, e se dall’iterata, e reiterata esperienza non mi venga confermato: imperciocche sempre più m’accorgo, che difficilissima cosa è lo spiare la verità frodata sovente dalla menzogna, e che molti Scrittori, tanto antichi, quanto moderni somigliano a quelle pecorelle, delle quali il nostro Divino Poeta
Come le pecorelle escon dal chiuso
Ad una, a due, a tre, e l’altre stanno
Timidette atterrando l’occhio, e’l muso,
E ciò che fa la prima, e l’altre fanno
Addossandosi a lei, s’ella s’arresta
Semplici, e quete, e lo ’mperche non sanno.
10 luglio
modificaEnrico IV di Luigi Pirandello (1922)
Salone nella villa rigidamente parato in modo da figurare quella che potè essere la sala del trono di Enrico IV nella casa imperiale di Goslar. Ma in mezzo agli antichi arredi due grandi ritratti a olio moderni, di grandezza naturale, avventano dalla parete di fondo, collocati a poca altezza dal suolo su uno zoccolo di legno lavorato che corre lungo tutta la parete (largo e sporgente in modo da potercisi mettere a sedere come su una lunga panconata), uno a destra e uno a sinistra del trono che, nel mezzo della parete, interrompe lo zoccolo e vi si inserisce col suo seggio imperiale e il suo basso baldacchino. I due ritratti rappresentano un signore e una signora, giovani entrambi, camuffati in costume carnevalesco, l’uno da «Enrico IV» e l’altra da «Marchesa Matilde di Toscana». Usci a destra e a sinistra.
(Al levarsi della tela i due valletti, come sorpresi, balzano dallo zoccolo su cui stanno sdraiati, e vanno a impostarsi come statue, uno di qua e uno di là ai piedi del trono, con le loro alabarde. Poco dopo, dal secondo uscio a destra entrano Arialdo, Landolfo, Ordulfo e Bertoldo; giovani stipendiati dal marchese Carlo di Nolli perchè fingano le parti di «Consiglieri segreti», vassalli regali della bassa aristocrazia alla Corte di Enrico IV. Vestono perciò in costume di cavalieri tedeschi del secolo XI. L’ultimo, Bertoldo, di nome Fino, assume ora per la prima volta il servizio. E tre compagni lo ragguagliano, pigliandoselo a godere. Tutta la scena va recitata con estrosa vivacità).17 luglio
modificaI sette vizi capitali descritti in verso sciolto di Vincenzo Sisco (1864)
Sovra scanno dorato, empia ti siedi
E fastosa ti mostri in faccia al mondo:
Ricco drappo ti copre il tristo core,
Ma sulla fronte mostri il rio peccato;
Colpa che macchia, e disadorna l’alma
Di quel fraterno amor che Cristo impose
Agli uomini tutti in su la Croce!
E il vile orgoglio ch’entro te rinserri,
Che tutto fa parere a te soggetto,
Sogno è per te fatale e menzognero.
24 luglio
modificaIl Dio dei viventi di Grazia Deledda (1922)
Marco, XII.
Le cose erano andate come la famiglia Barcai sperava. Il fratello maggiore, Basilio, scapolo ma padre di un figlio illegittimo, era morto senza lasciare testamento. Così i suoi beni tornavano al fratello minore Zebedeo; il patrimonio Barcai si ricomponeva come ai tempi del vecchio nonno il quale aveva costretto due suoi figliuoli a farsi preti e una figlia a non prendere marito perchè i suoi beni non andassero divisi.
E la tradizione prometteva di continuare perchè Zebedeo non aveva che un figlio e la gente diceva che quel figlio era rimasto unico per volontà dei genitori nella speranza appunto che lo zio morisse scapolo.
Le cose erano dunque andate come si prevedeva e la gente, data la tradizione dei Barcai, non si meravigliava della poca coscienza di Basilio, il quale non aveva lasciato nulla al figlio, e che d’altronde era morto d’improvviso d’un male al cuore da lui sempre trascurato.31 luglio
modificaStatuto della Società di Scherma in Verona
La Società di Scherma costituita dal maestro Perez non ha altro scopo che lo studio della scherma.
Art. 2.
Il maestro della Società è il signor Giuseppe Perez summentovato.
Art. 3.
Ogni socio pagherà mensilmente lire cinque anticipate, senza nessuna spesa di buono ingresso.
Art. 4.
Detta somma verrà raccolta e versata al maestro, il quale detrattene le spese di fitto di sala, illuminazione e salario di un inserviente, riterrà la rimanenza a titolo di emolumento.
Art. 5.
Ogni socio è obbligato per un anno a far parte della Società a decorrere dal giorno che essa è definitivamente costituita; per coloro poi che verranno posteriormente ammessi, l'obbligo di un anno decorre dalla data d'ammissione alla Società.7 agosto
modificaBestie di Federigo Tozzi (1917)
Che chiarità tranquille per queste campagne, che si mettono stese per stare più comode! Che silenzii là dall’orizzonte e dentro di me!
La strada per tornare a Siena è là. Vado.
Le case si facciano un poco a dietro, e quel mendicante non mi cada addosso. Almeno, l’altro è seduto per terra! Dio mio, tutte queste case! Più in là, più in là! Arriverò dove trovare un poco di dolcezza!
Dio mio, queste case mi si butteranno addosso! Ma un’allodola è rimasta chiusa dentro l’anima, e la sento svolazzare per escire. E la sento cantare.
Verso il settentrione; dov’è di notte l’orsa, dove la luna non va mai!14 agosto
modificaL'anno 3000 di Paolo Mantegazza (1897)
È una navicella mossa dall’elettricità. Due comode poltrone stanno nel mezzo e con uno scattar di molla si convertono in comodissimi letti. Davanti ad esse una bussola, un tavolino e un quadrante colle tre parole: moto, calore, luce.
Toccando un tasto l’aerotaco si mette in moto e si gradua la velocità, che può giungere a 150 chilometri all’ora. Toccando un altro tasto si riscalda l’ambiente alla temperatura che si desidera, e premendo un terzo si illumina la navicella. Un semplice commutatore trasforma l’elettricità in calore, in luce, in movimento; come vi piace.
Nelle pareti dell’aerotaco eran condensate tante provviste, che bastavano per dieci giorni. Succhi condensati di albuminoidi e di idruri di carbonio, che rappresentano chilogrammi di carne e di verdura; eteri coobatissimi, che rifanno i profumi di tutti i fiori più odorosi, di tutte le frutta più squisite. Una piccola cantina conteneva una lauta provvista di tre elisiri, che eccitano i centri cerebrali, che presiedono alle massime forze della vita; il pensiero, il movimento e l’amore.21 agosto
modificaLa signora dalle camelie di Alexandre Dumas (1852), traduzione dal francese di Luigi Enrico Tettoni (1883)
Gabinetto in casa di Margherita. — Una porta al fondo. — A destra un cammino. A sinistra una tavola rotonda. — Fra la porta del fondo ed una laterale, a sinistra, una porta aperta, che lascia vedere una tavola, sopra della quale vi sono candelabri. — Sul davanti un piano-forte, poltrone, sedie, ecc.
SCENA PRIMA
Nanetta al tavolo che lavora, Varville appoggiato al cammino.
Varville. Qualcuno che ha suonato.
Nanetta. (lasciando il lavoro) Valentino è già andato ad aprire.
Varville. Sarà senza dubbio Margherita.
Nanetta. Non lo credo, perchè non sono ancora le dieci, e prima d’uscire mi disse che non sarebbe rientrata che verso le undici... Oh! è madamigella Erminia.28 agosto
modificaTrattato della neve e del bere fresco di Nicolás Monardes (1574), traduzione dallo spagnolo di Giovan Battista Scarampo (1574)
4 settembre
modificaLa cucina futurista di Filippo Tommaso Marinetti, Fillia (1932)
Questa nostra cucina futurista, regolata come il motore di un idrovolante per alte velocità, sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti pazzesca e pericolosa: essa invece vuole finalmente creare un’armonia tra il palato degli uomini e la loro vita di oggi e di domani.
Salvo le eccezioni decantate e leggendarie, gli uomini si sono nutriti finora come le formiche, i topi, i gatti e i buoi. Nasce con noi futuristi la prima cucina umana, cioè l’arte di alimentarsi. Come tutte le arti, essa esclude il plagio ed esige l’originalità creativa.11 settembre
modificaIl crepuscolo degli idoli di Friedrich Nietzsche (1889), traduzione dal tedesco di Anonimo (1924)
18 settembre
modificaIl libro delle vergini di Gabriele D'Annunzio (1884)
Il viatico uscì dalla porta della chiesa a mezzogiorno. Su tutte le strade era la primizia della neve, su tutte le case era la neve. Ma in alto grandi isole azzurre apparivano tra le nuvole nevose, si dilatavano su ’l palazzo di Brina lentamente, s’illuminavano verso la Bandiera. E nell’aria bianca, su ’l paese bianco appariva ora subitamente letificante il miracolo del sole.
Il viatico s’incamminava alla casa di Giuliana: la gente si fermava a veder passare il prete incedente a capo nudo, con la stola violacea, sotto l’ampio ombrello scarlatto, tra le lanterne portate dai clerici accese. La campanella squillava limpidamente accompagnando i salmi sussurrati dal prete. I cani vagabondi si scansavano nei vicoli al passaggio; Mazzanti cessò di ammucchiare la neve all’angolo della piazza e si scoprì la calvizie inchinandosi. Si spandeva in quel punto dal forno di Flajano nell’aria l’odore caldo e sano del pane recente, quell’odore che éccita il palato.25 settembre
modificaLe nebule di Aristofane (424 a.C.), traduzione dal greco di Bartolomio Rositini, Pietro Rositini (1545)
Strepsiade
ime, oime, ò signor Giove quanto sono lunghe le notti: non si farà hormai dì e pur un buon pezzo è, ch’io hò udito il gallo, e i famigli runchegiano, ma non già da quì in dietro, ò guerra rea per causa de molti, vatene in mal’hora, per ciò che à me non è lecito à punire i servidori. ma ne anche questo da ben giovane di notte si lieva, anzi poltronegia in cinque schiavine involtosi. e se à noi pare, runchegiamo coperti: ma io infelice già dormir non posso, punto, e morduto da la spesa, e da la stalla, e da’l debito, per questo mio figliuolo. & egli con suoi bei capelli se ne cavalca, e su’l cocchio si fà menare, e cavalli s’infogna: io poi mi muoro, vedendo che la Luna s’invecchia: però che le usure s’approssimano. impizza regazo il lume, e portami il libro da i conti, che voglio sapere à quanti sono debitore, e voglio vedere il conto de le usure. sù, ch’io vega quel che son debitore. Dodeci mine à Pasia: in che modo dodeci mine à Pasia? ch’hò io adoperato? quando comprai io cavallo bollato co’l x? ahi me sventurato, piacesse à i dei che m’havesse tratto fuora piu presto un’occhio con questo sasso.2 ottobre
modificaIl sigillo d'amore di Grazia Deledda (1926)
Aveva appena finito di predicare, il grosso frate barbuto, e se ne tornava al convento, anzi del convento già rasentava il muro dell’orto, di sopra del quale le nuvole bianche dei peri e dei susini in fiore lasciavano cadere una silenziosa nevicata di petali sul marciapiede deserto. Sul marciapiede opposto, di là dalla strada larga dove il sole già caldo sebbene al tramonto e un venticello che sapeva ancora di neve giocavano un loro gioco malizioso e sensuale, solo una donna passava quasi di corsa, agitata, con le mani gesticolanti, le falde della giacca che si aprivano e si chiudevano come due ali nere di sopra e viola di sotto.
Rimasto indietro di qualche passo, il frate si accorse che la borsetta rotonda oscillante come un pendolo sotto il braccio della donna, apriva la bocca con uno sbadiglio smorfioso e vomitava un portafogli rossastro.9 ottobre (duplicato)
modificaLe piacevoli notti di Giovanni Francesco Straparola (1550-1553)
16 ottobre (duplicato)
modificaOsservazioni intorno alle vipere di Francesco Redi (1664)
OGNI giorno più mi vado confermando nel mio proposito di non voler dar fede nelle cose naturali, se non a quello che con gli occhi miei propri io vedo, e se dall’iterata, e reiterata esperienza non mi venga confermato: imperciocche sempre più m’accorgo, che difficilissima cosa è lo spiare la verità frodata sovente dalla menzogna, e che molti Scrittori, tanto antichi, quanto moderni somigliano a quelle pecorelle, delle quali il nostro Divino Poeta
Come le pecorelle escon dal chiuso
Ad una, a due, a tre, e l’altre stanno
Timidette atterrando l’occhio, e’l muso,
E ciò che fa la prima, e l’altre fanno
Addossandosi a lei, s’ella s’arresta
Semplici, e quete, e lo ’mperche non sanno.
23 ottobre (duplicato)
modificaEnrico IV di Luigi Pirandello (1922)
Salone nella villa rigidamente parato in modo da figurare quella che potè essere la sala del trono di Enrico IV nella casa imperiale di Goslar. Ma in mezzo agli antichi arredi due grandi ritratti a olio moderni, di grandezza naturale, avventano dalla parete di fondo, collocati a poca altezza dal suolo su uno zoccolo di legno lavorato che corre lungo tutta la parete (largo e sporgente in modo da potercisi mettere a sedere come su una lunga panconata), uno a destra e uno a sinistra del trono che, nel mezzo della parete, interrompe lo zoccolo e vi si inserisce col suo seggio imperiale e il suo basso baldacchino. I due ritratti rappresentano un signore e una signora, giovani entrambi, camuffati in costume carnevalesco, l’uno da «Enrico IV» e l’altra da «Marchesa Matilde di Toscana». Usci a destra e a sinistra.
(Al levarsi della tela i due valletti, come sorpresi, balzano dallo zoccolo su cui stanno sdraiati, e vanno a impostarsi come statue, uno di qua e uno di là ai piedi del trono, con le loro alabarde. Poco dopo, dal secondo uscio a destra entrano Arialdo, Landolfo, Ordulfo e Bertoldo; giovani stipendiati dal marchese Carlo di Nolli perchè fingano le parti di «Consiglieri segreti», vassalli regali della bassa aristocrazia alla Corte di Enrico IV. Vestono perciò in costume di cavalieri tedeschi del secolo XI. L’ultimo, Bertoldo, di nome Fino, assume ora per la prima volta il servizio. E tre compagni lo ragguagliano, pigliandoselo a godere. Tutta la scena va recitata con estrosa vivacità).30 ottobre
modificaLe congreganti di Aristofane (391 a.C.), traduzione dal greco di Bartolomio Rositini, Pietro Rositini (1545)
PRASSAGORA.
6 novembre
modificaDracula di Bram Stoker (1897), traduzione dall'inglese di Angelo Nessi (1922)
8 novembre
modificaGioventù italiana del littorio di Achille Starace (1939)
«La Gioventú italiana del Littorio, organizzazione unitaria e totalitaria delle forze giovanili del Regime fascista, è istituita in seno al Partito nazionale fascista, alla diretta dipendenza del Segretario del Partito nazionale fascista, Ministro Segretario di Stato, che ne è il Comandante generale.
«La Gioventú italiana del Littorio ha per motto: Credere - obbedire - combattere».
I compiti che la Gioventú italiana del Littorio svolge a favore dei giovani sono cosi delineati nell'art. 5:
«a) preparazione spirituale, sportiva e premilitare;
«b) insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole elementari e medie, secondo i programmi da essa predisposti di concerto col Ministro dell’Educazione nazionale;
«c) istituzione e funzionamento di corsi, scuole, collegi, accademie, aventi attinenza con le finalità della Gioventú italiana del Littorio;
«d) assistenza svolta essenzialmente attraverso i campi, le colonie climatiche, il patronato scolastico, o con altri mezzi disposti dal Segretario del Partito nazionale fascista, Ministro Segretario di Stato, Comandante generale;
«e) organizzazione di viaggi e crociere.»13 novembre
modificaL'umorismo di Luigi Pirandello (1908)
20 novembre
modificaLa Natura di Tito Lucrezio Caro (I secolo a.C.), traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1880)
O degli Eneadi madre, o degli umani,
Dei Numi voluttà, Venere bella,
Che il navigero mar, che l’ubertose
Terre, del ciel sotto i volgenti segni,
Popoli, chè per te concètto e nato
Del Sole a’ raggi ogni animal si allegra;
Te, dea, fuggono i venti, al tuo venire
Te le nubi del cielo; a te sommette
Fiori suavi la dedalea terra;
A te ridon le vaste onde, e sereno
D’una luce diffusa il ciel risplende.
27 novembre
modificaLo cunto de li cunti di Giambattista Basile (1534-1536)
4 dicembre
modificaAtlantide di Mario Rapisardi (1894)
11 dicembre
modificaDalle dita al calcolatore di Alberto Campiglio, Vincenzo Eugeni (1990)
Darò un ordine alle poche pagine suddividendo la storia in alcune tappe.
La spontaneità biologica, n. 1
È sempre utile ricordare come l’uomo operi in quattro modi: a) fa certe cose sapendo di farle e sapendo come; b) sapendo di farle, ma non come; c) non sapendo nemmeno di farle; ed infine d) credendo di farle in un modo e facendole in un altro.
L’uomo può credere, per esempio come Kronecker, che, pur essendosi fabbricato tutto, abbia ricevuto già fatti i numeri o, come Cantor, che non avendoli ricevuti già fatti, se li sia apprestati confrontando fra loro due collezioni non numerate (Platone ne avrebbe messa almeno una in cielo!).18 dicembre
modificaL'astronomo Giuseppe Piazzi di Baccio Emanuele Maineri (1871)
25 dicembre
modificaTre croci di Federigo Tozzi (1920)
— Niccolò! Déstati!
Quegli fece una specie di grugnito, bestemmiò, si tirò più giù la tesa del cappello; e richiuse gli occhi. Stava accoccolato su una sedia, con le mani in tasca dei calzoni e la testa appoggiata a uno scaffale della libreria; vicino a una cassapanca antica, che tenevano lì in mostra per i forestieri, tutta ingombra di vasi, di piatti e di pitture.
— Ohé! Non ti vergogni a dormire! È tutta la mattina! Fai rabbia!
Niccolò, allora, si sdrusciò forte le labbra e aprì gli occhi guardando il fratello.
— Ma che vuoi? Io, fino all’ora di mangiare, dormo!
— Volevo dirti che io devo andare alla banca! Stamani, c’è un rinnovo.
Niccolò fece una sbuffata e rispose:
— Vai! C’era bisogno di destarmi?
— Alla bottega chi ci bada?
— A quest’ora, non viene nessun imbecille a comprare i libri! Vai! Ci bado io!