Vita di Cecilia De' Vecchi nata Carrara-Beroa/II
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§. II.
Suo maritaggio, e stato conjugale.
L’elezione dello stato di vita è stata da Dio data sì propria a chi deve farla che precisamente nessuna autorità vi può portare la sua forza; ed i genitori a’ quali è stata dal Creatore affidata la direzione, e disciplina de’
figli, e che hanno ricevuto un pieno diritto di essere obbedienti, in questo articolo non hanno che l’obbligo, e il diritto di dare consiglio, non mai quello di comandare, o d’essere obbediti. Ma la nostra Cecilia era senza volontà, e senza elezione; lo spoglio di questa era in lei contemporaneo all’epoca dei primi giorni di sua ragione, e per questo l’elezione del suo stato non dovea aver altro del suo che un esercizio eroico del costante annientamento del libero arbitrio.
Era allora da qualche tempo rimasto vedovo per la morte di Lucrezia Pesenti sua consorte Luca de Vecchi, uomo ricco, ed unico dell’illustre sua famiglia, di carattere quanto amabile, e pacifico, altrettanto sincero, ed aperto, fatto sul taglio di una sana e colta filosofia, amico delle lettere e della Religione, passionato per la caccia, e per far godere splendidamente le sue delizie a’ suoi amici, ed a chi appartiene al suo cuore: questi, il quale come era nemico della zotica melensaggine, e di un certo carattere incolto, non eguale al lustro del proprio stato, così lo era di quella bizzarria leggera, che senza fondo di vera virtù mette tutto il lustro in una inutile spiritosa brillanterìa donnesca, figlia per lo più o di poco intendimento, o di viziosa educazione, o di temperamento di difficile riuscita, e certo non adattata al genio di un uomo saggio, discreto, e ragionatore; e avendo dal grido universale sentito farsi elogj del carattere della nostra Cecilia, e come bella (era la sua bellezza sul gusto delle più belle immagini che si vedano di Maria Vergine), e come gratissima, e come quieta e tranquilla, e come virtuosa, e piena di talento e di spirito, e come colta, e nemica delle leggerezze, e come non mancante di quegli ornamenti, che ad una giovine del suo rango erano convenevoli, la fece ricercare per sua sposa. Casa Beroa che ben conoscea le qualità dell’onorato de Vecchi accettò il partito, a condizione che Cecilia fosse contenta.
Ma due cose ostavano: Cecilia vorrà ella maritarsi? Certo che una vita così angelica, un’anima che non avea mai avuto il minimo sentore del mondo, e stata sempre aliena da tutto ciò che può piacere ai mondani, che non avea mai guardato in faccia d’uomo, che non vivea che a Dio, che prevenuta in un modo tutto singolare dalla grazia, avea sempre menato una vita celeste, che si pasceva di orazione, e di orazione sublime, che già godea le più dilicate finezze dell’amor di Dio, che già si poteva dire una santa, ora tanto più che è in Convento, dove tutto essendo un esercizio di spirito, ella ci trova un Paradiso; un novello S. Luigi, giacchè ne portava anche il nome a gran ragione, una nuova Santa Agnese, come vorrà sentirsi parlare di marito? L’altra si era: e se anche non ripugnasse accetterà ella il partito? Ella è di quindici anni; Luca oltrepassa i cinquanta; ha anche perduta nella caccia la vista di un occhio; ella non l’ha mai veduto; con tutte le buone qualità che le ne si diranno, le si dirà però che è canuto! Cecilia è prudente, farà i suoi riflessi, quanto è probabile che rimanga vedova con figli d’allevare e quindi quale imbarazzo! Tali circostanze unite al carattere, ed allo spirito di Cecilia non lasciano travedere che si mariterà; e certo nessuno di que’ che aveano cognizione di lei si aspettava di veder questo; il degno Parroco Baldis di S. Salvadore, che fu suo Direttore dai sett’anni sino a che entrò in Convento, mi attesta, che gli sarebbe sembrata una follìa il solo immaginarselo.
Passati che ebbe Cecilia circa due anni in Convento, eccole arrivare la tanto cara visita della sua genitrice, e della zia Tomini. Queste, dopo i cordiali parlari dettati dalla natura stessa in incontro di visitare una amabilissima figlia rinchiusa in monastero fuori di patria, misero in campo il discorso dell’elezione dello stato; e parea quasi che non sapessero andare col discorso più oltre delle generali teorie; che deve farsi; che dipende da questa ogni bene; che beato chi l’indovina; ma non sapevano come accostarsi al punto per cui eran venute. Parlare a Cecilia di maritarsi, pareva un assurdo inconcepibile. Cecilia... maritarsi... erano due idee in aperta contraddizione visibilissima. Ma le vie dei Santi hanno delle sublimità che misurar non si possono cogli umani riflessi, e la Mistica offre un impercettibile mistero nella profonda condotta di Dio, che presenta dei passi impreveduti, ed incredibili, e che esigono a forza un silenzio ammiratore figlio di una tenera venerazione.
Cecilia avea fatto un dono così totale della sua volontà in mano all’obbedienza, avea così fisso il chiodo di essere senza elezione riserba, nè rifiuto, che anche nella scelta dello stato non volle saperne di elezione, nè di volontà, nè di riflessi. Tutta di Dio è persuasa che Dio, a cui ella è fedele per l’obedienza a’ suoi superiori, vorrà sempre da lei la maggiore sua gloria, e tanto basta. Questa fede in lei tien luogo di riflesso, di esame, di giudizio, e così vero modello del Giusto ammirato da S. Paolo vive di fede. Parli quindi chi tiene presso lei luogo di Dio; il suo sì, il suo no è deciso nel sì, e nel no di questi. Diffatti ecco l’ammirabile dialogo seguito a Treviglio tra la nostra Cecilia, e la sua genitrice, e zia Tomini; Dialogo, di cui non so cosa vi possa essere di più interessante per un cuore che sia sensibile alle soavi e dolci attrattive della più illibata virtù.
A queste parole, Cecilia, come fosse colpita da un fulmine, diede in un dirottissimo pianto; Cecilia, che mai non pianse in sua vita, l’illibata angelica vergine Cecilia alla parola maritarsi, si sentì morire, e pianse così largamente che più non potè parlare, e si dovette troncare la conversazione, e dirle, che andasse pure a quietarsi, che non si voleva da lei se non quel che avrebbe voluto anch’essa. Ritiratasi Cecilia, tutta in lacrime s’incombenzò la di lei maestra di ricavarne la libera volontà tanto per il sì che per il no. La maestra eseguì l’incombenza, e aspettando che fosse rasserenata, le disse, che le si proponeva il partito di Luca de Vecchi, uomo ricco, e onestissimo, dei più discreti e tranquilli che mai vi fossero, e che le avrebbe fatta ottima compagnia, come già avea fatto alla sua prima consorte Pesenti. Non tacque la prudente maestra alla sua cara Cecilia, che però il de Vecchi era in età alquanto avanzata, e che non avea la vista d’un occhio; ma Cecilia, che già avea fatto il sacrifizio della sua volontà, null’altro mai rispose, senonchè era superfluo, che a lei si dicesse tutto ciò, ch’ella non avea altro da pensare, poichè avea stabilito di non voler mai null’altro se non ciò che volea la sua Signora madre: e divenuta in quel cimento maggior di se stessa, acconsentì al propostole collocamento. Al sentirmi parlare di maritarmi, non ho potuto, è vero, diss’ella, trattenere il pianto (sì profonde radici avea scolpite nel suo cuore l’amore della castità), ma quel pianto fu improvviso, nè io voglio che sacrificare intieramente la mia volontà; così ho deciso a costo di morire. L’affettuosa maestra, non so se più allora afflitta nel vedersi vicina a perder la compagnia a lei sì cara dell’amabilissima Cecilia, o piena di ammirazione insieme, e di giubilo nello scorgere in sì tenera pianta da lei coltivata frutti maturi di consumata virtù, scrisse alla madre, che la sua Cecilia avea accettato il propostole partito. Dopo due giorni recatasi di nuovo la genitrice a Treviglio insieme coll’unico suo figlioletto Guido impaziente di rivedere l’amatissima sorella, trovò la virtuosa Cecilia disposta a lasciare quanto avea di più caro in quel sacro recinto, e fatti i dovuti ringraziamenti a quelle religiose, e distintamente alla sua maestra nel Settembre del 1794. partì da Treviglio, e fu ricondotta alla casa paterna; e a’ 25. Novembre dello stesso anno fu sposata nel privato oratorio di sua famiglia in Bergamo.
Così Cecilia entrò nel rango delle Brigide, delle Elisabette, delle Margherite, delle Eduigi, delle Angele da Foligno, delle impareggiabili Caterine Fiesco di Genova, e vi entrò per la via di una virtù sublime, e superiore ad ogni vista, e di un annientamento senza esempio.
I Santi sono eguali a se stessi; e nei diversi stati in cui li colloca la divina previdenza offrono lo spettacolo ammirabile di cui parla l’Apostolo, di una luce indefettibile; ed è proprio vero quel che dice lo Spirito Santo che i Santi non patiscono alternazioni, come la luna, ma sono sempre belli come il Sole.
Cecilia che nubile fu una ammirabile figlia, maritata fu una, direi quasi, inimitabile sposa. La differenza dello stato, la diversità dell’età del marito, la differenza anche delle costumanze, ed esterne convenienze non fecero in lei veruna differenza di carattere, di umore, di lena, di spirito, di serenità. Ella fu subito perfetta nel suo stato; ella ebbe tosto un affetto così cordiale e sincero, netto e totale al suo consorte qual l’ebbe, forse per pochi momenti Eva innocente all’unico uomo al mondo il caro suo Adamo.
E veramente il suo Luca de Vecchi fu per Cecilia uomo unico al mondo. In poche parole ella non ebbe, nè mai volle corteggio, nè servitù, nè amicizia di chicchessia. I suoi occhi si chiusero in morte, senza aver appreso nè a ferire, nè ad esser feriti, nè dare sguardi, fuorchè innocenti al suo marito. Una volta che un ricco e manieroso giovine fu con lei in onesta conversazione, e le usò attenzioni e polizie, ne provò essa una da lei creduta alquanto viva sensazione. Non mancarono allora a molestarla alcuni scrupoli e timori, ma benchè se ne accusasse nelle confessioni sue, non si potè però mai scoprirvi un’ombra sola di colpa.
Da qui nasceva la totale e tranquillissima amorosa dedicazione al suo consorte; per questo il suo cuore sempre amante; sempre quieto, e sempre contento produceva in lei quella eguaglianza, ed allegria saporita ed inalterabile, che si ricorda tuttora da chiunque trattò seco lei con lacrime di tenerezza e di indelebile ammirazione. Ed io stesso che più volte ebbi la fortuna di trovarmi seco a Bergamo, ed a Carvico, so che la di lei conversazione aveva un non so che di soave superiore all’umano, che contentava lo spirito e il cuore in maniera affatto nuova, e che nei momenti di sua assenza era universale il panegirico di lei. Ella era sempre eguale, sempre allegra, sempre serena, e sempre maestosa; le sue maniere erano a tutto punto il ritratto della convenienza, della cordialità e del decoro: amore, confidenza e rispetto erano contemporaneamente spirati dal suo contegno; il suo cuore distratto da nulla, era sempre presente a se stesso, e quindi presente a tutte le convenienze, e a tutte le circostanze d’una maniera invidiabile e giubilante.
Avea ella trovato nel suo marito tutti i caratteri, che poteano aver ascendente sul di lei cuore. È facile immaginarsi quali poteano esser le brame di quest’anima singolare, quali i desiderj e le ripugnanze di questo cuore, che non avea desiderio che della gloria di Dio, nè ripugnanza che a quello che potesse in qualche modo impedirgliela. Quindi nessuna in Cecilia di quelle voglie, che nelle spose del suo rango, dell’età sua, della sua avvenenza, delle sue doti, del suo spirito vivace, e del suo talento, sogliono essere comuni sino a diventare passioni, come sarebbe a dire, la brama di comparire, l’ambizione, la gara, le brillanti compagnie, il pascolo di passatempi, il geniale corteggio, e simili miserie.
Taglierò corto, e dirò vero: Cecilia non ha mai (si riconosca la sua eguaglianza di carattere) dimandato un abito, non ha mai cercata una comparsa, non ha mai richiesta una brillanterìa, non ha mai mostrato voglia di uno spettacolo, o di un divertimento; di corteggio non ne ha mai voluto sentirne parlare. Egualmente ilare e pronta non ha mai rifiutato un nuovo abito, una gala, una moda, purchè rigorosamente modesta, una comparsa. Le bastava di conoscere essere di genio del suo marito, che si abbigliava in gran gala, nè lasciava di comparir tra le prime dell’ordine suo. Non rifiutava intervenire agli spettacoli, e fin’anche ai teatri, del che parleremo in appresso. In somma in Cecilia non mai una ricerca del mondo muliebre, nè mai una anche piccolissima opposizione a quanto le venìa dal marito offerto, e suggerito.
Erano le sue brame, la sua quiete, il suo tempo per le divozioni, una tranquilla libertà per accostarsi ai SS. Sacramenti, un disimpegno di conversazione, un arbitrio sulla scelta delle mode per non compromettere la sua modestia angelica, un godere la sua famiglia, ed il suo ritiro domestico, le visite alla casa paterna e materna, e simili. E Luca de Vecchi, che nudriva per lei uno sviscerato amore, ed una eguale ammirazione; e in lei riconosceva una sposa piena della più innocente tenerezza, delle più innocenti maniere, e fornita d’una virtù tutta singolare, Luca de Vecchi si sarebbe creduto di essere il più cattivo uomo del mondo, se non avesse impiegato tutta la tenerezza e sollecitudine in espiare i di lei desiderj, e non le avesse data tutta senza riserva quella libertà di spirito che le era sì cara. E perchè non bastava questo a Cecilia, che non voleva libertà, nè avea elezione, dovette fin dirle: Cecilia il maggior piacere, che io possa aver da voi, è quando vedo voi contentare il vostro spirito; e questi erano per lei i più cari regali del mondo. E ben potea dirle così francamente, ben potea darle tutta la libertà, ch’era sicuro, che non se ne sarebbe abusata giammai. E quì basti il dire, che Luca de Vecchi ha a me protestato, che mai una volta ha avuto motivo, nemmen leggerissimo, di scontento da Cecilia, e che Cecilia non è mai stata una sola volta malcontenta di lui; e che la morte gli ha tolta la sua consorte prima che sia seguito il menomo raffreddamento di una confidenza primitiva, e di una inalterabile reciproca armonìa innamorante: il che può ben dirsi, ma poichè non è del numero delle cose ordinarie, non è facile immaginarsi, massime nelle circostanze di tanta differenza d’età; ma una virtù rara produce effetti anco rarissimi.
Da quì nasceva quella franchezza cordiale, che rendeva sì gustoso il trattare di Cecilia, e quella libertà serena, che insieme univa una impreteribile osservanza delle convenienze di maritata colle virtù da santa. A proposito di convenienze è da ammirarsi come l’aver sentito dal suo marito, che le osservasse e si facesse onore, dall’obbedienza le apprese in sommo grado. Il fare le sue visite di complimento nei tempi di costumanza, e al ritorno da campagna, il riceverle, il restituirle, fu da lei osservato con una esattezza senza rimprovero, e col tuono di una pulizia a tutto decoro. Era solita dire, che questo era uno dei doveri del suo stato, e cosa che piaceva a Dio, e che faceva schivare dei grandi peccati di mormorazioni, di sospetti, di discordie, e che però non ci avrebbe mancato a costo di qualunque incommodo, e sacrifizio. E veramente era per lei un sacrifizio il doversi abbigliare, mettere in gala, tormentare i capelli secondo la moda, l’impiegarvi il tempo, che dovea togliere al suo ritiro e alla sua divozione; il dovere per più giorni trattar solo in grandezza, e molto stare in superfluità di parole. Quanto alle importunità delle stagioni, ed all’incommodo delle gite non ci badava; queste anzi eran cose per lei di grande aggradimento. In queste ella spiegava un carattere egualmente dolce che maestoso, una sincerità nativa, un senno gradevole. Sapeva bene con un ameno sorriso medicare, interrompere, fermare, sapea bene con certe sortite stupende render brillante e saggia insieme la conversazione. E ben potea farlo, perchè ella possedea de’ fregi non comuni alle sue pari giovani spose. Ella non affettò mai di saper nulla, e però gli ornamenti del suo spirito si scoprirono in lei a certi tratti furtivi, che sfuggivano alla gelosissima sua umiltà come il suo così esteso, e così presente sapere di geografia, il suo così ben saper leggere, e scrivere francese, il suo così compito ornamento di cognizioni storiche, e massime sacre. Era una delizia il vedere farla cader nella rete, e farle spiegare le sue cognizioni nascoste: talora per azzardo, talora ad arte si quistionava nella sua conversazione sul teatro delle guerre, sul sentimento di alcun autore Francese, sui fatti storici; ella ascoltava, e taceva, solo dal brillare del suo sorriso si conosceva, ch’ella vedeva il dritto, e il torto; e all’improvviso dal marito, o da altri colta, e interrogata, che ne dicesse, ella rispondeva con una sì giusta precisione, che persino quei che pensavano aver ella torto, col confronto delle carte, e dei libri, vedevano, che non errava, e non errò di fatti giammai. Ben è vero, che allora arrossiva, come una bragia, e si affrettava di nascondere quel che più non era possibile celare.
I doveri del suo stato le erano così a cuore, che a questi allegramente donava tutta la sua cordialità sincera e leale. Le attenzioni al marito erano di tutta finezza, e continue. Guardi il cielo, che una volta gli usasse una disattenzione; ella lo avea così impresso nel cuore, e nella mente, che pareva fino gli leggesse i pensieri nell’anima, ed i movimenti del cuore (effetto del non aver mai diviso il suo cuore, nè mai praticato altro uomo al mondo); sicchè Luca tante volte le dovea dire con giuliva sorpresa: chi ve l’ha mo detto? Ella avea un tenerissimo trasporto per la santa Comunione Eucaristica; ma per non esser causa che il marito si svegliasse, non si alzava di troppo buon’ora, e in alta orazione attendeva il momento di volare al pane degli Angeli, e colla fede passava i muri, e si recava innanzi al sacro Ciborio in ispirito. Nulla di quel, che a tutta pulitezza si richiedeva per lui, permise mai che gli mancasse.
Avea Luca una figliuola, di cui era stata madre la sua prima consorte Pesanti. Io sono testimonio delle agitazioni del buon padre rapporto a quest’amabile sua figliuolina; io l’ho più volte sentito, prima del suo maritaggio con Cecilia, parlar con affanno di questo tenore: bisognar che di nuovo s’accasi; perchè chi avrà mai da fare da madre alla sua Flaminia; non avendo altre donne in casa, ed essendo ella di tre anni appena? Ma, e sotto una matrigna come anderebbe poi? cosa toccherebbe provare alla sua Flaminia? Quindi è facile l’immaginarsi quanto fosse poi grande la consolazione ch’egli provava, allorchè vedeva che in Cecilia avea trovata la sua Figlia una tenerezza quasi più che da madre naturale. Di questo egli se ne espresse con me più volte, e si godea tutto, e mi facea notare le reciproche confidenze di Cecilia e di Flaminia, e non poteva talvolta trattenere le lagrime. Beate le figlie pupille, che trovano le seconde madri di questo taglio: il nome di matrigna si depennarebbe dalla lista dei vocaboli, e non farebbe più il terrore della tenera età, se tutte fossero come la nostra Cecilia. Ma essa era una Santa, e la santità non è mai brusca, scortese, ed indiscreta, ma amabile, ed amorosa. Abbiamo tuttora sott’occhio la tanto cara alla nostra Cecilia, la due volte pupilla Flaminia, che rimasta inconsolabile all’inaspettata perdita della cara sua pro-madre, non può sentirsene ricordare il nome per la profonda passione che la costringe a piangere. Egli è ben vero che le qualità di Flaminia, l’attaccamento che le mostrava, la confidenza che le professava potevano molto contribuire a quella cordiale tenerezza, ed a quell’affetto che Cecilia le portò sempre, ma oltrechè queste pure in gran parte eran figlie delle attenzioni amorose della pro-madre, la cosa veniva da più alta sorgente. Avea ella inteso che era suo dovere l’esser madre della fanciulla, che da lei dipendeva la felicità di essa; che la gloria di Dio ci stava altamente: bastò questo, perchè il suo cuore pieno di una nativa scintillante dolcezza spronato da tali motivi passasse la mete delle naturali attenzioni materne in tutti i rapporti. Quindi l’educazione, la custodia, l’ammaestramento, l’attenzione ai bisogni, lo studio delle inclinazioni, l’arte di adescarne il cuore, l’impegno per ispirarle nell’animo sentimenti simili a’ suoi, furono per Cecilia un offizio che tutta dolcemente l’occupava, e che esercitò in maniera da vincolarsi indicibilmente il cuore e lo spirito della figliuola.
Trovandosi ella unica donna padrona, concepì subito l’idea del suo dovere nella sorveglianza dei domestici, attesochè questa pare specialmente demandata alle padrone, e perchè gli uomini si stanno di meno in casa, e perchè hanno tutti gli altri pesi di famiglia cui prestarsi. Cecilia l’intraprese da pari suo. Ella non voleva sentire la voce della discordia, inevitabile tra le persone di servizio (genus servorum querulum S. Girol. Ep. 43.) addette a’ diversi officj, e con relazioni reciproche. Quindi al primo sentire una voce più alta del solito, subito ella compariva, e con un aria di letizia, con uno sguardo brillante, con un sorriso giulivo, che pareva un Iride di pace, con un bello che c’è? tutto era finito. E qui bisogna dire ch’ella sapeva poi parlar così bene della pazienza, e della concordia, e che si tirava così seriamente in un’amabile maestà, quando avesse trovato un momento di renitenza, che tutti per rispetto, e per amore si guardavano bene dal darle un dispiacere che conoscevano ferirle il cuore. Anche la Colomba benchè senza fiele sa talvolta quasi a rimprovero corrucciarsi, e ferire leggiermente col rostro. Cecilia, la buona Cecilia senza fiele, non risparmiava le correzioni dovunque bisognavano, ed avrebbe ella avuto grande scrupolo a preterirne sol una; ma queste erano veramente evangeliche, non mai fuori di tempo, non mai con passione, non mai con disprezzo, non mai in presenza altrui, se non era necessario, ma con ragione, con carità, con dolcezza, con forza, e per lo più le rinforzava colla generosità della mano, che obbligava chi la riceveva in tutti i modi; e questo è il perchè tutti i domestici di sua famiglia l’ammiravano, ed amavano tanto in vita, ed ora che l’hanno perduta ne sono inconsolabili. Ella voleva che tutti attendessero agli esercizj di Religione con esemplare premura, ed ella era solita dire che Iddio Signore è il primo padrone degli uomini, che è padrone dei padroni, e che i suoi domestici erano prima creature di Dio, ed avean con Dio il primo e principal dovere. Voleva che frequentassero i SS. Sacramenti, ed ella era la prima a darne loro l’esempio, e s’informava se vi si erano accostati. Guardi il Cielo che lasciasse loro perdere la dottrina Cristiana. Vi andava essa, e volea vederli assidui ed attenti. Persino a Carvico, luogo di sua Villeggiatura, ella non preteriva di recarsi colle cameriere, e tutte le feste alla Dottrina, e alla Predica, e pure il suo palazzo era distante quasi un miglio della Chiesa, e non era ombreggiata la strada, sicchè bruciava essa sotto i raggi del sole estivo, ed autunnale nell’ore vicine al mezzogiorno: quindi arrivava, e ritornava tutta infuocata nel viso, e bagnata di sudore. La pioggia, la neve, il fango non la trattenevano, e pareva, al sentirla, che fosse per lei una spiritosa genialità di una gita, e di un divertimento. E quando l’intemperie dell’aria erano poi eccessive, Luca il suo marito era costretto dirle che si fermasse in casa per non rovinarsi; Luca la vedeva che ci pativa, ma obediva subito, e chiamate le donne e i domestici in una sala a suono di Campanello, ivi faceva loro fare tutte le recite consuete; poi essa spiegava la Cristiana dottrina del Bellarmino, e parlava loro di Dio in maniera che ne restavano inteneriti ed ammirati, e compunti a segno che tutti quei di casa, e i contadini abitanti vicino al palazzo desideravano più volte che alla festa piovesse e pregavano il di lei marito che la facesse fermare, perchè dicevano, e l’han detto anche a me, che le dottrine, e le belle cose dell’anima che diceva loro la buona Padrona non le aveano più sentite, e che le di lei parole andavano loro tanto dentro del cuore che non ne sarebbero mai partiti, e restavano con una avidità grande di tornarla a sentire; e che in ispecie quando parlava loro della paura del peccato, dell’amore di Gesù in aver patito per noi, e nello stare nel Santissimo Sacramento, e più di tutto della presenza di Dio, pareva un angelo del Paradiso che parlasse. E quando potea dire, nessuno, nè anche delle Cassine ha perduto Dottrina, giubilava, ed era allora che mangiava anche più di buon gusto a tavola. Del resto, se era solamente possibile, si recava alla Chiesa, e soleva dire: i contadini guardano a noi, e quando non ci vedono alla Chiesa ne mormorano, e ne cavano cattivo esempio; e noi siamo obbligati a schivar questo scandalo; e quando vedono noi in Chiesa a Predica, e Dottrina ci stanno anch’essi, e ne parlano dopo tra di loro, e serve ad essi di stimolo a far bene, e formano concetto della parola di Dio. Era poi un bel vedere le contadinelle del suo vicinato aspettare ad arte che anch’ella s’inviasse alla Chiesa, farsi d’intorno a lei piene di riverenza, e confidenza, ed essa ilare, giuliva, e maestosa tratta con loro, e regalarle di avvisi di spirito. Ella avea sempre questo corteggio come le Caterine Fieschi in Genova, come le Elliot, e le Fremiot in Francia. In Chiesa poi ella decisamente assisteva alla Dottrina, facendo dire l’Orazione domenicale alle fanciulle e recitare il Bellarmino alle grandicelle; ed era una tenerezza il vedere che tutte correvan da lei, e pendevan da lei, come da un oracolo, che le volevano tanto bene che parevano incantate intorno a lei, e trovandola ancora fra la settimana, le dimandavano rispettosamente, e confidentemente, se anche Domenica avrebbe loro fatto dire la Dottrina.
Le orazioni giornaliere in casa Vecchi non si perdevano mai, e tutte le sere all’ora discreta, prima di cena si levava dalla conversazione, e si recava in cucina, dove radunava tutta la servitù, e ben anche i cacciatori, la dove d’ordinario la seguiva tutta la conversazione, ed ivi diceva con tutti il S. Rosario ed altre orazioni con discrezione. Al vederla comparire tutti si allestivano all’orazione, ed ella presa in mano la corona si inginocchiava impreteribilmente in terra in mezzo della cucina, ed era superfluo presentarle appoggio, o comodo veruno; si stava ritta sui ginocchi, il che obbligava per amoroso rispetto a fare lo stesso anche i circostanti. Era poi ella così esatta nel pronunciare le orazioni, così discreta nel numero che se ne trovavano tutti contenti. Perchè mò in Cucina? Noi potevamo dirlo in luogo più comodo, diceva ella, ma il buon cuoco, e gli altri che non puonno partire di qui l’avrebbero perduto; e loro ne rincrescerebbe assai; e rivolta ad essi, non è vero? diceva; e così stava un poco anche con questa povera gente dicendo che a star sempre in signoria si annojava. Ed ecco una delle cause che faceva dire ai Domestici, che la loro Padrona era una Santa; che era peccato usarle una disattenzione, e che era un Angelo.
Ma anche l’ammirazione, e l’amore non arrivano sempre a vincere il temperamento, ed a comandare all’indole particolare delle persone. Quindi più volte da alcune persona di servizio fu negletta, e soprafatta in gran maniera; ma essa eguale a se stessa mai non ne fece parola col marito, nè con chichessia, e per qualche anno soffrì con incredibile pazienza il temperamento, ed il tratto di certa persona di servizio, e l’avrebbe sofferto anche di più, se la cosa non si fosse inoltrata a segno che il marito se ne accorgesse da sè, e non vi avesse sul momento rimediato. La carità di Cecilia che tacque, e sommerse tutto, obbliga me pure a non prolungarmi di più su quest’articolo. Solo vi aggiungo che mai non si è lagnata di veruno, che anche avvertita da altre persone dei mancamenti che le veniano praticati, solea rispondere: povera gente fa anche di più di quel che può; se fossi anch’io nel suo caso non sarei buona di far tanto, non bisogna esser poi tanto sottili, perchè anch’essi sono creature di Dio come noi.
Ella è ben cosa facile ad idearsi che un’anima di questo carattere dovea essere caritativa, e limosiniera. Dirò molto in breve: all’occasione del suo maritaggio, suo zio il Canonico Beroa Curato della Cattedrale le regalò una borsa di dinaro; un simile regalo le fece suo marito. Ella fece ben presto a prendersi i suoi minuti piaceri, e cominciò a far limosina, e dare quel che le veniva in mano. Ed avendo sentito che quei dinari erano suoi, e ne facesse quel che voleva, addio ducati e pezze a’ poveri, a storpii, a donne sclamanti, a’ pitocchi, sicchè in pochi giorni li ebbe finiti, e come questa gente accattante è indiscreta, l’affollavano, e l’assordavano, e quando non n’ebbe più, e che dovette restringersi ad un’ordinario discreto, la pagarono per sino di villanie, che furono il più bel giojello della corona della sua carità, perchè da lei ricevute come una graditissima ricompensa, e ringraziamento. Tutta la sua mezzata andava così. Per sè non ispendeva un soldo; ci pensi il marito, ed egli ben lo facea di core; e più volte le dicea ridendo: come state di denari? ne averete molti? ed ella ridendo faceva capire che non vi era pericolo che ne avesse, e ben sapeva il marito che se ne bramava, era soltanto per soccorrere i poverelli. Mi disse egli medesimo, che se Cecilia non fosse stata donna veramente da per sè conoscitrice del dovere d’una madre di famiglia, avrebbe consumato tutto in pochi anni. Era la sua carità regolata alla presenza di Dio, e nascosta in Dio; quindi fu dopo la sua morte che si scoprirono a Bergamo, e massime a Carvico le sue grandi limosine secrete, sicchè quella gente protesta d’aver perduto in lei una Madre, ed una Santa.