Visioni sacre e morali/Visione X
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VISIONE X.
TRIONFO
DELLA
PROVVIDENZA DIVINA
SOPRA
L’ANGELO DELLA MORTE.
Io caldo il cor d’agitatrice fiamma,
Che non d’Ascreo furor, ma da Celeste
3Lume piove, e di sè m’empie e m’infiamma,
Alle rimote età, che bujo veste
Di sacri abissi orror, spiego le arcane
6Rime, che da quel lume in me fúr deste.
Spinsi, qual Uom mosso da voglie strane
Di cammin novo, su i Parmensi liti
9Le piante dalla via retta lontane,
E campi attraversando, e rinverditi
Solchi, ove in frondi par che sviluppato
12Il seme a biondeggiar le spiche inviti,
Dopo un bosco da querce annose ombrato
Giunsi in aperto piano, in cui senz’arte
15Stendeasi ricco di germoglj un prato.
Il vasto loco pien di vario-sparte
Folte erbette, che nulla arbor, nè fratta
18Con intralciati rami ingombra, o parte,
Dolce allargommi il cor, cui sembra intatta
A par del guardo aver sua libertate
21L’immenso avidamente a scorrer atta.
Qui nel varco di quelle a fior smaltate
Piagge il fianco posai sotto rugoso
24Olmo d’opache insiem foglie intrecciate,
Ove il puro aere, il rezzo ed il riposo
Grato a stanchezza invogliò più l’ingorda
27Vista a vagar per l’ampio strato erboso.
Rotto ora il lato spazio era da lorda
Trave d’un altaleno, onde pendea
30Vaso a trar l’acqua avvinto a docil corda,
Or da capanna vil, su cui serpea
L’ellera i cerri ad agguagliar avvezza,
33Che l’aride nel tetto alghe radea:
Rozzi obbietti al pensier; ma la rozzezza
Spirava per l’erbifera pianura
36Lieta semplicità, se non bellezza.
Scorrea la morbidissima verzura
Favonio, cui son le odorate rose,
39E i molli gigli amica e facil cura,
E quelle umíli piante e rugiadose
Piegando intenería colla diffusa
42Aura le fibre lor sotterra ascose;
Mentre il passero grigio, e la delusa
Spesso da’ rai degli aggirati specchi
45Lodola, e all’arduo vol la rondin usa
Aleggiando scegliean i levi stecchi
Per tesser nido alla futura prole
48Di molle creta, e di sermenti secchi:
Il suolo, ove arator non mai si duole,
Che a fecondarne i germi indarno ei sudi,
51Di cui cultor è con Natura il sole,
Sì adescato m’avean, che a me que’ rudi
Campi s’offrían leggiadramente ameni
54Più assai de’ colti co’ più eletti studi.
Quando in men che non scoppiano i baleni
Il prato inaridò vento, che sorse
57Del nevoso aquilon dai freddi seni,
E dietro al vento un calpestío trascorse
Romoreggiando per lo pian battuto,
60Che là, donde movea, gli occhi mi torse;
E fra paura e maraviglia muto
Vidi gran turba in fieri atti, e con volto
63Crudo, e in difformità varia sparuto.
Pedestre era la turba, e di quel folto
Stuolo ciascun tenea croceo dipinto
66D’atra immago un vessillo all’aure sciolto,
In cui d’illustre Donna, o d’Eroe spinto
Dell’Ombre ai regni bui scorgeasi scritto
69Il nome, e sotto quel: Da me fu vinto.
Precorrea quanto è d’una selce il gitto
La feral schiera un Condottier più truce,
72Che il sommo in essa avea scettro e diritto.
Alla squallida e rea faccia del Duce
Giunge squallor sotto palpebre immote
75Lo sguardo tinto di sanguigna luce.
Duo serpi sórti dall’orecchie vote
Di suono striscian senza inciampo e legge
78Sibilando or al collo, or su le gote.
La trista fronte elmo fasciato regge
Da corona intessuta a lauri freschi
81Da frusti di spolpate ossa e da schegge.
L’usbergo aspro è al di fuor, ed in rabeschi
Orridi rilevato, e fuso a scaglie
84Di rinterzati spaventevol teschi.
La destra cinta da ferrate maglie
Stringe una falce contro a belva e ad uomo,
87Barbara e invitta ognor nelle battaglie,
Col segno, ahi vista amara! onde fu domo
L’antico Padre dalla colpa antica,
90All’asta della falce infisso il pomo.
L’altra man fra la ruggine s’implica
Di scure briglie, ed un cavallo affrena
93Pallido, e spregiator d’ogni fatica,
Che concitato da terribil lena
Soffia, e di spume il duro morso imbianca
96Scalpitando, e spargendo alto l’arena.
Docile al cenno, e non spossata e stanca
La turba ivi arrestossi; e il Duce crudo
99Ritirò del corsier la fervid’anca
Fin dentro a quello stuol di pietà nudo,
E disse: Io sempre afflitto Angiol di Morte
102Quanto mai gaudio, Angeli torvi, or chiudo
Nel sen doglioso, se pur false e corte
Immagini di gioja in tanto lutto
105Ponno alleviar sì disperata sorte.
Deh! chi sarà, che i nostri a ciglio asciutto
Danni ardisca ridir? Vedemmo armarse
108Lo stesso Dio fra la tempesta e il flutto
Del suo furor, che inestinguibil arse
Contra noi Squadre a lui ribelli, e poi
111Chiuso in vil fango fino al Ciel levarse
Spirto vedemmo disuguale a noi.
Cadde anch’egli, e fu sua la colpa, e nostra
114L’arte, cui non fia pari altra dappoi.
Quindi l’ostile a noi terrena chiostra
Suona d’alterne guerre, e finta tregua
117Solo d’inganni amica all’Uom fa mostra
Di pace, onde più acerbo odio ne segua.
Unica di noi gloria è il duol di lui,
120Che il nostro imiti almen, se non l’adegua.
Benchè onor sommo abbian que’ Spirti, cui
L’invescate ne’ falli Anime lice
123Trarre al carcer fatal serbato a nui,
Pur non di pregio scema è la radice
Dei vanti nostri. Io per voi, turba eletta,
126Su i mortali a versar l’urna infelice
De’ varj atroci mali, io nell’infetta
Stirpe d’error iniquamente insano
129L’ultima pena adempio, e la vendetta.
Nè roto io mai l’adunca falce invano,
Fiso a Dio, che permette insieme e guata
132Il colpo fier d’una implacabil mano.
Or fra i trionfi miei la coronata
Testa serto non mai più raro avvinse,
135Nè di questa io rapii palma più grata,
Che su l’insegne mie lugubri pinse
Titol sì grande, e amaro nome accrebbe
138Al curvo ferro, che Luisa estinse.
Troppo al nostro livor la chiara increbbe
Virtù di lei, che in sua fermezza, e in vivo
141Esempio altrui mirabilmente crebbe.
Di grazia colmo, e d’alterezza privo
Spirto quelle già resse al freno pronte
144Membra, che i malnati ozj ebber a schivo.
Quanta le tralucea fin su la fronte,
Benchè fitta nel cor, vera pietade,
147Qual sasso in fondo a non turbata fonte?
Come in queste soggette a lei contrade
D’ogni intorno ampiamente ella diffuse
150Fertil ne’ raggi ardur di Caritade?
Quando mai femminil petto in sè chiuse
Reali cure, e col pensar virile
153Le sacre a povertate arti confuse?
Quante volte la pia destra il gentile
Ago abbassando negli abbietti lini
156Coprì de’ rei la squallidezza vile?
Chi fia, che a par di lei più largo inchini
Alle benefich’opre, e insiem disdegni
159Gli onor cotanto al ben oprar vicini,
E contro al lodator s’attristi e sdegni?
Oh al paragon d’ogni umiltate queta
162Magnanimi altamente e illustri sdegni!
Sì eletti pregi, onde splendea più lieta
Non sol d’Esperia la felice terra,
165Ma qualunque altra allumi il gran Pianeta,
Al nostr’odio immortal non fan più guerra.
Sparver questi con lei, che di solinga
168Tomba nel muto gel torpe sotterra.
S’io il deggio ad un di voi, che or più non tinga
Vano livor il mio crudel sembiante,
171A che s’asconde? e vieta a me, ch’io stringa
Al mio petto un Guerrier, per cui di tante
Pene affannate ad onta ancor m’ingolfo
174In piacer tanto? Allor si trasse avante
Quel, che immerse Luisa entro al fier golfo,
Angiol chiazzato le gonfiate guance
177Da bolle scabre di color del zolfo,
E il Duce l’abbracciò. Le schife e rance
Ombre a quell’atto mosser tutte in giro
180Presso a que’ due l’inalberate lance,
E folto di stendardi un cerchio ordíro;
Ma il Condottier, ch’ argin non pose, o sbarra
183Ai moti, che letizia in lui scopríro:
S’io ti diei, disse, non ignobil arra
D’onor dovuto al tríonfal tuo merto,
186Dell’opra, onde vanto hai, l’ordin mi narra;
Nè dubitar, che il suon mi giunga incerto,
Perchè l’orecchio mio dai serpi orrendi
189A pietà chiuso è a crudeltade aperto.
E il lordo Angelo a lui rispose: Ah! prendi
Dai mesti detti miei duro argomento
192D’ira e trionfo no, ma scorno attendi.
Degli antichi odj armato, e d’ardimento
Agli odj eguale io dalle labbra immonde
195In lei spirai l’imputridito vento,
Per cui dove il vitale umor s’asconde
Maligno seme infusi, e tutte resi
198Del tosco mio le interne vie feconde.
S’ottenebráro i dolci occhi, e rappresi
Da febbrifero ghiaccio i nervi diéro
201Inordinato corso ai succhi offesi.
Ben Luisa avvampando in ardor fiero,
Che le struggea fin l’intime midolle,
204Della sua certa morte ombrò il pensiero,
E inquieta di sè, men che del molle
Scopo degli amor suoi, tai voci sciolse,
207Che tristamente acceso il cor dettolle:
Lassa! perchè l’amor mio, che m’avvolse
In sì tenere fiamme, ei stesso lunge
210Dal caro obbietto i passi miei rivolse?
S’ei l’Alme dai pensier gravi disgiunge,
Come ingombrò della ragion del Regno
213La mia, che amata indarno ama or da lunge?
Sì ch’io credei di rara fede un pegno
Sciorme dal fido Sposo, e di lui farme
216Presso al gran Padre mio scudo e sostegno.
Or chi potrà viva un’immagin darme
Del mio Real Consorte, o con un lieve
219Sogno dinanzi a lui misera trarme?
Conforto a me fra la procella greve
De’ mali miei fora un sol guardo, e un solo
222Accento suo, benchè sognato e breve.
Ei non presago di cotanto duolo
Le impresse in carte forse attende e spera
225Amiche note dal mio patrio suolo:
Ma oimè! ch’altra vedrà squallida e nera
Lettera nunzia d’immaturo fine
228Segnata a lutto da funébre cera.
Con quai d’acerbo affanno acute spine
Trafiggerallo Amor, che forze piglia
231Quanto più avvien, che nel martír s’affine!
Qual rimarrà la sconsolata Figlia
Nel punto infausto, e quanta fonte amara
234Le pioverà dalle pietose ciglia!
Ah di me parte sfortunata e cara!
Io già t’avea pel marital tuo letto
237Destata face oltre ogni lume chiara,
Per cui fra quanti eletti fúr più eletto
Vincol di sacro Amor te stringa, e aduni
240Gloria e delizia nel pudico petto;
Or poichè Morte i fiori cangia in pruni,
Del nuzíal serto gemmato in vece
243Vestirai l’atre lane e i veli bruni.
Deh! qual mio voto, o lagrimevol prece
Impetra a me, che con le mie t’annodi
246Braccia, finchè piegarle ancor mi lece?
E fra i materni e i tuoi teneri nodi,
Oh che dolce atto! dall’ingrate some
249Del corpo mio l’Anima mia si snodi.
Qui replicando un lamentevol Oh me
Infelice! sonar misto col pianto
252Fe’ di Filippo e d’Isabella il nome.
Allor ch’io scorsi in lei fremer cotanto
I moti del cor mesto, entro cui giunsi
255Di sua costanza a render dubbio il vanto,
Col sangue incenditor stimol congiunsi,
E le increspai le fibre, ed ai soavi
258Liquidi pania infiammatrice aggiunsi,
Che in lor confin gli arteríosi cavi
Tubi ingombrando svaporar ne feo
261Le parti levi, e infracidò le gravi.
Ben vano ai voti miei pinsi trofeo,
Che furore malnato ella nudrisse
264Ne’ doppj affanni intollerante e reo,
E che avversa al voler di chi prescrisse
Al corto viver suo termin sì duro
267Fra le ribelli voglie alfin perisse.
Ma i voti al ver troppo contrarj fúro.
Essa anzi, come ferro in su l’incude,
270Che fra le vampe e i colpi esce più puro,
Obbliò quei, che il sen di Madre chiude,
E di Consorte affetti; e quest’obblío
273Non di mente torpor fu, ma virtude:
Grazie rese a’ suoi mali, e con desío
Da Fede spinto a Cantate e a Speme
276A Dio si strinse, e tranquillossi in Dio,
Quindi pien d’ira e duol, che m’arse insieme,
Abbandonai la gangrenata salma
279A te, cui cura è tua nell’ore estreme
Dal moribondo fral divider l’Alma.
Tu la sciogliesti, è ver: ma come ascrivi
282A pregio tuo l’inonorata palma,
S’io stesso vidi in mezzo a lampi vivi,
D’insolito fulgor da quelle guaste
285Membra lo Spirto alto volar fra i Divi,
Che oltrepassando le serene e vaste
Sfere sonanti fe’ nella sua gloria
288Maravigliar di sè l’anime caste?
Or se rivolgi in te sì amara storia
Del suo valor, che il nostro ardir derise,
291Dov’è la mia, dov’è la tua vittoria?
Con tai detti, che tronchi odio fuor mise,
Ei capovolse la bandiera, e bieco
294Morse le labbra avvelenate, e strise.
Replicò il Duce allor: Abbiasi seco
Luisa i suoi trofei, chè non men grande
297D’altre spoglie è l’onor, ch’io traggo meco.
Forse a te ignote son l’opre ammirande
Di questa man, che, benchè un colpo mostri
300Unico, strage immensa intorno spande?
Non ti rammenti più gli orribil mostri
Seguaci miei, gli sdegni, e i disperati
303Gemiti in parte assomigliati ai nostri?
Essi dal turbin, ch’io destai, portati
Queste assalíro Itale genti offese
306Dal tristo suon di sì lugubri fati;
Che queste in tanto danno, ancor che tese
Spieghi Luisa al Ciel l’invitte penne,
309Miran donde partì, non dove ascese.
Tu in breve udrai, che quando il feral venne
Nunzio di morte alle Parmensi piagge,
312Gli angosciosi sospir nullo ritenne;
Che di virtù le armate Alme più sagge
S’arreser vinte alla dogliosa immago,
315Ch’ogni conforto al lagrimar sottragge:
Ch’altri accusò l’eterno ordin non pago
De’ mali, cui l’uman germe soggiacque:
318Ch’altri la vita di lasciar fu vago.
Chè benchè ubbidiente a quel che piacque
A Dio, pur presso al Genitor confuso
321Muta Isabella e inconsolabil giacque.
Silenzio, solitudine, e diffuso
Fremito, e pianto saran degni frutti
324Dell’opra, onde ti lagni esser deluso.
Ríalza lo stendardo, è sovra tutti
Gli allori tuoi vantati sol che or deggia
327Italia a te le sue sventure e i lutti.
Gl’immondi Spirti, e la crudel, che ondeggia
Lor voce sparsa per que’ campi aperti,
330E il portamento, che il parlar pareggia,
S’eran così terribilmente offerti
Ai sensi miei, che mi parea, che questi
333Fosser fra il sonno e la vigilia incerti.
Quando a fugar gli orridi obbietti e mesti
Dal fulgido oríente uscì tal voce:
336O tu, che dell’inferne Ombre scorgesti
Il vil trofeo, che al vantator sol nuoce,
Mira, come gli altrui danni in tríonfi
339Provvidenza ed Amor cangia veloce.
Là dove in cerchio avvien che si rigonfi
L’aere percosso dal novello suono,
342Io girai gli occhi di lagrime gonfi;
E dopo udito un minaccievol tuono,
Che l’Ombre sgominò, presso me vidi
345Mitrato il capo un Uom che disse: Io sono
Spirto di pace Ilario; e da que’ nidi
Beati, donde fia che si disserre
348Grazia su voi, discendo in questi lidi.
Nelle rimote Pittavensi terre
Fui già sacro Pastor, e del nemico
351Cesare a Pier soffrii l’onte e le guerre:
Esule dalla greggia errai mendico
Fin di Frigia ai confini, e nell’esiglio
354Questo ebbi a me Popol cotanto amico,
Che qual padre risguarda amato figlio;
Tal in Cielo, ove ai pii Dio serba il loco,
357Coi voti aíta a lui presto e consiglio.
Nel fin delle parole a poco a poco
Lustrò il volto di rai, che intorno sparsi
360Lambír le bende con leggiadro foco.
Cominciò allor subitamente a farsi
Il mio cor lieto, e le dogliose stille
363Spinte indietro ne’ miei lumi a stagnarsi;
Ma in mover le risposte a me rapille
Strana, e oltre modo Visíon sublime,
366Che vincitrice entrò nelle pupille.
Chiare, infinite con brillanti cime
Cádder liste scoppiando in fiocchi e sprazzi,
369Nè questi, o quelle fúr seconde, o prime,
Qual se all’ingiù mille sulfurei mazzi
Di festevoli fochi ardendo in uno
372Formasser pioggia d’infiniti razzi.
Alle splendenti strisce, onde il già bruno
Vespertino aere pien meriggio féssi,
375Non parve fra gli Spirti iniqui alcuno
Di tema scarco. Pria con moti spessi
Tremolar l’aste, e l’implacabil Guida
378Coperse gli occhi dal fulgor oppressi;
Poi tutta insiem la turba al Cielo infida
Sparve dentro a caligin improvvisa,
381E la caligin suonò d’urli e strida.
Ed ecco un carro aspro di gemme, e in guisa
Di gloríosa pompa e trionfale,
384E sovra il carro eterna Donna assisa.
Cinta è da manto inargentato, quale
Di colma luna avvien, che il disco allumi;
387In cui tinti da man d’arte immortale
Splendon uomini e belve, e in varj lumi
La notte, il giorno e la nascente aurora,
390E quanta terra abbraccian mari e fiumi.
Grave pensoso ha il viso, e ad ora ad ora
Rifolgora seren; ch’alto sospesa
393Fiamma triangolare il crin le indora.
Un occhio a par di viva stella accesa
Le irraggia il sen: l’eburnee dita strette
396Della sinistra arcata in parte e stesa
Tien su libro fatal chiuso da sette
Infrangibil sigilli, in cui l’impresso
399Divino Agnel l’immagin sua riflette.
Piega ella il destro braccio e su convesso
Scudo l’appoggia: tra fulminee strisce
402Chi è forte a par di Dio? leggesi in esso.
La mano un vaso in rovesciar largisce
Rorido umor, che per le fibre gira
405D’ogni terreno germe, e lo nudrisce.
Niuna o queta belva, o indocil tira
L’augusto carro vincitor dei venti,
408Chè spirito motor le rote aggira.
Cento e più legíon di Spirti intenti
Della provvida Donna al cenno, e pronti
411Mostra ampia fean d’innumerabil genti:
Altri custodi eletti ai laghi e ai fonti
Dolci, altri alle salse acque, altri alle valli
414Erbose, ed altri ai boschi opachi e ai monti:
Altri ai marmi, alle gemme ed ai metalli,
Altri agli astri, e all’insolite comete
417Igneo-crinite su gli eterei calli;
Ma tutti in tai fogge e sembianze liete,
Che diffondesi il lor gaudio, e penétra
420In petto anche mortal per vie secrete.
Qual Uom, cui scena di prigione tetra
In reggia aurea cangiossi, immobil guarda
423Sì, che non par vivo, ma sculto in pietra;
Tal io, cui stupor subito ritarda
De’ nervei succhi il giro, ebbi la mente
426Dal vago obbietto a desvíarsi tarda.
Scosso il torpore alfin corse il fervente
Gioir mio su le labbra, ed al vicino
429Pastor, che in me tenea le luci intente,
Dissi: Maraviglioso, alto, divino
Obbietto il pensier vince, e insiem lo rende
432Pronto ad accorre immagin tanta, e fino.
Scorgo, che Provvidenza amica splende
Visibilmente in quel gemmato seggio
435Chiara de’ raggi eterni, onde s’accende,
E le Angeliche man ministre io veggio
Del provvido in natura ordin, che move
438Mare, aria, cielo e terra. Or io ti chieggio,
Che un sol desío m’appaghi, e fra sì nove
Sembianze una m’additi. E chi è colei,
441Che dai bruni occhi tanta luce piove,
E ad or ad or fisi li tien ne’ miei?
E donde avvien, ch’ ella precorra il moto
444Del carro, che non segue altri che lei?
Ed egli a me: Dunque d’un volto noto
Così l’antica effigie a te si vela,
447Che a me la chiedi, qual ti fosse ignoto?
Non raffiguri più Luisa? Ah! svela
Al tuo pensiero con memoria viva
450Le forme sue, che il tuo stupor gli cela.
Ai caldi voti suoi fia, che s’ascriva
Quanta su questo suol grazia diffonda
453Colei, che il tutto crea, nudre ed avviva.
Essa lei guida alla Parmense sponda,
Perchè versando su i lugubri affanni
456Più larghi i doni suoi morte confonda.
Lieto allora gridai: Tu non m’inganni,
O avventurata Visíone. È dessa
459La Donna forte, che i terreni danni
Cangiò in quel pien goder, di cui la stessa
Divinitade è paga. Oh quanta pace
462Colma d’immenso amor traluce in essa!
Il cocchio dietro l’orme sue seguace
Presso noi arrestossi, ove finía
465Nel bosco il prato, che alidito giace;
E Provvidenza schiuse allor la via
Ai sovrumani accenti; e al suono eterno
468Rifiorì l’erba, che smorta languía.
Poichè mio, disse, è il regno ed il governo
Delle create cose, io veglio sopra
471Quell’ordin, che le guida al fin superno,
Per cui la gloria mia somma si scopra;
Ch’io nacqui pria che il cielo e il tempo fosse
474Da ragion creatrice, e attiva in opra:
Io riempio di me le tenui e grosse
Parti del tutto, e le conforto, e movo
477Verso là dove Dio già pria le mosse:
Io nell’intelligenti Alme rinnovo
La lor calcolatrice interna forza
480Libera sì, come in me stessa io provo:
Nè il raggio mio, che la ricrea, s’ammorza,
Benchè partito in infinite forme,
483Perchè principio eterno lo rinforza.
Ben paventa l’uom vil, ch’io mi trasforme
In cruda madre, qualor scemo, o tolgo
486Il gaudio a’ suoi desir terrei conforme;
Pur di pietade allor, non d’ira accolgo
Provvidi in me pensieri, e tal mi rendo
489Per render largo più, quant’io ritolgo.
Tu, Luisa, tel sai, tu, che all’orrendo
Affanno tuo mortal dei quell’immensa
492Letizia, onde t’inebbrj ov’io più splendo;
Ma questo Popol tuo doglioso pensa
A te, che lo lasciasti, e in trista piagne
495Notte d’amare tenebre condensa.
Tempo è, che i tuoi tríonfi egli accompagne
Con vivo plauso, e il mio poter adori,
498Che l’empie arti d’Averno assale e fragne.
Mira: ecco Amor, che sacri a me duo cori,
Qual bramasti, annodò. Mira qual bella
501Pompa i tuoi voti, e la tua morte onori.
Tacque, e con face sfavillò novella
Un sembiante viril, che scender parve
504Volando in mezzo a fiammeggianti anella,
Qual di Saturno a chi guardollo apparve
Cinto il pianeta da variante cerchio
507Or chiaro, or bujo, ove il sol arse, o sparve.
Ei movea sotto ad un leggier coperchio
Di fior leggiadri dalle bianche spalle
510D’Angioli retto in aria al vol soverchio.
Altri a lui presso nel liquido calle
Danze tessean passo cangiando e luogo:
513Spargean altri ghirlande azzurre e gialle:
Altri fean mostra d’un cor dentro al rogo
D’Amor consunto, altri d’un aureo nodo,
516Ed altri d’un sottile eburneo giogo.
Ripetean queste con soave modo
Voci d’applauso: A te gloria e virtute,
519O conjugale Amor, che l’onta e il frodo,
E del profano Amor la servitute
Volgi in puro piacer; che tal hai possa
522Da quel Sangue, che all’Uom recò salute.
La volatrice Schiera in giuso mossa
Calcò il pian verde, in cui Luisa stava
525Da novitate sì gentil commossa,
E il vago Condottier, che altrui mostrava
Nella sua destra un cor fatto di duo
528Stretto da laccio, che l’orna, e nol grava,
A lei portossi, e disse: Il lume suo
Sparga Colui, dalle cui piaghe io nacqui,
531Sul vincol casto, e lo rassembri al tuo;
Ma in lunga etate il serbi. Io dacchè giacqui
In te, come in mio bel nido, non mai
534D’altra fè marital sì mi compiacqui;
E quando Morte i tuoi spense, e i miei rai
Tentò annebbiar, un nodo in mente io volsi
537Eguale al tuo, ch’oltra gli eletti amai.
Or quanta grazia beatrice sciolsi
Sovra mille Alme amanti, in queste avvinte
540Dal lieve giogo mio tutta raccolsi.
Queste da Dio, benchè di corpo cinte,
Fúr tra la turba degli Spirti umani
543Con più illustre natura ancor distinte;
E queste ai noti fien ed agli strani
Popoli alto argomento, onde si nomi
546Il valor mio ne’ lidi, e mar lontani.
Su l’innesto dei duo cor arsi e domi
Scorgi la gloria mia, d’Austria la spene,
549Gioseffo ed Isabella augusti nomi;
Guarda su le stellifere catene,
Che gli stringono insiem, le amiche sorti,
552Che lor serba Costei, che in man le tiene.
Oh come in mezzo alle sanguigne morti
Dolce subbietto avrà Teresa invitta,
555Che le guerriere sue cure conforti!
Qual del saggio Francesco entro la dritta
Ragion letizia sorgerà presaga
558D’aurei destini alla Germania afflitta!
Non più del pio Filippo tuo la vaga
Mente di pianti e di sospir lugubri
561Coi foschi obbietti inasprirà la piaga.
Rivestiran pomposamente rubri
Serici fregi a fimbrie d’oro e a liste
564Le scure pria pel lutto are e delubri;
E là volto in festoso il canto triste
Renderà Esperia a te, che il Mondo reggi,
567Donna del ciel, grazie fra gl’inni miste.
Ma tu soggetta un tempo alle mie leggi
Sculto sul laccio dell’alterna fede
570Mira d’Austria e d’Italia il fato, e leggi.
In così dir le nuzíali tede
Scosse, e a Luisa il doppio core offerse
573Di sì felici alti presagi erede:
Ed ella poichè in quello a mille scerse
Nipoti il preparato onore inciso
576Di sereno gioir la fronte asperse,
E con tal grazia d’un leggier sorriso
Segnò le labbra sue, che non più certa
579Di gaudio immagin mai diè più bel viso.
La fatal notte de’ superni aperta
Decreti in essa ad affisarsi trasse
582L’eterea schiera a svilupparli esperta;
Chè in quelle sorti eccelse, appo cui basse
Fúr quante a virtù rara Amor consacre,
585Fra stupor e piacer parve che stasse.
Ah! perchè a me dato non fu le sacre
Tenebre penetrar? Come in robusto
588Cangiato avrei lo stil selvaggio ed acre,
Sì, che or vedría ne’ miei carmi il vetusto
Suo lume vinto dal fulgor novello
591L’Augusta Donna del Consorte Augusto.
Pur quel, che da cotanta ombra io divello
Fausto segno all’età nostra si schiuda.
594Mirai fuor del chiarissimo drappello
Gli Angioli d’Austria e Gallia, ambo di cruda
Lorica armati, infra le accese faci
597Da fiamma d’ogni fumo impuro nuda
Guidar l’Angiol d’Italia, e con veraci
Pegni di fè stringer d’Amore i fianchi,
600Ed alternar sul santo volto i baci.
Mentre con occhi umilemente franchi
Leggean que’ Spirti entro i destin futuri,
603Nè in meditarli sazj eran, nè stanchi,
Io, cui d’Amor sembráro in parte oscuri
I sensi, sclamai volto alla mia scorta:
606Chi fia, se tu non sei, quel, che assecuri
I pensier miei? Detto, che udii, m’apporta
Dubbio alla mente. E v’hanno Anime quali
609Testè le pinse Amor dentro l’attorta
Ad esse fragil carne in naturali
Pregi da Dio distinte? E non son tutte
612L’Alme di lor natura umane eguali?
Ei mi rispose: Da ragion produtte
Onnipossente fúr le cose, ovunque
615Sono, e in sè stesse a mostrar lei ridutte;
Così che immenso il poter suo, quantunque
Vinca d’assai gli umani alti pensieri
618Nell’opre, ch’essa feo, veggi chiunque.
Quindi ella innumerabili, leggieri,
Gravi, liquidi, duri, opachi, e lustri
621Di raggi, e vivi, e inerti al moto veri
Corpi non sol formò, ma Spirti illustri
Per immagin divina a lei simili
624Nel ragionar liberamente industri.
Or se tu gli animai mediti o vili,
O pregievoli in terra, o in acque erranti,
627E le ramose piante, e l’erbe umíli,
Comprenderai quanto sian varj, e quanti
Moti, aspetti, e colori abbian diversi,
630Chè malagevol fia distinguer tanti.
Che in lor specie fan varj anche vedersi;
Talchè appieno non mai destrier somigli
633Un altro, e mai sparvier coi vanni aspersi
Di piume altro sparviero, e non mai gigli
Pareggin gigli, e a foglia egual sia foglia,
636O molle s’apra, o secca s’attorcigli.
Nè fra gli uomin conforme è la lor spoglia
Frale, onde scorga ognun quanta in tant’opre
639Varietate magnifica s’accoglia:
Se Dio tal fermo in variar ti scopre
Ordin su terree masse, e perchè neghi,
642Che su immortali forme egli l’adopre?
E donde avvien, che ad ammirar ti pieghi
Cotanta largitate, e poi t’infingi
645Di non intender, che l’accorci e leghi,
Mentre il Poter altissimo ti pingi
Sì fecondo ne’ corpi, e negli Spirti
648Scelti a conoscer Lui lo scemi e stringi?
Nè paventar, che in nebbia atra, e fra sirti
Dubbie tua mente il parlar mio riduca;
651Chè tu puoi da te stesso il vero aprirti.
Pensa, che l’arti tutte, in cui riluca
Vigor d’ingegno, fúr pria d’ogni norma
654Scritta, che ad acquistarle altri conduca;
Onde forz’è, che l’inventrice forma
Splendesse in alma non vulgar, che ignota
657Via scoprì senza condottiero ed orma.
Tu pur vedesti del saper la nota
A pochi fonte ampia sgorgar da incolti
660Spiriti, ove apparir dovea più vota,
Che da rozzezza e povertade involti
Nulla appreser da quei, che dopo acerbi
663Studj, e lungo vegliar divenner colti,
Se il meditar sublime, o ignobil serbi
Del cerebro a robusta, o a debil fibra,
666Per cui ragion o si rinforzi, o snerbi,
Tu allo strumento dai, ch’offre e non libra
Le immagin, quell’onor, di cui ti provi
669L’Alma spogliar, che in sè le avviva e cribra;
Che non ponno corporei obbietti, o novi,
O antichi invader l’Anima, se questa
672Le forme lor in sè pria non rinnovi.
Or tal riproduttrice o pigra, o presta
Virtù, che spirto è sol, negli uomin vari
675Varia per l’opre lor si manifesta;
Quindi argomenta, che in natura chiari
Pregi distintamente illustran l’Alme,
678E che non tutte in pregio egual son pari.
Mentr’ei diceva, le tacite calme
Dell’aria agitò suon grande e canoro;
681E il suono accompagnáro allori e palme,
Di cui gli Angeli fér pompa fra loro,
Sciogliendo questo di compiuta lode
684Lieto inno insiem l’innumerabil Coro:
Grazie a costei, che dal mirabil ode
Carro d’eterna maestate adorno
687Gli umani voti, e di risponder gode
Con doni a piene man sparsi dintorno,
Chè tal di lauri ella prepara onore
690Della pia Coppia ai fortunati uu giorno
Figli ed Eroi. Grazie ad Amor, che un core
Solo di due compose; e i fonti, i colli,
693Le valli replicár: Grazie ad Amore.
Io i sensi avea sì per letizia molli
Fra le sembianze Angeliche e le voci,
696Che allor non sol credei morir, ma il volli.
Già il diradato sangue in più veloci
Moti rigurgitando al petto contra
699Parea squarciarne le ristrette foci;
Quando Luisa pose argin incontra
Al sommo gaudio, e il suo nel mio fisando
702Cerchio, che in sè la Visíon rincontra,
A parlar prese: Io pienamente amando
Quel Ben, che una beata Anima sugge,
705Benchè ad ogni desío terren dia bando,
Pur provo, che il pensier la mia non fugge
Conjugal fiamma, perchè il ben, che ottenni,
708Sublima il casto amore, e non lo strugge.
Or, poichè avvinto alla memoria tenni
Te, che all’estinta mia Germana offristi
711Le rime, onde i miei pianti io non ritenni,
Sprono te, che la mia gloria scopristi,
A pianger vivi di Filippo ai guardi
714Questi obbietti da altr’uom non pria mai visti.
Digli, che il freddo mio cener non guardi,
Se non con dolce invidia, e al Regno aspiri
717Di luce, ov’ei mi rivedrà; ma tardi.
Che se dato al tuo piè fia che s’aggiri
Là ’ve Isabella in fra i silenzj tetri
720Di gemiti si pasce e di sospiri,
Taci, nè forza ardisci far con metri
Festosi al lutto suo. Lascia, che chiegga
723Stanca dal duol chi tregua al duol le impetri.
Tu armato allor di quanto avvien che regga
I vati igneo vigor, dille, che spogli
726Le ingrate cure, e ne’ tuoi carmi legga
Quel, che per lei fausto destin disciogli:
Poi grida: Oh troppo cara a Dio! non lenta
729L’ora a te vien, che d’altro amor t’invogli:
E tu ad Amor t’arrendi, e della spenta
Madre, e pronuba tua non più la tomba
732Muta, ma l’opre e la mercè rammenta.
Fin pose ai detti, e voce udii, qual tromba
Armoniosa in raddoppiati squilli,
735Che d’Austriaci trofei mista rimbomba,
E di sacri a Teresa ozj tranquilli.
Nè ai lustri, che verranno, io questi innarro,
738Perchè a me il Ciel oscuramente aprilli,
Cogli Spirti felici allora il carro
Divin levossi, e su la valle bassa
741Rifolgorando, in men di quel ch’io il narro,
Svanì, qual lampo, che illumina e passa.
ANNOTAZIONI
ALLA DECIMA VISIONE.
P. 194. | Come in queste soggette a lei contrade ec. |
Anche i Demonj conoscono la virtù, e sono costretti a lodarla, benchè l’odiano in chiunque si trova. Non dee perciò recar maraviglia, se l’Autore fa che l’Angelo della Morte racconti distintamente agli altri Demonj le virtù della defunta Principessa, volendo quindi trarne motivo di vanto e di diabolica contentezza, per aver messo a morte l’Infanta Luigia, e avere spento in lei il chiaro lume delle odiate sue virtù. Il discorso passa familiarmente e in secreto tra lui e gli altri Demonj.
A prova ancor più sicura e certa di quanto asserisce l’Autore circa i diversi pregi dell’anime, abbiamo l’esempio del celebre Ingegnere Bartolommeo Ferracino, nomo di bassissima estrazione, senza coltura veruna di lettere, nè di studj, il quale nondimeno è riuscito mirabile sino dalla sua tenera età nelle invenzioni meccaniche, di semplicità insieme e sodezza singolare, come fede ne fanno, tra le altre sue opere, il famoso Ponte di Bassano, e la macchina Idraulica del Signor Cavaliere Belegno.
P. 195. | Degli antichi odj armato, e d’ardimento |
Agli odj eguale io dalle labbra immonde | |
In lei spirai l’imputridito vento ec. |
Qui cade in acconcio d’osservare, che gli Ebrei anticamente erano persuasi, che quasi tutte le malattie incurabili e sconosciute fossero cagionate dal Demonio. E infatti veggonsi nell’Evangelio parecchj epilettici, sordi, muti, lunatici, maniaci realmente posseduti da qualche Demonio; e non sì tosto Gesù Cristo o i suoi Apostoli scacciato aveano il Demonio, che il malato era guarito. Ci vien parlato d’un Demonio muto, d’un altro che difficoltosamente parlava, d’un uomo posseduto dallo spirito della infermità. E San Paolo dando in balía di Satanasso l’incestuoso di Corinto, dice, che l’abbandona a questo nemico: Ad interitum carnis. Ragionando San Marco delle malattie del corpo, chiamale ordinariamente flagelli mandati da Dio.
Questo sentimento è tolto dalla Dissertazione sopra la Medicina degli antichi Ebrei, del Padre Abate Agostino Calmet, tomo II stampato in Lucca per Sebastiano Domenico Cappuri.