Che di virtù le armate Alme più sagge
S’arreser vinte alla dogliosa immago, 315Ch’ogni conforto al lagrimar sottragge:
Ch’altri accusò l’eterno ordin non pago
De’ mali, cui l’uman germe soggiacque: 318Ch’altri la vita di lasciar fu vago.
Chè benchè ubbidiente a quel che piacque
A Dio, pur presso al Genitor confuso 321Muta Isabella e inconsolabil giacque.
Silenzio, solitudine, e diffuso
Fremito, e pianto saran degni frutti 324Dell’opra, onde ti lagni esser deluso.
Ríalza lo stendardo, è sovra tutti
Gli allori tuoi vantati sol che or deggia 327Italia a te le sue sventure e i lutti.
Gl’immondi Spirti, e la crudel, che ondeggia
Lor voce sparsa per que’ campi aperti, 330E il portamento, che il parlar pareggia,
S’eran così terribilmente offerti
Ai sensi miei, che mi parea, che questi 333Fosser fra il sonno e la vigilia incerti.
Quando a fugar gli orridi obbietti e mesti
Dal fulgido oríente uscì tal voce: 336O tu, che dell’inferne Ombre scorgesti
Il vil trofeo, che al vantator sol nuoce,
Mira, come gli altrui danni in tríonfi 339Provvidenza ed Amor cangia veloce.
Là dove in cerchio avvien che si rigonfi
L’aere percosso dal novello suono, 342Io girai gli occhi di lagrime gonfi;
E dopo udito un minaccievol tuono,
Che l’Ombre sgominò, presso me vidi 345Mitrato il capo un Uom che disse: Io sono