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decima 191

Il suolo, ove arator non mai si duole,
     Che a fecondarne i germi indarno ei sudi,
     51Di cui cultor è con Natura il sole,
Sì adescato m’avean, che a me que’ rudi
     Campi s’offrían leggiadramente ameni
     54Più assai de’ colti co’ più eletti studi.
Quando in men che non scoppiano i baleni
     Il prato inaridò vento, che sorse
     57Del nevoso aquilon dai freddi seni,
E dietro al vento un calpestío trascorse
     Romoreggiando per lo pian battuto,
     60Che là, donde movea, gli occhi mi torse;
E fra paura e maraviglia muto
     Vidi gran turba in fieri atti, e con volto
     63Crudo, e in difformità varia sparuto.
Pedestre era la turba, e di quel folto
     Stuolo ciascun tenea croceo dipinto
     66D’atra immago un vessillo all’aure sciolto,
In cui d’illustre Donna, o d’Eroe spinto
     Dell’Ombre ai regni bui scorgeasi scritto
     69Il nome, e sotto quel: Da me fu vinto.
Precorrea quanto è d’una selce il gitto
     La feral schiera un Condottier più truce,
     72Che il sommo in essa avea scettro e diritto.
Alla squallida e rea faccia del Duce
     Giunge squallor sotto palpebre immote
     75Lo sguardo tinto di sanguigna luce.
Duo serpi sórti dall’orecchie vote
     Di suono striscian senza inciampo e legge
     78Sibilando or al collo, or su le gote.
La trista fronte elmo fasciato regge
     Da corona intessuta a lauri freschi
     81Da frusti di spolpate ossa e da schegge.