Il suolo, ove arator non mai si duole,
Che a fecondarne i germi indarno ei sudi, 51Di cui cultor è con Natura il sole,
Sì adescato m’avean, che a me que’ rudi
Campi s’offrían leggiadramente ameni 54Più assai de’ colti co’ più eletti studi.
Quando in men che non scoppiano i baleni
Il prato inaridò vento, che sorse 57Del nevoso aquilon dai freddi seni,
E dietro al vento un calpestío trascorse
Romoreggiando per lo pian battuto, 60Che là, donde movea, gli occhi mi torse;
E fra paura e maraviglia muto
Vidi gran turba in fieri atti, e con volto 63Crudo, e in difformità varia sparuto.
Pedestre era la turba, e di quel folto
Stuolo ciascun tenea croceo dipinto 66D’atra immago un vessillo all’aure sciolto,
In cui d’illustre Donna, o d’Eroe spinto
Dell’Ombre ai regni bui scorgeasi scritto 69Il nome, e sotto quel: Da me fu vinto.
Precorrea quanto è d’una selce il gitto
La feral schiera un Condottier più truce, 72Che il sommo in essa avea scettro e diritto.
Alla squallida e rea faccia del Duce
Giunge squallor sotto palpebre immote 75Lo sguardo tinto di sanguigna luce.
Duo serpi sórti dall’orecchie vote
Di suono striscian senza inciampo e legge 78Sibilando or al collo, or su le gote.
La trista fronte elmo fasciato regge
Da corona intessuta a lauri freschi 81Da frusti di spolpate ossa e da schegge.