Visioni sacre e morali/Visione IX

Visione IX

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Visione VIII Visione X


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VISIONE IX.




PER LA VITTORIA

RIPORTATA DALL’ARMI

DI

S. M. I. R.

MARIA TERESA D’AUSTRIA

SOPRA

L’ESERCITO PRUSSIANO

IL XVIII GIUGNO DELL’ANNO MDCCLVII.




Chi mi darà penne sì forti al fianco,
     Qual di Patmo ebbe su l’ondosa riva
     3La sacra Aquila al suo vol non mai stanco?
Ah! in me s’adempia quella voce diva:
     Vedi, e poi scrivi; onde le rime dure
     6Sciolga così, che quel che vidi io scriva;
E lo stil pien d’immagin’alte e scure
     Pe’ troppi raggi, in cui Dio le nascose,
     9Vinca gli abissi dell’età future.

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Colle rote ne’ cerchj aurei fastose
     Presso era il carro condottier del sole
     12L’orme del Cancro a ricalcar focose,
Quando rapito io fui, non già qual suole
     Per impeto avvenir nuovo talvolta,
     15Che ai sensi l’Alma sè medesma invole;
Pur, nol so, fui rapito, e tratto in folta
     Selva, e in piaggia mal nota, e da gravoso
     18Aere non puro opacamente involta.
In quell’orrida parte, ove dubbioso
     Fra i densi rami entra, e furtivo il giorno,
     21Era, cred’io, beltate il rozzo e ombroso.
Misto sorgea fra l’elci fosche adorno
     Di docil chioma il tiglio, e la profonda
     24Radice il tasso avviticchiava all’orno;
Mentre i cipressi la funerea fronda
     Più lugubre rendean coll’ombra errante
     27Del ghiandifero cerro, e dell’immonda
D’umor viscoso abete, a cui davante
     Inordinate ergeansi querce antiche
     30Già domatrici del gran mar d’Atlante:
Ingombravan il ciel poscia le amiche
     Piante de’ lidi sterili e del colle,
     33E dell’umide terre e delle apríche;
Chè il platano frondoso al pioppo molle
     Intrecciava le braccia, e l’alno forte
     36Curvava il salcio, sovra cui s’estolle:
Le vie segnavan disuguali e torte
     Greppi di fitti cárpeni, e di spine
     39Sparse fra vecchie ai tronchi ellere attorte;
E all’occhio, ovunque a sè scegliea confine,
     Verde ognor bruno offrían l’erbe e le fronde,
     42Rotto sol da spumanti acque vicine,

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Che blancheggiavan fuor dalle feconde
     Vene in piombar fra sterpi e sassi, e quindi
     45Nere scorrean fra l’ombreggiate sponde.
Io mossi in pria su i sentier larghi, ed indi
     Li cangiai spesso, e li ripresi, e poi,
     48Ignaro s’io fra i Mauri errassi, o gl’Indi,
Seguii, qual Uom, che in suo cammin s’annoi,
     E vigor perda, e cerchi invan la meta,
     51E alla sorte abbandoni i passi suoi.
Alfin spirar m’avvidi aura più lieta
     Presso ad un fiume, che nel sen cingea
     54Un monticel con limpid’onda e cheta.
L’argin nudría un alloro, in cui piovea
     Quanto ha il ciel di rugiada ampio tesauro,
     57E tai nel ceppo incisi carmi avea:
In questa, ove or di ricche merci e d’auro
     Splendon Città famose, Ercinia selva
     60Sacro a Teresa Augusta è il più bel lauro:
Non lo profani mai pastor, nè belva,
     Nè rechi oltraggio alle felici foglie
     63Chíunque esce dal bosco, o si rinselva.
Le scolte note, espresso in cui s’accoglie
     L’aspro, ombrifero suol, ch’unqua non scorsi,
     66Paghe ne’ dubbj lor fér le mie voglie,
Che dal vetusto nome esser m’accorsi
     Nelle Boeme piagge, e ne’ sonanti
     69Di ferro ostil campi, e selvosi dorsi.
Già sorgea chiara all’atra notte avanti
     L’Esperia stella, e a me il vicin periglio
     72Per le fiere pingea nel bosco erranti;
Tal che dal mio timor preso consiglio,
     La riviera tentai con lieve barca,
     75Ch’ivi lasciò l’altrui fato, o l’esiglio.

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Docil la spinsi d’un sol peso carca
     All’altra sponda, e con piè tardo ascesi
     78Là ’ve più il colle col poggiar s’inarca.
Alla mia vinta allor lena m’arresi,
     E sotto infranta, e abbandonata ai venti
     81Capanna vil le membra lasse io stesi.
Gli spirti miei per la stanchezza lenti
     Diér loco al sonno, cui cedendo chiusi
     84Gli occhi nel pigro lor moto languenti.
Ma nel grato sopor varj e confusi
     Spettri di belve orribili mirai
     87Coi sensi dal sognar vivo delusi,
E tal ristretto al cor gelo provai,
     Che nel fuggir l’ingorde ugne e le zanne,
     90Molle di sudor freddo io mi destai.
Allor vidi non più rozze capanne,
     Ma un gran lume, che tutte all’improvviso
     93Fe’ del tugurio sfavillar le canne,
E fra il lume un Guerrier coperto il viso
     Di ferree lame azzurre, e il seno, e i fianchi,
     96Su l’aure, ch’ei rendea splendenti, assiso,
Che a dir mi prese: Gravi ancora e stanchi
     Gli occhi al sonno tu serbi? o forse attendi
     99Che una nuov’alba un’altra notte imbianchi?
Sommo a te onor togliea quel, cui t’arrendi;
     Lungo torpor, se nol scuotean dal petto
     102Delle selvagge fere i sogni orrendi.
Sorgi: Tu sei scelto al sublime obbietto
     D’intrecciar gl’inni alla Vittoria, e questo
     105Giorno ai tríonfi è di Teresa eletto.
Grande ai carmi argomento atroce appresto,
     E il foco a ravvivar, che in te si serra,
     108Del mio sacro fulgor l’Alma ti vesto.

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Dall’erta, ove tu sei, vedrai qual guerra
     Alle invitte finor Prusse caterve
     111Il congiurato ciel mova e la terra:
Vedrai l’ardito Re, cui troppa ferve
     Gloria nel cor, fra le sue schiere vinto
     114O trucidate, o fuggitive, o serve.
Fin pose ai detti; e i raggi, onde avea cinto
     Gli occhi, vibrò per la visiera, e infuse
     117Lieto calor nel mio già quasi estinto;
Tal ch’io pien del vigor, che in me diffuse,
     M’alzai dal suolo; ed oh, Guerrier, risposi,
     120Qual tu ti sii, che l’ombre ancor confuse
De’ miei sogni penétri, ed i ritrosi
     Miei carmi in tua virtù cotanto affidi,
     123Ch’io quel, che chiedi a me, prometter osi,
Eccomi pronto. Ma tu pria dividi
     Dall’Alma ignara un dubitar non lieve,
     126Che ad onta del tuo dir vuol ch’io diffidi.
Come fia, che il sol vegga in giro breve
     Debellato quel Re, da cui nell’arte
     129Di pugnar legge ogni Guerrier riceve?
Se la fama dal ver non si diparte,
     Qual fra i Duci vantò maggior di lui
     132Nell’arme alto intelletto e nelle carte?
Che in parte vinto a danno volse altrui
     La sua perdita stessa, ond’ei risorse
     135Trionfator de’ vincitori suoi?
Ben degna è la Real Donna d’opporse
     Con valor pari ad un valor sì chiaro,
     138Per porne il fato e la vittoria in forse;
Ch’ella in sè le virtù chiude, che ornáro
     Gli Spirti illustri, e natural costume
     141Sembra in lei quanto è negli Eroi più raro;

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Nel cui sen nido fér piene del Nume
     Pietà, Giustizia e Fede, e al volto vago
     144Crebber beltate, ed al cor grazia e lume.
Per sì mirabil pregi, ond’altri pago
     Fora d’un solo, dentro me non siede
     147Altra a par della sua più grande immago:
Pur d’un Re, duce e spettator, che vede
     Le nemiche arti, è più terribil l’opra,
     150Che di Donna, che al guardo altrui le crede,
Mentre il sesso gentil vieta, che sopra
     Agil destrier le squadre urti e divida,
     153E delle dure maglie il petto copra.
Ma dove un folle ragionar mi guida?
     La tua voce, i tuoi rai, quel, che s’aggiunse
     156Tuo sacro ardor al mio d’assai m’affida.
Perdona al temerario ardir, che punse
     L’Alma, e improvviso al tuo parlar mi nacque:
     159A mortal cor perdona. Egli soggiunse:
Vince colui, che al Ciel che vinca piacque;
     E prode è sol chi Dio vuol che sia prode;
     162Credilo; e alzossi il lucid’elmo, e tacque.
Del volto per l’aperto elmo custode
     Parvemi ravvisar Uom chiaro in armi,
     165Cui, mentre visse, fu scarsa ogni lode,
Tant’ei crebbe maggior degli altrui carmi.
     Nol vidi mai, fuor che per fama illustre
     168In tele pinto, e in bronzi impresso e in marmi;
Pur la memoria ne’ suoi moti industre
     Tal m’avvivò l’idea simile al vero,
     171Ch’io dissi: O Eroe, di cui non v’ha chi lustre
Al paragon l’onor del Sacro Impero,
     Sei tu il fulmin di guerra Eugenio invitto?
     174O pur meco vaneggia il mio pensiero?

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Son quel desso, ei rispose. A me prescritto
     Fu dal sommo Voler, che io queste piagge
     177Féssi dalle beate aure tragitto,
Perchè con miglior lume il tuo s’irragge
     Fosco pensar, mentre uno spirto stesso
     180Me di là muove, e te quassù pur tragge.
Ben nel gioir al divo fonte appresso
     Del valor vero in sì felice seggio
     183So quanto altrui ne puote esser concesso;
E nell’immensa Deitade io veggio
     Chi mi prestò l’insuperabil forza,
     186Cui lo splendor di mie vittorie io deggio.
Tu ignori onde l’ardir s’infiamma, o ammorza;
     E all’umano poter la gloria ascrivi,
     189Chè non pregi nel frutto altro che scorza.
Or agl’infermi tuoi raggi visivi
     Giungo, e all’orecchio fral virtù divina,
     192Tal che pari non l’abbia alcun fra i vivi.
Già ti stan destre irate, a cui destina
     O palma, o strage il Ciel, davanti agli occhi,
     195E l’orribile pugna è omai vicina.
Allor la man mi strinse, e sentii tocchi,
     Come da un urto acuto, i nervi, e dalle
     198Fiamme, che ferro elettrizzato scocchi.
Ma parvi a me di me maggior. Le spalle
     Volsi al meriggio, e indirizzai gli sguardi
     201Fra un ampio monte, e la soggetta valle,
Ove credei tra folte armi e stendardi
     Le prime rimirar guerriere prove;
     204Quando il Duce mi disse: E dove guardi?
Guardo, risposi, là donde si move
     Selva d’insegne al vento. Egli riprese:
     207Altro principio ha la battaglia altrove;

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Volgiti verso l’Austro. Io, dove stese
     Contra me l’ali avea l’Austro, mi volsi,
     210E subito stupor l’Anima prese,
E meco del Guerrier quasi mi dolsi;
     Chè, fuor che un Tempio su’cent’archi aperto,
     213Null’altro obbietto dentro gli occhi accolsi.
Ma in quel fisando, ai fermi sguardi offerto
     Quant’esser può splendea di sacro e grande.
     216Mille pendean dal curvo tetto ed erto
Fasciate ad urne d’oro auree ghirlande,
     Ove i liquor di pingui olive accensi
     219Foco nudrían, che smorta luce spande.
Sovra un’ara d’elettro infra gl’incensi
     Bianche ardean cere con sì viva face,
     222Che l’ondeggiar vincean de’ fumi densi;
E in solio, che gemmato ivi alto giace,
     Sedea dal gran Mistero ombrata e cinta
     225L’eterna di pietade Ostia e di pace.
A piè dell’ara fra la turba accinta
     Del Nume ascoso ad implorar l’aíta
     228Con speme a lui, che gliel’infuse, avvinta
Stavasi d’umiltade il cor vestita
     Più che le membra in vel dimesso avvolte
     231Di sè pensosa, e in Dio soltanto ardita
La Regina dell’Austro. Alle raccolte
     Chiome non intrecciò l’augusta benda,
     234Nè gemme o sparse, o in fior lucenti accolte:
Ma Caritate e Fè par che le accenda
     Il bel volto di placide faville,
     237E più adorno senz’arte ancor lo renda.
Le azzurre ella chinò vaghe pupille
     A terra fise, e a Dio poi le rivolse
     240Dolcemente ne’ lor giri tranquille;

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E poi che in sè l’aura superna accolse,
     Che alla fervida prece impennò l’ale,
     243Tai detti, più che il labbro, il cor disciolse;
Dio di Pace e d’Amor, io Donna frale,
     Cui tu già désti negli aviti Regni
     246All’antico splendor lo scettro uguale,
Chieggio alla tua pietà, che non isdegni
     L’umil mio voto, e delle ostili squadre
     249A tríonfar nel Nome tuo m’insegni;
Chè nulla o in generose opre, o in leggiadre
     Puote umano voler, se tu gli neghi
     252Lena e valor, che del valor sei padre.
Tu il vedi, e il sai, pria che ti porga i preghi,
     Qual rovinoso contra me torrente
     255D’armi dall’Aquilon crudo si sleghi.
Una feroce e formidabil gente,
     Che te invoca, e adorar poi te ricusa
     258Vero sotto il tuo vel Uom-Dio presente,
Me assale e turba. Già pria la delusa
     Dall’amistà Sassone Terra oppresse
     261Per l’escluso suo Re triste e confusa;
Or segue il suo feral corso, e le stesse
     Barbare guerre ne’ Boemi liti,
     264Che in preda al ferro usurpator elesse.
Tu, poichè avvien, che qui fra noi t’inviti
     Il tuo tenero Amor, nè prendi a schivo,
     267Che l’Uom te chiuso in mistic’ombra additi,
Sorgi, vendica te, vendica il divo
     Immenso Amor. Sappia fra i suoi furori,
     270Che tu m’ascolti entro quest’Ostia vivo,
Il popol fier, che scema a te gli onori
     Di tua Divinitade, e suo malgrado,
     273Se non l’Amor, almen lo sdegno adori.

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Al terminar delle pie voci un rado
     Nuvol l’obbietto ombrò sì, che il perdei
     276Fra la caligin sorta a grado a grado;
E poi che penetrar più non potei
     Al Tempio, l’appannata aria tentando,
     279Volsi agli armati campi i lumi miei.
Nè in atto di pugnar vidi un sol brando,
     Benchè libero agli occhi il varco io diedi;
     282Ma il Duce mi guatò bieco gridando:
Tu, che sì neghi a me fede, che vedi?
     Nulla, diss’io, che il gran cimento appresti;
     285Ed ei soggiunse: E perchè a me non credi?
Della battaglia Dio serba i funesti
     Principj all’Austro, e all’Aquilon tu miri?
     288Ritorna il guardo là donde il togliesti.
Muto, qual Uom, che in suo fallir sospiri,
     Rivolsi gli occhi; ed oh mirabil mostro!
     291La nube, che sembrò nebbia che giri,
Di ceruleo color dipinta e d’ostro
     Listato d’ombre nere alta levosse,
     294E la parte offuscò tutta dell’Ostro;
E dove il centro suo parea che fosse,
     Infra turbini orribili e fra lampi
     297Colla visiera alzata Angel si mosse,
Che si librò sovra gli aerei campi
     Scuotendo tromba di terribil suono;
     300Poi, dove avvien, che più la nube avvampi.
Uscì tal voce: Io, che son quel che sono,
     (Tremáro allor le selve, i monti, i piani,
     303E il turbo acceso ammutolissi e il tuono)
Parlo a te, che slegasti ai dì lontani
     I quattro Angeli avvinti entro l’Eufrate
     306Custodi dei confin Parti e Romani,

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E hai sciolti or quei, che avean le man legate
     Entro la Molda e l’Elba, empi di foco
     309La tromba usa a irritar le squadre armate:
Scendi poi dove hanno i duo campi il loco,
     E d’Austria l’armi alla crudel contesa
     312Movi; chè il vincer meco è lieve gioco;
E sovra ogni bandiera al vento stesa
     Scrivi in raggianti e tríonfali note:
     315Di Dio spada vittrice e di Teresa.
Già l’immenso Amor mio, che chiuder puote
     Me amante sotto impenetrabil velo,
     318Contro chi non l’adora il fulmin scuote,
E qual Uom fia, che ardisca, s’io mi celo,
     Me ascoso, ma pur Dio, prender a scherno,
     321E interrogar me de’ miei dritti in Cielo?
Tacque; e più ardendo allor l’aere superno,
     L’Angel gridò: Santo tre volte Santo,
     324Il Dio tu sei delle Battaglie eterno;
E diè fiato alla tromba. Il feral canto
     Lamagna tutta empiè, dietro cui tenne
     327De’ Prussi lidi un ululato e un pianto.
Indi scendendo al suol rapido venne,
     E col forte elmo sì l’aria divise,
     330Che piovver luce in ondeggiar le penne:
D’Austria fra le coorti egli si mise,
     E colle note del divin furore
     333Carche armò gli stendardi e le divise.
Nuovo ne’ Duci ei non spirò valore,
     Chè in petto ebberne appien: lor non accrebbe
     336Fuor che letizia, e d’onor zelo al core.
Poichè il nemico altier gl’infausti bebbe
     Sdegni col suon della celeste tromba,
     339Le agitate affrenar furie gl’increbbe,

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E a par di sasso, ch’esca fuor di fromba,
     Le ferme urtò nel vallo Austriache schiere.
     342Già d’immenso fragore il pian rimbomba:
Già appajon miste insieme armi e bandiere,
     Mani omicide, e di ferir in atto;
     345Altre all assalto, altre a resister fiere:
Chi pendea dai ripari, e chi più ratto
     Salía tra vivo foco, e fumo, e polve
     348Su i corpi uccisi, o non estinti affatto.
Fiume il Prusso parea, che seco involve
     Sponde, e ponti, e il mar preme: e d’Austria il Campo
     351Turbin, che addietro spinge, e lo rivolve;
Chè riposta ambo avean lor gloria e scampo
     O in vincere, o in perir sotto le crude
     354Spade, o de’ cavi bronzi al feral lampo.
Al forte assalitor, che in petto chiude
     Lo sdegno, il furor crebbe; e all’assalito
     357Maggior lena prestò maggior virtude.
Io vedea si, che segnar quasi a dito
     Del conflitto potea fra i moti vari
     360Chi cadea spento, e chi gemea ferito.
Ma quegli obbietti troppo eran contrari
     A natural pietà, che in Uom non langue,
     363Se non desta ira in lui gl’impeti amari:
Onde mirando altri col volto esangue
     Languir, ed altri le convulse membra
     366Di polvere agitar lorde e di sangue,
L’Alma, cui suo l’altrui tormento sembra,
     Di tanto orror m’empiè l’ossa e le vene,
     369Che la memoria ancor triste rimembra.
Quando l’Angel mirò di guerra piene
     Le squadre, e udì le militari tube
     372Seguir col suon quella, che in mano ei tiene,

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Sovra un vapor, cui non avvien che rube
     La notte i rai, s’alzò; ma in un momento
     375Le ginocchia piegò su l’aurea nube.
Nè il Duce ad imitar l’Angel fu lento,
     Ch’ei pur curvolle, e seco lui me trasse
     378Gridando: Ecco d’Amor l’alto portento.
Se a te il celato Dio parve che stasse
     Nell’Austral Tempio, tal di sè fe’ mostra,
     381Che a te la pugna onde nascea svelasse.
Or egli appar presso l’eterea chiostra;
     Non ch’abbia d’uopo uscirne armato fuora,
     384Che al sol suo cenno ogni Guerrier si prostra;
Ma perchè dentro il velo, ov’ ei dimora
     Amando altrui lo mostri Amore offeso,
     387Tu quel che vedi, e quel che ascolti adora.
Disse, e nel ciel languidamente acceso
     Un leggiadro color d’iride smorta
     390Dall’Austro sorse oltre all’aurora steso;
E là, dove il sol apre al dì la porta,
     Innumerabil turba eletta apparse
     393Di regal fregio d’oro al crine attorta,
Che in atto di adorar gli aurati sparse
     Serti davante ad un Garzon celeste,
     396Che in immenso chiaror rifulse ed arse.
Non l’arco avea, nè le quadrella infeste,
     D’un altro Amor grande ornamento e triste;
     399Non l’ali di sottil piuma conteste;
Ma un lume rotto in folgoranti liste,
     Che in forma d’ali al tergo suo riluce.
     402Fiamme stringea una man di fulmin miste,
E l’altra, ch’oltre al capo egli conduce,
     La redentrice alzava Ostia fra un nembo
     405Di strisce no, di vortici di luce.

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Mentr’ei fin della veste al sacro lembo
     Quell’amante accendea tmba felice
     408Coi rai, che l’Ostia gli piovea sul grembo,
A parlar cominciò: Ben a me lice
     D’Amor spogliando la natía dolcezza
     411Armar la destra de’ miei torti ultrice;
Chè un dono immenso contro chi lo sprezza
     Ingrato, e il nega, pel crudel rifiuto
     414Sveglia maggior nel donatore asprezza.
Taccio quanto il mio foco abbia potuto
     Sul Nume stesso, e quel ch’egli sofferse
     417Fra scherni e piaghe ubbidíente e muto,
Quando il Padre a me il Figlio unico offerse,
     E versando su lui l’ire immortali
     420In mar di sangue e di dolor l’immerse.
Ma quai potea vanti sperar eguali
     L’Uom vile a quest’immenso, onde i perfetti
     423Spirti in tant’opra a lui fur disuguali?
Che lingua fral col suon de’ sacri detti
     La voce imiti onnipotente appieno
     426Sì, che a tornar nel primo nulla affretti
Gli azzimi all’ara scelti, e in un baleno
     Tutta lasciando lor la forma esterna,
     429(Qui Amor di pie bagnò lagrime il seno,
E poi seguì) ridoni alla superna
     Mente in lor vece il Figlio suo, divino
     432Effondimento di sostanza eterna.
Qual gente al Ciel diletta ebbe vicino
     Il suo Nume così, che a sè lo stringa
     435Compagno e scorta nel mortal cammino?
Che il fonte, onde si bean gli Angeli, attinga,
     E in sè l’accolga, e qual mirabil esca
     438Colle viscere sue l’annodi e cinga?

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Nè a lui beato d’abbracciar incresca
     L’indegno umano cor, per cui morío:
     441Che pietade anzi in tale stato accresca
Per l’Uomo al Padre, e in lui compia il desío
     Di Giustizia e d’Amor, mentr’egli il mira
     444Vittima insieme, e Sacerdote, e Dio.
Queste dell’ardor mio, che in lui s’aggira
     Chiare fur geste, e pregio mio sublime
     447Quest’è, che ascoso un Dio d’amor sospira,
E in terra v’ha chi di scemar s’estime
     L’onor di tanta impresa, e chi s’arroghi
     450La colpa d’annebbiar l’opre mie prime?
Chi vittima non creda arsa fra i roghi
     Questa, ma immago; e del Dio vero in vece
     453La rimembranza sol del Dio surroghi?
Or s’avvegga, che a un folle ardir non lece
     Tormi il trionfo mio, qual l’ebbi in pria:
     456Già il fulmin mi prestò Quegli, che il fece;
E il Popol reo, che il mio gran dono obblía,
     Provi me Amor, ma di pietade ignudo:
     459Mia fu l’offesa, e la vendetta è mia.
Con tai detti vibrò lampo sì crudo
     Verso il confin delle nemiche tende,
     462Che fora vano opporgli usbergo e scudo.
Il lume rapidissimo, che scende,
     Gli occhi abbagliommi; ed allor ch’io gli apersi,
     465Stetti qual Uom, che nulla vede e intende;
Ma poi che a poco a poco abili férsi
     Le pupille al lor uso, al ciel m’affisi,
     468E più la bella Visíon non scersi.
Quindi, se i fati eran omai decisi
     Delle due Genti, ad esplorar m’accinsi;
     471Ch’io mentre avea gli sguardi ad Amor fisi,

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Sordamente muggir l’igneo distinsi
     Tuon de’ bronzi, qual se lungi s’udisse;
     474E volto al Duce: Io nel pensier mi pinsi,
Sclamai, compiute alfin l’orride risse
     De’ Campi armati, e sangue ancor si versa?
     477E si combatte ancora? Egli mi disse:
Sette volte assalì la Squadra avversa
     L’Austriache Insegne, e giù dal margin alto
     480Pur altrettante fu spinta e dispersa;
Ed al settimo atroce estremo assalto,
     Cui le audaci il furor destre ridusse,
     483Rispose il lampo, che scoppiò dall’alto.
Queste, che or scorgi, son Falangi Prusse,
     Che su per l’erta al disperato ballo
     486Grande, ma temerario, ardor condusse;
E queste, ancor che i destrier pronti in fallo
     Non portasser il piè, vedrai sconfitte
     489Precipitar dal combattuto vallo.
Io, che tai leggi al guardo avea prescritte
     Di non fisar colà, dove prima ebbi
     492Per l’obbietto crudel le luci afflitte,
Poichè del foco, onde arse Amor, imbebbi
     Gli occhi e il languido cor, più fermo ardire
     495Al troppo molle immaginar accrebbi;
E intrepido mirai dell’ultim’ire
     I più fervidi moti, e quel che possa
     498Un effrenato di morir desire.
Salían vinta ogni sbarra e inciampo e fossa
     I corsier su l’arena in argin stretta
     501Dai fulminei metalli in pria già scossa;
Cui contro a sostener l’argin eletta
     Schiera ornata i capei di pelli irsute
     504Dell’urto fea col ríurtar vendetta.

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Mal potean i destrier gloria, o salute
     Sovra il pendío trovar d’incerti calli
     507Fra le sicure piaghe e le cadute,
E sfuggían rotolando all’ime valli,
     La terra alle ferrate ugne rubella;
     510E i Cavalier su i languidi cavalli
Cedean rispinti, o tratti fuor di sella
     Dai pedestri Guerrier colle congiunte
     513Agl’igniferi tubi aspre coltella.
Parver allor al duro termin giunte,
     Qual trite paglie fra le ardenti brage,
     516Le ostili forze, e in modo fier consunte;
Chè la maggior del Prusso Campo immage
     Era un pian vasto di cadaver carco:
     519Il resto o fuga, o servitude, o strage.
Vidi il feroce Re sotto l’incarco
     Delle perdite sue per sentier noti
     522Mover il piè nell’affrettarsi parco,
Nè d’oppresso mostrar sul volto i moti
     Tristi, tal che parea che fosse degno
     525Di Teresa sol vinto esser dai voti.
Poichè il sangue temprò l’Austriaco sdegno,
     Mi disse il Duce: Or chiaro scorgi, ed odi
     528A qual braccio l’Uom dee la palma e il regno.
Che se coll’armi, e co’ più accorti modi
     Talor vinse un Guerrier prode, non fúro
     531Dovute a lui del tríonfar le lodi;
Ch’ei nel corso de’ tardi anni futuro
     Scarso avría pregio, anzi in caligin piena
     534Fra i Duci il nome suo parrebbe oscuro,
Se Dio tal non porgeagli aíta e lena
     A vincer atta. Ogni trionfo è dolce;
     537Ma questo ad altri è premio, e ad altri è pena;

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Ch’Uom spesso indura fra gli onor, non molce
     L’Alma superba, e autor di sua vittoria
     540Sè crede, e non colui, che l’alza, e il folce:
Onde avvien poi, che fra la non sua gloria,
     Di cui vantossi ferma esser colonna,
     543Lasci ancora in cader di sè memoria.
Ben a un cor forte entro femminea gonna
     Dio già i lauri negò, perchè l’invitta
     546Fede volle tentar della gran Donna;
E quando ubbidiente, ancor che afflitta
     Vide lei dalle sue voglie supreme
     549L’ora implorare alla pietà prescritta,
Le ritornò sì generosa speme
     Colma di grazia in sen, giungendo seco
     552Dell’opra il merto, e la vittoria insieme.
Ma tu, se accende te questa, ch’io reco
     Alla tua mente, idea sublime e chiara,
     555Ch’esser non puoi a tanta immagin cieco,
Vanne, e ardisci ammirar Donna sì rara
     Nel regal solio, e co’ tuoi stessi lumi
     558A scoprir dove è virtù vera impara,
Nè t’arrestin monti aspri, e ondosi fiumi,
     Finchè a scorger in lei l’occhio non giunge
     561Quant’ella co’ suoi rai la terra allumi.
Dille, perchè una sede ambo congiunge,
     Ch’io col tenero suo Padre m’unisco
     564A guerreggiar per lei, benchè da lunge:
Che nud’Alma non perde il valor prisco:
     Che in me pe’ voti miei forza si desta
     567Più di quella, che al Reno ebbi e al Tibisco.
Soggiungi poi, ch’altro maggior s’appresta
     Alla sua Fede assalto, e ai suoi pensieri
     570Nuova prepara il Cielo aspra tempesta;

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Ma non paventi; e in mezzo ai turbin fieri
     S’affidi al tríonfal braccio di Cristo,
     573E in sì gran Nome osi, combatta, e speri.
Dille, che il Genitor, da cui previsto
     Fu già nell’ore d’atra morte ingombre
     576Stretto d’Austria e di Gallia il vincol misto,
Gode in mirar, che pura fè disgombre
     Le sorte invan da invidia infauste larve:
     579Dille, che siam fra i Divi, e non fra l’Ombre.
E tu, poichè tanta a te luce apparve,
     Sciogli all’Inno sonante il suo bel volo,
     582Ch’io vado; e nel dir vado, egli mi sparve.
Rimasi allor sul colle apríco io solo,
     E volsi intorno intorno il guardo grave
     585Di guaste membra al ricoperto suolo;
E di sacro furor, che fren non ave,
     Sentendo il petto ardentemente armato:
     588Dov’è il Popol, gridai, che nulla pave?
Che parea scelto dal celeste fato
     A condur seco ovunque il Campo spinse
     591L’altrui ruine, e i suoi trionfi a lato?
Un giorno sol cotanta gloria estinse,
     In don serbata alla femminea mano,
     594Che ov’egli vincer si credea, lo vinse.
Oh come, Augusta Donna, il monte e il piano
     Fan viva eco al tuo nome, e la ripete
     597Fin ne’ barbari lidi il mar lontano.
Chè te risuona ogni guerriero abete,
     Che là ’ve alla nostr’alba il dì s’imbruna,
     600L’Oceán fende oltre l’Erculee mete.
Già sclamò cieco ardir: Tue forze aduna,
     Donna dell’Austro, e guarda quanto adombra
     603Turbin nero la tua real fortuna:

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Guarda come vittrice ergesi, e ingombra
     Fra pianto e orror il vasto Impero tutto
     606Nell’ostil braccio la terribil Ombra.
Guardasti: e il femminil tuo ciglio asciutto,
     Qual cometa, che in fier lume sfavilli,
     609Su chi lo minacciò rivolse il lutto.
Non più i nemici tuoi cantan tranquilli
     Sotto le insegne, e più fischiar non fanno
     612Al vento íemal mille vessilli:
Nè i lor destrier dall’ampie nari danno
     Fumo di guerra, e nel vantato corso
     615Non più i crin dietro appena al piè sen vanno;
Nè alteri mordon lo spumante morso,
     Nè invitan più coll’agitar dell’anche
     618Alla battaglia i cavalier sul dorso.
Sparver: e Dio languide rese e stanche
     Le tremende lor destre, e gelar feo
     621Per l’ultimo pallor le facce bianche.
Chi a te puote ridir di quanta ardeo
     Vendicatrice fiamma il cor feroce
     624De’ Duci tuoi? Quanta per lor caddeo
Confusa turba fra la strage atroce,
     Mentre il gran Condottier null’arti intatte
     627Lasciò in pugnar col ferro e colla voce?
Illustre è l’esser teco; ogni altro abbatte
     Valor la tua di Dio virtude armata,
     630Per cui fin dalle sfere Amor combatte.
Già i mesti agricoltor, cui dura, ingrata
     Fuga le natíe tolse aure benigne,
     633Tornando ove perì l’Oste spossata,
Danzan pur lieti fra le tronche vigne
     D’ellera cinti e di frondosi dauchi:
     636E sedenti su l’erbe ancor sanguigne

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Le Pastorelle co’ begli occhi glauchi
     Guatanli, e i suon destar tentan più rudi
     639Dal fondo sordo de’ timballi rauchi;
Che appena osan toccar i brandi ignudi,
     E le deformi per le svelte schegge
     642Armi temprate su le Prusse incudi.
Dolce ubbidire a te. Con aurea legge,
     Che l’aspro fren del rigor sommo abborre,
     645L’altrui Fè annodi, e Dio la tua protegge;
Che al maggior uopo i desir tuoi precorre,
     E fa, che in te forza divina alberghi,
     648Qual del Libano già nell’alta torre,
Dalla cui fronte, e da’ marmorei terghi
     Pendean le targhe alla difesa pronte
     651Degli Eroi prodi, e risplendenti usberghi.
Te applaude sorto dalla Sveva fonte
     L’Istro, ed umíli a te volge i suoi flutti,
     654Avvezzi a scuoter di Trajano il Ponte;
Per te l’Elba i carpinei archi ridutti
     In lorda polve innalza, e obblía gli scherni
     657Della rea sorte, e i memorabil lutti;
E la Senna, cui diéro i Fati eterni
     Gloria, che uguale in terra e in mar rimbombe,
     660Intrecciati offre a te gli allori alterni.
Oh potess’io fra questi, a cui le tombe
     L’ira affrettò, laceri busti e smorti,
     663E fra gli sparsi al suol timpani e trombe,
Erger mole, che al Tempo ingiuria porti,
     E fabbro a’ tuoi trionfi industre farme!
     666D’insegne l’ornerei tolte ai più forti,
E scolto in essa io lascerei tal carme:
     Qui fra i gelidi corpi, e le querele
     669De’ semivivi, e il muto orror dell’arme

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Alzata fu questa d’onor crudele
     Di spoglie e di trofei Colonna onusta
     672All’immortal Teresa a Dio fedele,
Invitta, Pia, Trionfatrice, Augusta.

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ANNOTAZIONI

ALLA NONA VISIONE.




Pag. 172. Che, fuor che un Tempio su cent’archi aperto, ec.

Ascrivesi ragionevolmente dall’Autore la gloriosa vittoria riportata dall’armi Austriache sopra le Prussiane alla singolare pietà dell’Augusta Imperatrice Reina Maria Teresa, e specialmente all’esemplar sua divozione verso l’Augustissimo Sacramento dell’Altare. E ciò ha in mira l’Autore nell’invenzione del Tempio, dove sta esposta alla pubblica adorazione l’Ostia sacrosanta, e nell’umile e fervorosa orazione di quella Sovrana per aver propizio il Dio degli eserciti alle sue armi.

Pag. 174. Parlo a te, che slegasti ai dì lontani
I quattro angeli avvinti entro l’Eufrate ec.

Di questi Angeli parlasi nel Cap. IX dell’Apocalissi. E per somigliante maniera l’Autore fa, che Iddio comandi all’Angelo suo ministro di sciogliere gli Angeli della Molda e dell’Elba, onde vadano a combattere a favor degli Austriaci, per punire i Prussiani della loro incredulità riguardo all’Eucaristico Sacramento. Nè con ciò pretende l’Autore di derogar punto al noto valore del Sovrano di Prussia, che viene giustamente riguardato come uno de’ più celebri Guerrieri del nostro secolo. Quello poi, che più è da ammirarsi in questo Sovrano sì forte guerriero, egli è l’essere esso addottrinato assaissimo nelle scienze filosofiche e nelle belle lettere. [p. 188 modifica]

Pag. 179. .......e pregio mio sublime
Quest’è, che ascoso un Dio d’amor sospira ec.

Iddio velato sotto le spezie Eucaristiche fu già profeticamente enunciato da Isaia con quelle parole: Vere tu es Deus absconditus.

Pag. 181. Se Dio tal non porgeagli aíta e lena
A vincer atta.

Ben potè l’Augusta Sovrana appropriarsi in questa occasione le parole, che disse Giuditta nel suo Cantico di ringraziamento: Deus conterens bella, Deus nomen est illi, qui posuit castra sua in medio populi sui, ut eriperet nos de manu omnium inimicorum nostrorum. Judith cap. xvi.