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decima 203

Ed egli a me: Dunque d’un volto noto
     Così l’antica effigie a te si vela,
     447Che a me la chiedi, qual ti fosse ignoto?
Non raffiguri più Luisa? Ah! svela
     Al tuo pensiero con memoria viva
     450Le forme sue, che il tuo stupor gli cela.
Ai caldi voti suoi fia, che s’ascriva
     Quanta su questo suol grazia diffonda
     453Colei, che il tutto crea, nudre ed avviva.
Essa lei guida alla Parmense sponda,
     Perchè versando su i lugubri affanni
     456Più larghi i doni suoi morte confonda.
Lieto allora gridai: Tu non m’inganni,
     O avventurata Visíone. È dessa
     459La Donna forte, che i terreni danni
Cangiò in quel pien goder, di cui la stessa
     Divinitade è paga. Oh quanta pace
     462Colma d’immenso amor traluce in essa!
Il cocchio dietro l’orme sue seguace
     Presso noi arrestossi, ove finía
     465Nel bosco il prato, che alidito giace;
E Provvidenza schiuse allor la via
     Ai sovrumani accenti; e al suono eterno
     468Rifiorì l’erba, che smorta languía.
Poichè mio, disse, è il regno ed il governo
     Delle create cose, io veglio sopra
     471Quell’ordin, che le guida al fin superno,
Per cui la gloria mia somma si scopra;
     Ch’io nacqui pria che il cielo e il tempo fosse
     474Da ragion creatrice, e attiva in opra:
Io riempio di me le tenui e grosse
     Parti del tutto, e le conforto, e movo
     477Verso là dove Dio già pria le mosse: