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decima 197

E fra i materni e i tuoi teneri nodi,
     Oh che dolce atto! dall’ingrate some
     249Del corpo mio l’Anima mia si snodi.
Qui replicando un lamentevol Oh me
     Infelice! sonar misto col pianto
     252Fe’ di Filippo e d’Isabella il nome.
Allor ch’io scorsi in lei fremer cotanto
     I moti del cor mesto, entro cui giunsi
     255Di sua costanza a render dubbio il vanto,
Col sangue incenditor stimol congiunsi,
     E le increspai le fibre, ed ai soavi
     258Liquidi pania infiammatrice aggiunsi,
Che in lor confin gli arteríosi cavi
     Tubi ingombrando svaporar ne feo
     261Le parti levi, e infracidò le gravi.
Ben vano ai voti miei pinsi trofeo,
     Che furore malnato ella nudrisse
     264Ne’ doppj affanni intollerante e reo,
E che avversa al voler di chi prescrisse
     Al corto viver suo termin sì duro
     267Fra le ribelli voglie alfin perisse.
Ma i voti al ver troppo contrarj fúro.
     Essa anzi, come ferro in su l’incude,
     270Che fra le vampe e i colpi esce più puro,
Obbliò quei, che il sen di Madre chiude,
     E di Consorte affetti; e quest’obblío
     273Non di mente torpor fu, ma virtude:
Grazie rese a’ suoi mali, e con desío
     Da Fede spinto a Cantate e a Speme
     276A Dio si strinse, e tranquillossi in Dio,
Quindi pien d’ira e duol, che m’arse insieme,
     Abbandonai la gangrenata salma
     279A te, cui cura è tua nell’ore estreme