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decima 211

Or, poichè avvinto alla memoria tenni
     Te, che all’estinta mia Germana offristi
     711Le rime, onde i miei pianti io non ritenni,
Sprono te, che la mia gloria scopristi,
     A pianger vivi di Filippo ai guardi
     714Questi obbietti da altr’uom non pria mai visti.
Digli, che il freddo mio cener non guardi,
     Se non con dolce invidia, e al Regno aspiri
     717Di luce, ov’ei mi rivedrà; ma tardi.
Che se dato al tuo piè fia che s’aggiri
     Là ’ve Isabella in fra i silenzj tetri
     720Di gemiti si pasce e di sospiri,
Taci, nè forza ardisci far con metri
     Festosi al lutto suo. Lascia, che chiegga
     723Stanca dal duol chi tregua al duol le impetri.
Tu armato allor di quanto avvien che regga
     I vati igneo vigor, dille, che spogli
     726Le ingrate cure, e ne’ tuoi carmi legga
Quel, che per lei fausto destin disciogli:
     Poi grida: Oh troppo cara a Dio! non lenta
     729L’ora a te vien, che d’altro amor t’invogli:
E tu ad Amor t’arrendi, e della spenta
     Madre, e pronuba tua non più la tomba
     732Muta, ma l’opre e la mercè rammenta.
Fin pose ai detti, e voce udii, qual tromba
     Armoniosa in raddoppiati squilli,
     735Che d’Austriaci trofei mista rimbomba,
E di sacri a Teresa ozj tranquilli.
     Nè ai lustri, che verranno, io questi innarro,
     738Perchè a me il Ciel oscuramente aprilli,
Cogli Spirti felici allora il carro
     Divin levossi, e su la valle bassa
     741Rifolgorando, in men di quel ch’io il narro,
Svanì, qual lampo, che illumina e passa.