Terza parte del Re Enrico VI/Atto secondo
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
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ATTO SECONDO
SCENA I
Londra - Pianure nella provincia di Hereford.
Suono di tamburi. Entrano Eduardo e Riccardo cogli eserciti marcianti.
Ed. Ignoro come il nostro augusto padre abbia potuto sottrarsi, se sottratto si sia all’inseguimento di Clifford e di Northumberland. S’ei fosse stato preso ne avremmo ricevuta novella: se ucciso fosse stato lo sapremmo pure: o se fuggito è avrebbe dovuto farcene accorti. Come va, fratello? Perchè sei mesto?
Ricc. Io non avrò gioia finchè non sappia qual è il destino del nostro magnanimo padre. Io lo vidi combattere da valoroso, e spiai tutti i moti ch’ei fece per trarre a parte Clifford. I miei occhi lo seguirono nel più denso della mischia, ed ei mi pareva un leone in mezzo ad un armento di buoi: o un orso assalito da cani che avendone feriti alcuni, e fattili latrare, tiene il resto distante ad infierire contro di lui invano. Il nostro padre presentava queste immagini in mezzo ai nemici; così i nemici lo fuggivano: e per ciò parmi sia una gran gloria l’essergli figli. Mira come il mattino apre le sue porte dorate, e saluta il glorioso sole! Come esso rassomiglia alla primavera della giovinezza! Adorno è come il garzone che vuol piacere alla sua amante.
Ed. I miei occhi sono abbagliati, e io vedo tre soli.
Ricc. Sonovi tre soli infatti splendidissimi e ben distinti; non è l’immagine d’un solo ripetuto nelle nubi trasparenti e fuggitive; ma tre dischi brillanti insieme in un cielo puro e candido. Mirate, mirate! essi si uniscono, si confondono e sembrano restringersi come se insieme facessero una lega inviolabile: ora non compongono più che un solo astro, una sola face, un sole unico. — Certo il cielo predice qualche grande evento.
Ed. Strano prodigio! l’uguale non mai si vide! Credo che ei ne appelli al campo di battaglia, e voglia indicarci che noi, figli del prode Plantageneto, che già separatamente rifulgiamo per le opere nostre, dobbiamo unirci, e splendere sulla terra come il sole sul mondo. Qual che si sia questo presagio, di qui innanzi vo’ portare tre soli sopra il mio scudo. (entra un Messaggiere) Ricc. Chi sei tu, il cui mesto sguardo annuncia qualche grande sventura?
Mess. Un tristo testimonio della morte del duca di York, vostro regal padre e mio amato signore.
Ed. Oh non dirne altro! Troppo anche udii.
Ricc. Di’ come mori: tutto io vo’ sapere.
Mess. Cinto di nemici ei stette contro essi come la speranza di Troia contro i Greci che ne volevano varcare le porte. Ma Ercole stesso soccomberebbe sotto il numero; e molti colpi di una scure, sebben debole, atterrano la quercia anche più dura e vigorosa. Assalito da gran folla, vostro padre cede; ma trafitto non fu che dal braccio furioso dello spietato Clifford e da quello della regina. Essa gli pose per ischerno una corona di carta in sulla testa; lo insultò irridendolo, e quando la disperazione fe’ sgorgare le lagrime dell’infelice, la crudele gli offerse un drappo bagnato nel sangue del fanciullo Rutland, sgozzato da Clifford, perch’ei se le asciugasse. Alfine dopo mille oltraggi gli mozzarono il capo e l’han posto sulle porte di York, ove offre il più tragico spettacolo che mai abbia afflitti i miei occhi.
Ed. Dolce duca di York, sostegno di nostra giovinezza! ora che t’abbiam perduto, chi guiderà i nostri passi? Oh! Clifford, inesorabile Clifford, tu hai ucciso il fiore della cavalleria d’Europa, e da traditore l’hai vinto, poichè da solo a solo ei t’avrebbe mille volte domato! Ora la mia anima geme nella sua prigione: e potesse ella liberarsene onde questo corpo sepolto sotto terra trovasse riposo. Non v’è più felicità per me nell’avvenire; non più mai, non più io proverò alcun sentimento di gioia.
Ricc. Io non posso piangere. Tutte le mie lagrime son diseccate dal fuoco che l’ira accende nel mio cuore: la mia lingua non può sollevarlo dal peso che lo comprime; e l’incendio che mi strugge spegne i miei sospiri. — I pianti fan morire la collera: ai fanciulli dunque i pianti: a me il ferro, a me la vendetta! Riccardo, io porto il tuo nome, e ti vendicherò, o morrò con gloria adoprandomi a questo.
Ed. Quel prode duca ti ha lasciato il suo nome; come ha lasciato a me il suo seggio e la sua duchea.
Ricc. Se tu sei il vero figlio di quell’aquila reale, provami la tua discendenza affisando il sole: invece del suo seggio e della sua duchea, ei ti ha lasciato il trono e il regno: essi son tuoi, o non sei suo figlio,(marcia. Entrano Warwick e Montague cogll eserciti)
War. Ebbene, miei nobili? Quali novelle?
Ricc. Gran Warwick, se dovessimo narrarvi le nostre infauste nuove, e ricevere ad ogni parola un colpo di pugnale in petto fino alla fine del racconto, soffriremmo meno per tali ferite che per quello che avessimo a dire. Oh! prode lord, il duca di York fu ucciso.
Ed. Warwick! Warwick! quel Plantageneto, che ti amava tanto, che ti diligeva come la salute della sua anima, fu posto a morte dal feroce Clifford.
War. Son già dieci giorni dacch’io mi stempero in pianto per questa dolorosa novella, ed oggi, per mettere il colmo alle vostre disavventure, vengo ad istruirvi degli avvenimenti che l’han seguita. Dopo il sanguinoso combattimento di Wakefield, in cui il vostro illustre padre rese il suo ultimo sospiro, mi fu arrecata con tutta la celerità del più agile corsiero la notizia della vostra perdita e della sua morte. Io era allora a Londra, col re in custodia, e ho raccolti i miei soldati, radunati i miei amici, e veggendomi in forze per ciò che io credevo, son marciato verso Sant’Albano per prendere la regina, guidando sempre meco Enrico, affine di afforzare il mio partito colla sua presenza; avvegnachè certi messi mi avevano avvertito che la sposa sua veniva colla risoluzione d’annullare l’ultimo decreto che fatto avevamo in Parlamento sulla vostra successione. A Sant’Albano ci scontrammo, e disperatamente i nostri due eserciti han combattuto; ma sia che la placida freddezza del re, che gettava dolci e teneri sguardi sulla regina guerriera, abbia agghiacciato l’ardore di cui avevo vedute le mie schiere animate, che la nuova del recente trionfo di quella, e lo straordinario spavento che ispirava il feroce Clifford, la di cui voce inumana non parla mai a’ suoi cattivi che di sangue e di morte, producesse il tristo effetto; certo è ch’ei ne son venuti sopra come una folgore, e che i nostri soldati, quali infingardi gufi notturni, o come sferza trattata dalla mano di vile mercenario ricco, non vibravano che con mollezza i loro colpi dopo brevi istanti, quasi scopo ad essi fossero stati gli amici loro. Ho fatto opera di animarli colla giustizia della vostra causa, colla promessa di pingue mercede e di gran ricompensa; ma invano. Essi non avevano il coraggio di combattere: e allorchè abbiam veduto che non v’era alcuna speranza di ottener la vittoria, siamo fuggiti, il re verso la sua sposa, e noi, lord Giorgio vostro fratello, Norfolk, ed io, a questa volta. Ci era stato detto che eravate qui sulle frontiere intenti a raccogliere un altro esercito per dare una nuova battaglia.
Ed. Caro Warwick, dov’è il duca di Norfolk? E Giorgio quando è venuto di Borgogna in Inghilterra?
War. A sei miglia di qui co’ suoi soldati sta il duca. Quanto al Vostro fratello, la duchessa di Borgogna vostra zia l’ha rimandato pochi giorni fa con un rinforzo di truppe, necessario a questa guerra.
Ricc. Bisognava che la partita fosse bene ineguale, se il prode Warwick è fuggito. Ho spesso inteso vantare il suo coraggio nell’inseguire il nemico, ma non mai fino ad oggi sentii menzionare di lui lo scandalo di una ritirata.
War. Nè oggi comincierai, Riccardo, a udir parlare di una viltà di Warwick: io ti mostrerò che questo braccio può strappare il diadema dalla debole testa di Enrico, e togliergli dalle mani lo scettro dell’impero, quand’anche ei fosse così intrepido, così chiaro in guerra, come conosciuto è per la sua fiacchezza e il suo amore per la pace e le cerimonie religiose.
Ricc. Non ne ho mai dubitato. Non ti offendere, Warwick, della osservazione che feci; fu l’amore che porto alla tua gloria che mi mosse a parlare. Ma in questi tempi di torbidi qual partito v’è a prendere? Vorremo noi spogliare queste armature di ferro per avvilupparci in nere gramaglie, e recitar ave-marie coi nostri rosarii? ovvero andremo a segnare sugli elmi de’ nostri nemici lo zelo e il fervore del coraggio che c’infiamma, con armi di vendetta? Se quest’ultimo partito vi piace, ditelo; io v’acconsento: e allora partiamo, miei lórdi.
War. È per questa vendetta che Warwick venne a cercarvi ed essa ancora è l’oggetto che guida verso di voi il mio fratello Montagne. Seguitemi, signori. Quest’altera regina, soccorsa da Clifford, dal superbo Northumberland, e da altri suoi dienti, ha facilmente indurito il cuore del re, molle per solito come cera. Egli ha giurato il suo assenso alla vostra successione; il suo sacramento è registrato; ed ora è ito a Londra per annullarlo e adottare altre risoluzioni verso la casa di Lancastro. Il loro esercito è, credo, di trentamila uomini. Ebbene, se il soccorso che guida Norfolk insieme col mio, e con tutti gli amici che voi potete procacciarci, voi, illustre conte della Marca, fra i Gallesi che ne amano, non giunge che a venticinquemila uomini, non vale: marcieremo senza indugio a Londra, e tornati sui nostri corsieri ardenti, grideremo di nuovo: investite il nemico: nè mai più fin da ora ci si vedrà volgere il dorso e fuggire.
Ricc. Ah! ora riconosco il gran Warwick che parla. Non possa sopravvivere un giorno solo colui che farà suonare a raccolta, quando Warwick gli comanderà di star fermo.
Ed. Lord Warwick, vo’ appoggiarmi sulla tua spalla: e se avviene che tu cada (così non mai lo voglia Iddio), Eduardo ancora cadrà.
War. Voi non siete più conte della Marca, ma duca di York. Il titolo che consegue a questo è quello di re d’Inghilterra. Voi sarete acclamato re in tutte le città per cui passeremo: e chiunque non saluterà il vostro arrivo con segni di gioia, sconterà con la testa la offesa. Re Eduardo, Riccardo, egregio Montagne, non restiamo più a lungo qui a sognare di gloria: squillino le trombe e Teliamo all’ufficio nostro.
Ricc. Fosse il tuo cuore, Clifford, duro come l’acciaio (e le tue opere han dimostrato che tale sia), io vengo per trafiggertelo, darti il mio.
Ed. Battete, tamburi: Dio e San Giorgio siano per noi!
(entra un Messaggiere)
War. Ebbene? Quali novelle?
Mess. Il duca di Norfolk vi fa assapere che la regina si avanza con poderoso esercito: ei desidera vedervi per conferire con voi.
War. Questo volevamo: prodi guerrieri, innanzi. (escono)
SCENA II.
Dinanzi a York.
Entrano il re Enrico, la regina Margherita, il Principe di Galles, Clifford, e Northumberland cogli eserciti.
Mar. Ben giunto, milord, a questa illustre città di York. Là è la testa di quel vostro mortal nemico che cercava di adornarsi colla vostra corona. Tale vista non ispira gioia al vostro cuore, milord?
Enr. Come quella di uno scoglio ne ispira al marinaio che teme il naufragio. Quel tristo aspetto affligge la mia anima. Rattieni la tua vendetta, giusto Iddio! Io non sono colpevole; consentito io non ho a violare il mio giuramento.
Cliff. Mio grazioso sovrano, mestieri è deporre tanta mansuetudine, pietà sì pericolosa. Il leone non serba i suoi dolci sguardi alla belva feroce che invader vuole il suo antro: l’orso non lambisce la mano del cacciatore che gli fura i suoi nati. L’uomo che calpesta il serpente non si sottrae al suo dardo: il più vil rettile si volge contro colui che lo schiaccia, e fin la dolce colomba arma il suo becco di collera per difendere gl’implumi suoi. L’ambizioso York aspirava alla vostra corona, voi avevate la bontà di sorridergli anche allora ch’ei corrugava verso di voi il suo ciglio sdegnoso. Egli che non era che duca voleva far di suo figlio un re; e da padre affettuoso ardeva d’ingrandire lo stato della sua prole; voi che re siete, e a cui il Cielo ha fatto dono di un figlio raro, voi avete consentito a diseredarlo, atto che vi fece reputare un padre senza cuore. Le creature prive di ragione alimentano i loro figli; e in onta del terrore che loro imprime l’aspetto dell’uomo, chi non ha veduto i più timidi uccelli, per proteggere i loro piccioli, combattere il nemico che assaliva il loro nido, con quelle ali stesse che non adoprano che per fuggire, dando la propria vita per salvare quella dei figli? Prendete da essi l’esempio, e il sentimento della vergogna vi renda a quelli della natura. Non sarebbe dìsdicevole che il vostro degno figlio perdesse i diritti della sua nascita per colpa di suo padre; e potesse dire per l’avvenire ai figli suoi: quello che il mio bisavolo e il mio avolo avevano acquistato il mio timido e insensibile padre follemente cedè? Ah di quale obbrobrio voi coprireste la vostra memoria! Volgete gli occhi sul vostro giovine erede, e il di lui volto marziale, di cui tutti i lineamenti presagiscono liete fortune, induri la vostra anima troppo tenera, e vi determini a ritenere per voi un bene che è vostro, e a trasmettere a lui quel che gli spetta.
Enr. Clifford ha parlato da oratore eloquente, e gli argomenti suoi sono pieni di forza. Ma, Clifford, non hai tu mai udito dire che un bene male ottenuto a mal riesce; e che infelice è sempre il figlio il di cui padre è andato in inferno tesaurizzando? Io lascierò per eredità al figlio mio le mie buone opere, e vorrei, oimè! che mio padre null’altro m’avesse lasciato: perocchè il possesso di tutti gli altri beni è posto a prezzo sì alto, che costa pene mille volte maggiori per conservarlo di quel che dia diletto. — Ah cugino York! Vorrei che i tuoi amici sapessero quanto straziato è il mio cuore vedendo là la tua testa insanguinata.
Mar. Sposo, rianimate i vostri spiriti! I nemici ne son vicini, e questa mollezza scoraggisce i vostri difensori. — Voi prometteste un ordine di cavaliere a vostro figlio: sguainate la spada, attenete la promessa. Eduardo, inginocchiati.
Enr. Eduardo Lancastro, sorgi cavaliere, e apprendi questa lezione: non snudare mai il ferro fuorchè per la giustizia.
Prin. Mio grazioso padre, col vostro real beneplacito io lo snuderò quale erede della corona, e non lo abbandonerò che per morte.
Cliff. Parole degne di un principe. (entra un Messaggiere)
Mess. Re, e duci, tenetevi pronti; perchè con trentamila termini s’avanza Warwick, ed è accompagnato dal duca di York ch’egli acclama re per tutte le città che traversa: la folla gli vien dietro; apparecchiateri alla battaglia.
Cliff. Vorrei che Vostra Altezza si allontanasse dal campo; la regina ottiene miglior successo nelle vostre assenze.
Mar. Sì, mio buon lord, lasciateci alla nostra fortuna.
Enr. Ella è mia fortuna ancora; onde starò.
Nort. Siate adunque risoluto a combattere.
Prin. Mio augusto padre, animate questi nobili lórdi, e incoraggite quelli che pugnano in vostra difesa: sguainate la spada buon padre, gridando: San Giorgio!
(marcia. Entrano Eduardo, Giorgio, Riccardo, Warwick, Norfolk, Montague e soldati)
Ed. Spergiuro Enrico, vuoi tu inginocchiarti, e chieder grazia, ponendo il tuo diadema sopra il mio capo, o sperimentare le mortali vicende di una battaglia?
Mar. Va a garrire i tuoi favoriti, stolto e insolente giovine! Si addice egli a te l’essere così audace innanzi al tuo sovrano, al tuo legìttimo re?
Ed. In sono suo re, ed ei dovrebbe inchinarsi; erede io fui adottato con suo consentimento, ma dipoi egli ha violato quel che giurò; perocchè mi vien detto che voi... che siete re veramente, quantunque ei porti la corona..., lo abbiate indotto, in un nuovo atto del Parlamento, a cancellare il mio nome per sostituirvi quello del figliuol suo.
Cliff. E con ragione; chi dovrebbe succedere al padre se non il figlio?
Ricc. Sei tu qui, carnefice?... Oh io non posso parlare!
Cliff. Sì, mostruoso aborto, son qui per rispondere a te e ad ogni più superbo della tua schiatta.
Ricc. Fosti tu che uccidesti il fanciullo Rutland, non è così?
Cliff. Sì, ed anche il vecchio York, nè però mi tengo pago.
Ricc. Per amor di Dio, signori, date il segnale della battaglia!
War. Che dici tu, Enrico, vuoi ceder la corona?
Mar. Osi così parlare, insolente Warwick? Quando ci incontrammo l’ultima volta a Sant’Albano le gambe ti giovarono meglio delle braccia.
War. Allora toccava a me a fuggire, come ora tocca a voi.
Cliff. Dicesti lo stesso anche prima dell’ultimo scontro, e nullameno fuggisti.
War. Non fu il vostro valore, Clifford, che mi cacciò.
Nort. Ma nè la vostra audacia vi fece da tanto da star saldo.
Ricc. Northumberland, io son pieno di rispetto per te! Ma rompi questa conferenza, perchè a stento raffreno i moti del mio cuore contro questo Clifford, barbaro uccisore di fanciulli.
Cliff. Uccisi tuo padre: chiami tu quello un fenciullo?
Ricc. Sì, da vile e traditore lo assassinasti, come il nostro tenero fratello Rutland; ma prima del tramonto ti farò maledire quelle opere.
Enr. Cessate dalle invettive, signori, e uditemi.
Mar. Sfidali, o altrimenti non parlare.
Enr. Pregoti, non por ceppi alla mia lingua: io sono anche re.
Cliff. Mio sovrano, la ferita che produsse questo scontro non può essere curata con parole; perciò tacete.
Ricc. Dunque, carnefice, snuda la tua spada: che, per quegli che tutti ci creò! io credo che il valore di questo Clifford non stia che nella lingua.
Ed. Di’, Enrico, avrò io giustizia, o no? Migliaia d’uomini han asciolto oggi che più non desineranno, se pur tu non mi cedi quella corona.
War. Se lo neghi, il loro sangue ricadrà su di te: perocchè è per la giustizia che York impugna la spada.
Prin. Se giusto è quello che Warwick così chiama, non v’è più ingiustizia, ed ogni cosa è onesta.
Ricc. Chiunque sia tuo padre, la tua madre certo qui sta; perchè ben da lei ti ravviso alla tua audace lingua.
Mar. Ma tu nè alla madre nè al padre somigli: tu sei un mostro coperto d’infamia, e segnato dal destino come oggetto da evitarsi, come il veleno dei rospi, o il tremendo dardo dei serpenti.
Ricc. Vil putredine di Napoli, lucida d’oro inglese, al di cui genitore si addice il titolo di re, come ad un ruscello quello di oceano, non arrossisci, conoscendo la tua origine, a tollerare che la tua lingua sveli tutta la viltà del tuo cuore?
Ed. Perchè non ho io ora, al prezzo di mille corone, una verga in mano per isferzare quella creatura proterva, e insegnarle a conoscersi? — Elena in Grecia era più bella di te, sebbene il tuo consorte possa essere un nuovo Menelao: e nondimeno non mai il fratello di Agamennone fu tanto oltraggiato da quella perfida femmina come questo re lo è stato da te. Suo padre dominava nel cuore della Francia, e vi schiacciava il re e il Delfino; e se il figlio si fosse accoppiato in ragion del suo stato, egli avrebbe potuto serbare fino a questo di tutta la sua gloria. Ma quando egli accolse una mendica nel suo letto, e illustrò il tuo miserabile padre, allora il sole condensò sul suo capo un uragano che sperperò dalla Francia tutti i trofei del suo genitore, e pose la sedizione nel suo regno natio. Qual’altra cagione ha provocate tante tempeste, se non il tuo orgoglio? Fossi stata tu mite, e i nostri diritti dormirebbero ancora, e per commiserazione di questo buon re avremmo aspettato un’altra età per farli valere.
Gior. Ma quando vedemmo che tu fiorivi riscaldata dai nostri raggi senza che ne facessi alcuna parte dei frutti di cui ti fecondavamo, presa abbiam la mannaia per sradicarti, e sebbene quest’arma ci abbia fatte alcune ferite, sappi però che noi non ti lascieremo, se prima non t’abbiamo abbattuta, o fatta germogliare con tutto il nostro sangue bollente.
Ed. In tale risoluzione io ti sfido; e rompo qui ogni più lungo discorso, e poichè tu rifiuti a questo pio re l’assentimento di parlare.. squillate, trombe... si spieghino i nostri sanguinosi vessilli. — Vittoria o morte!
Mar. Fermati, Edoardo.
Ed. No, spietata femmina; più non ci arresteremo: queste parole costeranno oggi migliaia dì vite. (escono)
SCENA III
Un campo di battaglia fra Towton e Saxton, nella provincia di York.
Allarme ed escursioni; entra Warwick.
War. Stanco, come un cavaliere che ha percorso tre volte la lizza, mi è forza di assidermi qui un istante. Tanti colpi dati e ricevuti han tolte le forze a’ miei nervi, sebben robusti, e in onta mia bisogna ch’io rimanga un poco, inoperoso.
(entra Eduardo correndo)
Ed. Sorridi, pietoso Cielo! o vieni, morte perversa! perocchè questo mondo si intenebra, e il sole di Edoardo più non risplende.
War. Ebbene, milord? che avvenne? quali speranze?
(entra Giorgio)
Gior. La nostra speranza è travolta; disperazione è fatta. Le Bostre file son rotte, e la distruzione ci incalza. Qual consiglio d date? dove fuggiremo?
Ed. La fuga è inutile; essi ne seguiranno colle ali della vittoria, e troppo deboli siamo per opporci a ciò. (entra Riccardo)
Ricc. Ah! Warwick, perchè ti ritirasti dal campo? L’asseteta terra ha bevuto il sangue di tuo fratello, sparso dalla lancia di Caifford, e nelle ultime agonie della morte egli ha gridato con voce terrìbile ed altissima: Warwick vendetta! vendica fratello, ìa mia morte. È così che quel nobile guerriero, sotto il ventre de’ cavalli nemici che si macchiavano i piedi nel suo sangue, ha renduto lo spirito.
War. Dunque la terra s’inebrii del nostro; io ucciderò il mio destriero perchè non più voglio fuggire. Perchè restiamo noi qui come imbelli femmine dolorando le nostre perdite, intanto che il nemico fa strage, come se tal tragedia fosse per giuoco compita da finti attori? Qui inginocchiato io fo voto a Dio, che non più mi ristarò, finchè morte chiuso non abbia questi occhi miei, e fortuna colmata la misura di mia vendetta.
Ed. Warwick, come te io genufletto, e incateno con queste giuramento la mia anima alla tua. Prima che le mie ginocchia sorgano da questa fredda terra, io innalzo le mie mani, i miei occhi e il mio cuore a te, gran Dio, che elevi e precipiti i re, scongiurandoti che, se decretato è che il mio corpo divenga preda de’ miei nemici, le porte eterne del tuo cielo si aprano e accordino un felice accesso alla mia anima peccatrice! Ora, signori, dividiamoci fino a un nuovo incontro, avvenga esso in cielo e sulla terra.
Ricc. Fratello, dammi la mano; e tu, prode Warwick, lascia ch’io ti stringa fra queste stanche braccia. — Io che non mai piansi, mi sento intenerito dalle nostre sventure, veggendo il crudo inverno che ci fa si di subito inaridire.
War. Andiamo, andiamo! una volta ancora, dolci signori, addio.
Gior. Però moviamo uniti verso le nostre schiere, e concediamo libertà di fuggire a quelli che non vorranno combattere: chiamiamo fratelli coloro che resteran con noi, promettendo ad essi, se trionfiamo, quelle ricompense che i vincitori ottenevano nel giuochi olimpici. Tali promesse raffermeranno il loro coraggio, perocchè speranza vi è ancora di vita e di vittoria. Non indugiamo di più; all’opera.(escono)
SCENA IV.
Altra parte del campo.
Escursioni. Entrano Riccardo e Clifford.
Ricc. Alfine, Clifford, giunsi a dividerti dagli altri: di queste due braccia l’una è pel duca di York, l’altra è per Rutland, e entrambe fremono di vendetta, fossi tu cinto da un muro di bronco.
Cliff. Sì, Riccardo, eccomi solo con te: quest’è la mano che trafiese il tuo padre York: questa, quella che uccise il tuo fratello Rutland: e qui sta il cuore che gode della loro morte, e benedice entrambe queste mani, animandole a compiere su di te un’eguale opera. Difenditi.
(combattono. Warwick entra, e Clifford fugge)
(escono)
SCENA V.
Un’altre parte del campo.
Allarme. Entra il re Enrico.
Enr. Quella mischia rassomiglia alla guerra del mattino fra l’ombra e la luce, allorchè il pastore riscaldandosi col soffio le dita agghiacciate, non sa chiamar quel crepuscolo nè di nè notte. Parmi vedere un vasto mare in cui la forza del flusso lotta contro i venti: ora le onde li vincono, ora la bufera le discaccia. I due partiti, come due atleti stretti al seno l’uno dell’altro, combattono corpo a corpo per la vittoria, e niuno dei due è per anche vincitore o vinto; tanto in equilibrio è la bilancia in questa crudele battaglia! Vo’ assidermi sopra questa altura; e la vittoria resti al partito che piacerà a Dio di preferire! Perocchè Margherita e Clifford mi hanno fatto ritirare dal campo, giurando che son più fortunati allorchè ne sto assente. Foss’io morto! se ciò a Dio avesse piaciuto: poichè che v’è altro in questo mondo fuorchè amarezza e dolore? Oh Dio! mi sembra che sarebbe una vita felice il non essere che un semplice pastore, seduto come io ora sto sopra una collina, trascorrendo in pie meditazioni il tempo. Tale tempo ripartito nelle varie cure agresti farebbe giungere il vecchiardo canuto a una pacifica tomba. Ah quanto tal vita sarebbe dolce! quanto lieta! Il boschetto di pioppi riccamente chiomati non sparge forse sopra il pastore, che guida l’innocente suo gregge, un’ombra più dolce di quella di un trono? Oh mille volte più dolce! E, tutto ponderato, il latte che alimenta il pastore, la chiara e fresca fontana a cui si disseta, il suo sonno a un rezzo amico, tanti beni di cui fruisce nella sicurezza di una cara pace, non sono al disopra delle mense superbe di un principe, imbandite con vasellamenti d’oro, e del riposo suo, in un letto sontuoso, che turbano le inquietudini, la diffidenza e il tradimento? (allarme. Entra un figlio che ha ucciso suo padre e ne trascina il cadavere)
Figl. Inutilmente soffia il vento, se non è di pro ad alcuno. — Quest’uomo che ho ucciso in battaglia può aver con sè monete d’oro; ed io, che saprò ora togliergliene, ne posso esser del pari spogliato in un colla vita prima di notte. — Chi è desso?..... Oh Dio! è il volto di mio padre, e mio padre essendo nel conflitto senza conoscerlo. Oh sciagurati tempi che partoriscono tali eventi! Io fui arrolato a Londra pel re, e mio padre, essendo al servigio del conte di Warwick, sollecitato dal suo signore, avrà pugnato per York: io che da lui ho ricevuta la vita, a lui l’ho tolta. — Perdonami, mio Dio, io non sapeva quello che facessi! e perdonami tu pure, padre, perchè io non li conobbi! Le mie lagrime laveranno queste macchie di sangue, e non potrò più parlare, finchè un mare non ne sia sgorgato.
Enr. Oh spettacolo orrendo! Oh giorni di sventura! Allorchè i leoni combattono per disputarsi un antro, le innocenti pecore son vittima dei loro furori. Piangi, sciagurato, io ti aiuterò a piangere, e i nostri cuori spezzati per troppo dolore acciecheranno di lagrime i nostri occhi (entra un padre che ha ucciso suo figlio, del quale porta il corpo fra le braccia)
Pad. Tu che ti sei così tenacemente difeso contro di me, dammi il tuo oro se ne hai, perch’io l’ho acquistato con mille colpi. — Ma lascia ch’io ti vegga!.... È questo il volto d’un mio nemico? Ah no, no, no, è quello del mio unico figlio!..... Oh fanciullo, se un po’ di vita è rimasta in te, apri i tuoi lumi; vedi, vedi qual pioggia cade, prodotta dalle tempeste del mio cuore, sulle tue ferite che mi intronano la mente e il cuore!... Oh pietà, Dio di questi luttuosi giorni! Di quali avvenimenti crudeli, di quali catastrofi sanguinose questa fatal contesa non è prodiga ogni dì? Oh figlio! tuo padre ti die’ la vita troppo presto, e troppo presto pure te la tolse.
Enr. Sventure, sventure! Dolori ineffabili, sovrumani! Oh se la mia morte potesse mettere un termine a questi orridi fatti! Pietà, pietà, Cielo misericordioso! La rosa rossa e la rosa bianca stan dipinte sul di lui volto, fatali colori delle nostre due case contenditrici! Il suo volto pallido e sanguinoso ne è l’emblema! Ah una si annienti, e l’altra fiorisca sola! Finchè queste due fazioni dureranno, la morte mieterà migliaia di infelici.
Figl. Come mia madre mi rimprovererà questa morte, e nesarà inconsolabile!
Pad. Quante lagrime verserà mia moglie per questo omicidio, senza averne mai conforto!
Enr. Di qual odio non diverrò oggetto pei miei sudditi dopo vicissitudini sì orrende!
Figl. Fu mai figlio più addolorato per la morte di un padre?
Pad. Fu mai padre che più gemesse per la morte di un figlio?
Enr. Fu mai re che più deplorasse il destino de’ suoi soggetti? Grande è il vostro dolore; ma il mio è mille volte più grande.
Figl. Vo’ portarti altrove per piangerti in libertà.
(esce col cadavere)
Pad. Queste braccia ti saranno bara; e il mio cuore, amabile fanciullo, diverrà il tuo sepolcro; perocchè non mai dal mio cuore ti dipartirà la tua imagine. I miei sospiri saranno la tua squilla funebre, e così mesto sarà tuo padre per la perdita di te suo unico figliuolo, quanto il fu Priamo per quella di tutti i prodi suoi. Lungi di qui ti recherò; combatta chi vuole, io non più, dacchè ho ucciso quello che avevo debito di difendere. (esce col cadavere)
Enr. Cuori desolati, che la sventura opprime, voi lasciate qui un re anche più infelice di voi.
(allarme ed escursioni. Entrano la regina Margherita, il principe di Galles e Exeter)
Prin. Fuggi, padre, fuggi! Tutti i nostri amici son dispersi, e Warwick infierisce come un toro furioso. Fuggi, perchè la morte ne è sopra a tutti.
Mar. Salite a cavallo. Milord, e volate a Berwick. Eduardo e Riccardo, come due veltri sull’orme del cervo, con occhi fiammeggianti di rabbia, e spade sanguinose che terribilmente brandiscono, ci stanno dietro. Partiamo.
Ex. Non indugiamo un istante: la vendetta è con essi: non prorompete in rimproveri, affrettatevi; o altrimenti seguitemi, ch’io vi precederò.
Enr. No, conducimi teco, buon Exeter: non ch’io tema di restare, ma perchè amo di conformarmi ai voleri della regina. Andiamo! (escono)
SCENA VI.
La stessa.
Alto allarme. Entra Clifford ferito.
Cliff. Il fanale della mia vita sta per estinguersi..... Esso che mentre durò diffuse tanta luce sopra Enrico. Oh Lancastro! io piango la tua caduta piucchè la separazione della mia anima da questo corpo! La mia amicizia e il terrore del mio nome ti fruttarono molti clienti, che ora ti rinegheranno; e la mia rovina indebolendo Enrico, accrescerà le forze del superbo York. La plebe somiglia agli insetti d’estate che volano sempre verso i raggi del sole. E qual è il sole che brilla ora in Inghilterra se non il nemico d’Enrico? Oh Febo! non avessi tu consentito che Fetonte guidasse i tuoi ardenti cavalli, così il tuo carro di fuoco non avrebbe mai arsa la terra! E in egual modo Enrico, avessi tu imperato da re con tuo padre e il tuo avolo, senza arretrarti dinanzi ai York, ed essi non sarebbero mai venuti a tale altezza; e nè io, nè mille altri cittadini di questo infelice regno avrebbero lasciata da deplorare la loro morte alle loro vedove sfortunate; e tu possederesti anche oggi in pace la tua corona! Imperocchè chi è che fa crescere le erbe malefiche, se non il soffio d’un’aria troppo mite? Chi rende arditi i malfattori alle rapine, fuorchè l’eccesso della clemenza?.... Ma le mie querele sono vane e le mie ferite incurabili. Tutte le vie mi son chiuse al fuggire; nè forze più avrei per farlo. Il nemico è crudele e non avrà alcuna pietà; nè mai la sua pietà meritai. L’aere m’è entrato nelle piaghe mortali e tutto il sangue che ho perduto mi ruba la vita. — Venite, York, Riccardo, Warwick e voi tutti; trafissi il cuore dei vostri padri; venite a trafiggere il mio. (sviene)
(allarme e ritirata; entrano Eduardo, Giorgio, Riccardo, Montague, Warwick e soldati)
Ed. Rinfranchiamoci ora, miei lórdi, la nostra buona fortuna ci permette un istante di riposo, e la fronte minacciosa della guerra, raddolcita, ci concede alfine un sorriso. Una mano di soldati insegue la sanguinaria regina, che guida Enrico, quantunque sia re, come una vela enfiata da un vento impetuoso guida una barca leggiera, per fendere i flutti contrari. Ma credete voi, signori, che Clifford sia con essi fuggito?
War. No, è impossibile che si sottraesse, perocchè vostro fratello Riccardo lo segnò per la tomba, e dovunque ei sia, certo è morto. (Clifford geme e muore)
Ed. Qual’anima è questa che prende sì doloroso commiato?
Ricc. Fu il sospiro della morte che annunzia la separazione dell’anima dal corpo.
Ed. Guardate chi è: ed ora che la battaglia è finita, sia amico o nemico, usategli misericordia.
Ricc. Revoca questa sentenza pietosa, perocchè è Clifford, che non pago di aver mutilato l’albero, strappandone la più giovine fronda, vibrò la sua traditrice mannaia fin sulla radice che fecondava il tenero ramuscello. Io parlo del nostro real padre, il duca di York.
War. Togliete dalle porte di York il di luì capo che Clifford vi pose, e invece di esso ponetevi quello di costui; a vendetta si vuol rispondere con vendetta.
Ed. Portatemi innanzi questo fatal gufo della nostra casa, che non ne sapeva mai presagire che mina ed esterminio: ora la morte ha posto fine alle sue minaccie, e la sua infesta lingua non più parlerà. (quelli del seguito portano innanzi il cadavere)
War. Credo che abbia perduto l’intelletto. Parla, Clifford, conosci quello che t’interroga? Le nere tenebre di morte lo hanno offuscato, ed ei non vede nè ode ciò che gli diciamo.
Ricc. Oh così lo potesse! Ma forse non è morto, e solo lo simula per sottrarsi alle ingiurie, di cui oppresse il nostro padre moribondo.
Gior. Se così credi, spronalo con aspre parole.
Ricc. Clifford, chiedi misericordia, sicuro di non ottenerla.
Ed. Clifford, pentiti con vana penitenza.
'War. Immagina scuse pei tuoi falli...
Gior. Intanto che noi inventeremo crudeli torture per te.
Ricc. Tu amasti York, ed io son figlio di York.
Ed. Tu avesti pietà di Rutland, ed io t’avrò pietà.
Gior. Dov’è ora il generale Margherita per difenderti?
War. Tu se’ schernito, Clifford! Sdegnati come solevi fare.
Ricc. Oh non ti sdegni? Il mondo va di sbieco se Clifford non può vibrare una sola imprecazione sui suoi nemici. Da ciò conosco che è morto; e lo giuro per la mia anima, se la mia mano non potesse più ottenere che un’ora di vita, io me la troncherei purchè con questo avessi modo d’insultarlo vivo a senno mio; e col sangue che ne escirebbe soffocherei questa bocca, la cui sete insaziabile non potè appagarsi per quello di York e del giovine Rutland.
War. Oh sì! ma ei non ha più vita. Mozzategli la testa, e ponetela dove è quella di vostro padre. — Ora, Eduardo, marciamo in trionfo a Londra, per vedervi coronare re d'lnghilterra. Di là Warwick varcherà i mari di Francia, e andrà a chiedere la principessa Bona per vostra sposa. Con tal maritaggio unirete questi due regni, e quando avrete la Francia amica non temerete più i residui della casa da noi debellata e che spera forse di rinfrancarsi. Sebbene il di lei dardo sia franto, e fuor di stato di nuocervi, nullameno ne sarete per qualche tempo ancora infestato. Prima voglio vedervi incoronare, e poscia traverserò i mari se così piace al mio sovrano.
Ed. Caro Warwick, si compia quello che volete, perocché voi siete la colonna sulla quale vo’ appoggiare il mio trono, e non mi porrò mai in alcuna impresa che Warwick non abbia consentita consigliata. — Riccardo, io vi creo duca dì Glocester: e voi, Giorgio, duca di Clarenza. — Warwick, al pari di noi, voi innalzerete e abbasserete a senno vostro chiunque vi piaccia.
Ricc. Lasciate che io divenga duca di Clarenza, e Giorgio di Glocester; perocchè il ducato di Glocester è di troppo tristo presagìo.
War. Fanciullesca osservazione. Riccardo, sii duca di Glocester. Ora andiamo a Londra per prendere possesso di tanti onori.(escono)
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