Storia della rivoluzione di Roma (vol. III)/Capitolo VIII

Capitolo VIII

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CAPITOLO VIII.


[Anno 1849]


Cose occorse in Roma nella seconda quindicina di febbraio. — Speranze dei repubblicani in Roma, e su che fondate. — I democratici di Europa son con essi, e per essi. — I non democratici di qualunque nazione e religione sono con Gaeta. — Profferte di aiuti al pontefice in Gaeta da tutti i governi di Europa. — Indirizzi e lettere al medesimo di tetto l’orbe cattolico. — Nota del cardinale Antonelli del 18 febbraio alle corti estere per domandare l’intervento. — Nello stesso giorno gli Austriaci entrano in Ferrara. — Scompiglio dei repubblicani. — Circolare del cardinale Antonelli del 19 per diffidare gli acquirenti di beni ecclesiastici — La Pallade, e per essa i suoi scrittori minacciati dagli emigrati italiani. — Decretomania. — Decreti ed altre disposizioni governative della seconda quindicina di febbraio. — La banca romana è forzata ad emettere un milione e trecentomila scudi di boni in sostegno del governo, e vien dato ai medesimi il corso forzoso. — Requisizione di cavalli e di campane. — Prestito forzoso. — Carnevale in Roma nel febbraio 1819. — Nota del cardinale Antonelli del 27 del detto mese. — Lettera di Giuseppe Mazzini da Firenze al presidente dell’assemblea costituente romana.


Cominciammo a narrare nel capitolo VII la impressione prodotta dall’annunzio del nuovo ordine di cose in Roma nei paesi ad essa più vicini. Non fu però che nella seconda quindicina di febbraio che l’Europa tutta o quasi tutta venne ad esserne positivamente informata. Può immaginare ognuno quanto sensibile e penosa riuscir dovesse questa impressione, quantunque l’avvenimento in se stesso fosse stato tale, da essersi potuto prevedere pressochè da tutti.

[p. 230 modifica]I cattolici sparsi sulla superficie di Europa ne furono contristati; e se si ammette ch’essi sommino a circa duecento milioni, si faccian pure le sottrazioni di tutti coloro presso cui la religione non è che una forma esteriore senz’aver posto radici profonde nè nel cuore nè nella mente, dovrà pur convenirsi che immenso dev’essere stato il numero di quelli che furono addolorati e costernati ad un tempo per ciò che in Roma accadeva.

Roma centro della religione, delle arti, e della civiltà, sostegno della dignità della umana specie, propugnatrice mai sempre dei diritti dei deboli contro i prepotenti, conservatrice del dogma, conforto e speranza dei miseri cui null’altro che la religione è capace di alleviare gli effetti delle umane sventure o dei celesti flagelli: Roma, disertata dal pontefice, era divenuta sede di una repubblica cosmopolitica. In Roma l’ultimo atto del dramma era compiuto. Roma era caduta nelle mani de’ suoi nemici.

Allietaronsene per converso tutte le sette, e tutti coloro cui, senza pure appartenere ad alcuna politica consorteria, la religione è in uggia. Rallegraronsene inoltre i protestanti tutti di Europa: e ciò troviamo naturalissimo.

Che direm poi delle sette, e non son poche, che alla religione cattolica dichiararono per istituto una guerra mortale? Annovereremo fra queste gl’illuminati, i liberi muratori, e i carbonari. Questi ultimi dividonsi in carbonari propriamente detti, e in carbonari riformati. Sono essi sparsi massimamente in Italia, e tendono alla sua unificazione. A loro debbonsi i moti tutti della penisola da quelli del 1820 a quelli de’ giorni nostri.1

Potenti per cariche, per influenza, per mezzi, i liberi muratori han sede sopratutto nella Francia, nel Belgio, in Inghilterra, in Prussia, in Iscozia, e perfino ne’ domini dell’autocrate russo.

[p. 231 modifica]Molti poi erano gl’illuminati nei vari stati che costituiscono quella federazione che germanica si noma.

Erano i liberi muratori quasi dimenticati, quando la rivoluzione francese del febbraio li fece conoscere esistenti non solo, ma potenti per numero e per influenza. Annoveravansene quarantamila in Francia; e ci conta la storia che plaudenti al nuov’ordine di cose nel 1848, inviarono deputazioni per rendere omaggio al governo provvisorio, Giò diciamo affinchè la esistenza di quest’associazione venga riconosciuta siccome innegabile.

Sarebbero inoltre da unirsi a costoro tutti quegli utopisti perniciosi cui si diè il nome di socialisti, e quella classe d’uomini, rifiuto della umana società, clic sotto l’appellativo di comunisti vengon designatici cui scopo è quello di appetire la roba altrui, e la cui esistenza è antica quanto il globo che abitano.

Della giovane Italia non parleremo, perchè essa fu attrice in causa, e ciò di cui parliamo fu opera sua. E quando abbiamo detto nel capitolo precedente che i precetti del Mazzini avevan trionfato, dando lo scacco a quei del Mamiani, dicemmo abbastanza per inferirne che le idee della giovane Italia avevan riportato la palma su quelle dei monarchici ammodernati.

Non era adunque a presumere che nei suoi settatori produr potesse sorpresa l’annunzio di una cosa, che da essi man mano e perseverantemente era stata elaborata e condotta a fine; e dobbiamo pure aggiungere, perchè è vero, che lo fecero con iscaltrezza, abilità, e attività maravigliose.

Delle altre sette moltiplici o consorterie politiche in Italia, ch’ebber corta vita, ne fece la storia sotto il titolo di fratellanze segrete il professor Montanelli il quale era informatissimo di simili materie, e a lui possiam rimandare per informazioni i nostri lettori.2

[p. 232 modifica]Cosi delle varie consorterie politiche di Francia nulla diremo, perchè ci menerebbe tropp’oltre il parlarne. Esse però quantunque diversificassero nei nomi, avevan tutte lo stesso scopo, la guerra cioè alla monarchia e alla religione, cosicché possono tutte queste più o meno considerarsi siccome emanazioni o modificazioni delle sette principali di cui abbiam dato un cenno. Leggendo però il de la Hodde e lo Chenu se ne potrà acquistare maggior contezza.3

Mentre pertanto i nemici di Roma papale tenevano il cuore aperto alla speranza, gemeva nella tristezza e nella trepidazione la parte amica delle dottrine di ordine e di sociale conservazione.

Dice abbastanza questo preambolo quale interesse destar dovesse in tutto il mondo civile ciò che in Roma accadeva, poiché gli uni nei successi presenti vedevan gl’inizi del loro definitivo trionfo, gli altri sottomettendosi alle dure prove che segnalavano il presente ordine di cose, speravano fidenti in Dio, che cessato il suo sdegno, ristorasse il trono pontificale. Questo era Punico voto di quella parte che per sociali rapporti, per glorie avite, per cospicuità di possedimenti, per mitezza di costumi, per temperanza d’idee, e per nobiltà di posizione, costituiva l’eletta delle popolazioni civili.

Era uno spettacolo lagrimevole il vedere quella Roma, emporio mai sempre d’illustri personaggi, caduta in balia di uomini di nome oscuro nella massima parte, che ne dovevan reggere i destini. Non più un cardinale tu vedevi uè un prelato; non più nobili nè diplomatici ravvisavano nelle vie di Roma: imperocchè chi vi era ancora, nel massima ritiro viveva, e quanto più poteva occultavasi.

[p. 233 modifica]Ov’erano accademie cultrici di belle lettere o di filosofiche disquisizioni? Ove que’ ricchi stranieri porgenti mai sempre una mano soccorrevole ai trafficatori di oggetti di belle arti, o ai loro cultori? Ove quelle congregazioni ecclesiastiche al cui arbitrato sottomettesi tutto il mondo?

Tutto ciò era sparito dalla scena per sostituirvi un centinaio e mezzo di deputati ch’eranci venuti dalle provincie, e i rifuggiti di tutte le nazioni trasferitisi in Roma prepotentemente per farvi mercato di politici conturbamenti.

E queste vergogne chiamavansi glorie! E questi lutti, tripudi e trionfi!

Non è però da credere che se non tutti, molti dei capi non presentissero la breve durata del loro effimero regno, e la sconfitta che preparavasi al potere usurpato. Fidavan però nelle promesse dei democratici di Francia e di Alemagna; e la stessa Inghilterra, quantunque preminente in fatto di adesione alle forme monarchiche, aveva nel suo seno non pochi che o con parole o con mezzi confortarseli a durare costante, e a non lasciarsi toglier di mano la carpita signoria della città eterna.

Il fondamento pertanto della proclamazione della repubblica, e le probabilità dell’essere durevole, non riposavan che sulle intelligenze fra’ democratici, e sulle lusinghe che la democrazia pura fondatasi in Roma eccitar dovesse tal voglia di sè nell’altre popolazioni, che rovesciati i governi tutti, prender dovesse in Europa Tassoluto imperio. Ed a questo, e in Roma stessa, e fuori, convergevano gli sforzi dei democratici tutti.

I governi, e direm pure le nazioni in generale, erano con Gaeta. I democratici poi, ascritti o non ascritti alle sette, ma democratici di tutti colori, eran con Roma e co’suoi reggitori.

A Gaeta poi non è da credersi mica che gli appoggi si limitassero alle potenze della lega cattolica soltanto: imperocché la Russia ancora fece le sue profferte, ed il [p. 234 modifica]miaiatro Bouteneff che in Gaeta recossi d’ordine dell’autocrate russo, offriva il suo appoggio in uomini ed in danaro, come ci racconta il Farini. 4

Il re di Prussia offerse, come si disse comunemente, un sussidio di diecimila uomini. Altrettanto feco il re de’ Belgi, ed il generale Olivier disse a me che scrivo essere stato destinato (se gli aiuti belgi fossero stati accettati) a capitanare una divisione di diecimila uomini. Il Portogallo ancora nelle sue piccole risorse offriva il suo sussidio. La stessa protestante Inghilterra poi, la quale figura sempre come eccitatrice piuttosto che sedatrice di rivolture in Europa, se non offriva, perchè noi comportavano le sue istituzioni, sussidi al pontefice, non dissimulava le sue poche simpatie verso la repubblica romana col non ricevere e non riconoscere il suo inviato Marioni.

Ma altra e più significativa dimostrazione di attaccamento e di rispetto si porgeva al pontefice con quel cumulo di lettere e d’indirizzi che non solo dall’episcopato e dal clero di tutto l’orbe cattolico, ma dai Consigli municipali, dai Consigli generali, e da cospicui personaggi venivangli diretti mentr’era in Gaeta. Citeremo fra gl’indirizzi quelli dei cattolici del distretto di Londra, dei cattolici del Belgio, di Lione, d’Orleans, del clero e popolo di Cork, degli operai di Nimes, della società cattolica di Amsterdam, della società cattolica di Nancy, dei cattolici svizzeri, dei cattolici di Nantes, di Lucerna e di Sehwitz, della società cattolica di Rothenbourg, di 47 deputati della Camera del Belgio, del presidente della repubblica messicana, dell’associazione patriottica e fraterna di Vigan, della società di Pio IX in Prussia, della società di san Vincenzo de’ Paoli nel Belgio, dei cattolici del Tirolo, de’ cattolici di Agra nelle Indie orientali, del vescovo, clero e popolo di Lintz, degli abitanti di Tilff nel Belgio, del clero e popolo di Waterford, del parroco e degli abitanti [p. 235 modifica]di Dampierre, della società cattolica di Praga, de! comitato centrale del danaro di san Pietro a saint-Brieue, dei cattolici di Rietberg in Westfalia, del comitato centrale savoiardo pel danaro di san Pietro, e dei cattolici di Galles.

Tutte queste lettere e indirizzi che sommano nientemeno che a 297, attestano la profonda devozione di chi le senese, e le offerte di assistenza, di aiuti e di sagrifici di ogni genere per assicurare il trionfo della Chiesa e del papa, e la reintegrazione di questo nel governo temporale degli stati della Chiesa stessa usurpati dai repubblicani. Essi venner raccolti e pubblicati in Napoli in 2 volumi in-4, sotto il titolo: L’orbe cattolico a Pio IX pontefice massimo esulante da Roma, 1848-1850.5

Tutto ciò dice abbastanza che in fatto di profferte di aiuto e di appoggio sì morale come materiale non difettavasi, ma ve n’era forse di troppo.

Si leggan di grazia detti indirizzi; si paragonino con quella miserabilissima raccolta contenente gli atti di adesione alla repubblica, che i repubblicani stamparono e divulgarono in seguito sotto il titolo di Protocollo della repubblica romana, e che veggonsi sottoscritti in gran parte da gente oscura e ignorante, perchè molti non sapendo aerivere apposero ai loro nomi o spaccarono (come si dice) la croce; e ci si dica poi da qual parte propendessero le simpatie della porzione più colta e più rispettabile della società umana, se per la repubblica o pel papa.

Avendo detto abbastanza su tale particolare affinchè i nostri lettori possan farsene una generale ed adequata idea, passiamo a raccontare gli atti e le cose occorse nel resto di febbraio di sui dobbiamo ancora tener proposito.

Incominceremo il nostro racconto da una di quelle farse, vera parodia delle scene comiche della repubblica del 1798. Il giorno 16 febbraio si dette un convito [p. 236 modifica]democratico agli Orti farnesiani. Non sappiamo quanti vi concorressero. Ci sono restati però i documenti così di up inno che vi fu recitato da un tal Teobaldo Ciconi, come di un discorso pronunziatovi. Questo è sottoscritto dal dottore P. G., ed eccone alcune parole:

«Sudditi e plebe, ed ogni distinzione inonorevole svaniscono al cospetto di Dio: innanzi a Lui non v’ha che l’uomo, solo signore di se stesso. Esso di diritto dà e toglie il comando a chi vuole, e nei suoi governanti non ravvisa che i semplici depositari del poter suo, e gli esecutori fedeli delle sue giuste volontà.»

Contiene il detto discorso una tiritera contro i re e e i sacerdoti, e vi si professa la deificazione dell’uomo. Non varrebbe la pena di farne menzione, se non fosse la necessità di far conoscere mediante questi piccoli episodi lo spirito che animava i sostenitori di Roma repubblicana.6

Quanto all’inno che recitovvi quel tale Teobaldo Ciconi noi, non già perchè ne valga il pregio, ma per far meglio giudicare di que’ tempi, crediamo di trascriverlo in Sommario.7

Quindi proseguendo diremo che l’incaricato della repubblica di Venezia G. B. Castellani, avendo saputo che in Roma era installato un comitato per opera dell’abate Rambaldi (che per intenderci, è quello del cavallo di Marco Aurelio) onde raccoglier danaro per Venezia, emise il 17 una diffidazione, e la fece inserire nell’Epoca.8 Il comitato esecutivo appoggiò il Castellani, proibendo le questue per detto oggetto, in seguito di che lo stesso Castellani nominò una commissione centrale incaricata a quest’uopo.9

Lo stesso giorno un tal Zagari emise, in nome di tutti i Siciliani esistenti in Roma, un avviso o diffidazione o protesta contro il generale Antonini, quello stesso che [p. 237 modifica]aveva militato per la causa italiana nella Lombardia e nella Venezia, querelandosi delle sue dicerie, e consigliandolo a tacere e cessare dal calunniarli, altrimenti avrebber pubblicato documenti tali, da rinfrancarsi a sue spese.10

In quel giorno venne pure sciolto il Consiglio di stato dal comitato esecutivo.11

Come già accennammo nel capitolo precedente, il giorno 18 febbraio il cardinale Antonelli in nome del Santo Padre diresse una nota alle corti estere, nella quale richiedevasi l’intervento armato.

Diamo la detta nota per intiero in Sommario, e intanto ne riportiamo un brano che è il più sostanziale di quell’atto, affinchè se ne conosca la portata.

Il cardinale, dopo di avere esposto la condizione di Roma e gli atti di chi reggevala, diceva le parole seguenti:

«Pertanto avendo il Santo Padre esauriti tutti i mezzi che erano in suo potere, spinto dal dovere che ha al cospetto di tutto il mondo cattolico di conservare integro il patrimonio della Chiesa, e la sovranità che vi è annessa, così indispensabile a mantenere come capo supremo della Chiesa stessa, e mosso altresì dal gemito dei buoni che reclamano altamente un aiuto, non potendo più oltre sopportare un giogo di ferro ed una mano tirannica: si rivolge di nuovo a quelle stesse potenze, e specialmente a quelle cattoliche, che con tanta generosità di animo, ed in modo non dubbio hanno manifestato la loro decisa volontà di esser pronte a difendere la sua causa, nella certezza che vorranno con ogni, sollecitudine concorrere col loro morale intervento, affinchè venga egli restituito alla sua sede, alla capitale di quei domini che furono appunto costituiti a mantenere la sua piena libertà ed indipendenza, e garantiti eziandio dai trattati, che formano la base del diritto pubblico europeo.

[p. 238 modifica]E perchè l’Austria, la Francia, la 8pagna, ed il regno delle due Sicilie, si trovano per la loro posizione geografica in situazione di poter sollecitamente accorrere colle loro armi a ristabilire nei domini della Santa Sede l’ordine manomesso da un’orda di settari; così il Santo Padre nel religioso interesse di queste potenze figlie della Chiesa, domanda con piena fiducia il loro intervento armato per liberare principalmente lo stata della Santa Sede da quella fazione di tristi, che con ogni sorta di scelleraggini vi esercita il più atroce dispotismo. Per tal modo solo potrà essere ripristinato l’ordine negli stati della Chiesa, e restituito il sommo Pontefice al libero esercizio della suprema sua autorità, siccome lo esigono imperiosamente il sagro ed augusto suo carattere, gl’interessi della Chiesa universale, e la pace de’ popoli, e così potrà egli conservare quel patrimonio che ha ricevuto nell’assunzione del pontificato, per trasmetterlo integro ai suoi successori.12»

Lo stesso giorno che in Gaeta emanavasi il detto atto, accadeva un fatto importante e foriero di nuove perturbazioni. Gli Austriaci avevano passato il Po a Ferrara. Quel preside Carlo Mayr ne informava con dispaccio il preside di Bologna, e questi ne comunicava il contenuto al governo di Roma. Si conosceranno dal dispaccio che trascriviamo i motivi allegati dall’Austria per questa mossa.13


«Cittadino!

» Ferrara 18 febbraio 1849.

» I miei timori si sono pur troppo avverati. Questa mattina dopo le ore 7 gli Austriaci in più punti hanno passato il Po. Appena avutone l’avviso, ho combinata [p. 239 modifica]una deputazione governativa e municipale per presentarsi al generale comandante, onde avere una spiegazione suir ingresso di dette truppe. La deputazione, nel primo incontro del generale Hayn&u, ha avuto per risposta che sarebbe stata ricevuta nella spianata di questa fortezza.

» Le truppe sono entrate sul mezzo giorno, e poco dopo la deputazione è stata ricevuta dal generale, il quale ha consegnato in iscritto la dichiarazione del movimento, che tende ad una riparazione per la impedita comunicazione colla cittadella, per l’uccisione di tre militari austriaci nel fatto del 7 corrente, per il fatto del console austriaco, e per la proclamata repubblica.

» Le pretese affacciate sono:

» 1. Cessione delle porte della città.
» 2. Consegna degli autori degli omicidi entro ventiquattro ore.
» 3. Atterramento delle barricate.
» 4. Mantenimento delle truppe, che si dicono diecimila uomini per tutta la loro permanenza che non viene limitata.
» 5. Consegna dell’ospedale militare.
» 6. Pagamento di scudi duecentomila, più altri seimila per indenizzi al console austriaco entro ventiquattro ore.
» 7. Innalzamento degli abbassati stemmi pontifici.
» 8. Sei ostaggi che dovranno servire di garanzia per tutte le condizioni.

» Mentre mi occupo a chiarire meglio i fatti sui quali si fondano le pretese, e rispondere colla conveniente dignità alle enormi esigenze, ho combinato d’inviare allo stesso generale una deputazione egualmente governativo- municipale, che avrà per compagno l’eminentissimo cardinale arcivescovo, il quale del maggiore buon animo si è offerto di tutto fare per minorare il peso che ci aggrava.

[p. 240 modifica]» Per mezzo straordinario vi comunico tutto ciò per intelligenza, non omettendovi che per ora la città si conserva tranquilla.

» Gradite i miei distinti saluti.

» Il preside

» Carlo Mayr.


» Al cittadino preside di

» Bologna.

» Il suddetto dispaccio si è ricevuto questa mattina 19 febbraio 1849.

» Il preside C. Berti Pichat, tenente colonnello


Si annunziava inoltre che Bologna rimaneva calma nel tempo stesso che preparavasi alla difesa, ed il generale de Latour capo degli Svizzeri, quantunque infermo e prosciolto dagli obblighi che aveva, si fece condurre in sedia al palazzo governativo e dichiarò di esser pronto a difendere la città.14

Giunse in Roma il dispaccio per istaffetta, e la sera del 21 si tenne seduta per darne comunicazione officiale.

L’assemblea e le tribune offrivano uno spettacolo imponente per l’affollamento straordinario.

Il ministro dell’estero lesse il dispaccio di Ferrara, lesse ancora una lettera sulle cose di Toscana, e dopo poche parole del ministro dell’interno, del Bonaparte, e dell’Armellini, l’assemblea si costituì in comitato segreto fra le grida dalle tribune di: viva la repubblica, viva i padri della patria, vogliamo morire per la repubblica.

Riaperta la seduta al pubblico, a mezza notte, surse lo Sterbini e disse:

«Quei giorni che tutti prevedemmo son giunti, giorni di prova e di coraggio. La lega tra la casta sacerdotale, l’Austria e il Borbone è compiuta. Mancava un ultimo [p. 241 modifica]fatto per dimostrare quest’alleanza mostruosa fra i tre nemici del nome italiano; mancava un ultimo fatto per condurre i figli d’una madre comune a legarsi fra loro col giuramento solenne di non deporre le armi, se prima non è distrutta la iniqua razza dei nostri implacabili nemici.

» L’Austriaco ha gettato il guanto della disfida a tutta l’Italia, e lo ha gettato con quell’insulto che se non è lavato col sangue ci renderebbe oggetto di riso all’Europa intiera. «Voi non avete diritto alcuno di governarvi come più vi aggrada, disse Radetzky, vi dichiaraste repubblicani, io non lo voglio, chinatevi al mio volere, o io porterò fra voi la guerra e la strage».

» Non è nuova per noi tanta insolenza, ma ben sarà nuova per lui la nostra risposta:

» Accettiamo allegri la tua disfida, o Vandalo, avrai guerra di morte e di esterminio; su, figli d’Italia; Iddio volle accelerare il giorno della nostra redenzione, su all’armi.......»15

Dopo di che venne votata per acclamazione ed alla unanimità la legge seguente:

» Tutti i beni ecclesiastici dello stato romano sono dichiarati proprietà della Repubblica.

»La Repubblica romana doterà convenientemente i ministri del culto.

» L’applicazione di questa massima sarà attuata con apposita legge.16

Quindi il ministro degli esteri Rusconi lesse un proclama ai popoli italiani sull’ingresso degli Austriaci in Ferrara, il quale venne accolto con applausi.17

[p. 242 modifica]Il medesimo Rusconi diresse pure al corpo diplomatico una nota circolare sugli avvenimenti di Ferrara;18 ed il ministro della guerra Campello, il suo sostituto colonnello Luigi Mezzacapa, ed il colonnello Zambeccari partirono immediatamente alla volta di Bologna.19 Essi vi giunsero il 25.20

E nel detto giorno 21 fu pure emanato un decreto col quale si dichiarò l’intera Repubblica solidalmente tenuta di tutti i danni che potesse soffrire la generosa Ferrara o qualunque altro paese romano per invasione dell Austriaco oppressore della patria comune.21

Ripiegandoci indietro, e ritornando al giorno 18 osserveremo che mentre in Gaeta emettevasi l’atto col quale si richiedeva l’intervento armato, da Ferrara si spediva il dispaccio sulla occupazione della città, ed in Roma il governo ordinava la requisizione di tutti i cavalli dei così detti palazzi apostolici, e delle così dette guardie nobili, per uso dell’artiglieria.22 Il primo però e il secondo atto erano in regola, perchè il ministro di sua Santità non avendo forze, doveva richiederle a chi le aveva per essere reintegrato al potere; il preside di Ferrara poi doveva informare il suo governo di ciò che accadeva colà; ma con qual diritto il governo di Roma poteva ordinare una simile spogliazione, essendochè i cavalli tanto dei palazzi apostolici quanto delle guardie nobili non appartenevano al governo pontificio abolito e distrutto, ma si bene al pontefice riconosciuto e guarentito come capo della cattolicità? I cavalli facevan parte delle dipendenze e proprietà annesse ai palazzi apostolici, ed il loro acquisto e tratta mento era compreso nella somma di scudi 600 mila ammessa dallo Statuto in favor del pontefice, come direbbesi in [p. 243 modifica]mine ammodernato, per la lista civile. Ecco il testo dell’art. XLIX dello Statuto fondamentale:

«Le somme occorrenti pel trattamento dei sommo pontefice, del sacro collegio dei cardinali, per le congregazioni ecclesiastiche, per sussidio o assegno a quella de Propaganda fide, pel ministero degli affari esteri, pel corpo diplomatico della Santa Sede all’estero, pel mantenimento delle guardie pontificie palatine, per le sacre funzioni, per l’ordinaria manutenzione e custodia dei palazzi apostolici, e di loro dipendenze, degli annessi musei e biblioteca, per gli assegnamenti, giubilazioni e pensioni degli addetti alla corte pontificia, sono determinate in annui scudi seicentomila sulle basi dello stato attuale, compreso un fondo di riserva per le spese eventuali.»

Il nuovo governo pertanto non aveva e non poteva aver diritto veruno d’impossessarsene.

Ora diremo che alla nota del cardinale Antonelli del giorno 18 succedeva una circolare del 19 per proibire qualunque alienazione dei beni ecclesiastici, della quale onde meglio si conosca la sostanza, riportiamo il brano seguente:

«Vuole pertanto Sua Santità che si porti a notizia di tutti, e specialmente degli stranieri di qualunque stato e nazione, che le vendite, enfiteusi, e alienazioni qualunque, come pure le costituzioni (di censo?), l’ipoteche, ed altri contratti di ogni natura, che dalla sedicente assemblea e governo romano, o dagli aventi causa da esso, si facessero intorno a" beni ecclesiastici stabili o mobili, o sulle altre qualunque siansi proprietà delle mani morte, sono e saranno pienamente nulli e di niun valore, e dovranno considerarsi come fatte da chi con latrocinio pubblico e manifesto aveva usurpato le altrui sostanze.»23

Questo atto importantissimo motivato dalla notificazione dell’assemblea del 14 e tendente a paralizzare qualunque [p. 244 modifica]vendita de’ beni ecclesiastici, poteva benissimo restare occulto, almeno per qualche tempo, imperciocchè niuno in Roma aveva coraggio di diffondere e molto meno di far stampare atti di tale natura.

L’Epoca però e per essa i suoi direttori, nell’acciecamento fatale che offuscava le loro idee, si fecer solleciti di dargli pubblicità non al certo affinchè gli acquirenti si astenessero dai vietati acquisti ove il caso si fosse presentato, masi bene, secondo loro, come monumento della insania della corte pontificia residente in Gaeta, Apriva difatti il detto giornale le sue colonne del n. 285 colle parole seguenti:

«A conferma della protesta che ancora domiua nel partito di Gaeta, riferiamo la seguente circolare del cardinale Antonelli che leggiamo nel foglio ufficiale di Napoli. Un partito che ancora si ostina e chiama fazione un popolo, mentre è ridotto fazione egli solo e fazione meschinissima, può ben scrivere delle circolari quanto vuole esagerate, e noi a monumento d’insania possiamo pubblicargliele.»24

Anche le istruzioni di monsignor Canali che come vice gerente di sua Santità interdiceva ai luoghi pii ed agli altri stabilimenti religiosi di compilare l’inventario de’ loro beni, non venner già pubblicate dall’autorità, ma dalla stampa libertina dileggiandone il portato. Il primo giornale che ne parlò fu la Pallade.25

A proposito della Pallade, ch’era il giornale più popolare di tutti, chi crederebbe che il suo estensore, uomo di principi liberalissimi, si fosse trovato costretto d’inserire nel n. 474 del giorno 19, un articolo contro gli emigrati italiani che in Roma erano affluiti da tutte le parti, e che la volevan recitare da padroni, e spingerla Dio sa dove?

[p. 245 modifica]Ci limiteremo a trascrivere un brano del detto suo articolo che dice così:

«Quando la penisola intera avrà l’alta ventura di ragunarsi in una sola famiglia, allora vi sarà lecito di venire in mezzo ai vostri connaturali fratelli, se la madre patria vi reputerà degni della sua rappresentanza.

» Noi non siamo venuti a dettar leggi nè in Lombardia, nè in Toscana, nè in Piemonte, nè in Napoli, imitateci, se siete buoni ospiti, altrimenti ci scioglierete dall’obbligo di ogni riguardo e gentilezza.

» Non crediamo di aver bisogno dei vostri consigli per ciò che riguarda la nostra domestica situazione.»

E più sotto:

«Che fate qui neghittosi e queruli? Volete regolare un governo fatto interamente da noi? Non ne abbiamo bisogno. Abbiamo una repubblica, e ci basta. A che altro volete spingerci? Intendiamoci una volta per sempre: fate la vostra parte, mentre noi facciamo la nostra: rispettate un popolo che in mezzo ad ostacoli pressoché insormontabili, ha potuto consumare un atto di cui non può vantarsi verun altro angolo della penisola. Questo popolo non è già minorenne, e quindi non abbisogna di ajo. Solo imprese il suo viaggio, e solo pervenne alla sua meta. Chi non fu con lui nei giorni del pericolo, dee risparmiarsi d’intromettersi nei fatti della sua gloria.»

Lungi però dal produrre un buon effetto, detto articolo sembra che irritasse sempre più gl’irrequieti emigrati, perchè il 21 febbraio si leggeva nella stessa Pallade quanto appresso:

«Il mio articolo intorno agli emigrati è stato reputato uno scritto ostile, una diatriba anti-nazionale.

» Mi sia lecito di denunziare ai miei fratelli concittadini e al governo della Repubblica le replicate minacce di che son fatto segno.

» Ieri alle ore due pomeridiane mi si fecero innanzi due onesti cittadini miei amici, e mi dissero: Mi guardassi [p. 246 modifica]bene, non mi esponessi di notte, perchè alcuni emigrati crcdutisi offesi dal mio articolo mi apparecchiano lo stesso giuoco del Bossi.

Questa mane alle ore 11 antimeridiane altri due buoni amici mi hanno riferito queste precise parole: Ieri sera nel caffè legionario un crocchio di persone, la cui favella non era romana, e che tutti avevano una faccia patibolare, parlavano male del tuo articolo, e dicevano che ogni parola meritava di esser pagata con un colpo di pugnale. Bada alla tua persona!

» Mi appello a’ miei concittadini, mi appello alla guardia nazionale, mi appello ai capi della romana Repubblica.

» Fino a che il coltello del tradimento pende sul capo dello scrittore, fino a che la verità è rintuzzata dalla forza, fino a che il cittadino dee contar l’ore della sua vita e vedersi sul capo la terribile spada di Damocle, io non posso, credere che in Roma sia una Repubblica, ma pel contrario la più crudele delle tirannidi: imperciocchè è meno sventura piegare il collo sotto la scure del carnefice, che alla lama del sicario.»26

E non dicevam noi in principio di queste memorie che Roma, mentre si voleva far credere divenuta libera, era caduta invece sotto la scure della tirannide più crudele, e che il pugnale dell’assassino fu il talismano solo che impose silenzio a tutti? Non dicemmo che la libertà era un sogno, e la tirannia della piazza una realtà? Non sostenemmo noi che Roma era fatta mercato di gente sconosciuta e proterva? Non dicemmo noi che in balia degli estranei questa già un tempo fiorente città era caduta, e ch’essi le pesavan barbaramente sul collo? Se tanto si minacciava al repubblicanissimo estensore della Pallade, che cosa non dovevano gli altri temere?

Noi facciamo appello al buon senso dei nostri lettori, e ci diranno essi se questi due articoli della Pallade, [p. 247 modifica]di uno dei giornali più liberali e degli ausiliari più potenti della romana rivoluzione, non vengano a confermare incontestabilmente le nostre assertive.

Son tante le cose che ci si presentano all’esame, che a dire il vero ce ne sentiamo aggravati, e pensiamo pure ai nostri lettori cui siamo costretti di trattenere; ma come farne a meno? Tutto ci sembra interessante per conoscere addentro lo spirito della rivoluzione e i fatti di Roma. Vorremmo, ma non abbiamo la forza di trasandarne il racconto, perchè la verità ci sta a lato e ci dice: Prosegui: tu solo sei più a portata di tutti di farmi conoscere. Tu solo sei in grado di documentare tutte le cose che narri. Compi il tuo mandato. Passeranno i giorni del delirio, c chi vorrà conoscermi, svolgerà le tue carte e mi conoscerà.

Siamo al giorno 19 febbraio. Molte cose abbiamo già raccontato, e molte ancora sotto lo stesso giorno ci resta a dire. Coraggio e proseguiamo.

Ci narrò dunque il Monitore del 19 di febbraio che letta appena all’assemblea la protesta del pontefice fatta in Gaeta il 14, un immenso grido di viva la repubblica romana partito da tutta quanta l’assemblea e dalle tribune ne accolse la lettura, e fu la sola risposta che le si diede.27

Il giorno medesimo venne pure decretata dall’assemblea la cessazione della Giunta di sicurezza pubblica, e con altro decreto si prescrisse che tutti gl’impiegati civili e militari dar dovessero la loro adesione alla repubblica.

Molti fra gl’impiegati aderirono sponte, molti di più spinte, e questi, quasi tutti, consultato prima il confessore e per solo effetto di necessità. Altri, e non fu certamente il maggior numero, non vollero aderire affatto.

Dobbiamo pure far menzione di un meschino episodio.

Ove noi l’omettessimo, potrebbe dirsi che lo facemmo a disegno. D’altra parte la storia ne ha parlato; ne parleremo dunque ancor noi.

[p. 248 modifica]L’episodio consiste in questo. Venne accusato il cardinal Gizzi da un tale Concelli tenente nei cacciatori a cavallo, di avergli spedito un dispaccio per indurlo a defezionare promettendogli il grado di colonnello effettivo; e tutto ciò con lettera che il Cencelli comunicò e fece inserire nel Contemporaneo.28

Il Costituzionale però dinegando il fatto, sfidò il Cencelli a provar l’accusa, e non è a nostra cognizione che lo facesse;29 dopo di che non se ne parlò più. Ne parla anche il Torre nella sua storia.30

La sera del 19 si volle dare una festa di ballo in maschera nel teatro di Apollo a profitto di Venezia. Egli è un fatto che con tutto il vantato spirito di fratellauza vi fu pochissimo concorso. Pochissimi uomini, e quasi niuna signora.

Viceversa essendosi dato nella sera stessa altro ballo nel palazzo di Malta incontro Doria a profitto degli asili d’infanzia, sotto il patrocinio di sei eleganti signore cioè:

Carolina Serny Vitelli

Celeste Polverosi
Marietta Cagiati
Carolina Castellani
Teresa Diamilla

Anna Galletti,

e dovendo riuscire secondo tutte le apparenze più divertente, attirò un trecento o quattrocento persone. Non ostante si ebbe un incasso netto di circa scudi duecentocinquanta.31

Egli è proprio dei governi rivoluzionari di por mano a cento cose ad un tempo, e tutto esaminare, sconvolgere e precipitosamente rinnovare.

[p. 249 modifica]In quel tramestio di abolizioni, di rifusioni, e di rinnovamenti, egli è impossibile che non commettansi grandi sconci, che non prendansi abbagli, e che per voler troppo correggere non accada d’introdurre confusione nell’ordinamento della macchina sociale. Cose precipitate e ben fatte raramente occorrono.

Questo sistema di tutto volere in pochi giorni modificare o distruggere è quello che si esprime con una parola di conio recente, e che dicesi decretomania. E questa la troviamo in tutti i governi dalle rivoluzioni generati. Forse il pensiero occulto quello si è di seminare le difficoltà nel terreno che imprendesi a dissodare, e riempierlo siffattamente di triboli e spine, che malagevole poi riuscir debba al governo restaurato di ridurlo a regolare cultura. E intanto col fare e rifare, impiegare e cacciar dall’impiego, alleviare i balzelli e poi ristabilirli e aumentarli, affrancare e sciogliere e poi impastoiare di nuovo, i governi restaurati cuopronsi di odiosità, e quelli caduti risvegliano le simpatie. Quindi anche cadendo, vi trovano il lor tornaconto negl’imbarazzi creati a’ loro successori.

Sia pur breve uno sconvolgimento, esso porta sempre spese maggiori, e quindi maggiore il dissesto nelle finanze. Quanto poi ai compromessi, trovatisi i governi restaurati nelle più difficili strette: imperocché se impuniti si lasciano i sommovitori, demoralizzasi sempre più il popolo, i fedeli ne sono scandalizzati e rattiepiditi, e gl’infedeli per converso rimbaldanziti; se in vece si grava la mano con punizioni, carcerazioni ed esigli, il numero dei malcontenti accrescesi a mille doppi, e così si viene spianando la via a nuove riscosse, a nuovi e più tremendi conturbamenti.

In coerenza per tanto di queste premesse incominceremo lo sciorinamento delle nuove disposizioni governative rammentando che il 20 febbraio venner sciolte le congregazioni governative presso i presidi delle provincie.32 [p. 250 modifica] Volendo poi il governo dar pane ai suoi ben affetti, destituiva gli otto presidenti dei rioni sostituendovi i seguenti col titolo di commissari:


1. Dottor Paolo Totonelli per i rioni sant'Eustachio e Parione.
2. Avvocato Achille Spinetti per quelli di sant'Angelo e Campitelli.
3. Dottor Clemente De Donatis per quelli di Trevi e Pigna.
4. Dottor Giovanni Arcangeli pel rione Monti.
5. Dottor Camillo Galassi pel rione Ponte.
6. Avvocato Martinetti pei rioni Ripa e Trastevere.
7. Vincenzo Ballanti pel rione Colonna.
8. Avvocato Alfredo Cardinali pel rione Regola.33

L’avvocato Martinetti non avendo accettato, gli venne subito sostituito il cittadino Luigi Uffreduzzi.34

A queste destituzioni e sostituzioni però era stato già preparato il terreno con un indirizzo anonimo ai cittadini ministri, nel quale dopo aver detto tutto il male possibile dei presidenti che erano in carica, se ne invocavano dei nuovi.35

L’indirizzo comincia così:

«Una delle male piante da tôrre di mezzo, una delle piaghe più profonde cui fa mestieri di pronto riparo di morali farmaci, dovete voi, o signori, riconoscere in quel ceto dei così detti presidi regionarî. Costoro per la massima parte avanzo di scaduta nobiltà, altro non trassero in retaggio dai loro grandi avi, che l’orgoglio, [p. 251 modifica]l’ignoranza, l’amore del giuoco e della deboscia; e siccome temporibus illis la nobiltà di qualsiasi data, purchè viziosa e soperchiante, doveva ipso jure essere promossa ai primi onori, e ai gradi più lucrosi, così non reca meraviglia che a preferenza di tanti onesti uomini fossero scelti.costoro a reggitori dei quartieri di questa nostra Roma, ed onorati del titolo di presidi regionari.»

Detto indirizzo una vera diffamazione insensata a carico di persone probe ed oneste; e se lo diciamo l’è appunto perchè tutta Roma le conosceva. Ma i tempi volevan cosl. Conveniva atterrare tutti gli elementi del vecchio edificio. Quanto ai nuovi commissari però crediamo che disimpegnassero con zelo ed equità il loro ufficio, e che amministrassero imparzialmente la giustizia. In somma non sentimmo reclami a loro carico.

Intanto proseguivansi gli atti per dar di piglio ai beni ecclesiastici, e nella seduta del 22 l’assemblea emetteva il voto perchè il comitato esecutivo proponesse al più presto possibile un progetto di legge sul loro incameramento. E la proposizione con immensi applausi veniva accolta.36

Il giorno 23 ordinavasi dal ministro delle finanze Ignazio Guiccioli ai ministri delle casse pubbliche ed ai particolari la denuncia delle somme rimaste in deposito, di pertinenza delle mani morte.37

Il 26 con ordine del comitato esecutivo l’amministrazione del registro veniva dichiarata ancora amministrazione del demanio pubblico; ed in tale qualità doveva amministrare i beni ecclesiastici.38 E con altro ordinc poneva sotto la sorveglianza iminediata del ministero dei lavori pubblici i palazzi così detti apostolici.39

La occupazione di Ferrara era intanto il tormento dei repubblicani. Perciò il comitato esecutivo emetteva il giorno [p. 252 modifica]22 un proclama col quale, annunziando agl’Italiani che il territorio della repubblica era stato invaso di nuovo dalle orde croate, invitava tutti i popoli, piemontesi, genovesi, napolitani, toscani, veneti, siciliani, lombardi, a levarsi in massa per iscacciare una volta questa peste d’Italia.40 Proibiva l’estrazione dei cavalli e muli.41 Ordinava che durante l’assenza del ministro di guerra e marina Campello, recatosi come si è detto in Bologna, il maggior Calandrelli ne facesse le veci.42 L’assemblea poi faceva un decreto il 24, che pubblicavasi il 25, per la requisizione di tutte le campane di Roma superflue. L’oggetto era per fonderle e convertirle in cannoni.43

La energia delle misure adottate dal governo (almeno così si scrisse) eccitò alla resistenza le popolazioni di Bologna, delle Romagne, e di Ancona.

In questi frangenti già migliori notizie giungevano al governo, ed esso fin dal 25 ne dava comunicazione al pubblico per mezzo del Monitore, e così venivasi tranquillandolo. Vi si diceva che gli Austriaci dopo ricevuti scudi settantun mila in contanti e il resto, per arrivare agli scudi centoseimila, in banconote dai Ferraresi, eransene partiti alla volta d’oltre Po, conducendo seco per ostaggi:

Canonici Ferdinando
Strozzi Sagrati
Trotti Antonio
Guidetti colonnello
Agnelli avvocato
Cadolini parente dell’arcivescovo.44

Quel Preside Mayr poi erasi ritirato col suo officio in Argenta.45

[p. 253 modifica]Con tutto ciò lo stesso giorno 25 emanava il ministro dell’interno Saffi una circolare ai presidi delle provincie per una disperata difesa in caso d’attacco.46

Ripiegandoci di qualche giorno indietro, troviamo che a riparare le angustie finanziarie in cui trovavasi il governo, fu d’uopo ricorrere ai mezzi estremi. E quindi con decreto del 21 forzavasi la banca romana ad emettere tanti biglietti per il complessivo ammontare di un milione e trecento mila scudi, i quali quanto a scudi novecento mila servir dovevano per il governo stesso, ed i restanti quattrocento mila pel commercio di Roma, di Bologna e di Ancona.47

Siccome poi una emissione sì grande di biglietti di banca arrecar poteva difficoltà non poche in tempi già difficilissimi per le transazioni sociali, poichè ove quelli si fossero rifiutati, gli affari sarebber stati paralizzati del tutto, si dovette adottare altro temperamento violento, e fu di ordinare il 22, ossia il giorno seguente, il corso coattivo dei biglietti della banca romana esonerando la medesima dall’obbligo di concambiarli. E questi ordini emanavano tanto dal comitato esecutivo quanto dal ministro delle finanze.48 Così in due giorni due misure violenti, e tiranniche venivano attuate, e sotto il manto della necessità ricoperte.

Il 24 il ministro di grazia e giustizia Lazzarini ordinava la sospensione delle udienze ordinarie dei giudici ne’ tribunali di Roma.49

E con decreto del giorno stesso proibivasi dal comitato esecutivo ai rappresentanti del popolo la percezione di un doppio soldo.50

[p. 254 modifica]Venivano inoltre eletti detto giorno a deputati dell’assemblea:

1. Giuseppe Mazzini, ligure con voti 8982.
2. Michele Accursi » 7704.
3. Aurelio Saliceti, napolitano » 7233.
4. Carlo Arduini » 3367.
5. Pietro Guerrini » 2850.
6. Orazio Antinori, perugino » 2822.
7. Enrico Cernuschi, lombardo » 2678.
8. Francesco Dall’Ongaro, friulano » 2383.51

E quattro giorni prima era stato eletto allo stesso officio per rappresentare Orvieto l’avvocato Oreste Regnoli delle Romagne. 52

Il 25 poi ordinavasi altra misura violenta. L’assemblea costituente decretava che si levasse un prestito forzoso. 53

Contro detto decreto si scagliò veementemente la Speranza italiana, siccome contrario alla dignità del paese e ai diritti inviolabili della giustizia. 54

Eccone un brano:

«Noi non vorremmo qui annoverare le assurdità che si sono recitate a sangue freddo alla tribuna da alcuni improvvisati economisti, i quali avevano preso il luogo dei veri economisti dell’assemblea che in disperazione di causa avevano lasciato libero il campo ai nemici di ogni tecnica intelligenza. Mai noi vedemmo tanta confusione d’idee, mai tanta contraddizione nelle stesse persone, fra ministri e ministri, negli apologisti delle stesse idee. Le diverse lingue, le orribili favelle di cui parla Dante parevano tradotte in quella sala. Un economista lattante, come lo appellava leggiadramente un deputato di [p. 255 modifica]Bologna, si faceva organo delle sezioni, e rovesciava con visibile gioia strafalcioni da far drizzare i capelli. Ne ricorderemo solamente uno. Egli dalla tribuna dava come una cosa stessa il diciassette e mezzo per cento e un diciassettesimo e mezzo per cento. Eppure niuno sorse a protestare contro costui che si dichiarava delegato di tutte le sezioni a rappresentarle nella controversia.»

Non ostante le critiche della Speranza italiana, le grida dei colpiti dal decreto e le ragioni addotte da tutti gli uomini di buon senso, la misura passò e attuossi, un officio si organizzò per detto oggetto, e il danaro dei possidenti venne a sovvenire le casse dei rigeneratori delle cose romane.

Il giorno 26 il comitato esecutivo, recedendo dalle disposizioni già date, ordinava che il clero continuasse a fare gli atti di amministrazione.55

Ma col pubblicare il giorno 27 il decreto del 25 col quale si aboliva la giurisdizione ecclesiastica ossia quella dei vescovi sopra le università ed altre scuole qualunque, e ponevasi l’insegnamento sotto la dipendenza immediata del potere esecutivo, si fece, sembraci, atto lesivo dei diritti del potere spirituale del papa.56

Veniva pubblicato pure altro decreto in data del 24 per interdire agli assenti la percezione dei soldi ossiano indennizzi. E così usavasi altra violenza a quelli che potendo, amavan di starsene lungi da Roma.57

La diffidenza però era entrata nelle masse popolari, e quindi a dissiparne gli effetti s’indusse il ministro dell’interno Saffi ad emettere un indirizzo il 26 febbraio, che venne pubblicato il 27, col quale si rassicuravano i timorosi sul niun pericolo circa le casse di risparmio e del monte di pietà.58

[p. 256 modifica]Il giorno 27 porgevasi pure avviso che la elezione del Consiglio municipale di Roma destinata pel giorno 11 era differita al 25 del prossimo marzo.59

Abolivasi per sempre lo stesso giorno con decreto il tribunale di sant’Offizio ed ordinavasi che una colonna fosse eretta in Roma sulla piazza che sta innanzi all’antica casa di quel tribunale, per eternare ai posteri la memoria di quest’atto solenne.60

Con detto decreto si commise un atto flagrante di violenza e d’ingiustizia nel tempo stesso. Di violenza, perchè anche secondo il decreto fondamentale, la repubblica romana impegnavasi di lasciar libero al pontefice l’esercizio del suo potere spirituale. Con qual diritto pertanto si sopprimeva un tribunale meramente ecclesiastico e da una congregazione ecclesiastica dipendente? D’ingiustizia poi perchè o la congregazione o il tribunale del sant’Offizio mai non esercitarono atto alcuno vessatorio a carico dei cittadini romani per le loro libere opinioni in fatto di religione. E se in qualche raro caso agiva il tribunale, l’era soltanto a carico degli ecclesiastici, ove fra loro ve ne fosse stato alcuno o che professasse dottrine tendenti all’alterazione del dogma o alla eresia, ovvero che abusasse nell’esercizio del proprio officio.

Appartiene poi allo stesso giorno 27 febbraio una nota che il cardinale Antonelli diresse al corpo diplomatico residente in Gaeta. Scopo della medesima era di diffidare chiunque si fosse dal contrarre prestiti col governo repubblicano di Roma, nella supposizione che il medesimo offerisse per garanzia gli oggetti di arte che firmano una delle grandezze di Roma. Detta nota può leggersi nel Costituzionale del 7 marzo, il quale la estrasse dal Tempo di Napoli. Noi non ostante crediamo di riportarla in Sommario.61

[p. 257 modifica]L’ultimo giorno di febbraio sottoscrivevasi un decreto dal comitato esecutivo, sul modo di regolare i pagamenti alle casse erariali.62

I carabinieri giurarono in quel giorno fedeltà alla repubblica sulla piazza del Popolo.

Eglino si riunirono nella piazza de’santi Apostoli alle 10 antimeridiane. Avviaronsi quindi alla piazza del Popolo, e nella chiesa che di santa Maria del Popolo porta il nome, udiron la messa. Uscitine di poi formarono un circolo, e fu Ietto il giuramento, Il colonnello Calderari comandò alla officialità di sfoderare la spada e giurare militarmente.

Parlò per il primo il generale Galletti in questi termini: «Poichè per il primo la proclamai, vo’ giurar per il primo di tutti alla repubblica, e giuro....» Giurarono quindi tutti gli altri.63

Le troppe domande d’impieghi, che manifestansi ordinariamente ne’ cambiamenti di governo, reclamarono da quello romano di allora una misura per non distogliere le autorità governative dall’esercizio delle loro attribuzioni, e fu quella di creare una commissione per esaminare e riferire sulle istanze che ricevevansi.

Ella era composta dei seguenti:

Avvocato Francesco Sturbinetti presidente
Avvocato Giuseppe Piacentini
Luigi Salvati
Dottor Giuseppe Meucci
Luigi Allocatelli
Alberico Spada
Alessandro Castellani segretario.64

Il Monitore poi del detto giorno portava un dispaccio in forma di rimostranza del ministro degli affari esteri [p. 258 modifica]Rusconi, in data del 26, e diretto al ministro degli affari esteri nel regno di Napoli. Gravavasi con esso dell’avvicinamento al confine degli stati romani delle truppe napoletane e dell’ingresso di un centinaio di soldati appartenenti a quell’armata nei detti stati.65

Tra le cose meritevoli di nota accadute nella seconda quindicina di febbraio dobbiam pure memorare la caduta del ministero Gioberti il giorno 21. I particolari possono leggersi nella Pallade del 2666 e nel Costituzionale del 28.67

I giornali della repubblica ne gioivano apertamente, e profittavano della occasione per iscagliarsi acerbissimamente tanto contro di esso, quanto contro Carlo Alberto; ed affinchè i nostri lettori possan farsene una idea, riportiamo il brano seguente della Pallade:


«Il prete Gioberti e il re Carlo Alberto.

» Questi due nomi sono oggimai storici. L’uno passerà alla posterità per essersi le mille fiate contradetto, l’altro per essersi sempre tenuto fermo ne 1 suoi propositi.

» Gioberti dopo aver perseguitato la politica del gesuitismo, alla perfine ha voluto sposarla anch’egli. Ha percorso l’Italia come ciarlatano di libertà, poscia se ne è fatto il carnefice: predicava guerra allo straniero, e la preparava all’Italia.

» Carlo Alberto fu austriaco nel 21, più austriaco nel 31, generale austriaco nel 48.

» Benchè dunque queste due nature fossero diverse l’una per mobilità, l’altra per fermezza, pure in questi ultimi giorni l’una si era incarnata nell’altra.

» Si è voluto pretendere che l’abate ministro allestisse un intervento armato in favore di Leopoldo e Pio IX, [p. 259 modifica]contro il dissentimento dei suoi colleghi ministeriali, o all’insaputa del re granatiero. Questa innocente credulità ci muove veramente le risa!»

Lo stesso giorno poi decretava scherzevolmente il giornale anzidetto che il nome di Gioberti venisse abolito dalla strada che lo aveva assunto, e che venissele restituito quello di via Borgognona.68

In mezzo a queste fanciullaggini che caratterizzano l’epoca di cui ci forza parlare, in Toscana le cose volgevano sempre al peggio, la confusione ed il mal contento erano al loro colmo, checchè si dicesse o scrivesse per rappresentare il contrario. Già in Firenze fin dal 22 vi erano stati alcuni moti di riazione in favore del gran duca, ed in Livorno viceversa erasi proclamata la repubblica.69 Intanto il gran duca giungeva a Gaeta il giorno 23.70

Con tutto ciò i repubblicani romani glorificavansi del loro trionfo; credevano o almeno ostentavan di credere la repubblica loro si bene consolidata, da non dover temere assalti stranieri. Di chi poi parlava loro d’intervento armato si facevan le beffe. E il sa l’avvocato Borgatti che come ci racconta il Farini71 dovette ammutolirsi per timore, quando osò parlarne con qualcuno di quelli cui non garbava.

Ma i repubblicani romani contavano precipuamente sulla repubblica sorella di Francia; e per festeggiarne l’anniversario, la sera del 24 fecero illuminare il Campidoglio.72 E una deputazione del circolo popolare si recò nel giorno per presentare le sue felicitazioni alla ambasciata, ma non le riusci di parlare con alcuno della legazione; il che in buoni termini significa che la non si volle ricevere, e con [p. 260 modifica]questo si ebbe una prova che le due sorelle non andavan troppo d’accordo.73

Certamente che i rapporti della repubblica romana in via officiale non avrebber potuto presentarsi sotto un aspetto più meschino e scoraggiante, perchè niun personaggio in Roma per parte delle potenze estere degnavasi abboccarsi co’ suoi rappresentanti. Nè i suoi inviati in estere contrade avevan l’onore se non di essere ascoltati, almeno di essere ricevuti. In prova di che rammenteremo che il governo piemontese sul semplice annunzio della convocazione della Costituente in Roma, oltre al non aver mai voluto riconoscere i due inviati da Roma Pinto e Spini come rappresentanti il governo romano, mandò loro i passaporti affinchè se la svignassero da Torino.74

Non ostante ciò il ministro degli esteri, previa approvazione del comitato esecutivo, nominava fino dal 23 febbraio il cittadino dottore Pietro Maestri suo inviato straordinario presso il governo toscano, ed il cittadino colonnello Nicola Fabrizi inviato egualmente presso il governo veneto. Sul ricevimento di questi due rappresentanti almeno non era a dubitare.75

Il carnevale ch’ebbe luogo in Roma durante la repubblica, se non fu dei più brillanti per numero di gente, fu brillante abbastanza per la gaiezza che vi prevalse e per l’ordine che vi si mantenne. Una gran parte però del mezzo ceto e quasi tutta l’aristocrazia si astennero dal prendervi parte.

Chiuderemo il presente capitolo con una lettera che il gran direttore del movimento romano Giuseppe Mazzini dirigeva da Firenze al presidente dell’assemblea costituente il 25 febbraio, e che sul finire del mese già conoscevasi in [p. 261 modifica]Roma, quantunque non venisse pubblicata che il primo di marzo. Eccola:

«Cittadino presidente,

» Vent’anni d’esilio mi sono largamente pagati. Una vita intera consecrata all’incremento della patria comune basterebbe appena a sciogliere il debito che l’onore della cittadinanza nella Roma del popolo m’impone; ed io non ho che pochi, tardi e languidi anni da spendere per la fede che or si bandisce dal Campidoglio. Ma in questa fede io vissi finora, in questa fede, vogliate ridirlo con fiducia ai vostri colleghi, io morrò. Il resto spetta a Dio, e alla virtù dell’esempio che Roma ci dà.

» Tacqui finora, perchè io sperava rispondere coll’annunzio dell’unificazione della provincia italiana, ove io sono, con Roma. La precederò or di poco tra voi. E possa riuscire cominciamento solenne della più vasta unificazione presentita dai nostri grandi, santificata dai nostri martiri, matura, come io credo, nel disegno di Dio, e invocata dall’unico interprete che voi ed io riconosciamo di quel disegno, il popolo.

» Firenze, 25 febbraio 1849.

» Vostro con alta stima ed animo riconoscente


Giunse difatti il Mazzini nella città eterna per assidersi sul trono del papa re, del quale da molti anni andava scalzando le fondamenta; ma come la sua venuta ebbe luogo nel marzo, così non sarà che nei capitoli successivi che noi potremo parlarne.

Dal tutto insieme però non sembra che Roma riposasse sopra un letto di rose, perchè il commercio languiva, [p. 262 modifica]le arti trovavano nel più scoraggiante avvilimento, l’oro e l’argento eran spariti dalla circolazione, e per procurarseli, conveniva subire la legge dagli speculatori sull’agiotaggio. La corte e i grandi eran spariti o rinchiusi, gli eateri, in piccolissimo numero, erano sulle mosse per abbandonare la città che non più presentava a’ loro sguardi una fisonomia lieta e incoraggiante. La fiducia era scemata nel popolo a tal punto, che occorrevano i puntelli per reggerla. I bisogni stragrandi forzavan la banca ad emettere un milione e trecentomila scudi di biglietti; prestito forzoso decretato, requisizione di cavalli, requisizioni di campane; violenza morale in fine alla coscienza pubblica collo imporre adesione ad un governo che non era nè poteva esser voluto dalla maggiorità dei cittadini, nè desiderato, nè amato, nè approvato dagli esteri.

Minacciata la repubblica al confine napolitano, minacciata nelle provincie settentrionali dall’Austria, minacciata dai preparativi di Francia e Spagna, e stigmatizzata dalla disapprovazione, direm meglio dall’abominio di tutto il mondo civile e cattolico.

E pure tant’era la forza della fede, o del cieco fanatismo politico, che lietamente i rappresentanti, e più lietamente i ministri, vedevansi ammassare decreti sopra decreti per rifondere l’impianto del governo e delle amministrazioni, quasi che la repubblica dovesse vivere eterna, mentre non le restavan tuttora che quattro mesi di vita.

Questo lo stato di Roma sul finire di febbraio 1849.






Note

  1. Vedi Guglielmo Pepe, Memorie intorno alla sua vita e ai recenti casi d’Italia, scritte da lui medesimo. Lugano, 1847, vol. II, capitoli XXVI e XXVII.
  2. Vedi Montanelli, Memorie ec., vol. I, capitoli VII, VIII, IX e X.
  3. Vedi de la Hodde, Histoire des sociétés secrètes, et du parti republicain, ec. Paris, 1850, in-8. — Vedi Chenu, Les conspirateurs, et les sociétés secrétes, ec. Paris, 1850, in-12. — Vedi L’ordre des franc-maçons trahi. Amsterdam, 1715, vol. II, in-12. — Vedi Saint Edme, Constitution et organisation des Carbonari. Paris, 1821, in-8. fig. — Vedi monsignor Luquet, Dei pericoli presenti della società. Roma, 1850, in-8. pag. 179. — Vedi il Programma della Giovane Italia nelle Miscellanee, vol. XXXXV, n. 1.
  4. Vedi Farini, vol. III, pag. 189.
  5. Vedi L’orbe cattolico a Pio IX ec. Napoli, 1850, vol. II, in-4.
  6. Vedili nei Documenti, vol. VIII, n. 66 e 67.
  7. Vedi Sommario, n. 69.
  8. Vedi l’Epoca del 21, pag. 277.
  9. Vedi Documenti, n. 68 ove si riportano i nomi.
  10. Vedi l’Epoca del 18, n. 275.
  11. Vedi il Monitore del 17.
  12. Vedi Motu-proprî, ec., vol. I, n. 76. — Vedi il Sommario, n. 69.
  13. Vedi il Monitore del 22 febbraio, pag. 97.
  14. Vedi Documenti, n. 71, vol. VIII.
  15. Vedi gli atti dell'Assemblea costituente ec., pag. 83. — Vedi Monitore del 22, pag. 96.
  16. Vedi gli atti dell'Assemblea costituente ec., pag. 83. — Vedi Monitore del 22, pag. 93.
  17. Vedi la Pallade, n. 477. - Vedi Monitore del 22. Vedi Documenti, vol. VIII, n. 80.
  18. Vedi Monitore del 23, pag. 99 e 100.
  19. Vedi detto del 22.
  20. Vedi detto del 28.
  21. Vedi detto del 22.
  22. Vedi detto del 20, pag. 85.
  23. Vedi il detto atto nell’Appendice a’ Motu-propri, n. 42. — Vedi l’Epoca del 2 marzo. — Vedi Sommario, n. 70.
  24. Vedi l'Epoca del 2 marzo 1819.
  25. Vedi la Pallade, n. 483. — Vedi il Costituzionale del 5, pag. 111. — Vedi la Torre, Memorie storiche sull’intervento francese in Roma nel 1819, vol. I, pag 295.
  26. Vedi la Pallade dei 21 febbraio 1849, n. 476.
  27. Vedi Monitore del 19 febbraio, n. 19.
  28. Vedi il Contemporaneo del 20 febbraio, terza pagina. – Vedi la Pallade, n. 475.
  29. Vedi il Costituzionale del 2 marzo, pag. 103.
  30. Vedi Torre, vol. I, pag. 266, 267 268.
  31. Vedi Documenti, numeri 75, 76, 77 e 78. – Vedi Epoca, pag. 1138.
  32. Vedi Monitore del 20 febbraio 1819, pag. 85.
  33. Vedi Monitore del 21 febbraio.
  34. Vedi Monitore del 22 — Vedi una circolare del ministro Saffi ai presidenti dimissionari nel Costituzionale, pag. 96.
  35. Vedi Indirizzo contro i presidi regionari ec. nei Documenti senza data, vol. I, n. 39.
  36. Vedi Monitore del 25, pag. 107.
  37. Vedi detto del 23.
  38. Vedi detto del 26. pag. 111.
  39. Vedi detto del 27, pag. 115.
  40. Vedi il Monitore del 23, pag. 99.
  41. Vedi detto del 23, pag. 99.
  42. Vedi detto del 23, pag. 99.
  43. Vedi detto del 25, pag. 107.
  44. Vedi detto del 25, pag. 107.
  45. Vedi detto del 25, pag. 107.
  46. Vedi il Monitore del 25. — Vedi Documenti, vol. VIII, n. 81.
  47. Vedi detto del 21, pag. 89.
  48. Vedi detto del 23, pag. 99.
  49. Vedi detto del 25.
  50. Vedi detto del 26, pag. 111.
  51. Vedi il Monitore del 24.
  52. Vedi detto del 22.
  53. Vedi detto del 27, pag. 115.
  54. Vedi Documenti, n. 82. — Vedi la Speranza italiana, n 34.
  55. Vedi Monitore del 26, pag. 111. Vedi la Pallade, n. 481.
  56. Vedi Monitore del 27, pag. 115. — Vedi la Pallade, n. 480.
  57. Vedi il Monitore del 26, pag. 111.
  58. Vedi la Pallade del 27, n. 481.
  59. Vedi Monitore del 1 marzo, png. 125.
  60. Vedi detto del 1 marzo. — Vedi la Pallade del 27 febbraio, n. 481.
  61. Vedi Sommario, n. 71.
  62. Vedi Monitore del 1 marzo, n. 127.
  63. Vedi la Pallade del 28 febbraio, n. 482.
  64. Vedi Monitore del 1 marzo, pag. 125.
  65. Vedi Monitore del 28 febbraio, pag. 119.
  66. Vedi la Pallade, n. 480.
  67. Vedi il Costituzionale del 28, pag. 103.
  68. Vedi la Pallade, quarta pagina, n. 481.
  69. Vedi l’Epoca del 25, pag. 1116.
  70. Vedi detta del 27.
  71. Vedi Farini, vol. III, pag. 199.
  72. Vedi Monitore del 25, pag. 108.
  73. Vedi il Costituzionale, pag. 100.
  74. Vedi Sommario storico ec., vol. I, pag. 388.
  75. Vedi Monitore del 23, pag. 102.
  76. Vedi la Pallade del 1 marzo, n. 483.