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Ci limiteremo a trascrivere un brano del detto suo articolo che dice così:

«Quando la penisola intera avrà l’alta ventura di ragunarsi in una sola famiglia, allora vi sarà lecito di venire in mezzo ai vostri connaturali fratelli, se la madre patria vi reputerà degni della sua rappresentanza.

» Noi non siamo venuti a dettar leggi nè in Lombardia, nè in Toscana, nè in Piemonte, nè in Napoli, imitateci, se siete buoni ospiti, altrimenti ci scioglierete dall’obbligo di ogni riguardo e gentilezza.

» Non crediamo di aver bisogno dei vostri consigli per ciò che riguarda la nostra domestica situazione.»

E più sotto:

«Che fate qui neghittosi e queruli? Volete regolare un governo fatto interamente da noi? Non ne abbiamo bisogno. Abbiamo una repubblica, e ci basta. A che altro volete spingerci? Intendiamoci una volta per sempre: fate la vostra parte, mentre noi facciamo la nostra: rispettate un popolo che in mezzo ad ostacoli pressoché insormontabili, ha potuto consumare un atto di cui non può vantarsi verun altro angolo della penisola. Questo popolo non è già minorenne, e quindi non abbisogna di ajo. Solo imprese il suo viaggio, e solo pervenne alla sua meta. Chi non fu con lui nei giorni del pericolo, dee risparmiarsi d’intromettersi nei fatti della sua gloria.»

Lungi però dal produrre un buon effetto, detto articolo sembra che irritasse sempre più gl’irrequieti emigrati, perchè il 21 febbraio si leggeva nella stessa Pallade quanto appresso:

«Il mio articolo intorno agli emigrati è stato reputato uno scritto ostile, una diatriba anti-nazionale.

» Mi sia lecito di denunziare ai miei fratelli concittadini e al governo della Repubblica le replicate minacce di che son fatto segno.

» Ieri alle ore due pomeridiane mi si fecero innanzi due onesti cittadini miei amici, e mi dissero: Mi guardassi