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le arti trovavano nel più scoraggiante avvilimento, l’oro e l’argento eran spariti dalla circolazione, e per procurarseli, conveniva subire la legge dagli speculatori sull’agiotaggio. La corte e i grandi eran spariti o rinchiusi, gli eateri, in piccolissimo numero, erano sulle mosse per abbandonare la città che non più presentava a’ loro sguardi una fisonomia lieta e incoraggiante. La fiducia era scemata nel popolo a tal punto, che occorrevano i puntelli per reggerla. I bisogni stragrandi forzavan la banca ad emettere un milione e trecentomila scudi di biglietti; prestito forzoso decretato, requisizione di cavalli, requisizioni di campane; violenza morale in fine alla coscienza pubblica collo imporre adesione ad un governo che non era nè poteva esser voluto dalla maggiorità dei cittadini, nè desiderato, nè amato, nè approvato dagli esteri.

Minacciata la repubblica al confine napolitano, minacciata nelle provincie settentrionali dall’Austria, minacciata dai preparativi di Francia e Spagna, e stigmatizzata dalla disapprovazione, direm meglio dall’abominio di tutto il mondo civile e cattolico.

E pure tant’era la forza della fede, o del cieco fanatismo politico, che lietamente i rappresentanti, e più lietamente i ministri, vedevansi ammassare decreti sopra decreti per rifondere l’impianto del governo e delle amministrazioni, quasi che la repubblica dovesse vivere eterna, mentre non le restavan tuttora che quattro mesi di vita.

Questo lo stato di Roma sul finire di febbraio 1849.