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bene, non mi esponessi di notte, perchè alcuni emigrati crcdutisi offesi dal mio articolo mi apparecchiano lo stesso giuoco del Bossi.

Questa mane alle ore 11 antimeridiane altri due buoni amici mi hanno riferito queste precise parole: Ieri sera nel caffè legionario un crocchio di persone, la cui favella non era romana, e che tutti avevano una faccia patibolare, parlavano male del tuo articolo, e dicevano che ogni parola meritava di esser pagata con un colpo di pugnale. Bada alla tua persona!

» Mi appello a’ miei concittadini, mi appello alla guardia nazionale, mi appello ai capi della romana Repubblica.

» Fino a che il coltello del tradimento pende sul capo dello scrittore, fino a che la verità è rintuzzata dalla forza, fino a che il cittadino dee contar l’ore della sua vita e vedersi sul capo la terribile spada di Damocle, io non posso, credere che in Roma sia una Repubblica, ma pel contrario la più crudele delle tirannidi: imperciocchè è meno sventura piegare il collo sotto la scure del carnefice, che alla lama del sicario.»1

E non dicevam noi in principio di queste memorie che Roma, mentre si voleva far credere divenuta libera, era caduta invece sotto la scure della tirannide più crudele, e che il pugnale dell’assassino fu il talismano solo che impose silenzio a tutti? Non dicemmo che la libertà era un sogno, e la tirannia della piazza una realtà? Non sostenemmo noi che Roma era fatta mercato di gente sconosciuta e proterva? Non dicemmo noi che in balia degli estranei questa già un tempo fiorente città era caduta, e ch’essi le pesavan barbaramente sul collo? Se tanto si minacciava al repubblicanissimo estensore della Pallade, che cosa non dovevano gli altri temere?

Noi facciamo appello al buon senso dei nostri lettori, e ci diranno essi se questi due articoli della Pallade,

  1. Vedi la Pallade dei 21 febbraio 1849, n. 476.