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di uno dei giornali più liberali e degli ausiliari più potenti della romana rivoluzione, non vengano a confermare incontestabilmente le nostre assertive.

Son tante le cose che ci si presentano all’esame, che a dire il vero ce ne sentiamo aggravati, e pensiamo pure ai nostri lettori cui siamo costretti di trattenere; ma come farne a meno? Tutto ci sembra interessante per conoscere addentro lo spirito della rivoluzione e i fatti di Roma. Vorremmo, ma non abbiamo la forza di trasandarne il racconto, perchè la verità ci sta a lato e ci dice: Prosegui: tu solo sei più a portata di tutti di farmi conoscere. Tu solo sei in grado di documentare tutte le cose che narri. Compi il tuo mandato. Passeranno i giorni del delirio, c chi vorrà conoscermi, svolgerà le tue carte e mi conoscerà.

Siamo al giorno 19 febbraio. Molte cose abbiamo già raccontato, e molte ancora sotto lo stesso giorno ci resta a dire. Coraggio e proseguiamo.

Ci narrò dunque il Monitore del 19 di febbraio che letta appena all’assemblea la protesta del pontefice fatta in Gaeta il 14, un immenso grido di viva la repubblica romana partito da tutta quanta l’assemblea e dalle tribune ne accolse la lettura, e fu la sola risposta che le si diede.1

Il giorno medesimo venne pure decretata dall’assemblea la cessazione della Giunta di sicurezza pubblica, e con altro decreto si prescrisse che tutti gl’impiegati civili e militari dar dovessero la loro adesione alla repubblica.

Molti fra gl’impiegati aderirono sponte, molti di più spinte, e questi, quasi tutti, consultato prima il confessore e per solo effetto di necessità. Altri, e non fu certamente il maggior numero, non vollero aderire affatto.

Dobbiamo pure far menzione di un meschino episodio.

Ove noi l’omettessimo, potrebbe dirsi che lo facemmo a disegno. D’altra parte la storia ne ha parlato; ne parleremo dunque ancor noi.


  1. Vedi Monitore del 19 febbraio, n. 19.