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della rivoluzione di roma 261

Roma, quantunque non venisse pubblicata che il primo di marzo. Eccola:

«Cittadino presidente,

» Vent’anni d’esilio mi sono largamente pagati. Una vita intera consecrata all’incremento della patria comune basterebbe appena a sciogliere il debito che l’onore della cittadinanza nella Roma del popolo m’impone; ed io non ho che pochi, tardi e languidi anni da spendere per la fede che or si bandisce dal Campidoglio. Ma in questa fede io vissi finora, in questa fede, vogliate ridirlo con fiducia ai vostri colleghi, io morrò. Il resto spetta a Dio, e alla virtù dell’esempio che Roma ci dà.

» Tacqui finora, perchè io sperava rispondere coll’annunzio dell’unificazione della provincia italiana, ove io sono, con Roma. La precederò or di poco tra voi. E possa riuscire cominciamento solenne della più vasta unificazione presentita dai nostri grandi, santificata dai nostri martiri, matura, come io credo, nel disegno di Dio, e invocata dall’unico interprete che voi ed io riconosciamo di quel disegno, il popolo.

» Firenze, 25 febbraio 1849.

» Vostro con alta stima ed animo riconoscente


Giunse difatti il Mazzini nella città eterna per assidersi sul trono del papa re, del quale da molti anni andava scalzando le fondamenta; ma come la sua venuta ebbe luogo nel marzo, così non sarà che nei capitoli successivi che noi potremo parlarne.

Dal tutto insieme però non sembra che Roma riposasse sopra un letto di rose, perchè il commercio languiva,

  1. Vedi la Pallade del 1 marzo, n. 483.