Storia della rivoluzione di Roma (vol. II)/Capitolo XIX
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[Anno 1848]
Narrammo ieri la cospirazione contro un ministro papale. Narreremo oggi quella contro il papato stesso. La prima fu il preludio, questa il compimento del dramma. Un solo lo scopo di entrambi, gettare a terra il papato. E ciò non già perchè una sequela successiva di avvenimenti avesse portato le cose a questo punto, ma perchè era un partito preso fin dal principio.
Il Farini ha trattato magistralmente, ci sembra, questo punto della storia.1 Noi lo faremo colia pochezza delle nostre forze; bensì correderemo il racconto con copia tale di documenti, da rendere a tutti palese la verità.
La mattina del 16 un invito affisso nei soliti luoghi chiamava ad una riunione nella piazza del Popolo.2
Il circolo popolare era già di fatto al comando della città, ma niun atto pubblico lo designava ancora la mattina.3 La sera soltanto come diremo in appresso, emanò il suo primo atto.
Sapevasi in città, sapevasi al palazzo pontificio che meditavasi una dimostrazione al Santo Padre, per imporgli il nuovo ministero non solo, ma l’accettazione della Costituente.
Egli aveva fatto chiamare, oltre ai presidenti dei due Consigli, il senatore e i capi dei corpi civici, affinchè si recassero al suo cospetto.4 Deplorò la sua situazione, e richiese loro se potesse fare assegnamento sulla civica. Vuolsi che la risposta fosse negativa.
Il Santo Padre allora annunziò ai circostanti l’imminente comparsa dell’attruppamento. Pregò i respettivi capi dei battaglioni, che per quanto fosse in loro, ritenessero i civici dall’unirvisi, ed ai suddetti capi impose di non associarvisi. Meno il Tittoni colonnello del primo battaglione Monti, obbediron tutti. Il Tittoni però fu indotto forse, o trascinato ad associarvisi nella intenzione o convincimento di poter prevenire seri disordini.5
Il Santo Padre intanto aveva mandato fin dal mattino all’ufficio della Gazzetta di Roma, del quale l’abate Coppi era direttore, la seguente notificazione per esservi inserita:
«Se noi abbiamo amato e amiamo i nostri sudditi, come al cospetto di Dio la nostra coscienza, così al cospetto del mondo ce n’è testimonio la sollecitudine, colla quale dal primo istante in che fummo per divina provvidenza chiamati a questa sublime dignità così piena di fatiche e di pericoli, tutti i nostri pensieri si volsero a migliorare la condizione dei nostro popolo e a confermarlo, colla bontà delle istituzioni all’ordine de’ tempi accomodate, nell’antica sua affezione al governo della Chiesa. Concedemmo, prima che ne fossimo richiesti, tutto quello che a noi parve utile e buono: concedemmo tosto che richiesti, quel ch’era da molti desiderato e a noi parve possibile ed onesto. Quando però l’impazienza dei desideri non aspetta il legittimo frutto delle istituzioni, poc’anzi con tanta gioia ricevute, e si avanza a chiederci cose, che la nostra coscienza giudica avverse ai diritti di quella sovranità, di cui siamo in nome della Chiesa depositari, e ai bene dei nostri popoli, che non può stare col turbamento dell’ordine pubblico, allora la necessità del dovere c’impone la fermezza del rifiuto. E se coi delitti ci si vuol fare violenza, noi deploreremo amaramente la vergogna che fa ad un popolo generoso e buono la malizia di pochi; ma siamo pronti nella umiltà del nostro cuore a patire ogni cosa, piuttosto che volere quello che non possiamo e non dobbiamo. Bensì con voce ferma adempiamo l’obbligo del ministerio, che da Dio ci è dato di predicare agli uomini tutta la giustizia in mezzo o alla ebrezza, o al terrore delle passioni. Ricordiamo che sopra tutti e popoli e principi sta l’altissima giustizia di Dio, d’innanzi alla quale non è delitto che non porti in se medesimo la semenza della sua pena. E in quella misericordia che pur sempre veglia al lato della giustizia, ci confidiamo che questa nostra voce sia ascoltata, perchè cessino i tumultuosi e disordinati movimenti e le concitate agitazioni, e perchè la pace e la concordia risplendano sopra questa città, a cui Dio ha dato tanti pegni della sua clemenza.»
Abbiamo riportato questa notificazione perchè stante gli avvenimenti del giorno non venne pubblicata, e dobbiamo all’abate Coppi, da cui l’abbiam presa, la conoscenza di questo documento il quale, se pure fosse stato pubblicato, al punto in cui eran giunte le cose, non avrebbe prodotto alcun effetto salutare. 6
Il circolo popolare, che come già dicemmo aveva il potere nelle mani o la certezza di averlo senza opposizione veruna, aveva invitato i corpi di ogni arma di unirsi al popolo per una dimostrazione imponente, onde ottenere un ministero democratico o nazionale. Si riuniron difatti sulla piazza del Popolo in buon numero e dragoni e carabinieri pontifici, insieme con granatieri, fucilieri, artiglieri e militi del corpo del genio, però senz’armi.7
Mosser quindi accompagnati da uno scarso numero di popolo e pel Corso difilando, recaronsi alla Cancelleria ove sostarono. Allora alcuni recarono alla Camera dei deputati, che non era ancora in numero, i nomi dei ministri che volevansi, ed i Principî fondamentali che, formar dovevano la base del governo. Niun altro essendo tra i deputati presenti, tranne alcuni delle sezioni, questi furono invitati di unirsi alla dimostrazione, recandosi tutti insieme al Quirinale.
I Principî fondamentali erano i seguenti:
» 1.° Promulgazione del principio della nazionalità italiana.
» 2.° Convocazione della Costituente e attuazione del progetto dell’atto federativo.
» 3.° Adempimento delle deliberazioni del Consiglio dei deputati intorno alla guerra dell’indipendenza.
» 4.° Intera adozione del programma Mamiani 5 giugno.»
Ministri designati dal popolo
Mamiani — Sterbini — Campello
Saliceti — Fusconi — Lunati — Sereni.
Comandante generale dei carabinieri Galletti. 8
Questi così detti Principî fondamentali furono stampati a grandi caratteri ed a profusione divulgati fra il popolo in città.9
Non presentò quell’agglomerazione di gente nulla di simile con ciò che si era veduto nei due anni antecedenti, e non portava affatto il carattere e l’impronta di una dimostrazione romana. Erano un cinque o seicento individui la massima parte non Romani: sovrabbondavano fisonomie incognite e di torbido aspetto. Pochissimi i curiosi in strada per osservarne il passaggio. La piazza del Quirinale quando giunsero i dimostranti, era deserta. Mentre, quando trattavasi delle vere dimostrazioni romane al Santo Padre del 1846 e 1847, tutti gli ordini sociali in gran folla vi confluivano.
Queste osservazioni sembreranno sottigliezze a taluno, ma pure sono esse sole che posson darci una norma per iscandagliare lo spirito della popolazione, e lo stato di calma o di perturbazione in cui versavasi. Certo che leggendo ciò che stampavasi dal partito dominante, vi si dirà che fu una dimostrazione imponentissima, e i giornali esteri li trovi sempre pronti a ricopiarne il bugiardo annunzio.
In seguito è vero, vi concorse altra gente, parte con sinistre, parte con buone intenzioni. I curiosi poi, ove son radunate, non mancan mai. Ma ripetiamo, la dimostrazione primitiva fu assai povera per qualità e quantità di persone, e chi scrive fu fra i pochi che si trovaron sul Quirinale al comparire di quella turba di gente.
I militi di tutte le armi non eran più di un mille, o mille e duecento circa, che con i cinque o seicento ch’eran senza uniforme, appena appena approssimavansi a duemila persone in tutto.
Che il general Zamboni figurasse alla testa delle truppe è verissimo, ma forzatamente dopo essere stato indotto in errore, se pure non ingannato, dal Lentulus facente funzioni del ministro delle armi, il quale pregato dal Zamboni di voler su ciò consultare prima il Santo Padre, gli rispose essere mente di Sua Santità che si associasse ancor esso alla dimostrazione. Dissero alcuni allora che Lentulus, temendo una irruzione popolare, esclamasse; «Ch’esso aveva famiglia e non voleva compromettere la esistenza sua e della medesima col fare una insensata opposizione.» 10
Si parlò pure di un biglietto diretto al Zamboni dal Santo Padre, ove sicuramente erano le sue istruzioni sul modo di condursi; ma questo biglietto non pervenne nelle sue mani che il giorno seguente a cose sfasciate. Non ne dà alcun cenno il Farini. Il conte Lubiensky è più esplicito, e narra il fatto distesamente. 11
Quelle turbe incomposte, fattesi man mano più imponenti ed audaci, commisero ad una deputazione di cinque individui di recare al Santo Padre i Principî fondamentali che richiedevansi dal popolo, per ottenerne la sua accettazione, non che i nomi dei ministri che dal sedicente popolo chiamavansi al potere. E se lo chiamiam sedicente, egli è perchè tale non può chiamarsi un’accozzaglia qual’era quella riunita sul Quirinale, composta di elementi oscuri, disordinati, nel solo misfare esercitati e provetti.
Il Santo Padre incaricò allora il Cardinal Soglia d’intendersela col Galletti per la formazione del nuovo ministero.
Il Galletti parlamentario cominciò la risposta al popolo dal torrione che fiancheggia il palazzo del Quirinale. Il popolo tacque per un momento, ma poco dopo levaronsi alte grida, indicanti che volevasi all’istante un ministero democratico. Allora il Galletti per calmarlo tornò di nuovo dal papa coi deputati, ma nulla di più ottenne e ne informò il popolo, dicendo che il Santo Padre non voleva se gl’imponesse colla violenza, e assolutamente ricusava di aderire alle domande a lui presentate.
Si sentirono allora molte grida prorompenti dagli ammutinati, e chiaramente esprimenti o ministero democratico, o repubblica!12
Quanto ai civici, tranne il primo battaglione, non vi si recò se non un distaccamento del quarto. Il secondo non si mosse, ad onta delle provocazioni e delle rampogne del principe di Canino; il terzo rimase quasi tutto il giorno in quartiere; così il decimo Campitelli, ed il tredicesimo Trastevere, al quale, si disse, non essere pervenute le informazioni inviate al medesimo dal Quirinale su quanto accadeva.
Alle quattro e mezza circa incominciò la zuffa cogli Svizzeri, nella quale furonvi certamente alcuni feriti da ambe le parti, senza che siasi giammai potuto conoscerne il numero preciso. Sull’incominciamento della medesima sarebbe impossibile dare un preciso ragguaglio. Essi credettero indubitatamente che si volesse assalire il palazzo pontificio, nè le apparenze per certo erano che si stesse colà per difenderlo.
Vidersi i carabinieri scendere in fretta pel clivo delle Tre Cannelle. Essi andavano a munirsi di armi per quindi restituirsi, siccome fecero, sul Quirinale. Non si dimentichi però che i medesimi la sera innanzi eransi affratellati col popolo, e che erano sotto il comando del Galletti. Questa circostanza dice tutto. Molti civici recavansi alla spicciolata sul Quirinale, animati da rette intenzioni, e credendo che si trattasse di difendere il pontefice e ristabilir la pace in città. Ma l’eran sogni e chimere. La rivoluzione dominava completamente.
Ad una porta del palazzo sulla via di porta Pia appiccavasi il fuoco13. Le barricate incominciavano a erigersi,14 e dal campanile di san Carlino un colpo di moschetto lasciato da un ex legionario, uccideva il dotto monsignor Palma, onore del clero romano per dottrina e soavità di costumi.
Ed affinchè possano i nostri lettori farsi una giusta idea di quanto acciechi lo spirito di parte i suoi settatori, sentano come si parla di monsignor Palma in una relazione di quel tempo, di tale che sarebbe vergogna il nominare. Detta relazione porta per titolo: Un papa senza maschera, e dice così:
«E quel che sia capace di compiere la casta sacro-profana dei preti, lo vedemmo il 16 novembre a Monte Cavallo. Monsignor Palma, trascurando l’irregolarità, nella quale incorre chi sparga sangue umano, peggio che croato, mitragliava con arme da fuoco il popolo inerme, appiattandosi come scimmia dietro il parapetto per caricare, e sol rendendosi visibile allo scagliar del colpo; ma fu spento, e Pio ne pianse, perchè in lui perdeva e amico e consigliero.» 15
Il pontefice intanto, contorniate dagli ambasciatori e ministri esteri, cioè
- 1.° dal duca d’Harcourt per Francia,
- 2.° dal signor Martinez de la Rosa per Spagna,
- 3.° dal signor de Bouteneff per la Russia,
- 4.° dal conte Spaur per la Baviera,
- 5.° dal barope da Venda da Cruz pel Portogallo,
- 6.° dal conte de Liedekerke-Beauffort per l’Olanda,
- 7.° dal marchese Pareto per la Sardegna,
- 8.° dal cavalier de Figueiredo pel Brasile,
- 9.° dai cavalier de Mèester de Ravestein pel Belgio,
- 10.° dal barone Canitz e Dallwitz per la Prussia,
(quello di Napoli essendo mancato per un malinteso) 16 protestò in loro presenza contro la violenza usatagli, colle seguenti parole:
«Io sono, o signori, come consegnato: si è voluto togliermi la mia guardia, e mi circondano altre persone»
» Il criterio della mia condotta in questo momento, che ogniappoggio mi manca, sta nel principio di evitare ad ogni costo che sia versato sangue fraterno. A questo principio cedo tutto; ma sappiano lor signori, e sappia l’Europa ed il mondo, che io non prendo nemmeno di,nome parte alcuna agli atti del nuovo governo al quale io mi riguardo estraneo affatto. Ho pertanto vietato che si abusi del mio nome, e voglio che non si adoperino neppure le solite formule.» 17
Scopo principale degli ammutinati non fu già, come avvertimmo di sopra, di ottenere dal Santo Padre l’assenso per la formazione del nuovo ministero, quale eragli stato imposto, perchè egli avealo accettato, salvo la condizione per sua parte che un ecclesiastico avesse la presidenza del Consiglio dei ministri: sibbene volevasi forzarlo ad accettare i Principî fondamentali.
E qui furono le difficoltà, e per queste soltanto prolungaronsi le trattative fra il Santo Padre ed il Galletti, ch’era divenuto il capo e l’arbitro dell’ammutinamento.
Si accordarono al Santo Padre trenta minuti di tempo per decidersi, spirati i quali, se gli disse, non si sarebbe potuto impedire che il popolo sdegnato non si abbandonasse a quegli eccessi che pur troppo eran da temere in tanto concitamento di passioni, primo dei quali sarebbe stato lo sparo del cannone ch’era già puntato contro la porta del Quirinale.
Il popolo infatti dopo le quattro e mezzo pomeridiane aveva invaso il quartiere alla Pilotta, impossessandosi delle armi che vi rinvenne. Fu allora trasportato un cannone a Montecavallo, e venne confidato agli artiglieri Calandrelli e Torre. Si attribuì a quest’ultimo di avere esercitato tutti gli sforzi onde non si sparasse.18
E voglion sapere i nostri lettori quale fosse questo cannone? Fu quello che si nomò il san Pietro, e che venne fuso per la guardia cittadina in tempo delle tenerezze sviscerate per Pio IX: questo cannone stesso fu portato per abbattere le porte del suo palazzo.
Quella tregua poi dei trenta minuti accordata dal Galletti al suo sovrano che circa due anni prima liberollo dai ceppi, non segna il punto culminante della umana nequizia e della più perfida ingratitudine? Il Galletti vive ancora, vive il Pentini, e nella casa di quest’ultimo si conserva ancora l’orologio che indicar doveva i minuti della tregua. Da qui si veda quanto poco valgan quegli entusiasmi smodati, che han per base il sotterfugio e il delitto, e non la verità e la virtù.
Finalmente nella incertezza e trepidazione orribile in cui tutti versavano, e mentre eran prossimi a spirare i trenta minuti, si escogitò di concerto con monsignor Pentini un temperamento, il quale, senza compromettere il Santo Padre, soddisfar potesse agli ammutinati e indurli a disciogliersi; e con questo temperamento che lasciò al Santo Padre la gloria di non aver ceduto, si ottenne l’intento.
La questione potissima e vitale dell’ammutinamento fu serbata intatta per parte del papa, e ne fu devoluto lo scioglimento all’assemblea legislativa. Solo si ammise dal Santo Padre, che salvo la presidenza del Consiglio dei ministri, ch’esso onninamente riservava ad un ecclesiastico, potesse il Galletti formare il ministero assumendo egli stesso il portafoglio dell’interno. Questo il temperamento proposto, e questo lo scioglimento di una catastrofe che poco mancò non divenisse sanguinosa e tremenda.
A meglio provare ciò che asseriamo, riporteremo le parole dello stesso Galletti desunte dall’opuscolo che pubblicò in Genova nel 1850 sotto ii titolo di Memorie intorno alla pretesa sconoscenza verso Pio IX, e sono le seguenti:
«Ma composto il ministero, durava egli (il Santo Padre) pertinacemente nella resistenza quanto a tutte le altre dimande: finalmente coll’aiuto di monsignor Pentini (penetrato forse più di tutti della gravità di que’ momenti) si trovò un temperamento, che scemava la di lui avversione, perchè senza accordare cosa alcuna sull’istante, lasciava forse al pontefice la speranza, che poco, o non tutto si sarebbe dippoi accordato: concesse cioè di lasciare e commettere la decisione delle altre dimande all’assemblea legislativa. Io conservo gelosamente con altri documenti autografi della più alta importanza l’atto originale che ne fu redatto, per mano di monsignor Pentini colla firma del segretario di stato cardinale Soglia, il quale pubblicherò in unione agli altri con importantissime note, postergati i lunghi e mal risposti riguardi, che mi rattennero finora dall’alzare la voce.»19
Egli è questo un documento della massima importanza; imperocchè è la confessione di uno degli stessi capi della rivoluzione, del non aver ceduto il Papa ad onta dell’immenso pericolo, e del non avere assolutamente voluto accordare cosa che in sua coscienza non credeva di dovere accordare.
Alle 7 circa, quando il Galletti venne ad annunziare la risoluzione definitiva del Santo Padre, e l’incarico datogli di formare il ministero, lasciando bensì in sospeso, fino alla decisione delle Camere, i Principî fondamentali, ebbe luogo una scarica formidabile di moschetteria. Dopo di che l’ammutinamento si sciolse, e allora bande musicali pel Corso, e grida festose, e lumi alle finestre; perchè in quei tempi tutti i salmi (e quello fu un salmo penitenziale) finir dovevano in gloria. E ii povero popolo, ma quello vero che tutto vedeva terminare con una battuta di mani, si persuadeva sempre più che le fossero cose buone, innocenti e a se vantaggiose, le quali poi se venivan contrastate, s’insinuava sempre a questo popolo ingannato che lo fossero dai nemici di lui, che al solito erano i cardinali, i prelati, i Gesuiti, i neri e via discorrendo.
Il circolo popolare allora, vedendo che il papa nel solo intendimento di evitare spargimento di sangue aveva consentito di affidare al Galletti la formazione del nuovo ministero, sentì che il suo scopo era raggiunto, e che ad esso devolvevasi la palma del trionfo. Avea vinto il popolo; dunque il comando era al circolo popolare. In tale stato di avvenimenti, assunse a se l’indirizzo della cosa pubblica, e si costituì in potere supremo, fino a che il ministero fosse definitivamente installato.20 A tal effetto la sera stessa del 16 di novembre emise il seguente
Indirizzo.
«IL CIRCOLO POPOLARE NAZIONALE
» al popolo di roma.
» La patria si trova in gravissimi pericoli. Il sangue cittadino ha macchiato il nostro suolo. In questi gravi momenti i buoni cittadini devono sagrificarsi al sacro dovere di salvare il paese. Il circolo popolare assume l’imponente responsabilità di dare le opportune disposizioni provvisorie per assicurare le vite, l’onore e le sostanze dei Romani e per cercare di stabilire l’ordine, e questo finchè non si sarà costituito un Governo.
» Si fa noto perciò al popolo che il centro delle operazioni è posto nelle sale del circolo popolare al palazzo Fiano. Sono invitati perciò i buoni cittadini a spettare per ora le disposizioni ehe emaneranno da questo centro, come quello che rappresenta la vera ed assoluta volontà del popolo.
- » Dal circolo popolare, la sera del 16 novembre 1848.
I Direttori |
E il circolo popolare era così certo del fatto suo, sapeva così bene quanto fossero atterriti i Romani per le cose accadute, che niun’altra guardia prepose alle porte del circolo sovrano, tranne i giovinetti del battaglione la Speranza.22
Il giorno 17 poi pubblicò il seguente
Avviso interessantissimo.
«Il circolo popolare nazionale al solo scopo di coadiuvare il ministero che da Sua Santità fu assunto ieri al potere, e per tutelare l’ordine pubblico e impedire qualunque inconveniente, invita ogni buon cittadino a partecipare al circolo suddetto, costituito in seduta permanente, qualunque avvenimento dal quale potesse essere turbata la tranquillità di Roma.
» Dal circolo popolare nazionale nel palazzo Fiano
- » La sera del 17 novembre 1848.»
I Direttori |
In seguito di questi due atti (il primo dei quali non venne inserito nella Gazzetta ufficiale) tutte le autorità dettero la loro adesione, e fecero sottomissione al circolo il quale sin dal giorno 16, mentre pendeva incerto l’esito della rivoluzione, aveva deciso che il capitano Giovanni Angelini, aiutante maggiore del 3.° battaglione civico, avesse l’incarico, di sorvegliare il comando della piazza, ma non volle accettare;24 che Angelo Tittoni dovesse presiedere alla civica, ed il maggiore Roero alla truppa di linea. Quanto al colonnello Steuart, lasciavasi al comando del castel sant’Angelo, fidando nella sua onestà ed onoratezza.
Queste disposizioni però non furon che momentanee ed in via di urgenza. Le abbiamo estratte dall’Epoca, la quale sicuramente era bene informata, trovandosi i suoi direttori alla testa del movimento.25
Nel giorno stesso essendo stata allontanata la guardia svizzera dal Quirinale, venne chiamato dal prefetto dei palazzi apostolici cardinale Antonelli un distaccamento civico ad occupare i posti di competenza degli Svizzeri.26
Quei due giovani Carbonelli e Bomba esiliati dal Rossi, e partiti per Civitavecchia il giorno 14, risaputa lo stesso giorno 15, mentre ancora erano colà, l’uccisione del Rossi, vennero da quel delegato pontificio monsignor Bucciosanti posti in libertà. Con una lettera che scrissero ad un amico in Roma e. che venne inserita nel Contemporaneo del 18, raccontano il fatto; 27 e questa lettera in Originale è nelle nostre maniv, e fa parte della nostra raccolta.28 Liberati appena dal Bucciosanti, partiron per Roma.
Si conobbero nello stesso giorno 17 i nomi dei componenti il nuovo ministero, ed erano:
L’abate Rosmini ministro dell’istruzione pubblica e presidente del Consiglio de’ ministri.
Il conte Mamiani Terenzio ministro degli affari esteri.
L’avvocato Galletti Giuseppe ministro dell’interno.
Il professore avvocato Sereni Giovanni Battista ministro di grazia e giustizia.
Il dottore Sterbini Pietro ministro del commercio e dei lavori pubblici.
Il conte di Campello Pompeo ministro delle armi.
L’avvocato Lunati Giuseppe ministro delle finanze.29
L’abate Rosmini però non solo non accettò, ma diresse tale una lettera all’avvocato Galletti il giorno stesso della pubblicazione della sua nomina, che noi crediamo prezzo dell’opera riportarla per intero. Essa diceva così:
«Ieri sera mi fu recata la sua pregiatissima colla quale ella mi annunziava che io sarei nominato ministro dell’istruzione pubblica e presidente del Consiglio dei ministri. Con tutto il desiderio di giovare alla cosa puhblica, le condizioni del nuovo ministero sono tali, che mi rendono del tutto impossibile l’essere utile, imponendomi in patì tempo uh imperioso dovere di coscienza ed onore di ricusarmi a farne parte.
»Io non posso far parte di un ministero nominato dal Papa non libero, il quale ministero perciò sarebbe del tutto anticostituzionale. Oltre a ciò non potrei far parte di alcun ministero, senza che fosse prima composto un programma completo sul modo di governare, nel quale fossero unanimi tutti quelli che dovessero essere miei colleghi, e che fosse liberamente approvato dal sovrano, di cui il ministero deve essere l’istrumento responsabile.
»Quindi ancor ieri sera ho fatto pervenire a Sua Santità la mia rinunzia assoluta ed irrevocabile.
» Aggradisca i sentimenti dell’alta mia stima e considerazione, co’ quali mi onoro di essere
- » Della V. S. Illustrissima
- » Palazzo Albani, 17 novembre 1848.
- » Della V. S. Illustrissima
Umilissimo devotissimo servo |
In seguito della rinunzia dell’abate Rosmini, gli venne surrogato monsignor Carlo Emanuele Muzzarelli, e così il ministero fu completo.31
Fosse poi che il terrore durasse tuttora o altra causa, è un fatto che l’assemblea non potè riunirsi il 17, non essendo i deputati presenti più di ventinove.32
La sera si vide un’aurora boreale delle più imponenti e luminose che siansi mai viste, e specialmente da noi. La singolarità del fenomeno, e la coincidenza co’ tempi più che straordinari e terribili, sparse in molti la costernazione e il terrore, ed inspirò al mio fratello Francesco il seguente sonetto allusivo a quella occasione:
«Io senza tema, io senza orror ti miro, |
Il giorno seguente 18 non fu notevole che per la dimissione del principe Aldobrandini dal comando della civica, per la nomina sovrana del giovane Giuseppe Gallieno a quel carico importante (quantunque la sua elezione avesse già avuto luogo per parte del circolo popolare)34 e per la pubblicazione del programma del nuovo ministero, ove si parla della prossima convocazione in Roma dell’assemblea costituente.35
Essendo giunto il giorno 20 in Roma il ministro delle armi Campello, ed avendo emesso subito il suo ordine del giorno, il ministero potè dirsi costituito.36 Mancava solo il Mamiani, ma attendevasi a momenti. Di cotal guisa i poteri eccezionali assunti dal circolo popolare essendo cessati, esso fu sollecito di comunicarne al pubblico l’annunzio coll’atto seguente:
- «Romani,
» Il Circolo popolare nazionale di Roma cui la necessità persuase di costituirsi in seduta permanente, onde provvedere alla urgenza dei casi e concorrere al mantenimento dell’ordine pubblico, ora nella speranza che non se ne rinnuovi mai più il bisogno, dichiara che la sua permanenza è sciolta. Continuerà per altro a prestare seinpre l’opera sua per quanto il comportano le proprie forze, e coadiuverà l’onorevole ministero che il popolo ha degnamente acclamato siccome meritevole d’intiera fiducia, e che l’augusto principe ha costituito e rivestito di potere, ed a farsi interprete presso del ministero medesimo di quei desideri e dimande che intenderanno all’utile pubblico, al buon ordinamento civile e politico, al conseguimento dell’unione e della dipendenza italiana. Intanto si crede in debito di ren- dere quelle grazie che può maggiori all’insigne amor patrio che nell’unità perfetta d’intendimento e di azione, mostrarono le guardie cittadine e tutti i corpi militari, non meno che quegli ardenti giovanetti della scuola che con tanta ragione s’intitola della Speranza.
» Quando havvi sì bella concordia tra la cittadinanza e la milizia, la patria può dirsi indubiamente avviata alla sua vera grandezza.
- » Evviva unione! Evviva l’Italia! Evviva la libertà!
- » Dalle sale del circolo, li 20 novembre 1848.
I Direttori
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I Segretari |
Quest’atto importantissimo non venne inserito nel giornale ufficiale. E pure si trattava della dimissione di chi aveva positivamente comandato alla città di Roma nei giorni 17, 18, 19 e parte del 20 novembre.
Cid a noi sembra una mancanza per parte dei mini- stri: direm di più, un atto d’ingratitudine verso la sor- gente del loro potere. Ei parve pertanto che così facendo, occultar volessero la loro origine. E voi, Sterbini, Galletti, Campello, non foste voi eletti dal circolo popolare di cui eravate lo spirito animatore? Perchè disconoscere o rinnegare chi vi diè la vita? Questo rimprovero non siam noi che lo facciamo; sentimmo farlo da qualcuno in allora, e noi lo riportiamo adesso per debito di cronisti.
Intanto quantunque ci siam pronunziati costantemente avversi ai circoli, non possiam pretermettere un giusto tributo di lode a chi prese in quei giorni a reggere il circolo popolare, perchè in momenti difficilissimi seppe preservare l’ordine pubblico, nè è a nostra cognizione che accadesse sconcerto di sorta alcuna.
Forse dirassi che ne imposer col terrore. Sia pure. E in tal caso non potrebbe dirsi (e qualcuno lo disse) essere quasi meglio il terrore che ti protegge e ti fa vivere tranquillo, anzichè la debolezza e la compiacenza che ti tengono in un’agitazione continua, e in un inferno costante?
Altro episodio meritevole di essere narrato, fu la proposizione fatta dal Potenziani nel Consiglio dei deputati del 20, onde porgere un atto di rispetto e di omaggio al Santo Padre, per parte della intiera assemblea, in seguito degli accaduti sconcerti; ma il Canino vi si oppose gagliardemente dicendo così: «Non è tempo ancora, o colleghi, di parlare di ringraziamenti, e molto meno di devozione;. è tempo di vedere attivate quelle promesse che il popolo ha ottenuto dal potere.»38 E richiamato alla questione dal Potenziani, soggiunse con forza: «Sono perfettamente nella questione, quando per oppormi ad una compromettente proposizione, rivendico i diritti del vero e legittimo sovrano del nostro paese, del popolo italiano! Ed è inutile che io qui mi accinga a svolgervi un pensiero che grazie a Iddio è quello di tutta Italia, la quale saprà spezgare e Camere e troni, che volessero mettere intralci ai slanci generosi ed energici di questo primo paese del mondo. Io mi oppongo con tutta la forza alla imprudente proposizione del deputato di Rieti.»39 In seguito di ciò la proposizione non ebbe corso.
E così mentre è legge di civiltà e dovere sociale, quando qualche cosa di dispiacente o di sinistro sia accaduta ad un nostro amico o congiunto, il mandare a prendere le sue nuove, al papa, al sovrano, al padre, a quel padre e sovrano ch’erasi dianzi portato alle stelle, dopo uno scompiglio ed uno spavento simile a quello del 16 novembre, non si mandò dal Consiglio dei deputati non che una deputazione, un solo individuo, a tributargli se non atto di ossequio, almeno di semplice interessamento per la sua persona. Siam persuasi però che ad onta delle grida del Canino i deputati lo avrebber fatto; ma la pressura tirannica delle minaccianti tribune intimorì tutti. E questo è il paese ove potrebbe attecchire il regime rappresentativo?
Ora potremmo richiederci se vi fu mai in Roma il minimo indizio di reazione, o la menoma circostanza che rivelasse la esistenza di un partito clericale o sanfedistico, di che continuamente si parla nelle scritture di parte liberale. E francamente asseriremo che non vi fu giammai, e ne esporrem le ragioni.
I pacifici cittadini di Roma, e ch’erano pel papa, per la religione e per l’ordine, tenevan questo linguaggio: Che cosa volete fare? Ci bisogna pensare a salvare la pelle colla prudenza. Altrimenti chi ci garantisce? Il sovrano non ha forza. Esso versa in acque peggiori delle nostre. È pur troppo un castigo di Dio, e convien soffrirlo con rassegnazione:... post nubila Phœbus. I preti e i frati poi alzavano gli occhi al cielo, e: «sia fatta, dicevano, la sua santissima volontà. È un tempo di prova, i peccati son grandi, conviene chinare il capo e pensare ad emendarci.»
Questi erano i discorsi universali, queste le mene dei retrivi, questi gl’intrighi degli oscurantisti, queste finalmente le sedizioni degl’immaginari sanfedisti, sui quali non ebbero e non han rossore alcuni storici di assordare l’aere con bugiarde grida.
Ora che abbiamo narrato quantunque imperfettamente ed a malincuore la tremenda catastrofe del 15 e del 16 di novembre, nella quale si riassume tutto ciò che possono il delirio e l’ingratitudine sopra intelletti gonfi di orgoglio e vuoti di religione, ci restano a fare alcune poche osservazioni.
Riandando col pensiero sui primi tripudi per Pio IX, nei quali e gli Sterbini, e i Guerrini, e i Masi, e i Meucci, tutti e quattro poeti, accendevano gli spiriti col genio dei loro versi, e glorificavano sommamente il pontefice, è pur forza convenire ch’essi quantunque non fossero che quattro giovani poeti, valsero più assai che quattro generali di armata. Ciò sia d’avviso ai reggitori dei popoli per istare in ’ guardia sopra i coltivatori di un dono quanto nobile, altrettanto pericoloso se volto a mal fine. Ridevansi i potenti dei poeti, e gli schernivano, perchè sapevano che non avevan cannoni. E pure i poeti fecer dei guasti tali che gli stessi cannoni non furono in grado di riparare.
Considerando inoltre che incominciarono coi sonetti, colle terzine, coi cori e colle cantate, e rammentando che alle medesime successero gl’inni guerrieri, e la glorificazione della repubblica ch’era la loro meta ed il loro sospiro , dovrà convenire ognuno quanto essi fossero influenti e perniciosi.
E ben a ragione taluno, all’apparire col primo di gennaio 1847 del Contemporaneo, e all’osservare che Roma se ne allietava moltissimo, andava gridando qui gatta ci cova, perchè i fatti vennero finalmente a convalidare i concepiti sospetti. E per verità gli Sterbini, i Masi, i Torre ed altrettali della stessa risma, non ne furono ad un tempo i fondatori e gli scrittori primari? E non fu il Contemporaneo che dopo gittata la maschera, il suo principale collaboratore Sterbini assunse tale un linguaggio, che all’eccidio di Rossi dette la spinta? E più tardi non si elesse in apologista dei più pronunziati in favore della repubblica? E abbiam forse dimenticato che i personaggi sovraccennati furon sempre i promotori delle feste, dei banchetti, delle dimostrazioni popolari, e i più caldi promotori dei circoli, della libertà della stampa, della guardia civica?
Questo epilogo di fatti e di date non dubitiamo punto che verrà apprezzato da chi con mente riposata e tranquilla leggerà le presenti carte, e vi rinverrà la prova chiara come la luce del giorno che le feste a Piò IX non furono che un inganno onde comprometterlo e trascinarlo se possibile fosse nella rivoluzione, coll’intendimento per altro che, raggiunto lo scopo propostosi, si sarebbe chiusa coll’esautorazione di Pio IX la lista dei papi e sovrani di Roma e degli stati della Chiesa.
Se finalmente voglia riflettersi che in Roma, come a centro comune, affluirono, chi prima e chi dopo, il marchese d’Azeglio, l’abate Gioberti, il conte Carlo Pepoli, il conte Recchi, il marchese Pasolini, il conte Pietro Ferretti, il professor Montanelli, Pier Silvestro Leopardi, l’avvocato Pescantini, monsignor Gazola, Filippo De Boni, l’avvocato Canuti, Lord Minto, il conte Mamiani, Giuseppe Ricciardi, Giovanni, Pietro e Stefano Romeo, Benedetto e Pasquale Musolino, Silvio Spaventa, Aurelio Saliceti, Carlo Rusconi, l’avvocato Zannolini, Rocco Susanna, Niccolò Tommaseo, il conte Pompeo di Campello, l’avvocato Giuseppe Galletti, la principessa Trivulzio di Belgioioso, il marchese Dragonetti, il conte Amari, il generale Armandi, il professor Francesco Orioli, il conte Giovanni Marchetti, il padre Ugo Bassi, il canonico Lorini, il padre Gavazzi, il canonico Ambrosoli, Antonio Torricelli, Giovanni Nicotera, Agostino e Antonio Plutino, Giuseppe Massari, Gennaro Bomba, Vincenzo Carbonelli, Pietro Sterbini, Ruggero Colonnello, Leonida, Ludovico e Vincenzo Caldesi, Vincenzo Cattabeni, il conte Casanova, il dottor Giuseppe Cannonieri, il marchese Ala Ponzoni, il conte Opprandino Arrivabene, il dottor Pirazzoli, Lorenzo Valerio, Livio Zambeccari, Antonio Zambianchi, il maggiore Zambianchi, Enrico Cernuschi, Alberto Quinterio, Tommaso Piazzoni, l’abate Rambaldi, il colonnello Ribotti, il generale Ribynski, Felice Orsini, il padre Achilli, Rodolfo Audinot, Carlo Berti Pichat, il generale Antonini, il generale Arcioni, Pietro Beltrami, i generali Durando e Ferrari, il Ciccarelli, l’abate Corà, il sacerdote Carenzi, il Cuzzocrea, il calabrese Miraglia, il dottor Carlo Luigi Farini, Pier Angelo Fiorentino, l’avvocato Gabussi, il La Cecilia, il La Farina, il colonnello La Masa, e Livio Mariani, e Gustavo Modena, e Didaco Pellegrini, e Ferdinando Petruccelli ed altri molti, senza parlare del Mazzini, del Garibaldi, dell’Avezzana, di Aurelio Saffi, di Lizabe Buffoni, del Daverio, del Pisacane, di Nino Bixio, Goffredo Mameli, del Laviron, del Podulak, del Milbitz, del colonnello Hangg, del Maslowsky, di Atto Vannucci, e dell’immenso stuolo di altri repubblicani, che giunsero da tutte le parti del mondo, si avrà più che non occorre per esser convinti, che Roma fu scelta come la sede del movimento italiano non solo, ma della rivoluzione cosmopolitica che da lunga mano si tramava.
Queste osservazioni, speriamo, non andran perdute; e con queste chiudiamo il secondo volume delle nostre storie. Da questo momento in poi la rivoluzione entrù in uno stadio novello ed avviossi verso la sua meta, la repubblica. E tale nuovo stadio formerà il soggetto del volume seguente.
Note
- ↑ Vedi Farini, vol. II, pag. 375 e seguenti.
- ↑ Vedi la Speranza del 17 novembre, n. 38, pag. 4.
- ↑ Vedi Torre, Memorie storiche sull’intervento francese in Roma nel 1849. Torino, 1851, vol. I, pag. 27.
- ↑ Vedi Torre, Memorie storiche ec. vol. I. pag. 28.
- ↑ Vedi Coppi, Annali d’Italia dal 1750, tomo X, anno 1848, pag. 645.
- ↑ Vedi Coppi, Annali d’Italia, ec. vol. X, anno 1848, pag. 646.
- ↑ Sommario storico degli avvenimenti che occorsero negli stati della Santa Sede dal 14 novembre 1848 fino all’ingresso dei Francesi in Roma, Roma, 1850, vol. I, pag. 11.
- ↑ Vedi l’Epoca del 17 novembre 1848. — V. il Contemp. di detto giorno.
- ↑ Vedi il vol. VII Documenti, ove se ne riporta una copia stampata sotto il n. 37.
- ↑ Vedi la Relazione manoscritta in difesa del Zamboni, nel vol. VII Documenti, n. 40. A. — Vedi Coppi, Annali ec. Vol. X, anno 1848, pag. 645.
- ↑ Vedi Lubiensky, da pag. 253 a pag. 257.
- ↑ Vedi il vol. VII Documenti, n. 37.
- ↑ Vedi La rivoluzione romana al giudizio degl’imparziali, Firenze 1850, pag. 143.
- ↑ Vedi il Don Pirlone, n. 67.
- ↑ Vedi Un papa senza maschera, nel vol. VIII delle Miscellanee, n. 20.
- ↑ Vedi Coppi, Annali, vol. X, turno 1848, pag. 646.
- ↑ Vedi il Tempo, giornale di Napoli del 22 novembre 1848.
- ↑ Vedi il Ristretto del processo Rossi, pag. 475
- ↑ Vedi Generale avvocato Giuseppe Galletti, Memorie intorno alla pretesa sconoscenza verso Pio IX. Genova, 1850, nel vol. 36 delle Miscellanee, n. 6, pag. 27.
- ↑ Vedi Rusconi, La repubblica romana del 1849, pag. 56.
- ↑ Vedi il vol. VII Documenti, n. 35, l'Epoca del 16 novembre, n. 201.
- ↑ Vedi il Labaro del 21 novembre.
- ↑ Vedi il VII vol. Documenti, n. 43.— Vedi l’Epoca del 17 novembre 1848.
- ↑ Vedi la nomina dell’Angelini nel n. 203 dell’Epoca.
- ↑ Vedi l’Epoca del 17 novembre 1848.
- ↑ Vedi Lubiensky opera citata, pag. 257.
- ↑ Vedi il Contemporaneo del 18 novembre 1848.
- ↑ Vedi il vol. Autografi di personaggi politici, n. 18.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 17 novembre 1848, pag. 951.
- ↑ Vedi il VII vol. Documenti, n 66.
- ↑ Vedi il VII vol. Documenti, n. 66.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 17 novembre 1848.
- ↑ Vedi il VI vol. Miscellanee, n. 6.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 18 novembre 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma, pagina 955.
- ↑ Vedilo nel I vol. Motu-propri ec, n. 63. — Vedi il VII vol. Documenti, n. 46. — Vedi la Gazzetta di Roma del 20 novembre 1848.
- ↑ Vedi Atti ufficiali, vol. I, n. 110.
- ↑ Vedi Ranalli, II vol. pag. 535, terza ediz. di Firenze
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 240 della Gazzetta di Roma.