Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo IV/Libro II/Capo VI
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Capo VI.
Storia.
I. La storia, come altrove abbiamo osservato , può annoverarsi e tra le scienze che si prefiggono la scoperta del vero, e tra gli studi dell’amena letteratura, che per loro primario oggetto hanno il bello. In quanto ella è ricerca ed esame de’ fatti accaduti, appartiene alle prime; in quanto è sposizione colta ed ornata de’ fatti medesimi , appartiene a’ secondi. .{68 LIBRO Gli storici ili questa età non hanno molto diritto di entrare in veruna di queste classi; perciocchè essi non si stancan molto in discernere il vero dal falso, ma parlando singolarmente di cose antiche ci narrano le più gran fole del mondo; e pretendono ancora che noi diamo lor fede. Nella sposizione poi de’ fatti medesimi, non solo non son guari solleciti di ornamento e di eleganza , ma per lo più si spiegano in uno stil così barbaro, che non se ne può soffrir la lettura, se non per ridersi della lor barbarie medesima. E nondimeno dobbiam loro mostrarci riconoscenti e grati, perchè senza essi saremmo in gran parte al buio delle cose a’ lor tempi avvenute. Le favole di cui hanno imbrattata la storia de’ tempi antichi, troppo bene son compensate dalla sincerità con cui ci hanno narrate quelle di cui furono testimoni. Alcuni, è vero, fin da que’ tempi si lasciat oli sorprendere dallo spirito di partito; ma essi sono assai pochi, e i più ci parlano con un’amabile e schietta semplicità che è il più certo argomento del vero. Ed ugualmente dobbiamo esser tenuti a coloro che hanno disotterrate e donate al pubblico cotali Storie; e singolarmente all’immortal Muratori, che tante ne ha date alla luce nella sua gran Raccolta degli Scrittori delle Cose italiane. Poichè dunque di questi storici dobbiam ragionare, benchè altrove gli abbiam uniti cogli scrittori delle belle lettere, qui nondimeno, ove la copia maggiore ci obbliga a più esatta separazione, ne parleremo in questo libro medesimo; giacchè l’unico loro pregio si è quello di dirci il vero, ove parlati SECONDO 46y di cose a’ loro tempi avvenute. E per proceder con ordine, cominceremo da quelli che ci han date Cronache o Storie generali, poscia seguirem dicendo di quelli che la storia di qualche particolare città hanno illustrata. II. E sia il primo uno storico a cui confesso che non senza qualche timore io dò luogo tra gli scrittori italiani. Egli è Goffredo da Viterbo. E se veramente ei fu da Viterbo, la quistione è decisa. Ma dovrebbesi egli mai sospettare che in vece di Viterbiensis dovesse leggersi Vittembergensis? Il cardinale Baronio ne dubitò (Ann. eccl. ad an. ii86)j ma non si trattenne a disciogliere il dubbio. È certo ch’ei passò la sua fanciullezza in Bamberga, ed ivi fu istruito nella gramatica, come egli stesso afferma nella sua Storia, di cui frappoco diremo (Script. Rer. ital. vol. 7, p. 438, 439)- Egli inoltre ci narra di essere stato cappellano e notaio di Corrado III, di Federigo I e di Arrigo VI tra’ re di Germania (ib. pi 454): i quali due argomenti come ci pruovano eh1 ei passò in Allemagna la più parte della sua.vita, così ci fan nascere qualche sospetto che vi fosse ancor nato. Ma più d’ogni altra cosa mi tien dubbioso ciò eh egli dice nella prefazion della sua Storia al pontefice Urbano III. Nomen autem auctoris Libri est Gotfridus, quod interpretatur Pax Dei. In lingua namque Theutonica Got dicitur Deus, et Frid dicitur Pax. Un autor italiano scrivendo a un papa italiano avrebbe egli tratta l’etimologia del suo nome dalla lingua tedesca? E il riconoscer ch’ei fa il suo nome tedesco di origine, non ci fa egli dubitare ch’ei lo fosse ancora 47° I.JBRO di patria? Nondimeno grande argomento a creder Goffredo italiano si è il vedere che non vi ha, ch’io sappia, un sol codice in cui egli sia detto vittembergese, di che ho voluto io stesso accertarmi consultando quanti ho potuto Catalogi di codici manoscritti. Finchè dunque non ci si pruovi con qualche certo argomento ch’ei fosse tedesco, atteniamoci a ciò che tutti i codici ne attestano concordemente, e diciamolo nato, o almeno oriondo di Viterbo. Di lui non sappiam altro, se non che ebbe le onorevoli cariche da noi poc’anzi accennate. In un luogo della sua Storia però egli accenna una sua vicenda, che non so se da alcuno sia ancora stata avvertita; perciocchè volgendosi nel fin di essa al giovane Arrigo VI, e dandogli salutari consigli, e quello fra gli altri di punir prontamente i delitti, aggiugne: Si mea vincla prius subito punita fuissent, Nulla Moguntini tibi captio damna dedisset. ib. p 468. Pare adunque che Goffredo in qualche occasione fosse fatto prigione; e che dall’esser questo delitto rimasto impunito ne fosse poi in qualche modo provenuta la prigionia di Cristiano arcivescovo di Magonza, il quale l’anno 1179, caduto in battaglia nelle mani di Corrado marchese di Monferrato (Murat. Ann. d’Ital. ad. h. an.), fu da lui per due anni tenuto in carcere. Ma quando e per qual ragione avvenisse la prigionia di Goffredo, non ne troviamo indicio presso gli antichi scrittori. Egli scrisse una Cronaca generale dal principio del mondo fino a’ suoi tempi, conchiudendola colle nozze di Arrigo VI SF.CONtJO 47 * colla reina Costanza, seguite l’anno 1186, e dedicolla ad Urbano III che l’anno innanzi era stato eletto pontefice, e morì poi nel seguente 1187. Le si dà comunemente l’ampolloso nome di Pantheon, perchè tratta di tutti i re e de’ regni tutti del mondo; il qual nome però non si sa s’ella avesse dal suo autore medesimo, o da’ copiatori, Io credo però ch’egli non fosse troppo alieno dall1 avere assai favorevol concetto della sua opera; perciocchè egli dice di se medesimo (ib. p. 454)- linee omnia cis citraque mare per annos quadraginta sum perscrutatus ex omnibus armariis et La finis, et Barbaris, et Graecis , et Judaicis et Chaldaeis. Un Mabillon e un Muratori non avrebbon detto altrettanto. Ma Goffredo ci permetterà o di credere ch’egli abbia qui esagerato alquanto, o d’intendere in più modesto senso le sue parole; cioè ch’egli abbia avuti in mano alcuni libri da cui raccoglier le cose da lui narrate. Parecchie edizioni ne abbiamo. Il Muratori quella parte solo ne ha pubblicata di nuovo (Script. Rer. ital. l. cit.) che appartiene all’Italia, cominciando dal iv secolo. E sì che anche in essa, ove tratta di cose antiche, segue lo stil comune degli scrittori di questa età; ma ove parla de’ suoi tempi, è autore assai degno di fede. Ella è scritta parte in prosa poco elegante, parte in men eleganti versi. Un’altra diversa opera di Goffredo conservasi manoscritta nella imperial biblioteca di Vienna , intitolala: Speculimi Re ginn, sive de Genealogia Regum et Imperatorum a Diluvii tempore usque ad Henricum VI Imperatorem. Il Lambecio ne ha 47^ I.IBRO pubblicata la prefazione indirizzata allo stesso Arrigo (De Bibl. Caesar. l. 2, c. 8), di cui loda molto il sapere e l’erudizione. Sarebbe cosa assai vantaggiosa, come riflette il Muratori, se, lasciate in disparte le antiche genealogie tessute, Dio sa in qual modo, da Goffredo, se ne pubblicasse sol quella parte che tratta de’ principi di tempo a lui più vicini. III. Quasi al medesimo tempo una somigliante Cronaca generale scrisse Sicardo vescovo di Cremona. Di lui abbiam già fatta menzione nel capo precedente ove abbiam parlato dell’opera su’ sacri Canoni da lui composta, e delle congetture , sulle quali il P. Sarti crede probabile ch’ei fosse professore di essi in Bologna. Egli stesso nella sua Cronaca ci racconta (Script. rer. ital. vol. 2, p. C >3) che ebbe gli ordini, cioè, quanto sembra, i minori da Offredo vescovo di Cremona verso l’anno 1179; che l’anno 1183 dal pontefice Lucio III fu ordinato suddiacono (ib. p. 603); e che quindi a due anni fu consecrato vescovo di Cremona (ib.). Aveano allora i vescovi nella maggior parte delle città italiane e di Lombardia singolarmente una cotale autorità che rassomigliava a dominio; e non e perciò maraviglia che veggiamo Sicardo occupato in gravi e politici affari a vantaggio della sua patria, che da lui stesso si annoverano. L’anno 1186 Federigo I sdegnato contro de’ Cremonesi, atterrò un loro castello, detto di Manfredi. Ma Sicardo così efficacemente adoperossi presso l’imperadore, che ottenne a’ suoi concittadini la pace (ib.). Quindi a loro istanza andossene l’anno seguente SECONDO 47^ in AUemagna per ottenere da Federigo licenza di rifabbricare l’atterrato castello; ma essendo state inutili le sue preghiere, tornato l’anno 1188 a Cremona, intraprese la fabbrica di Castelleone. Frattanto essendo la città di Gerusalemme l’anno 1187 ricaduta in potere degl’infedeli, e facendosi leve in ogni parte d’Europa per la guerra sacra, Sicardo ancora vi mandò soccorso ed ajuto; Anno vero mclxxxix Bursam Cremonae, qua ni fecimus fabricari, ultra mare pro terrae subventione personis et rebus misimus oneratam (ib. p. 605). Io non trovo chi abbia fatta riflessione sulla parola Borsa usata nel senso che qui veggiamo, il quale altro non può essere che di una nave da’ Cremonesi ad istanza del loro vescovo fabbricata, e mandata con carico di soldati e di provvisioni al soccorso de’ Cristiani. Nel 1196 fece la traslazione solenne de’ corpi de’ SS. Archelao martire e Imerio confessore (ib. p. 617), e nel seguente (non nel 1164 come forse per errore di stampa si legge nella prefazione del Muratori) fabbricò interamente il castello di Genivolta nel Cremonese , eli’ egli in latino chiama Jovis altae. Nel 1199 recossi a Roma per ottenere, come gli venne fatto da Innocenzo III, la canonizzazione di S. Omobuono in quell’anno medesimo (ib. p. 618). L’anno 1203 andò egli stesso in Oriente e sin nell’Armenia compagno del cardinale Pietro legato apostolico, a cui istanza egli tenne in Costantinopoli nel tempio di S. Sofia solenne ordinazione (ib. p. 620, 621). A questi viaggi e a queste sue occupazioni ei congiunse lo scriver più libri, perciocchè, oltre la IV. Di Giovanni Colonna arcivescovo di Messina. 474 I.JDUO Somma ile1 Canoni da noi già mentovata, egli scrisse una Cronaca dal principio del mondo sino a’ suoi tempi, di cui il Muratori prima d’ogni altro ha data alla luce sol quella parte che tratta de’ tempi posteriori alla venuta del Redentore, ne’ quali ancora però trovansi non pochi favolosi racconti, ma ben compensati dalla esattezza con cui ha esposte le cose a’ suoi tempi avvenute. Della diversità de’ codici di questa Cronaca, e delle interpolazioni ed aggiunte che vi sono state fatte, veggasi la prefazione erudita che il Muratori vi ha premessa (ib. p. 523). Egli accenna ancora alcune altre opere che diconsi da Sicardo composte, ove però egli ha preso errore, congetturando che il libro intitolato Mitrale, che a lui si attribuisce, altro non sia che una Cronaca; perciocchè il p. Sarti , che ne ha veduta copia nella biblioteca Vaticana, afferma (De Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p. 284) che non è altro che un trattato liturgico della celebrazione de’ Divini Uffici, ed egli stesso ne ha pubblicata la prefazione, e i titoli de’ libri e de’ capi (ib. pars 2, p. 111). Sicardo morì l’anno 1215, come raccogliesi dalle giunte fatte alla sua Cronaca (Script. Rer. ital. vol. 7, p. 625), e da un’altra antica Cronaca di Cremona pubblicata dal Muratori (ib. p. 639), e dal Necrologio di quella chiesa citato dall1 eruditissimo abate Zaccaria (Series Crem. Episc. p. i32). IV. Questi due scrittori di cronaca hanno avuta la sorte di ritrovare chi si prendesse pensiero di pubblicare le loro opere. Non così è avvenuto a Giovanni Colonna dell" Ordine de’ sEcoxno 47-f* Predicatori arcivescovo di Messina, che dopo essi si esercitò nel medesimo argomento, e che forse non meritava meno di essi l’onore di venire a luce. I PP. Quetif ed Echard ne hanno parlato con la consueta loro esattezza (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 418), e con autentici monumenti hanno provato ch’egli era nipote del cardinale Giovanni Colonna celebre nella Storia ecclesiastica a’ tempi di Onorio III e di Gregorio IX; che, mandato a studiare in Parigi, dalle prediche del B. Giordano fu indotto ad entrare nell’Ordine de’ Predicatori; e che, dopo aver in esso sostenute onorevoli cariche, fu eletto l’anno 12.55 arcivescovo di Messina; che fu poscia fatto dal pontefice Urbino IV suo vicario, e che verso l’anno 1264 rinunciò il suo arcivescovado, e continuò probabilmente a vivere in Roma, e morì tra l’anno 1280 e il 1290. Essi hanno ancor confutato l’errore di molti Scrittori che hanno asserito che dalla chiesa di Messina ei fu trasferito a quella di Nicosia nell’isola di Cipro. Ma io mi maraviglio ch’essi non abbian fatta parola della legazione che a nome d’Alessandro IV ei sostenne in Inghilterra l’armo 12.5-, di cui ragiona Matteo Paris (Hist. ad h. an.), rappresentando coll’usata sua maldicenza questo prelato come un sordido e insaziabile riscotitor di denaro. Egli avea composta una Storia generale in sette libri dalla creazion del mondo sino a’ suoi tempi, di cui conservansi più copie manoscritte che si annoverano da’ suddetti scrittori e dall’Oudin (De Script, eccl. t. 3, p: 185). Egli la intitolò Mare Historiarum, da cui è diversa un’altra opera sotto 476 N. LIBRO lo stesso nome pubblicata in lingua francese a Parigi l’anno 1488. Un altro libro avea egli scritto delle Vite degli Uomini illustri così idolatri come cristiani, di cui si ha copia nel convento de’ SS. Giovanni e Paolo in Venezia, e di cui si era pensato a farne dono al pubblico colla stampa; ma finora non si è eseguito (Fabr. Bibl. med. et inf. Latin, t. 1, p. 404)Gli stessi autori rammentano qualche altro opuscolo di Giovanni. La Storia però de’ Romani Pontefici, che si mentova dall’Oudin, non è altro probabilmente che una parte della voluminosa sua Cronaca. V. Verso la fine del secolo stesso si applicò ad illustrare la Storia universale Riccobaldo ferrarese. Tre opere abbiamo del medesimo argomento a lui attribuite. La prima è quella a cui egli diè il nome di Pomario (e non Pomerio, come in più codici è scritto), volendo dire eli1 essa era come un delicioso giardino in cui avea da ogni parte raccolti i più soavi frutti. In essa in fatti ei comprende la storia tutta dal principio del mondo fino a’ suoi tempi. Quasi al medesimo tempo Gian Giorgio Eccardo in Germania e il Muratori in Italia pensarono a pubblicarla; e amendue, senza saper l’uno dell’altro, crederono saggiamente che non conveniva darne alla luce che (quella parte che trattava de’ tempi a lui più vicini, cominciando da Carlo Magno (de’ quali tempi ancora per altro ei non lascia di metterci innanzi romanzeschi e favolosi racconti in buon numero), e lasciare in dimenticanza le cose più antiche che troppo meglio potean apprendersi altronde. SECONDO 477 L’Eccardo fu il primo nell’esecuzion del disegno, e diè alle stampe il Pomario del Riccobaldo l’anno inu’ ò (Script, medii aevi, t. 1, p. 1150). Ma il Muratori non perciò ne depose il pensiero, e il pubblicò egli pure con qualche giunta, e colle varie lezioni tratte dai codici mss. e singolarmente da uno di questa biblioteca Estense (Script. rer. ital. vol. 9, p. 99). Niuno rivoca in dubbio ch’ella non sia opera di Riccobaldo. Egli stesso si nomina in un passo della sua Storia, ove racconta (ib.p. 127) ch’ei fu testimonio di veduta di un prodigioso miracolo operato ad intercessione di S. Antonio in un muto nato, a cui si sciolse la lingua in Padova l’anno 1243. Inter caetera ego Ricobaldus Ferrariensis an. Christi MCCXLIII Paduae aderam, ec. Ei narra inoltre che l’an 1251, essendo ancora giovinetto, udì predicare in Ferrara il pontefice Innocenzo IV (ib.p. 132). E queste son le sole notizie che di lui ci sono rimaste. Solo Girolamo Rossi, che non so su qual fondamento il chiama Gervaso Riccobaldo (Hist. Ravenn. l. 6 ad an. 1292), afferma ch’ei fu canonico di Ravenna. Il Rossi non ne adduce pruova; ma ch’ei vivesse in Ravenna, si rende probabile al riflettere che sulle cose di quella città ei gode di stendersi più lungamente, e ch’egli dedica il suo Pomario a Michele arcidiacono di Ravenna. Egli scrisse la sua Storia l’anno 1297, come si raccoglie dalle parole di un antico codice citato dal Muratori, benchè vi si vegga aggiunta ancor qualche cosa dell’anno seguente. La seconda opera che a Riccobaldo si attribuisce, e che sotto il nome di 4^8 LIDHO lui dall’Eccardo è stata pubblicata, è una compilazion cronologica, che cominciando similmente dal principio del mondo giunge fino al 1313. Nella prefazione ei si dice esule dalla patria, e canonico di Ravenna; e perciò si è creduto ch’ei non fosse diverso da Riccobaldo. Ma il Muratori, benchè l’abbia egli ancor pubblicata (l.cit.p. 193), dubita nondimeno ch’ella sia d’altro autore. E certo, lasciando stare le altre ragioni da lui recate, io non so intendere come Riccobaldo, dopo aver composta una Storia universale, volesse poscia farne un’altra, e ciò che è più, senza mai far menzione di quella ch’egli avea già scritti. Per la stessa ragione io credo che il celebre Matteo Maria Boiardo conte di Scandiano si volesse ridere un poco degli antiquarii de’ tempi suoi, quando ei divolgò la Storia imperiale di Riccobaldo ferrarese , affermando di averla tradotta dall’originale latino, che è appunto la terza opera attribuita a Riccobaldo. Il Muratori, che pur l’ha pubblicata (l. cit. p. 281), ha disputato assai lungamente se ella debba aversi in conto di traduzione, oppur di opera dal Boiardo composta, e fintamente attribuita a Riccobaldo (a). Ei si mostra assai favorevole a questa seconda opinione; e le ragioni ch’egli ne reca, mi sembrano evidenti. Ma non giova il ripeterle, e quella che ho accennata poc’anzi, può bastare, (a) Intorno a questa traduzinn del Boiardo , veggnsi ciò che nuovamente ne avremo a dire , ove di liti ragioneremo nel tomo sesto, parte seconda, e ciò che ne abbiamo più ampiamente detto nella Biblioteca modenese (I- 1, p. 197, ec.). SECONDO 479 s’io non erro, a farcene almen dubitare, poichè in somma questa Storia imperiale è ella ancora una Storia universale, e inoltre f autor di essa assai spesso discorda da ciò che nel Pomario di Riccobaldo si legge. Un’altra opera di questo scrittore veduta dal Muratori intorno l’Origine delle città italiane, ma da lui rigettata come troppo ingombra di favole (Script. rer. ital. vol. 20, p. 867), e alcune altre che si accennano dal Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 3, p. 54), e da altri scrittori, io credo anzi che siano stralci del suo ampio Pomario, che opere separatamente da lui composte. VX Così, per tacer di più altri che ci lasciarono opere somiglianti, ma non molto pregevoli, e che si giaccion perciò sepolte nelle polverose biblioteche; così, dissi, fu in questo secolo rischiarata la storia universale. Quando noi confrontiamo le Cronache di questi scrittori colle opere che sullo stesso argomento ci han dato in questi ultimi secoli gli Scaligeri, i Petavii, gli Usserii, gli eruditi Inglesi, e tanti altri dottissimi illustratori dell’antichità più rimota, non possiamo a meno di non riderci della semplicità de’ nostri buoni maggiori che adottarono tante e sì ridicole favole di cui ripiene sono le loro Storie. Ma noi dovremmo essere inverso di essi alquanto più compassionevoli e pietosi. In mezzo a tanti libri e a tanti pregevoli monumenti, fra’ quali ora viviamo, noi possiam pur facilmente divenire eruditi; ogni cosa si può discutere alle leggi della critica più rigorosa; si possono paragonare gli uni agli altri scrittori; si può conoscere in che essi VII.’ Scrittori di » oriaaulica: fluido dalli Colonne. 48o LIBRO meritili fede, in che non debbano essere uditi; si può in somma con qualche probabilità stabilire a qual opinione dobbiamo attenerci. I nostri maggiori, al contrario, quale scorta potean avere e quai lumi a discerner il vero dal falso? Riccobaldo, che pur dovea essere un prodigio di erudizione a’ suoi tempi, ci nomina tutti i libri de’ quali ei si era giovato a compilar la sua Cronaca (praef. ad Pomar.). Or quai sono essi? S. Girolamo , cioè la Cronaca d’Eusebio da lui tradotta, Prospero d’Aquitania, un cotal Mileto che non sappiamo chi fosse, S. Isidoro, Eutropio, Paolo Diacono, Rufino, Pietro Mangiatore, Paolo Orosio e Tito Livio. Or se non si fossero mai scoperti altri libri, avremmo noi quelle opere sì erudite intorno all’antica cronologia, che ora abbiamo? Mostriamoci dunque riconoscenti a’ nostri maggiori che tanto si adoperarono per istruirci, e non rivolgiamo a loro derisione quelle cognizioni medesime che ora abbiamo, ma non avremmo avute, se vissuti fossimo a’ lor tempi. Noi frattanto dagli scrittori di Storia universale passiamo a quelli che qualche singolar parte presero ad illustrarne. VII. Chi avrebbe creduto che in mezzo a una sì incerta luce, fra cui allor passeggiavasi, si trovasse chi ardisse di scriver la sì antica e sì oscura guerra di Troja? E trovossi nondimeno chi il fece; ma il fece appunto in quel modo che solo potea aspettarsi. Ei fu Guido dalle Colonne giudice messinese. L’Oudin sospetta (De Script, eccl. t. 3, p. 581) che ei fosse oriondo dalla nobile e antica famiglia Colonna sì illustre in Roma; ma confessa egli SECONDO 481 stesso che non ve n’ha alcuna pruova; e lo stesso Guido al fin della sua Storia si dice messinese: Ego Guido de Columna de Messana. E nel principio di essa si dà il nome di giudice: per me judicem Guidonem de Columna de Messana. L’Oudin aggiugne, e avealo già accennato il Vossio (De Histor. lat. l. 2, c. 60), che Giovanni Boston monaco in Inghilterra nel secolo xiv in un suo Catalogo di Scrittori ecclesiastici , di cui conservansi alcune copie in quel regno, racconta che Odoardo re d’Inghilterra tornando l’anno 1273 dalla guerra sacra, approdato in Sicilia e trovatovi Guido, fu preso per tal maniera dal sapere e dall’ingegno che in lui conobbe, che seco condusselo in Inghilterra. Se ciò è vero, ci convien dire ch’ei cominciasse la sua Storia della guerra troiana prima di andare in Inghilterra. Perciocchè al fine di essa ei dice che aveane composto in addietro il primo libro ad instantiam domini Matthei de Porta Salernitani Archiepiscopi magne scientie viri. Or Matteo della Porta fatto arcivescovo di Salerno l’anno 1263, finì di vivere l’anno 1272 (Ughell. Ital. Sacra, t. 7 in Archiep. Salern.). Per altra parte Guido non arreca altra cagione dell’aver interrotta la sua Storia, che alcuni incomodi sopraggiuntigli, e la morte del suo mecenate. Onde, comunque sia da pregiarsi l’autorità del Boston, parmi nondimeno alquanto dubbioso questo viaggio di Guido nell’Inghilterra: e molto più, se è vero, come il Mongitore, recando l’autorità di un altro scrittore, afferma (Bibl. Sic. t. 1, p. 265), ch’ei fosse giudice in Messina l’anno 1276. Continua poscia Guido a narrare che Tijuboschi, Voi. IV. 3i 482 unno avemlo dopo lungu tempo ripigliato il lavoro, in men di tre mesi il recò a fine: infra tres menses a XV videlicet mensis Septembris prime Indictionis usque ad XXV mensis Novembris proxime subsequentis opus ipsum in totum per me extitit per completum. Così leggesi nel bellissimo codice della Storia di Guido, che si conserva in questa biblioteca Estense, scritto l’aiuto 1380. La prima indizione qui accennata da Guido può segnar l’anno 1273, o, come è assai più probabile, l’anno i 288, o anzi il novembre del 1289, se l’indizione avea principio nel mese di settembre. In fatti in un codice di (questa Storia, che trovasi registrato nel Catalogo de’ Manoscritti dell’Inghilterra e dell’Irlanda (inter Codd. ecel. S. Petri Eborac. cod. 30), si legge: Factum est praesens opux Dominicae Incarnationis 1287. E quest’anno stesso si legge espresso in qualche edizione (V. Catal, della Libr. Capponi, p. 126). Quindi dee credersi errore ciò che si legge in un codice della Riccardiana di Firenze: Questa presente fu perfetta negli anni della Domenica Incarnazione nel 1266 nella prima Indizione (Cat. MSS. lì ibi riccard. p. 227)5 perciocché correva in quell’anno la IX e non la prima indizione. Qual metodo seguisse Guido nel compilar la sua Storia, cel narra egli stesso nella sua prefazione, dicendo che Omero, Virgilio e Ovidio, seguendo le finzioni poetiche, molte cose false aveano scritte intorno alla guerra di Troja; che Ditti greco, ossia di Creta, e Darete frigio, i quali in essa aveano guerreggiato, ne aveano ancora.scritta esattamente la Storia in greco; che un Romano SECONDO 483 detto Cornelio, nipote del gran Sallustio, aveala recata in latino; ma per soverchio amore di brevità molte cose utili e dilettevoli ne avea recise; e eli1 egli perciò avea da quegli scrittori raccolta una più diffusa e più compiuta storia di quella celebre guerra. Benchè Guido non dica qui chiaramente di aver avute tra le mani le supposte Storie di Ditti e di Darete. che scritte in greco rammentansi da alcuni scrittori de’ bassi secoli (V. Fabr. Bibl. graec. t. 1, p. 27, ec.), e la cui traduzione malamente si attribuisce da alcuni al celebre Cornelio Nipote, il riprender nondimeno ch’ei fa l’antico lor traduttore di averle troncate, e il prefiggersi di supplire a tal errore, sembra persuadercelo. In fatti in alcune edizioni e in alcuni esemplari quest’opera ci si dà come una traduzione dal greco di que’ due storici fatta dal nostro Guido (V. Bibl. de’ Volgarizz. it. t. 1 , p. 341), benchè pur egli altre cose vi aggiugnesse prese da altri scrittori. Questa Storia è divisa in trentacinque libri, molti de’ quali però son così brevi, che si potrebbon anzi chiamare capi. Di una versione italiana che ne fu fatta nel secolo xvi, e che da alcuni si è per errore creduta opera originale dello stesso Guido, veggansi le annotazioni di Apostolo Zeno alla Biblioteca del Fontanini (t. 2, p. 153, ec.), e la Biblioteca de’ Volgarizzatori italiani (t. 2, p. 243, ec.) t. 4, p. 33o j t. 5, p. 539). Il Mongitore annovera (l. cit.) alcuni codici mss. di questa Storia, oltre le molte edizioni che ne abbiamo , a’ quali codici convien aggiugnere i molti altri che si trovano registrati ne’ Catalogi di varie biblioteche via Scrittori della Storia siciliana: Riccardo da San Germano. 48$ mòro recentemente stampati, die non giova il rammentare distesamente, e quello che sopra abbiamo accennato di questa Estense biblioteca. Delle rime italiane di questo scrittore parleremo nel libro seguente. VOI. Mentre nella Sicilia si cercava per tal maniera, come a que’ tempi era possibile, di rischiarare l’antica storia, più altri scrittori nel medesimo regno tramandavano a’ posteri la memoria delle cose a’ loro tempi avvenute. Le grandi rivoluzioni a cui fu soggetto quel regno dopo la morte del re Guglielmo II, somministravano ampio argomento di Storia-, e il favore di cui la più parte de’ re di Sicilia in ’ questo secolo onoraron le scienze, stimolava molti a trattarne. Quindi non v’ebbe.in Italia provincia alcuna che più di questa avesse scrittori della sua Storia; e dobbiamo anche aggiugnere che le Storie degli autori siciliani sono le migliori per avventura e le meno incolte che di que’ tempi ci sian rimaste. Il primo di essi è Riccardo da S. Germano nato nel luogo di questo nome in Sicilia, e di professione notaio, coni’ egli stesso si chiama nella prefazione alla sua Storia. Egli scrisse le cose in Sicilia avvenute dall’anno 1189, in cui morì il re Guglielmo suddetto, fino all’anno 1243 , toccando insieme più brevemente le vicende in quegli anni altrove accadute. Ei si protesta di scriver ciò che o avea veduto egli stesso, o avea da testimonj certissimi inteso: e quindi non solo il Muratori, che dopo l’Ughelli ne ha data in luce la Storia (co/. ~ Script. Rer. ¡tal. p.;)63), ma prima di Ini il Rinaldi (Ànn. veci, ad ari. 1198), SECONDO /fio che a\eane avuto un codice ms., ne han lodata non poco la sincerità e l’esattezza. Ei volle ancora mostrarsi poeta; e due suoi ritmi inserì nella Storia, uno in morte del re Guglielmo (l. c. p. 970), l’altro nella perdita’ che i Cristiani fecero di Damiata (ib. p. 993). Ma a dir vero, egli era assai migliore storico che poeta. IX. Dietro a Riccardo da S. Germano venne con piccolo intervallo Matteo Spinello da Giovenazzo , luogo nel regno di Napoli nel territorio di Bari; perciocchè egli cominciando la sua Storia dall’anno 1247, la condusse almeno fino all’anno 1268. Dissi almeno, perciocchè Angelo di Costanzo nel proemio alla sua Storia del Regno di Napoli afferma eli’ ei la condusse fino a’ tempi di Carlo II; ma quella che ora abbiamo, non giunge che al suddetto anno. Egli ancora scrisse le cose da sè vedute , e più volte nomina se medesimo, narrando di essere intervenuto a’ fatti di cui ragiona; e la stessa maniera con cui scrive la Storia, ci mostra ch’egli comunemente notava gli avvenimenti di mano in mano che essi seguivano , perciocchè nota i giorni, e talvolta ancor l’ora a cui ciascuna cosa intervenne. E nondimeno trovansi in questo Giornale non pochi errori evidenti contro l’ordin de’ tempi, i quali non ad altro si possono attribuire che a negligenza de’ copiatori. L’erudito Gian Bernardino Tafuri gli ha raccolti nella sua Censura sopra i detti Giornali pubblicata dal Muratori innanzi a’ medesimi (Script. Rer. ital. vol. 7, p. 1059). e stampata ancora separatamente (Racc, di Opusc. Scientif. t. 6, p. 309). Ciò che è più degno di 486 RiBno riflessione, si è che è questa la prima opera che noi troviamo scritta in prosa volgarementre finora essa non erasi usata che verseggiando; e tutti gli scrittori di prosa si eran serviti della lingua latina. Ma la lingua volgare di questo scrittore non è già la colta lingua italiana , qual veggiam poscia usata dagli scrittori susseguenti. Ella è un dialetto napoletano somigliante a quello che anche al presente da quel popolo si adopera. Eccone per saggio il principio: Anno Dom. 1247. Federico Imperatore se ne tornao rutto da Lombardia, et venne a caccia con li falconi in Puglia. Nella fine del detto anno incominciao a raccogliere gente, perchè se diceva, che volea passare in Lombardia. Dal che confermasi ciò che nella prefazione premessa al terzo tomo di questa Storia abbiamo asserito, cioè che prima formaronsi i particolari dialetti, e poscia si venne ordinando ed abbellendo una lingua che a tutta l’Italia fosse comune. Nè può nascere dubbio che sia questa una traduzione fatta dall’originale latino, in cui per avventura avesse scritto Matteo il suo Giornale. Niuno ne ha mai veduta copia in latino; e solo in questa lingua è stato recato dal P. Papebrochio (Propyl. ad Acta SS. maii); intorno a che veggasi la prefazione del Muratori, il quale è stato il primo a dare interamente e seguitamente in luce questo Giornale (Script. rer. ital. vol. 7. p. 1055), che dal Summonte era stato nella sua Storia di Napoli qua e là a varii luoghi inserito. X. Due altri scrittori siciliani scrissero delle cose de’ tempi loro, cioè Niccolò di Jamsilla, SECONDO 4^7 che comprese la Storia delle gesta di Federigo II, e di Corrado e di Manfredi di lui figliuoli dall’anno 1210 fino al 1258; e Salla, o, come sembra doversi leggere, Saba M.vlaspina, che chiama se stesso Decanum Miliiensc.m, et Domini Papae Scriptorem, il quale ripigliando la Storia dall’anno 1250, la condusse fino al 1276. Il primo di essi ci si mostra seguace del partito de’ Gibellini 5 ed esalta perciò Federigo, non meno che Corrado e Manfredi: il Malaspina al contrario si dà a vedere favorevole a’ Guelfi; e perciò di que’ principi non forma un troppo vantaggioso ritratto. Così un fatto medesimo si vede talvolta narrato da due diversi scrittori in maniera affatto diversa: e noi ci troviamo sospesi ed incerti a chi debbasi fede; e spesso non possiamo determinarci ad antiporre l’uno all’altro; e il miglior frutto che dalle Storie lor raccogliamo, si è di cercar di distinguere accortamente gli scrittori che si lascian condurre dallo spirito di partito, da quelli che altra scorta non hanno che la schietta e semplice verità. Amendue scrissero in latino, e il Malaspina singolarmente in uno stile assai rozzo ed incolto. Delle diverse edizioni che ne sono state fatte in addietro. e del confonder che si è fatta 1’una colf altra, attribuendole ad un anonimo autore, veggansi le belle prefazioni del ch. Muratori, il quale le ha inserite amendue nella sua Raccolta (Script. Rer. ital. vol. 8, p. 489, et 781). XI. L’ultima delle Storie siciliane di questa età è_ quella che sotto il nouip di Rart.olonimeo da Neocastro ossia da Castelnuovo, giureconsulto 488 LIBRO <li Messina, è stata prima di ogni altra pubblicata dal Muratori (ib. vol. 13, p. 1005). Ella comincia dall’anno 1250, e giunge fino al i2C)4- Il diligentissimo editore ha mosso qualche leggier dubbio se ella debba veramente credersi opera del mentovato scrittore; ma egli stesso confessa che non v’ ha argomento che basti a negarlo; ed è certo ch’ella è opera di scrittore contemporaneo, perciocchè egli narrando l’assedio di Gaeta, seguito l’anno 1288 , dice di esserne stato testimonio di veduta (ib. c. 112); e la stessa esattezza con cui descrive alcuni de’ più memorabili avvenimenti a que’ tempi accaduti, ce lo conferma. In altre cose però, benchè di non molto superiori alla sua età , egli ha commessi alcuni non piccioli fai’ ìi che dal ch. Muratori rilevansi nella prefazione a questa Storia premessa. L’autore nel proemio di essa la indirizza a suo figlio, e gli dice che dapprima aveala scritta in versi, ma che poscia ad istanza di lui aveala recata in prosa. Io non so per qual ragione Bartolommeo dia a questa sua prosa il bell’epiteto di solenne composui praesens opus , quod tibi mitto in solemnem prosam. A me certo ella sembra feriale assai ed incolta. XII. Le altre provincie d’Italia, benchè non avessero Storici in sì gran numero , non però ne furono in tutto prive. Ricordano Malespini è il più antico scrittore di Storia che abbia avuto Firenze, e che sia a noi pervenuto. Ei si credette certo di scrivere le più accertate cose del mondo; perciocchè ei si protesta di raccontare ciò che aveva trovato nelle Storie SECO\DO ^S[) degli antichi libri de’ Maestri Dottori (Storfiorent. c. 4°)j e a que’ tempi cosa scritta e cosa infallibile venivano a significare lo stesso. Anzi egli volle anche istruirci ove avesse trovati sì pregevoli monumenti: Io Ricordano, die1 egli (ih. c. 41) > ful nobile cittadino di Firenze della casa de’ Malespini... e ab antico venimmo da Roma... e io sopraddetto Ricordano ebbi in parte le sopraddette scritture da un nobile cittadino romano, il cui nome fu Fiorello di Liello Capocci; il quale Fiorello ebbe le dette iscritture de’ suoi antecessori, scritte al tempo in parte, quando i Romani disfecciono Fiesole, e parte poi, perocchè il detto Fiorello l’ebbe, che fu uno de’ detti Capocci, il quale si dilettò molto di scrivere cose passate, ed eziandio anche molto si dilettò di cose di Strologia. E questo sopraddetto vide co’ suoi propri occhi la prima porta di Firenze , ed ebbe nome Marco Capocci di Roma. Poi al tempo di Carlo Magno fu un nobile uomo di Roma , il quale fu della sopraddetta schiatta de’ Capocci, il quale trovando in casa loro a Roma le sopraddette iscritture seguitò lo scrivere de’ fatti di Fiesole, e di Firenze, e di molte altre cose. Ed io sopraddetto Ricordano fui per femmina, cioè l’avola mia, della detta casa de’ Capocci di Roma, e negli anni di Cristo mille dugento capitai in Rorna in casa a’ detti miei parenti, e quivi trovai le sopraddette iscritture, e inspezieltà iscrisse quello che trovai iscritture de’ fatti della nostra città, cioè di Fiesole, e ancora di Firenze, e di molte altre croniche e iscritture vi aveva iscritto, 4yO LIBRO e fatto memoria per lo sopraddetto iscrittore. Delle quali cose non curai di scrivere nè copiare: anche iscrissi le cose in parte, che io trovai di questi nostri passati E ancori iscrissi assai cose, le quali vidi co’ miei occhi nella detta città di Firenze e di Fiesole, ed a Roma stetti da dì due di agosto anni mille e dugento infino a dì undici d’Aprile, anni e ritornato ch’io fui nella detta nostra città di Firenze, cercai molte iscritture di cose passate di questa medesima materia: e trovai molte iscritture e croniche, e per lo modo ne trovai, n’ho fatte iscritture e menzione, e per innanzi ne scriverò più distesamente, ed eziandio di mia nazione. Ma sallo Iddio quali scritture eran quelle. Il titolo del secondo capo di questa sua Storia basta a darcene un saggio: Siccome Adamo quanto tempo ebbe infino a Nimis re; e come Apollo strolago fece edificare Fiesole. Non cerchiam dunque presso questo scrittore le notizie de’ tempi antichi, poichè egli ancora ci vende le fole ricevute allora comunemente come infallibili oracoli. Ma nelle cose de’ tempi suoi egli è scrittore esatto, e avuto ragionevolmente in gran pregio. E ben se ne seppe valere Giovanni Villani che lunghissimi tratti ne inserì nella sua Storia, senza mai nominarlo. Ricordano ci ha date ancora notizie della sua famiglia: Io Ricordano sopraddetto, dic’egli (ib. c. 108), ebbi per moglie una figliuola di messer Buonaguisa nobile cavaliere e cittadino di Firenze, nata per madre di messer Coretto Bisdomini nobile cavaliere, e cittadino di Firenze... ed io sopraddetto Ricordano ebbi una SECONDO 49* figliuola, /<; quale fu moglie di uno nobile cittadino. che avea nome Arrigo della casa degli Ormanni di Firenze. Egli continuò la Storia fino all’anno 1281 in cui morì, e quindi Giacchetto di Francesco Malespini, nipote di Ricordano, continuolla fino al 1 28t>. L’anno della morte di Ricordano ci fa sospettare a ragione di qualche errore nel passo da noi poc’anzi recato, in cui egli narra di essere andato a Roma l’anno 1200, e di avervi trovate quelle scritture di cui si valse a compilar la sua Storia. Perciocchè, se non vogliam dire ch’egli arrivasse almeno a cento anni d’età, non è possibile eli1 egli fosse allora in istato di pensare a raccogliere cotai memorie. Il Muratori ha inserita la Storia di Ricordano, già altre volte stampata, nella sua Raccolta degli Scrittori delle cose italiane (vol. 8, p. 877). Ma per inavvertenza degnissima di perdono in un uomo raccoglitore di tanti e sì varii monumenti, dopo aver dato a Matteo Spinelli il vanto di aver prima d1 ogni altro scritta la Storia in lingua italiana, ha conceduta questa gloria medesima a Ricordano (in praef. ad eius Hist.), a cui solo sembra doversi quella di averla scritta in un linguaggio più colto assai che l’usato già da Matteo. Egli è vero che Ricordano potè cominciare a stendere la sua Storia prima ancor di Matteo: ma non si può provare che così accadesse; e avendola Matteo compita e pubblicata prima di Ricordano, ei può a più giusta ragione pretendere di essere il primo scrittore di Storia in questa lingua. 492 LIBRO XIII. Parecchie Cronache pisane sono stato date alla luce dal medesimo Muratori, tra le quali quella che è intitolata Breviari uni Pisanae Historiae (vol. 6 Script. Rer. ital. p. 163) sembra scritta in questo secolo, poichè giugne (fino all’anno 1269. Ad esso pure appartiene probabilmente un frammento di Storia pisana scritto in lingua italiana, che dall’anno 1214 giunge fino al 1294 (ib. vol. 24, p■ 643). Ma a questo luogo dee certamente riferirsi un altro frammento latino, in cui si narrano le vicende di questa città dall’anno 1271 fino al 1290 (ib. p. 673). L’autore ne è Guido di Corvara, il quale in varii passi di questa Cronaca ci parla di se medesimo, e ci dice che l’anno 1271 secondo il computar de’ Pisani, ossia l’anno 1270, egli insieme con altri fu inviato ambasciadore dalla sua patria al re di Sicilia Carlo I, mentre egli ancora era in Napoli prima di partire per Tunisi, come fece poco appresso (ib. p. 676); che pochi mesi dopo tornò un’altra volta ambasciatore a Carlo , mentre questi era sotto Tunisi, e che ne rivenne nell’aprile dell’anno seguente) nel qual frattempo gli morì una sorella detta Contissa, e un’altra detta Brandolisa prese a marito Giovanni Lagio (ib. p. 678, 679). Ei parla ancora della morte di Gherardo suo fratello e di Rimborgia sua madre avvenuta verso quel tempo medesimo (ib.). L’anno pisano 1272 andò giudice in Corsica (ib.), e l’anno 1274 fu assessore in Piombino (p. 682), per tacere di più altre notizie che di sè e della sua famiglia ei SECONDO.’{y3 va copiosamente somministrandoci, conchiudendole col raccontare (p. 694) ch’egli, dopo essere entrato F anno 1286 nell’Ordine de’ Minori, e poscia prima della professione depostone l’abito l’anno seguente, nel 1288 entrò tra’ Canonici regolari di S. Fridiano, vi fè professione l’anno seguente, e nel 1290 ebbe gli ordini sacri da Paganello da Porcari vescovo di Lucca. In mezzo alle quali notizie, che potrebbono sembrare inutili alla storia de’ tempi , molte altre ei ne inserisce che non poco giovano ad illustrarla. XIV. Le grandi rivoluzioni che a’ tempi del famoso Ezzelin da Romano accaddero in Padova , in Vicenza, in Verona e in altre città che or compongono il Dominio Veneto, determinarono molti scrittori a tramandarne a’ posteri la memoria. Molti ne ebbe Venezia, e alcuni ancora anteriori all’epoca di cui scriviamo, de’ quali tratta il ch. Girolamo Tartarotti in una sua dissertazione pubblicata dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 25. p. ec.), e più esattamente ancora l’eruditissimo Foscarini (Lette rat. venez. p. 105, ec.); tra’ quali antichi cronisti il più accreditato è un cotal Giovanni Sagornino, che si dice vissuto nel secolo xi, a cui poi succederono altri ne’ secoli susseguenti. Ma io non mi tratterrò a parlarne più a lungo, poichè niun d’essi è alle stampe, trattone qualche frammento, e quella del Sagornino stampata in Venezia nel 1765, e perchè la Cronaca di Andrea Dandolo, che scrisse nel secolo xiv, fece dimenticare tutte l’altre più antiche. Gli Annali, dice il secondo de’ sopraccitati xiv. Storici dello Stalo »•urlo. 4«)4 LIBRO scrittori, ilei doge Andrea Dandolo passano generalmente come il più antico e sicuro monumento della città; giacchè o fosse il merito dell’opera, o la nobiltà dell’autore, o finalmente F essere venuti in luce quando i costumi cominciavano a ripulirsi, e l’industria degli scrittori a tenersi in pregio, cotesti Annali salirono a tal fama, che la memoria di quanti avevano faticato nello stesso argomento rimase cancellata quasi del tutto; e sarebbe affatto spenta, se questi anni addietro non vi accorreva l’erudita curiosità di alcuni, i quali hanno saputo ripescare i nomi di più di un cronista preceduto al doge suddetto, e ricuperare eziandio alquanti preziosi avanzi di tali opere. Veniam! dunque agli altri, le cui opere hanno avuta sorte migliore. Gherardo Maurisio cittadino e giudice di Vicenza scrisse la Storia delle imprese da Ezzelino e dagli altri di quella famiglia fatte dall’anno 1183 fino al i 5 scrittoi’ favorevole troppo e adulator d1 Ezzelino, degno però ancor di scusa, come ottimamente riflette il Muratori (praef. ad ejus Hist. vol. 8 Script. rer. ital. p. 3), perchè Ezzelino, mentre Gherardo scrivea, non avea ancor date le pruove di quella snaturata e barbara crudeltà che poscia diede. Per altra parte egli intervenne non poche volte alle cose che narra, e fra le altre fu prigione in Padova, mentre tra questa città e Vicenza sua patria ardeva guerra, e fu egli stesso spedito a Vicenza per trattare il cambio de’ prigionieri} ma non ottenutolo, tornossene fedelmente alla sua prigione (ib. p. 13). Niccolò Smerego, vicentino egli pure e notaio, scrisse SECONDO 49Ù brevemente la Storia de’ suoi tempi dall’anno 1200 fino al 1279, che fu poi da scrittore anonimo continuata fino al 1312. Essa ancora è stata pubblicata dopo altri dal Muratori (ib. p. 97, ec.), che vi ha premessa quella di Antonio Godi pur vicentino, che da alcuni si dice vissuto solo verso la metà del secol seguente, ma che più \ erisi utilmente fiori a’ primi anni di esso (Saxias praef. ad ejus Hist ib. P 69) (*). Lo stesso argomento fu pur trattato dall’anonimo Monaco padovano di S. Giustina, che scrisse le cose accadute nella Marca Trivigiana dall’anno 1207 fino al 1270, pubblicato esso ancora dopo altri dal medesimo Muratori (ib. p. 661). Ma la più esatta di tutte le Storie di questo tratto d’Italia scritte nel secolo di cui trattiamo, è quella di Rolandino, che comincia dall’anno 1200 in cui egli dice di esser nato, e giunge fino al 1260 in cui scriveva. Nel proemio della sua Storia egli racconta che suo padre, il qual era notajo in Padova, oltre lo stendere i contratti, andava ancora notando semplicemente le cose più memorabili che accadevano; e che poscia avea a lui consegnate cotai memorie, quando il vide giunto all’età di 23 anni, comandandogli di continuare la Storia. Altrove ci narra (l. 10, c. 4) che avea (*) Degli storici vicentini da me qui nominati, cioè di Gherardo Maurisio, di Niccolò Smerego e di Antonio (iodi, ha poi trattato più a lungo il P. Angiolgabriello da Santa Maria (Bibl. degli Serici, vicent. t. 1, /). i5, io5, i83), che di essi ci dà più minute notirie , e produce alcuni pregevoli documenti tratti dagli animi ili Vicenta. XV. Storir genovesi jcritt«r per pubblico ordine. 4»jt> LiBllO studiato in Bologna; e che l’anno 1221 vi avea ricevuto da Buoncompagno suo maestro e professore l’onorevole e allor usato titolo di maestro e dottore in gramatica ed in rettorica, col qual di fatti egli è onorato nel suo epitafio pubblicato dopo altri dal Muratori (in Praef. ad ejus Hist. vol 8 Script. rer. ital. p. 155). Grammaticae Doctor simul! artis Rhctorieorum Potau tifili* rram. Gli studi da lui fatti gli giovaron non poco a compilare ed a stendere la sua Storia se non con eleganza di stile, almeno’ con chiarezza e con ordine maggiore assai delf usato dagli altri scrittori di questi tempi; lodato perciò sommamente dal Vossio (De Histor. lat. l. 3, c. 8), e da tutti coloro che ne hanno letta ed esaminata la Storia. Poichè egli l’ebbe compita in dodici libri l’anno 1262, ella fu letta pubblicamente innanzi a molti professori e scolari dell università di Padova, da’ quali essa fu solennemente approvata, come egli stesso racconta (l. 12, c. ult.), e come noi abbiamo altrove accennato in questo tomo medesimo (l. 1. c. 3), il che rende maggiore il pregio e più certa la fede di questa Storia. XV. Questo pregio medesimo di una solenne approvazione deesi alle Storie di Genova. Non vi è forse città in Italia che possa vantare un seguito sì continuato di Storie antiche scritte per pubblico ordine da autori contemporanei. Caffaro era stato il primo che verso la metà del secolo XII avea intrapreso questo lavoro, SECONDO 497 continuato poscia da altri che nel terzo tomo di questa Storia abbiam rammentati. Ad Ottobuono, che fu l’ultimo da noi allor nominato, venne in seguito Ogerio Pane, che ripigliando la Storia dal 1197, la continuò fino al 1219 (Script. Rer. Ital. vol. 6, p. 379). Egli non dice di averla intrapresa per pubblico ordinej ma non è a dubitare che come que’ che l’aveano preceduto, e que’ che gli vennero dopo , così egli ancora non fosse a ciò fare prescelto per pubblica autorità. Dall1 anno 1220 fino al 1223 ella fu proseguita da Marchisio cancelliere, il quale dice (ib. p. 417) di essersi accinto a tal lavoro ad istanza di Rambertino Guido da Bavarello , o, come leggesi poche linee appresso, da Bonarello (a). Assai più lungo spazio di tempo abbracciò Bartolommeo cancelliere egli pure, perciocchè venne innoltrandosi fino all’an 1264 (ib. p. 435). Nel qual anno , perchè in avvenire le Storie di quella città avessero ancora credito e autorità maggiore, il podestà di Genova, ch’era Guglielmo Scarampi astigiano (ib. p. 531), volle che la continuazione di esse fosse affidata a quattro nobili e dotti cittadini, i quali furono Lanfranco Pignolo e Guglielmo Multedo giureconsulti, Marino Usumare e Arrigo marchese di Gavi (ib. p. 533). Essi non giunsero colla loro Storia che alf anno 1267 , dopo il qual anno per un altro (a) Questo Rambertino è quello stesso che col norne di Lambertino o Rambertino da Huvarello rammenteremo nel capo secondo del libro seguente, ove palleremo della poesia provenzale che da lui pure fu coltivata. Tiraboschi, Voi. IV. Zi 49« LIBRO solo triennio ella fu proseguita da Niccolò Guercio , e dal sopraddetto Guglielmo Multedo giureconsulti, da Arrigo Drogo e da Buonvassallo Usumare (ib. p. 54*)- Quindi per un decennio, ad istanza di Oberto Spinola e di Oberro Doria capitani di Genova, si occuparono in ciò Oberto Stacone, Jacopo Doria figliuol di Pietro, Marchisio da Cassino e Bartolommeo di Bonifacio giureconsulti (ib. p. 549)- Finalmente il solo Jacopo Doria continuò il racconto delle imprese de’ Genovesi dall’anno 1280 fino al 1293 (ib. p. 571); e l’anno seguente, coni’ egli stesso racconta (ib. p. 610), avendo letta la sua continuazione innanzi al podestà Jacopo da Carcano, al capitano Simone da Grumello, all’abate del popolo e agli anziani della città, ella fu da essi solennemente approvata. Per qual motivo dopo quel tempo non si desse ad altri l’incarico di continuare la Storia, nol possiamo congetturare. Certo è che fino al principio del secolo XV in cui Giorgio Stella, come a suo luogo vedremo, ripigliò un tal lavoro, niuno per pubblico ordine prese a scriver la Storia di Genova. Solo F. Jacopo da Voragine, ossia da Varaggio, arcivescovo di Genova, di cui altrove abbiamo parlato, morto l’anno 1298, scrisse una lunga Cronaca di quella città, prendendone da’ più remoti principii la storia, e conducendola fino all’anno 1297. Quindi, come dovea a que’ tempi necessariamente avvenire, egli la riempiè d’innumerabili favole. E saggio perciò è stato il consiglio del Muratori che, facendo un breve estratto di ciò ch’ei dice de’ tempi più antichi , ha dato prima di ogni altro SECONDO 499 alla luce (ib. vol. 8, p. 3) ciò solo che apparteneva a’ tempi a lui più vicini, trattane la serie de’ vescovi, eli1 egli ha pubblicata interamente , perciocchè in essa è probabile che Jacopo avesse innanzi agli occhi le memorie e i cataloghi antichi della sua chiesa. XVI. Ebbe similmente i suoi storici la città di Milano, benchè un solo di essi siane venuto a luce. Una Cronaca manoscritta che cominciando dalla fondazion di Milano scende fino all’anno 1 265 , e di cui fu autore Filippo da Castelseprio, conservasi nella biblioteca del monastero di S. Ambrogio in quella città (Argel. Bibl. Mediol. t. 1 , pars 2 , p. 395); e il chiarissimo conte Giulini ne ha fatto uso frequente nell’erudite ed esattissime sue Memorie sulla storia della sua patria. Buonvicino da Riva del terzo Ordine degli Umiliati, di cui ho lungamente parlato nelle mie ricerche sugli antichi monumenti di quell’Ordine (Vet. Humil. Mommivoi. 1 j p. 197), avea egli pure l’anno 1288 scritta una Cronaca intitolata de Magnalibus Urbis Mediolanensis, di cui fanno menzione Galvano Fiamma (Script. rer. ital. voi. 1 \.p. 711) e l’autore anonimo degli antichi Annali di Milano (ib. vol. 16, p. 680. Ma la maniera con cui essi ne parlano, mi fa dubitare che questa Cronaca altro non fosse che questa descrizione medesima dello stato in cui allora trovavasi la città di Milano, eli’ essi hanno nelle Cronache loro inserita. La sola opera storica di questo secolo appartenente a Milano , che si abbia alle stampe, è il poema di F. Stefanardo da Vimercate dell’Ordine de’ Predicatori intorno 500 LIBRO alle cose avvenute in Milano a’ tempi di Ottone Visconti arcivescovo di quella città dall’anno 1262 fino al 1295. Stefanardo fu uomo per la sua età assai dotto, e autor di più opere storiche, legali e canoniche , che diligentemente si annoverano dal Muratori (ib. vol. 9, p. 59), da cui ancora si rilevano alcuni errori commessi dal Vossio nel ragionarne. Egli fu il primo che da Ottone Visconti fosse eletto a lettore di teologia nella sua metropolitana l’anno 1296, come altrove abbiamo osservato5 ma un anno solo ei sostenne tal carica , essendo morto nel seguente anno 1297. Questi dunque congiungeva insieme l’esser teologo e l’esser poeta e se egli era teologo tanto profondo, quanto è elegante poeta , non avea forse il pari al suo tempo , poichè i suoi versi son certamente i migliori che io mi abbia letti in questa età. Rechiamone i primi versi per saggio: Metropolis lacrimas, civilis praelia litis , Praesulis exilium) dubium cedentis in orbem, Militiae reducis gratum) mucrone triumphum , Diva, refer. Rupes vati Pegasea faveto. Heroicis cedant elegi, quia fata relinquo In patrios bacchata lares. Nunc gesta supersunt Aonio pangenda metro, ec. Della pubblicazione di questo non del tutto infelice poema, che è la sola opera di Stefanardo che abbiamo alle stampe, dobbiamo esser tenuti all’immortal Muratori che prima gli ha dato luogo ne’ suoi Anecdoti latini (vol. 3), poscia nella gran Raccolta degli Scrittori delle cose italiane (l. cit.). Convien dire però ch’ei non avesse ancora veduta l’opera dei PP. Quetif ed Echard SECONDO 501 inlomo agli Scrittori dell’Ordin loro; perciocchè essi parlan di un codice (vol 1 , p. 460) del poema di Stefanardo, il cui principio sembra preso assai più da lontano che quello ch’egli ha pubblicato; e al contrario finisce più presto, mancandovi oltre a 50 versi che si hanno in quello del Muratori. Essi ancora rammentano altre opere da lui composte. XVII. Chiuda la serie degli storici italiani di questo secolo Ogerio Alfieri d’Asti, che una breve Cronaca scrisse della sua patria, accennandone in breve le cose più memorabili anticamente avvenute, e un po’ più a lungo svolgendo le cose recenti fino all’anno 1294? senza però seguire rigorosamente nella sua narrazione l’ordin de’ tempi (a). Ella fu poscia continuata da altri scrittori nel secolo susseguente, de’ quali altrove ragioneremo. Qui non dee ommettersi che nel titolo essa si dice (voi. 1 1 Script. Rer. ital. p. 139) estratta da altre Cronache. Il che ci mostra che la città di Asti avea anticamente avuti altri scrittori della sua storia. E io credo certo che molte altre città parimenti avessero ne’ tempi addietro Cronache antiche, di cui si valessero i posteriori scrittori a compilare le loro Storie. Ma questi ne adottarono di buona fede tutti i racconti, senza esaminare e distinguere ciò di che quelli erano stati testimonj di veduta , da ciò che avean ricevuto per semplice (a) Di Ogerio Alfieri e della Cronaca da lui scritta, che dovea essere assai più ampia di quella che ora abbiamo , veggasi ciò che eon esattezza ha osservato il sig. conte di Cocconalo (Piemontesi ili. t. 4j P• ’t>7s ce.) altrove da noi citato con lode. 502 libro secondo popolar tradizione; e 11011 contenti di ricopiarne le favole di cui quegli avean ripiene le loro Cronache, più altre ancor ve ne aggiunsero di nuovo conio. Lascio di favellare di più altre Cronache o anonime, o brevi, o di non molto valore , che in questo secolo stesso furono scritte; poichè ciò che detto ne abbiamo finora, ci mostra abbastanza che quasi in ogni parte d’Italia si pensava di questi tempi ad illustrare, come meglio si potea, la storia; e il volere entrare in certe più minute e più picciole discussioni altro frutto non produrrebbe che una inutile noja a me, non meno che a’ cortesi lettori.