Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo III/Libro IV/Capo III

Capo III – Belle lettere

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Capo III.

Belle lettere.

I. Benchè in questo ancora, come ne’ tre precedenti libri, noi siamo per radunare sotto un sol capo tutto ciò che appartiene alla gramatica, all’eloquenza, alla poesia latina e alla storia profana; nondimeno tutte queste materie, benchè unite insieme, assai scarso argomento ci somministrano a ragionarne. A coltivare gli studi sacri venivano gl’italiani eccitati dalle controversie co’ Greci, coi quali entravano spesso a conferenze e a dispute, ee’era perciò necessario che si fornissero di quella scienza che a ribattere i loro argomenti si richiedeva, e innoltre dalle dissensioni tra ’l sacerdozio e l’impero, per le quali combattendosi non sol coll’armi, ma ancor colla penna e coi libri, coloro ch’eransi esercitati negli studi di tal natura, potevano lusingarsi di ottenere scrivendo e grazia presso di quelli di cui sostenevan la causa, e fama presso de’ posteri. Le belle lettere non erano avvivate da tali stimoli; e perciò men frequenti e men fervidi erano i loro coltivatori. E innoltre que’ medesimi che le coltivavano, non potendo comunemente usare, per le ragioni altre volte addotte, di quello stil colto e vezzoso, senza cui esse non hanno alcun pregio, non ci dieder tai saggi del loro ingegno e del loro studio, che meritassero ae’essi la fama di scrittori valorosi. Ma qualunque essi si fossero, i loro sforzi son degni di lode, e [p. 487 modifica]QUARTO 4^7 noi dobbiamo perciò farne onorevol menzione, e non permettere che perisca la memoria di quelli che in mezzo a gravissime difficoltà coltivarono questa sorta di studi. II. E per cominciar, com’altre volte abbiam fatto, da quelli che si rivolsero allo studio delle lingue straniere, abbiam veduto poc’anzi che nella lingua greca era assai ben versato l’arcivescovo di Milano Pier Grossolano. Era pure verso que’ tempi medesimi in Milano, per testimonianza di Landolfo il vecchio (Hist. l. 3, cit 4)> un cotale Ambrogio Biffi, così detto, se crediamo al medesimo storico, perchè egli era Hi fario, cioè perchè nella greca non meno che nella latina favella esprimevasi con chiarezza e con eleganza maravigliosa. Lo stesso Landolfo ci ha conservato un discorso fatto da Ambrogio (ib. c. 23) contro il celibato degli ecclesiastici, di cui egli era ostinatissimo impugnatore; ma, a dir vero, questo discorso non ci dà grande idea del sapere e della erudizion del suo autore, e forse Landolfo ne esagerò alquanto le lodi, perchè egli ancora era sostenitore della medesima causa. Somigliante elogio egli fa di un cotal prete Andrea milanese, di cui pur dice ch’ era nelle sacre e nelle profane, nelle greche e nelle latine lettere assai erudito (ib. c. 21). Abbiamo ancora poc’anzi fatta menzione di Domenico patriarca di Grado, che una lettera in lingua greca scrisse contro gli errori de’ Greci; di Ugone Eteriano versato esso pure nella lingua medesima, a cui si può aggiugner Leone di lui fratello, il quale, come osserva ilTriteinio (De Script, eccl. c. 4oo), [p. 488 modifica]488 unno era alla corte di Manuello Comneno interprete delle leggi imperiali. Di questi due fratelli tratta assai eruditamente il dottissimo e da me altre volte citato monsig. Giangirolamo Gradenigo (Della Letterat greco-ital. c. 8). Nel capo v dovrem ragionare di Giovanni famoso filosofo italiano, che pel suo sapere acquistossi in Costantinopoli straordinaria fama; e di altri pure dovrem rammentare le traduzioni che di più libri greci fecero in lingua Ialina. Alcuni greci poetici componimenti di un Costantino siciliano , che dicesi filosofo e gramatico nel secolo xi, conservansi in Firenze nella biblioteca Laurenziana (lì andai. Cat.MSS. Codd. gr. li ibi. Laur. t. 2, p. a li). «Al principio dell’xi secolo anche alcuni notai affettarono di mostrarsi dotti nel greco, scrivendo in questa lingua il lor nome al fine degli stromenti da essi stipulati. Due esempj se ne posson vedere nel Codice Diplomatico Nonantolano da me pubblicato (Stor. della 1ladia diNonant. t. 2,p. 152) ». Aggiungami alcune pitture di questi tempi, in cui si veggono scritte lettere e parole greche, e molti codici greci scritti a questa medesima età, de’ quali però converrebbe accertare se scritti fossero in Italia, o ne’ tempi più tardi vi venisser d’altronde; de’ quali argomenti tratti dalle pitture e da’ codici greci veggasi il sopraccitato monsig. Gradenigo (l. cit. c. 5,6). Io per non allungarmi di troppo, mi ristringerò a due soli che maggiori pruove diedero del lor sapere in questa lingua; cioè a Papia e a Burgundione ossia Burgondio , pisano (*). (’) A gl* Itoliani che nel secolo xii coltivarono la lingua [p. 489 modifica]QUARTO 4^9 in. P* rputl patria precisamente fosse Papia, niuno ci ha lasciata memoria. Tolomeo di Lucca , che scrisse al principio del xiv secolo, dice ch’gli era di nazione Lombardo (IJist. cccl. /. 21, c. 18, t 11 Script. rer. ital.), e similmente il Tritemio lo chiama generalmente Lombardo (De Script, eccl. c. 414) e quindi formandone un magnifico elogio, dice ch’egli era uomo nelle secolari lettere eruditissimo, il più famoso gramatico de’ suoi tempi, perfettamente istruito nella greca e nella latina favella , e anche nelle divine scritture non mediocremente versato. Aggiugne che nell’una e nell’altra lingua avea scritte alcune eccellenti operette di diversi argomenti, e che tra esse eran solamente giunti a sua notizia un libro del metodo di favellare, un altro de’ vocaboli della lingua latina, e varie lettere; e conchiude dicendo che fiorì a’ tempi di Arrigo VI l’an 1200. Nel che però il Tritemio prese certamente errore, come ora vedremo. L’unica opera che ci sia rimasta di Papia, è il suo Vocabolario, o, come egli l’intitoli», Elementaría , che è in somma un lessico delle voci latine, imperfetto al certo e mancante, e a cui non convien sempre prestare una troppo cieca credenza; ma assai pregevole nondimeno, sì perchè ei fu uno de’ primi che innanzi al greca, deesi agg’mgnerc Pasquale vescovo di Equilio, città ora distrutta presso Venezia, il quale circa il 1170 fu perciò scelto dal doge di Venezia ad andare in suo nome aml>asciadore all1 imperador di Costantinopoli (Flam. Cornei. Feci. ven. voi. 10, pars 3, p. 3ip). in. E fra essi sincolarmcnle rupia autore di uu Lessico latino. [p. 490 modifica]49° • LIBRO risorgimento delle lettere a tal lavoro si accingessero , sì perchè molte utili osservazioni vi s’incontrano, che in vano cercherebbonsi presso altri autori. Egli il pubblicò l’an 1053, come abbiam nella Cronaca d1 Alberico monaco pubblicati dal Leibnizio (Access, hist. t.2 ad h. an.), o a meglio dire, come questo scrittore prova chiaramente dalle parole stesse di Papia. Egli il compose singolarmente a uso de’ suoi proprj figliuoli, e ad essi perciò indirizzollo con una lettera che si vede premessa alle edizioni di questo libro , e parte della quale riportasi dal Fabricio (Bibl. lat. t. 2 , p. 46{)■ Da alcuni versi premessi a un antico codice manoscritto di questo Lessico, che sono stati pubblicati dall1 Ondili (De Script, eccl. t. 2, p. 621), raccogliesi che a compitarlo egli impiegò dieci anni. Esso fu pubblicato la prima volta in Milano l’an 1476 (Saxius Hist. typ. mediol, p. 565), e dopo questa altre posteriori edizioni ne abbiamo avute, benchè i più copiosi e più esatti lessici che sonosi dappoi dati dalla luce, abbian fatti dimenticare gli antichi. Or che Papia fosse assai bene istruito nella greca lingua , ciò che da noi deesi singolarmente osservare , oltre la testimonianza del Tritemio, ne abbiamo una certa pruova nel suo medesimo Vocabolario, ove all’occasione ei reca e parole e versi greci, come dimostra il sopraccitato monsig. Grandenigo (Rag. ec. c. 6.). IV. Perizia ancor maggiore nella lingua greca dovea avere Burgondio pisano, il quale, benchè esercitasse la professione di giureconsulto, maggior fama però acquistossi nella greca [p. 491 modifica]QUARTO letteratura. Da un passo di Giovanni Diacono veronese vissuto nel xiv secolo il ch. monsignor Mansi ebbe qualche sospetto (Fabr. Bibl. lat. med. et inf. aet. t 1, p. 305) che l’età di Burgondio dovesse fissarsi non al XII secolo, come si è creduto finora, ma al XIII. Troppi sono però gli autentici documenti a difesa della comune opinione , perchè le parole di un antico scrittore, che facilmente ancora poteron esser guaste , debbano aver forza a distruggerla. Oltre un codice di un libro attribuito a S. Gregorio Nisseno , e dal Burgondio recato in latino, in cui dicesi ch’esso fu da lui tradotto l’anno i 1C0, del qual codice favella l’erudito Pignoria (ep. 39) ad Jo. finn ¡facilini), egli vedesi nominato in due carte dell’an 1146, e in un’altra del 1152, accennate dopo altri dal cavalier Flaminio dal Borgo nella dottissima sua dissertazione sull’Origine dell’Università Pisana (p. 86, ec.). Ma soprattutto noi il veggiamo in qualità di giudice de’ Pisani insieme con Alberto lor console e con Marco conte inviato dalla sua patria a Costantinopoli l’anno 1172 per confermare colf iniperator Mannello Comneno i capitoli di vicendevole alleanza già stabiliti. Ad nostram Serenitatem, dice Pimperator Manuello nel suo diploma (Dal Borgo Racc. di Docum. pisani p. 135), Legati ad hujusmodi terra equidem pervenen mt, prudentissinius videlicet Consul hujusmodi terrae Albertus, et ci ini eo Judéx Burgundius, et Comes Marcus. Di questa ambasciata parla sotto quest’anno medesimo la Cronaca di Pisa pubblicata dopo l’Ughelli dal Muratori (Script. rer. ital. t. 6, p. j 86), e ne ragiona [p. 492 modifica]403 LIBRO 10 stesso Burgondio nel prologo premesso alla sua traduzione dell1 Omelie di S. Giovanni Grisostomo sul Vangelo di S. Giovanni (Martene Collect. vet. Script t. 1, p. 828), in cui racconta che essendo per affari di Pisa sua patria andato ambasciadore a Costantinopoli, ed avendo ivi perduto per morte un suo figlio detto Ugolino, per recargli suffragio con qualche opera di pietà, avea determinato di accingersi a tal versione, dacchè, ei dice, io avea già per 178 l’addietro offerta al pontefice Eugenio III la traduzione delle Omelie del medesimo Santo sul Vangelo di S. Matteo. Quindi soggiugne che non avendo per la moltiplicità degli affari potuto ivi condurre a esecuzione il suo disegno, nel suo ritorno giunto a Messina cominciò a recare quelle Omelie di greco in latino, e continuando il viaggio continuò pure e trasse a fine la traduzione. Dall1 epitaffio, di cui or or parleremo, raccogliesi ancora eli1 egli avea tradotte le Omelie di S. Giovanni Grisostomo sulle Lettere di S. Paolo. Inoltre egli recò dal greco in latino l1 opera della Fede Ortodossa di S. Giovanni Damasceno con alcuni altri opuscoli del mede imo. Delle quali e di alcune altre versioni, e de’ codici manoscritti che ancor ce ne restano , veggasi f Ondili (De Script eccl. t 2, p. 1296), il Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 1, p. 304), il cavalicr dal Borgo (Orig. dell’Univ. Pisana p. 87), monsignor Gradenigo (l. cit. c. 7), il conte. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 2, p. 1768) e il ch. ab. Lorenzo Mehus (Vit. Ambr. Camald. p. 217). Tra queste versioni fatte dal greco per opera di Burgondio essi annoverano ancora due [p. 493 modifica]QUARTO 4(j3 opere eli Galeno, cioè il trattato del Governo della sanità, e quello degli Alimenti. Ma oltre queste assai più altre ancora egli ne recò in latino, ch’essi non han rammentato, e che conservansi nella biblioteca del re di Francia; cioè il libro delle Sette de’ Medici, i quattro libri delle Differenze de’ polsi, e i quattordici libri dell’Arte del medicare, e parte ancora de’ libri detti de’ Sanativi (Cat. MSS. Bibl. reg. Paris, t. 4, n. 6865, 6867). Anzi parlando in questo libro medesimo della medicina, vedremo ch’egli avea tradotti ancora gli Aforismi d’Ippocrate, e che la traduzion da lui fattane era miglior di quella che nel secolo precedente n* avea fatta il monaco Costantino africano. Finalmente tradusse ancora l’opera attribuita a S. Gregorio Nisseno, ma veramente di Nemesio, sulla Natura dell’uomo, che abbiamo alle stampe, benchè poscia corretta da altri (Oudin l. cit.), c 1111 libro intitolato Vindemiae, cui afferma di aver veduto manoscritto il sudetto Pignoria (l. cit). Il libro attribuito a S. Gregorio nisseno fu da lui dedicato all’imperator Federigo Barbarossa, e il prologo pubblicato dal P. Martene (Coll. vet. Script Li, p. 827) ha questo titolo: Invictissimo et gloriosissimo Domino Federigo Dei gratia Romanorum Imperatori et Caesari semper Augusto Burgundio Judex natione Pisanus felicitatem et de inimicis triumphum. V. Queste traduzioni di diverse opere sacre fatte da Burgondio ci mostrano che anche nelle scienze ecclesiastiche egli era probabilmente ben istruito; e due altre pruove ne abbiamo ancor meno dubbiose. La prima si è l’assister eli’ ci v. Questi era ancor molto versato nelle scie tue mese. [p. 494 modifica]494 LiBno fece alla conferenza tenutasi in Costantinopoli intorno agli errori de’ Greci da Anselmo vescovo di Avelberga e poi arcivescovo di Ravenna, spedito colà suo ambasciadore dalfimperador Lottario II co’ più dotti di quella nazione, Abbiamo ancora la relazione che questi ne scrisse al pontefice Eugenio III (Dacher. Spicil. t. 1 nov. ed. p. 161) , in cui parlando di color tra’ Latini clic vi erano intervenuti, tre Italiani nomina singolarmente, come i più dotti fra gli altri: Aderant quoque non pauci Latini, inter quos fuerunt tres viri sapientes in utraque lingua periti et literarum doctissimi, Jacobus nomine Veneticus natione, Burgundio nomine pisanus natione; tertius inter alios praecipuus, graecarum et latinarum literarum doctrina apud utramque gentem clarissimus, Moyses nomine, Italus natione , ex civitate Pergamo: iste ab universis electus est, ut utrinque fidus interpres esset (l. 2, c. 1). Di Jacopo Veneziano diremo nel tomo seguente. Di Mosè da Bergamo dovrem parlare in questo capo medesimo. Questi due adunque insiem con Burgondio intervennero, ed ebber parte alla conferenza mentovata poc’anzi; e il passo qui riferito ci fa vedere qual concetto aveasi di questi tre valentuomini. L’altra celebre adunanza a cui fu presente Burgondio, fu il Concilio tenuto in Roma l’an 1179, come dimostra il Muratori (Ann. d’Ital, ad h. an.), e non nel 1180, come altri scrissero. Roberto del Monte, scrittor quasi contemporaneo a Burgondio, dice (in Chron. ap. Pistor. Script. rer. germ. t. 1) che tra gli altri andovvi questo celebre giureconsulto, in ter quos vixit quidam civis [p. 495 modifica]QUARTO 4g5 pisanus nomine Burgundio, peritus tam graecae quam latinae eloquentiae; e aggiugne ch’egli recovvi il Vangelo di S. Giovanni da lui tradotto dal greco, cui S. Giovanni Grisostomo avea colle sue Omelie esposto; colle quali parole sembra indicare la traduzione delle Omelie di S. Giovanni Grisostomo, di cui abbiam poc’anzi parlato; e che affermò di avere ancora tradotta in gran parte la Genesi, ossia le Omelie del medesimo Santo sul detto libro. Morì Burgondio l’anno 1194 a’ 30 d’ottobre, e vedesi ancora in Pisa l’onorevole epitaffio in versi, di cui ne fu ornato il sepolcro. Io lascio di qui riportarlo, perchè si può vedere presso il Fabricio e presso il cavalier dal Borgo (l. cit.), il quale però, e a ragione , si duole che l’arca marmorea in cui fu sepolto questo grand’uomo nel tempio di S. Paolo a Ripa d’Arno, sia stata poi trasportata fuor dal tempio medesimo, e abbandonata alle piogge ed a’ venti. VI. Di eloquenza non ci si offre ancora saggio o esempio di sorta alcuna, se se ne traggono i sermoni e le omelie di alcuni di quelli de’ quali abbiamo parlato nel capo secondo, e che non sono comunemente un troppo perfetto modello di ben ragionare. Ancorchè i vescovi e gli altri sacri ministri che favellavano al popolo, fosser uomini dotti, come nondimeno il popolo era comunemente rozzo ed incolto, conveniva loro, seppur volevano essere intesi, rendersi in certo modo rozzi ed incolti, e adattarsi al pensare e al ragionare de’ loro uditori. Altre occasioni di far pompa di eloquenza non si presentavanoj perciocchè il perorare nel foro vi. Di eloquenza non si ha alcun saggio degno di memoria. [p. 496 modifica]4^6 LIBRO o innanzi a’ giudici non era molto in uso; e se in alcune città usavasi pure di trattare le cause per mezzo di avvocati che perorassero] questi valevansi della scienza legale, anzichè dell’eloquenza, e giaceasi però quest’arte dimenticata quasi interamente e negletta. Sorte meno infelice ebbe la poesia, poichè se non vi furon leggiadri ed eleganti poeti, furon nondimeno a quest’epoca molti, e tra essi alcuni non del tutto barbari verseggiatori, u Allor quando Federigo I, venuto in Italia l’anno 1158, tenne la solenne assemblea in Roncaglia nel Piacentino, racconta Radevico canonico di Frisinga, che alcuni poeti si trovarono, i quali presero a celebrare co’ loro versi le azioni dell1 imperadore: Fuere etiam, qui ibidem in publico facta imperatoris carminibus favorabilibus celebrarent (Script. rer. ital. t. 6, col. 786). Ma non sappiamo chi fosser questi poeti; e probabilmente non dobbiamo dolerci che coteste lor poesie non siano a noi pervenute ». I monaci che in questa età furono i più indefessi coltivatori di tutti gli studj, a questo ancor si rivolsero , e noi cominceremo ad annoverare alcuni di loro de’ quali o ci sono rimaste le poesie, o almen sappiamo che in esse si esercitarono. VII. Molte poesie di Alfano, prima 1 lonaco casinese e poi arcivescovo di Salerno dal 1057 fino al 1085, si rammentano da Pietro Diacono (Da Vir. ill. c. 19), e ne abbiamo ancora parecchie date alla luce dall’Ughelli (Ital. sacra t. 10 Colet, ed.), dal Mabillon (Acta. SS. Ord. S. Bened. t. 1), dal cardinale Baronio (Ann. eccl. ad an. 1111) e da altri, oltre molte che [p. 497 modifica]QUARTO 497 ancor rimangono manoscritte} delle quali e di altre opere dello stesso Alfano, oltre Pietro Diacono, si posson vedere il Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 1, p. 70) e il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1; p. 473), i quali però saggiamente distinguono due Alfani amendue arcivescovi di Salerno, uno di cui abbiam or favellato, l1 altro che gli succedette, e tenne quella sede fino all’anno 1121, e a cui si debbono attribuire alcune delle poesie che tra quelle del primo Alfano si veggono pubblicate. Verseggiatore ammirabile dicesi da Pietro Diacono (c. 20) Amato monaco egli pur casinese, e poscia vescovo non si sa di qual chiesa, e ne rammenta quattro libri di versi in lode de’ SS. apostoli Pietro e Paolo, da lui mandati a Gregorio VII, e alcune altre poesie. Noi soffrirem di buon animo la perdita che di essi si è fatta (18), poichè crediamo che que’ versi non fosser poi cotanto ammirabili, come sembravano a Pietro (*) Ilo detto, seguendo la comune opinione, che il poema del monaco Amato in lode de’ SS. Pietro e Paolo si è smarrito. Ma il soprallodato P. Trombelli possedeva un antichissimo codice in cui contiensi il poema di Amato in lode di S. Pietro: esso ha per titolo: Liber Amati Monachi Cassinensis destinatus ad Domuum Gregorium Papam in honore Beati Petri Apostoli. Incipit Praefatio ejusdem libri. Rechiam per saggio i versi di questa breve prefazione. Agnus adest, cuncti qui tollit crimina mundi, Protinus Andreas quem post crucifixit Egeas Prosequitur, tandem lucem transegit; eundem Cum Christi fratri post curat notificari. Attrahit hunc secum valeat quo cernere Jesum: Hunc Deus ut vidit Simonem quem nomine scivit Nomea mutavit, quem Cepham ipse vocavit. Tiraboschi, Voi. III. 32 [p. 498 modifica]4^)8 unno Diacono} ma s’egli è vero, come sembra accennare il canonico Mari (in not. ad h. l.), che nella biblioteca di Monte Casino trovisi ancor manoscritta una Storia de’ Normanni in otto libri, eli1 egli avea composta, noi non possiamo non desiderar caldamente eli1 essa venga alla luce. Non è gran danno che si perdano le poe- j sie, qualunque esse siano, poichè tal perdita si può riparar facilmente. Ma una Storia, ancorchè scritta senza eleganza, ci può dare troppo bei lumi, perchè non dobbiamo bramare di vederla un dì pubblicata (19). Lo stesso titolo di verseggiatore ammirabile, che dovea allora darsi a buon prezzo, si concede da Pietro Diacono all’abate Oderisio primo di questo nome (ib, c. 28). Anche quell1 Alberico teologo illustre, di cui abbiam ragionato nel primo capo, avea fatto dei versi (ib. c. 2 x), probabilmente ammirabili aneli1 essi, come gli altri sopraccennati. Ma tali certamente erano, secondo lo stesso autore (ib. c. 33), que’ di Gregorio prima monaco casinese e poi vescovo di Sinuessa verso il 1120, e que’ di Landenolfo, i quali piacquer per modo all’abate Desiderio, poscia papa col nome di Vittore III, ch’egli il fece scrivere all’intorno del Capitolo e del chiostro del monastero medesimo di Monte Casino (ib. c. 41)} e molto più quelli di Rainaldo suddiacono, uomo nclF arte di verseggiare * degno di essere (a) La Storia di Amato qui indicata or più non travasi nel monastero di Monte Casino , come ha osservato l’eruditissimo P. d’Afflitto (Mem, degli Scritt, napol, t. I , pag. 272, ec.). [p. 499 modifica]QUARTO 4ìJ9 in ogni cosa paragonato agli antichi (ib. c. 44); di cui sono, per testimonio del canonico Mari (in not ad h. l.), alcuni Inni nel Breviario benedettino. Altri per somigliante maniera valorosi poeti si rammentano da Pietro Diacono; anzi appena vi è alcuno de’ monaci casinesi di questi tempi, di cui egli ragioni, e di cui non rammenti qualche poetico componimento. L’esser poeta era allor cosa facile, perchè bastava fare de’ versi per ottenere un tal nome. Ma ciò non ostante noi dobbiamo, come altre volte ho detto, e lodare e ringraziare ancora questi, qualunque fossero, coltivatori della poesia, poichè per mezzo loro e sono fino a noi giunte le migliori opere degli antichi poeti, e non è interamente perita quest’arte, sicchè riuscisse poi troppo difficile il ravvivarla. VIII. Non si ristette però tra ’l silenzio de’ chiostri monastici di Monte Casino lo studio della poesia; ma altri ancora vi ebbe che ad essa si volsero, e taluno con assai maggiore felicità che non era ad attendersi a que’ tempi. Fra essi io nominerò dapprima Guglielmo della Puglia, autore di un poema in cinque libri diviso su le imprese de’ Normanni in Italia dalla prima loro discesa fino alla morte di Roberto Guiscardo. I Maurini autori della Storia letteraria di Francia dicono (t 8, p. 488, ec.) ch’egli ebbe il nome di Pugliese, non perchè ei fosse natio di quella provincia, ma solo pel lungo soggiorno ch’egli vi fece; e protestano che il solo amore di verità li conduce a seguire questa opinione; e si sforzano di arrecare congetture e ragioni colle quali ad essi sembra di [p. 500 modifica]500 LIBRO dimostrare ch’egli era normanno di nascita. Ma che giovano anche i più forti argomenti a provare la patria di uno scrittore, se egli stesso ci mostra espressamente il contrario? Or io dico che Guglielmo apertamente ci fa vedere eh1 ei non fu normanno, ma bensì italiano. Udiamo com’egli spiega l’etimologia della parola Normanni al principio del suo poema: His quando ventus, quem lingua soli genialis North vocat, advexit boreas regionis ad oras, A qua digressi fines petiere Latinos: Et Man est apud Hos, homo quod perhibetur apud Nos, Normanni dicuntur, idest homines boreales. Poteva egli spiegare più chiaramente ch’ei non era normanno? Da essi si chiama man ciò che da noi si dice homo. Chi mai ha usata tal maniera di favellare parlando della sua nazione? O a dir meglio, qual espressione si può trovare che più evidentemente ci mostri che la patria del poeta è diversa dalla patria di quelli di cui ragiona? Era dunque certamente italiano Guglielmo, ed è verisimile che il soprannome di Pugliese gli venisse dall’esser la Puglia sua E a tri a non che sua stanza. Egli è però probabile ciò che aggiungono i Maurini, cioè ch’egli fosse quel Guglielmo della Puglia che trovossi al Concilio di Bourdeaux l’anno 1096 (Baluz. Miscell, t. 2, p. 1 y3*), essendo verisimilmente venuto in Francia con Urbano II. E se essi pensano che ciò basti a riporlo nel numero de’ loro scrittori, noi ci rallegreremo con essi che possano a sì leggier costo accrescer di molto la storia della loro letteratura. Quando ei morisse, non ne abbiamo nè notizia nè [p. 501 modifica]QUARTO 5oi congettura alcuna. Il principio del poema da lui composto sembra prometterci eleganza a que’ tempi non ordinaria: Gesta ducum veterum veteres cecinere poetaej Aggrediar vates novus edere gesta novorum. Dicere fert animus, quo gens Normannica ductu Venerit Italiam, fuerit quae caussa morandi , Quosve secuta duces Latii sit adepta triumphum. Ma poscia cade egli ancora ben tosto nell’usata rozzezza, e pochi versi ci offre che possan leggersi con piacere. Ei nondimeno dovea lusingarsi di esser poeta di qualche pregio, perciocchè al fin del poema volgendosi a Ruggiero figliuol di Roberto , per cui comando avealo scritto, non teme di confrontarsi quasi a Virgilio. Nostra, Rogere, tibi cognoscis carmina scribi: Mente tibi laeta studuit parere poeta. Semper et auctores hilares meruere datores. Tu duce Romano dux dignior Octaviano, Sis mihi, quaeso, boni spes , ut fuit ille Maroni. Questo poema, dopo altre edizioni, è stato inserito dal Muratori nella gran Raccolta degli Scrittori delle cose italiane (t. 5, p. 245). IX. Tre altri poeti di questi tempi medesimi nulla più eleganti, e forse ancora più incolti del precedente, abbiamo nella stessa mentovata raccolta. Il primo è Donizone prete e monaco nel monastero di Canossa nel territorio di Reggio , il quale, vivendo ancora la celebre contessa Matilde, prese a scriverne verseggiando la Vita; e poichè ella morì l’anno 1115, vi aggiunse un capo a raccontarne la morte. Di lui veggasi la prefazione del Muratori, che, come IX. Dnnizotie , 1* Anonimo comasco, e Mosi-di Bergamo; ricerche su quell’ui limo. [p. 502 modifica]r»0 2 LIBRO si è detto, dopo altre edizioni l’ha di nuovo data alla luce (ib. p. 337), ma assai più accresciuta e corretta. Più barbaro ancora è il secondo poeta, cioè quegli che ha scritta la Storia della crudele e funesta guerra che fu tra’ Milanesi e i Comaschi dall’an 1118 fino al 1127. Chi egli fosse, non si può accertare} e perciò chiamasi col nome di Anonimo Comasco. Certo egli era a que’ tempi, e scrisse ciò che avea egli stesso veduto. Vera referre volo , quantum queo: falsa tacebo, Quaeque meis oculis vidi, potius reserabo. Esso è stato per la prima volta pubblicato dal Muratori (ib. p■ 4°1)? e(l illustrato con assai erudite note dal P. Giuseppe Maria Stampa somasco , de’ quali si posson vedere le prefazioni al poema stesso premesse. Il terzo è l’autor del poema delle Lodi di Bergamo, pubblicato già in Bergamo da Mario Mozzi l’anno 1596 insieme colle Poesie di Achille suo padre, e poscia più correttamente dato di nuovo alla luce dal medesimo Muratori (ib. p. 523). Nella prima edizione se ne fa autore Mosè Mozzi di Bergamo , e vi si premette una sua lettera alP imperador Giustiniano II, a cui offre il suo poema con questo titolo: Splendore justitiae cum majestate Imperiali ac sapientia singulari fulgenti D. Justiniano hujus nominis II Imperatori Constantinopolitano, etc. minimus servorum suonim suorum Moyses Mutius Pergamensis devotam servitutem et prosperos successus; dal che sembra provarsi che a’ tempi di questo imperadore, cioè al principio dell’viii secolo, [p. 503 modifica]QUARTO 5o3 fiorisse Mose. Anzi egli slesso di ciò ci assicura , perciocchè conchiude il suo poemetto così: Post septingentos annos septemque peractos Virginis a partu, et populos tibi Marte subactos. Niuno avea ancora ardito di opporsi a tale opinione. Ma il Muratori nel far la nuova edizione di questa operetta, prese a combatterla, e a sostenere che nè lo scrittore di essa era vissuto al secolo VIII, nè apparteneva alla nobile e antica famiglia de’ Mozzi. E quanto alla prima quistione, egli ne ha addotte sì chiare pruove, che conviene esser cieco per non vederne la forza. Il solo titolo che abbiam di sopra recato , è tale argomento che non ammette risposta; perciocchè nè lo stile è di que’ tempi, nè allora a’ nomi de’ principi aggiugnevasi il Primo , Secondo , ec.; nè gV imneradori dicevansi Costantinopolitani, perciocchè essendovi un imperador solo , questi serbava il nome d1 imperador de’ Romani, de’ quali in fatti egli era ancora sovrano. Aggiungasi il magistrato de’ Dodici, da cui reggevasi Bergamo ai tempi dell’autore , il che all’età de’ Longobardi non compete in alcuna maniera; e più altre pruove che si potrebbono arrecare, ma che non son necessarie a chi ha-puntq di lume di buona critica. Atterrata questa opinione, il Muratori propone la sua, cioè che Mosè autor di questo poema vivesse nel XII secolo. Egli osserva che parlando il poeta della famiglia de’ Mozzi fa onorevol menzione singolarmente di un Ambrogio. Or un Ambrogio della famiglia de’ Mozzi fu appunto vescovo di Bergamo dall’anno 1 11 a fino [p. 504 modifica]5c>4 LIBRO al 1129, e questi sembra essere appunto il lodato dal nostro poeta. La congettura è ottima a provare che Mosè visse nel XII secolo. Ma un1 altra pruova assai più conchiudente avrebbe il Muratori potuto recarne, s’egli avesse posto mente al passo di Anselmo vescovo d’Avelberga da noi poc’anzi recato, in cui tra quelli che intervennero alla conferenza tenutasi in Costantinopoli a’ tempi di Lottario II, cioè tra l’anno na5 e il ii 3^, vien da lui nominato un Mosè bergamasco , e onorato con questo magnifico elogio: tertius inter alios praecipuus, graecarum et latinarum literarum doctrina apud utramque gentem clarissimus, Moyses nomine, italus natione, ex civitate Pergamo: iste ab universis electus est, ut utrinque fidus interpres esset. Possi am noi dubitare che questi non sia appunto il Mosè autore del poemetto di cui trattiamo? E molto più che in un codice ms. di esso veduto dal Muratori in una nota aggiuntavi così si legge: Dici tur, quod cum quondam magister Moyses pergamensis valens et probus homo in scriptura esset in curia imperatoris constantinopolitani, et laudaret saepe civitatem suam, sicut est mos bonorum civium, et dominus imperator sai pa diceret ei: libenter scirem statum et conditionem illius civitatis; ipse magister Moj ses compostiti hunc librum ad preces ipsius domini imperatoris. Qui non si nomina nè l’imperadore, nè l’anno in cui avvenne tal cosa; ma essendo certo che un Mosè bergamasco fu in Costantinopoli a’ tempi di Lottario II, non è egli chiaro che di questo Mosè appunto deesi intendere la recata nota? In fatti il signor [p. 505 modifica]QUARTO 5o5 Ferdinando Caccia erudito scrittor bergamasco, il quale l’anno i’ /jS avea pubblicata una sua operetta contro il Muratori, in cui erasi sforzato di sostenere l’antica opinione intorno all’età di Mosè, poichè ebbe veduto l’arrecato testo d’Anselmo, con quella sincerità eh’ è propria degli uomini dotti, ritrattò il suo parere in un’aggiunta alla stessa operetta stampata l’anno 1764; anzi a conferma dell’opinione del Muratori aggiunse che in un archivio di Bergamo conservasi ancora una lettera dello stesso Mosè scritta da Costantinopoli a Pietro suo fratello e proposto della cattedrale nella stessa città di Bergamo (20). Che poi Mosè appartenesse alla nobil famiglia de’ Mozzi, che in Bergamo sussiste e fiorisce ancora, a me pare che dal chiarissimo Muratori si neghi senza bastevole fondamento. Il negherei io pure, se credessi che Mosè fosse vissuto al secolo ottavo, (a) 11 sig. Caccia poteva dire più chiaramente che l’accennata lettera si conserva nell’archivio capitolare di Bergamo; ma poteva anche aggiugnere ciò che avrebbe ultimata la questione intorno al suo cognome , e ciò che ora mi obbliga a cambiar sentimento , cioè che in essa egli si dice Mosè del Brolo, e che egli perciò non appartiene alla famiglia dei Mozzi. Sembra che questi sia quel Mosè, detto scrittor greco, di cui nella reale biblioteca di Parigi conservasi un opucolo ms. in quo nonnulla S. Hieronymi Epistolae ad Paulinum loca explicanlur (Cai. Al SS. Bibl. Reg. Paris, vol. 3, cod. 548!) che trovasi pure in due codici di Lipsia riferiti dal Fellero (p. 62, 73), e pare la stessa operetta che si conserva ancora nella biblioteca di S. Marco, come mi ha avvertito il sig. D. Jacopo Morelli. Questa così comincia: Praeteriere jam plures anni, posteaquam litteris suis me quidam clericus nomine, ec. [p. 506 modifica]5o6 LIBRO in cui i cognomi delle famiglie non usavansi ancora; ma nel secolo XII essi già cominciano a vedersi. Egli è vero che nel codice dal Muratori veduto non si legge che il puro nome di Mosè; e che questi non accenna mai ne’ suoi versi di essere di tal famiglia. Ma ciò non ostante, le lodi di cui egli onora, come si è detto , il vescovo Ambrogio dei Mozzi, gli elogi eli’ ei fa di questa famiglia, e la descrizione del Castello di Mozzo, onde questa famiglia trae il suo nome, ci sono un assai forte argomento a credere ch’egli fosse appunto di questa stessa famiglia, benchè egli espressamente nol dica. Certo non si adduce dal Muratori pruova di sorta alcuna a mostrare che ciò non fosse. Benchè fosse però il nostro Mosè uomo sì dotto, come abbiam veduto poc’anzi, il suo poema, per vero dire, è assai barbaro e rozzo, e, ciò che più il rende nojoso a leggersi, coi versi rimati l’uno colf altro all’uso de’ Francesi. Ma già abbiamo osservato che anche i più dotti uomini di questa età erano assai mediocri poeti. X. Il meno incolto fra i poeti di questo tempo è Lorenzo diacono della chiesa di Pisa , e natio o di Verona, o, come altrove si legge, di un luogo, qualunque egli sia, chiamato Verna. Viveva egli al principio del XII secolo, quando i Pisani intrapresero e condussero felicemente a fine negli anni 1114 e 1115 la famosa spedizione contro le Isole Baleari, di cui si fecer signori. Questa prese egli a descrivere con un poema diviso in sette libri, che per la prima volta fu tratto a luce dall1 Ughclli (Itili, sacra [p. 507 modifica]QUARTO 507 t. io Colei, ed. p. 127), e poscia pubblicato di nuovo dal Muratori (Script Rer. ital. t 6, p. 112). Egli non è certo un Virgilio, ma è assai migliore degli altri poeti di questa età; e alcuni versi possono sembrar degni di miglior secolo Alcuni altri poeti potrei qui rammentare; ma non giova trattenersi più oltre ragionando di tali scrittori che non furono comunemente uomini di cui molto ci debba premere che si conservi la fama. Di Arrigo da Settimello , che visse in parte a quest’epoca, ci riserberemo a ragionare nella seguente, a cui singolarmente fiorì. Di Giovanni milanese, che in versi espose i precetti della Scuola salernitana , parleremo in questo libro medesimo, ove dovrem trattare de’ medici. A conchiuder dunque il presente capo, rimane solo che favelliamo degli scrittori che co’ loro libri illustrarono la storia profana. XI. La città di Milano, che per le dissensioni da cui fu in questi tempi sconvolta, non meno che per le guerre infelici contro di Federigo I, diede di se stessa all’Italia sì grande e sì luttuoso spettacolo, ebbe anche più storici che ne tramandarono a’ posteri le funeste vicende. L’immortal Muratori gli ha pubblicati altri-qper la prima volta, altri più accresciuti e corretti , nella sua gran Raccolta degli Scrittori delle cose italiane (Script. rer. ital. vol. 4,p. 3). Io ne verrò in breve accennando i nomi e i libri, e lascerò che più ampie notizie se ne ricerchino, da chi le brami, nelle eruditissime prefazioni eli1 egli a ciascheduno ha premesse. Il primo è Arnolfo che vivea a’ tempi di [p. 508 modifica]5o8 LIBRO Gregorio VII, e scrisse la Storia della sua patria dall’anno 925 fino al 1076. Scrittor fedele ed esatto, fu nondimeno per qualche tempo fervido difensore degli ecclesiastici rivoltosi che scuoter volevano la legge del celibato; ma egli stesso poi riconobbe e rittattò il suo errore (l. 4, c. 13). Non così il secondo scrittore vissuto al tempo medesimo, cioè Landolfo soprannomato il vecchio, che scrisse pure la Storia dei tempi suoi, ma impegnato ostinatamente nel medesimo errore, cui per qualche tempo avea seguito Arnolfo , la riempiè di maldicenze e di villanie contro de’ romani pontefici e di tutti i sostenitori dell1 ecclesiastico celibato. Nè in ciò solo, ma anche nella scelta de’ fatti si mostra Landolfo poco felice, poichè imbratta i suoi racconti di favole e di errori senza fine; di che veggasi il Muratori (Script. rer. ital. l. cit. p. 49), il quale ancora sostiene esser questa quella Cronaca stessa che fu già attribuita a Dazio arcivescovo di Milano. Assai migliore storico è l’altro Landolfo , a distinzione del primo soprannomato il giovane-, e detto ancora di S. Paolo, dalla chiesa al cui titolo egli era stato ammesso agli ordini sacri. Ch’ei facesse in Francia i suoi studj, già f abbiamo altrove mostrato (V. sup. l. 4, c. 2 , n. 19). Egli ancora fu involto nelle turbolenze da cui Milano sua patria era allora agitata per le accennate controversie sul celibato. Ma egli si tenne fermo per la buona causa, che avea uno de’ più intrepidi difensori in Liprando zio del nostro storico. Delle vicende a cui Landolfo fu perciò esposto, e del ritirarsi che per due [p. 509 modifica]QUARTO 5o£ volte egli fu costretto a fare dalla sua chiesa, si vegga il sopraccitato Muratori (ib. t. 5,p. 461), il quale giustamente riflette che la Storia condotta da questo scrittore dall’anno 1095 fino al 1137 è una delle più utili che di questi tempi ci sian rimaste. L’ultimo degli storici milanesi di questa età è un cotal Sire Raul di cui non si ha alcuna contezza, e di cui solo abbiamo una buona Storia delle guerre che i Milanesi sostennero contro di Federigo I dall’anno 1154 fino al 1157, la quale da un codice dell’insigne libreria del collegio di Brera in Milano fu data alla luce dal medesimo Muratori (ib. t. 6, p. 1169). XII. Altre città ancora di Lombardia ebbero i loro storici, perciocchè, oltre l’anonimo poeta che scrisse, come già si è detto, la Storia della guerra che i Milanesi ebbero co’ Comaschi dall’anno 1118 fino al 1127, due famosi storici ebbe Lodi, cioè Ottone Morena e Acerbo di lui figliuolo, i quali uno dopo l’altro scrisser delle Cose di Federigo I e della lor patria. Ottone, il quale nella prefazione si dà i titoli di giudice e di messo di Lottario, eli’ ci chiama III, e di Corrado II, conduce la sua Storia fino all’anno 1162, dopo il qual tempo ella fu continuata da Acerbo. Questi fu assai caro all’imperator Federigo, e da lui fu eletto podestà della sua patria, e impiegato in più onorevoli commissioni, come dalla Storia medesima raccoglie il Muratori (ib. t. 6, p. 951). Egli giunse scrivendo fino all’anno 115-, in cui morì in Siena, per testimonio di un incerto scrittore che per qualche tratto continuò la Storia di questi due XII. Storici di altre città lombarde. [p. 510 modifica]5 IO LIBRO autori. Essa ancora è avuta in gran pregio; benchè l’antica, e, direi quasi, naturale avversione de’ Lodigiani contro dei troppo potenti loro vicini i Milanesi si mostri in essa più chiaramente che non dovrebbesi. Sicardo vescovo di Cremona appartiene più alla seguente epoca, che a quella di cui trattiamo, e noi perciò ne rimetteremo il discorso ad altro tempo. XIII Tutti gli storici finor nominati scrissero la Storia o della lor patria, o di altro argomento, perchè ne venne loro il talento. Genova è la sola città d’Italia, come osserva il Muratori (ib.), che possa a questi tempi mostrare Storie scritte per pubblico ordine, e per pubblica determinazione approvate. Caffaro fu il primo che al principio del xii secolo si accinse a tale lavoro. Era egli uom d’alto affare, e onorato di varie cariche, come dalla sua Storia medesima si raccoglie. Ei fu alla guerra sacra in Siria l’anno 1100 (ib. p. 249). Fu console in Genova negli anni 1 ia3 e 1126, e nel secondo suo consolato segnalò con felici imprese il suo guerriero valore contro i Pisani (ib. p. 255, 256). Più altre volte ancora egli ottenne la medesima dignità; e l’anno 1146 andò coll’armata de’ suoi contro l’isola di Minorica, e ne fè la conquista (ib. p. 261). L’anno 1154 fu inviato ambasciadore de’ Genovesi a Federigo Barbarossa, da cui venne accolto con sommo onore (ib. p. 264). Egli dunque intraprese a scriver la Storia della sua patria, in cui però si ristrinse a quel solo spazio di tempo di cui egli era stato testimonio di veduta. Ecco com’egli parla del suo disegno, e della solenne approvazione che la sua [p. 511 modifica]QUARTO 511 Storia ebbe P onor eli ottenere (ib. p. 247). Caffarus namque, quoniam a tempore praedicti stoli usque nunc partem consulatuum Januensis civitatis rexit, et habuit, et alios consules, qui intra praedictum terminum fuerunt, vidit et agnovit, corde etiam meditando nomina eorum et tempora et varietates personarum, consulatuum, et compagniarum, et victorias, et mu~ tationes monetamm eodem consulatu factas, sicut subtus legitur, per se metipsum die tao it, et consulibus quidem ejus temporis Tanclerio et Rubaldo Bisaccia, et Ansaldo Spinula, et concilio pleno scriptum illud ostendit Consulibus (forte consules) vero, audito consilio consiliatorum, palam coram consiliatoribus, Guilelmo de Columba publico scribano praeceperunt, ut librum a Caffaro compositum et notatum scriberet, et in comuni chartulario poneret, ut deinceps cuncto tempore futuris hominibus Januensis populi victoriae cognoscantur. Condusse dunque Caffaro la sua Storia dall’anno i ioo fino al 1163. Poichè egli fu morto in età d’anni 86, a Oberto cancelliere fu imposto da’ consoli che ne continuasse la Storia, come egli stesso racconta nell’esordio di essa (ib. p. 292). Egli intraprese il lavoro, e innoltrollo per dieci anni, cioè fino all’anno 1173. A lui sottentrò Ottobuono che prende il titolo di scriba (ib n. 351), e venne continuando la Storia fino all’anno 1196, dopo il qual tempo altri gli succederono nello stesso impiego, de’ quali altrove ragioneremo. Or un corpo di storia scritta per pubblico ordine da personaggi gravi e contemporanei, e per pubblica autorità approvata, ognun vede in [p. 512 modifica]5l2 LIBRO qual pregio si debba avere. Qui di fatto non trovansi le vecchie favole popolari di cui comunemente son piene le storie di questi tempi; ma i fatti vi vengon narrati con uno stile certo non colto, ma semplice e schietto, e che colla sua medesima semplicità ci dà un pegno sicuro della verità de’ racconti; e molto perciò dobiam esser tenuti al ch. Muratori che prima d’ogni altro ha posti in luce questi scrittori. XIV. Ma copia assai maggiore di storici ebbero a questi tempi quelle provincie che or formano i regni di Napoli e di Sicilia, perchè le grandi rivoluzioni che vi accaddero, risvegliarono in molti il pensiero di tramandarne a’ posteri la memoria; ed anche perchè i principi che vi ottennero signorìa, bramarono che le loro imprese fossero celebrate. Guglielmo Pugliese avea in versi descritte le guerre de’ Normanni , come poc’anzi abbiamo osservato. Lo stesso argomento prese a trattare in prosa Goffredo soprannomato Malaterra, di cui abbiam quattro libri di Storia della Sicilia da lui scritta per ordine di Ruggieri conte di quell’isola, a’ cui tempi vivea, e condotti fino all’anno 1099. Di questo storico mi basta accennare il nome e l’età, perchè non ci abbiano a rimproverare i Francesi, che facciam nostri i loro scrittori, essendo certo che Goffredo non fu italiano, ma probabilmente normanno. Si può vedere ciò che scrivon di lui i più volte citati Maurini. (Hist litt, de la France, t. 8, p. 481), e il Muratori che dopo altri ne ha pubblicata la Storia (Script. rer. ital. vol. 5, p. 539), il quale ancora confuta i non pochi errori del Vossio intorno a [p. 513 modifica]QUARTO 5I3 questo scrittore. Alessandro abate del monastero di S. Salvadore in Telese (e non Celese, come altri scrivono) nel regno di Napoli continuò in certo modo la Storia di Goffredo, perciocchè cominciandola dall’anno 1127 giunse fino all’anno 1135. Egli racconta che ad intraprenderla fu sospinto dalle istanze di Matilde sorella del re Ruggieri (ib. praef.). Vi ha chi ’l riprende, perchè ei non abbia segnati distintamente gli anni a cui avvener le cose che narra. Ma ciò non ostante, come osserva il Muratori (Script. rer. ital. vol. 5, p. 609), non lascia di essere assai pregevole questa Storia pe’ molti lumi che sparge sulle cose di questi tempi (21). E generalmente parlando, gli storici di queste barbare età, se da qualche particolar passione non è condotta la lor penna , sono rozzi , ma sinceri narratori delle cose a’ lor tempi avvenute. Ma guai a noi, se essi prendono a raccontarci le cose de’ tempi andati. Non vi ha fola che non ci mettano innanzi con serietà ammirabile. Rechiamone un esempio tratto da questa Storia medesima. Al fin di essa l’abate Alessandro si volge al re Ruggieri, e il prega che in ricompensa della fatica da lui sostenuta voglia onorare della sua regal protezione il monastero ch’egli reggeva. Perciocchè, dice, se (a) Veggansi più distinte notizie intorno ad Alessandro abate di Telese nell’opera degli Storici napoletani del sig. Francesca»tonio Soria (t. 1, p. 10, ec.), presso il quale si potranno ancor vedere quelle di Lupo l’rotospata (t. 1, p. 5o6, ec.) e di Falcone beneventano (i. 1, p. aio). TìRAiìOscm, Voi. III. 33 [p. 514 modifica]5 I 4 LIBRO Virgilio il massimo tra i poeti per due versi fatti in lode di Ottaviano Augusto ebbe da lui in ricompensa la signoria di Napoli e della Calabria, quanto più, ec. (ib. p. 644)- Onde ha mai tratta l’abate Alessandro una sì pellegrina notizia? Ma di tai romanzeschi racconti piene sono le storie di questi tempi, ne’ quali bastava per lo più che una qualunque cosa o si udisse, o si leggesse, perchè senz’altro esame si adottasse per certa. XV. A questa età e a queste provincie medesime appartengono Lupo Protospata natìo della Puglia, che scrisse una Cronaca delle cose avvenute nel regno di Napoli dall’anno 860 fino al 1102 (ib. vol. 5, p. 37), e Falcone da Benevento, che continuò la Storia delle stesse provincie dall’an 1102 fino al 1140 (ib. p. 82); e alcune altre Cronache di questi tempi pubblicate prima dal P. Caraccioli, poscia dal Pellegrini , quindi dal Muratori, e finalmente dal canonico Pratillo nella sua Storia de’ Longobardi. Io non mi trattengo a favellar di essi più stesamente, perchè nè molte nè abbastanza sicure son le notizie che ne potremmo produrre; e quelle pure che qui si potrebbon recare, sono già state da’ mentovati scrittori diligentemente raccolte. Due altri storici soli rammenterò qui brevemente, e con essi farò fine al presente capo. Il primo si è Romualdo arcivescovo di Salerno, secondo di questo nome, di cui abbiamo una Cronaca universale dal principio del mondo fino all’anno 1178. Il Fabricio afferma (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 6, p. 124) che la prima parte di questa Cronaca, che giugne fino all1 anno 1125, [p. 515 modifica]QUARTO 5x5 è opera dell’arcivescovo di Salerno Romoaldo I, e ne adduce in pruova certe parole che a quell’anno leggonsi nella Cronaca, a mostrare tal distinzione. Ma nella Cronaca stessa che dal Muratori per la prima volta è stata data alla luce (Script. Rer. ital. vol. 7, p. 2), io non trovo le parole dal Fabricio allegate, e tuttala Cronaca così dal Muratori come dal Sassi viene attribuita a Romoaldo II Questi fu eletto arcivescovo di Salerno verso l’anno 1153, ed ebbe parte ne’ più importanti affari del regno di Napoli e di Sicilia, come egli stesso racconta. L’anno 1160 Guglielmo re di Sicilia essendo stato arrestato da alcuni contro lui congiurati, Romoaldo con alcuni altri vescovi ottenne che gli si rendesse la libertà (ib. p. 202). Ed egli poscia spedito dal re nella Puglia , per impedir tra que’ popoli somigliante sollevazione, seppe destramente rivolgerli a difesa del lor sovrano. Era egli ancora nell’arte della medicina versato assai 5 e perciò caduto gravemente infermo lo stesso re l’anno 1166, mandò per Romoaldo, il quale venutogli innanzi, e accolto con sommo onore, gli prescrisse i rimedj che gli parvero opportuni; ma il re volle regolarsi a suo capriccio, e quindi avvenne, dice il medesimo Romoaldo (ib. p. 206), ch’ei ne morì. Guglielmo II, di lui figliuolo, fu unto a re dallo stesso arcivescovo, il quale fu poscia da lui prescelto ad andarsene alfimperator Federigo I per trattare la pace tra lui e ’l pontefice Alessandro III, nel che ei si condusse per modo, che ottenne presso ambedue grazia e stima non ordinaria (ib. p. 217, ec.). Ei visse fino all’an 1181, [p. 516 modifica]nel quale morendo lasciò ai posteri gran nome di se medesimo pel suo sapere non meno che per la sua destrezza nel maneggio de’ più difficili affari. L’altro storico è Ugo Falcando di cui abbiamo una Storia della Sicilia, nella quale dopo avere in breve accennate le prime imprese de’ Normanni, svolge più ampiamente le funeste sventure da cui travagliata fu la Sicilia dall’anno 1154 fino al 1169 sotto i due re Guglielmo I e II. Di questa Storia avevamo già avute più edizioni prima che il Muratori le desse luogo nella sua grande Raccolta (ib. p. 249). Di qual patria egli fosse, noi nol sappiamo, e lo stesso Mongitore confessa (App. adBibi. sic. t. 2. p. 51) che non sembra ch’ei fosse nato in Sicilia, benchè pure sia certo che egli vi soggiornò lungamente; il che ci basta perchè nol dobbiamo passare sotto silenzio.