Sermone sulla Mitologia
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SERMONE SULLA MITOLOGIA
Contenuto: Un’audace scuola poetica del settentrione, condannando a morte tutti gli dei che di lor leggiadria adornarono le letterature antiche, cangia in pianto il riso e il bello in orribile (1-19). Come dunque potrò cantar degnamente le nuove nozze e da chi avrò lieta ispirazione? Non già dal tenebroso genio del Nord, che, per sua natura, abborre da tutto ciò ch’è ridente (20-44). I primi poeti, per dilettare, crearono tanti numi di quanti effetti produce natura: ma ora il bel regno ideale fu distrutto da quel nordico genio (45-77): di modo che non piú ha il suo carro il sole, cui cingano le Ore danzanti; non piú il mare, soggiorno di tante divinità amiche dell’uomo, è il regno di Nettuno, né il cielo di Giove, né i luoghi sotterranei di Plutone: oggi non s’ama che l’orribile e lo strano (78-138). Eppure la bella mitologia, che vela di lusinghevoli adombramenti la verità, è necessaria: perocché il vero per sé stesso non è poesia (139-170). Ritorna adunque, o dea; ve’ che tutte le cose ti chiedono giustamente vendetta (171-189): ritorna e rendi ad Amore l’arco e gli strali, e a Venere il cinto, ed essa lo ceda ad Antonietta, perché l’adoperi a porre in fuga le streghe del Nord, e perché possa destare ne’ talami del figlio le danze delle Grazie, compagne sue per sempre (190-210). — Questo sermone fu composto nel 1825 e dedicato alla marchesa Antonietta Costa di Genova, nell’occasione delle nozze di suo figlio Bartolomeo. Fu stampato prima in Genova stessa, poi, sempre nel medesimo anno 1825 e dopo altre due stampe, in Milano dalla Società tip. dei class. it. con le ultime correzioni dell’autore. — Contro le idee del sermone montiano si levarono parecchi, tra’ quali: Giuseppe Compagnoni di Lugo (ex-prete, autore di molti articoli stampati nel Mercurio d’Italia e nel Monitore cisalpino, d’una Storia d’America e di moltissime altre operette, che pubblicò, col nome di Giuseppe Belloni «antico militare italiano», L’Antimitologia (700 versi sciolti), sermone al cav. V. M. in risposta ecc. (Milano, Sonzogno, 1825); Ambrogio Mangiagalli, che rispose più brevemente col Conforto a un vecchio, e Carlo Tedaldi Fores che fece meditazioni poetiche Sulla Mitologia difesa da V. M. (circa 600 versi sciolti: Cremona, Manini, 1825), concludendo: «E voi, numi d’Atene, egregia cura De’ primi studi miei, giuoco innocente Della mia fanciullezza, addio per sempre.... Né senza un mesto palpito, o diletti Numi, è il commiato: irriverente guerra Alle vostre reliquie io già non reco. Ma il tempo avverso....» Tutti questi ed altri ancora che confutarono il M. (il quale nel ’27 scriveva, poetando, alla march. Beatrice Trivulzio: «.... se talora Tento le corde della cetra, i suoni N’escon sí rozzi e miseri, Che piú poveri versi non faria Tommaseo, Mangiagalli e Compagnoni»: ed. Card., p. 458), ebbero sferzate dalla Gazzetta di Milano e dalla Biblioteca italiana. Perfino il Cantú, «allora studente di rettorica», presunse «rispondere al sermone del M. con un altro». Restò inedito fino a questi ultimi anni, in cui l’autore, per «vanità rimbambita», osò «darlo in appendice» al cap. XIII del suo prezioso libro, che confronterai a p. 298 e 304 e segg. — «Questo sermone, scrive il Pucc. (p. 137), ha come due parti; l’una negativa, positiva l’altra. Nella prima il poeta non combatte proprio tutto quel sistema che fu detto romantico, ma soltanto certe esagerazioni e specialmente quella del tetro e del pauroso nelle invenzioni poetiche; nella seconda poi move da un principio in sé stesso vero, ed è che il linguaggio della poesia ha da essere come un visibile parlare, per dirlo con un bel modo di Dante, cioè lo idee debbon pigliar forme sensibili, fantastiche; ma poi cade nello stranissimo orrore, d’ammettere che ci sia come un abisso tra il vero e il bello, tra la scienza e la poesia, e di non riconoscere altri fantasmi ed altri simboli poetici che quelli della Mitologia». Su questa materia, cfr., oltre la lettera sul Romanticismo di A. Manzoni nella parte in cui discorre della mitologia e la lettera del Monti a Gio. Torti (autore dell’Epistola sulla poesia) recata dal Cantú a p. 300 e seg., lo scritto di Franc. De Sanctis (Saggi critici: Napoli, Morano, 1874, p. 48 e segg.) e ciò che contro il giudizio «troppo severo e forse anche un po’ ingiusto» dell’illustre critico scrisse lo a p. 293 e seg. — Il metro è il verso sciolto: cfr. la nota d’introd. a p. 22.
Audace scuola boreal1, dannando
Tutti a morte gli dei, che di leggiadre
Fantasie già fiorîr2 le carte argive
E le latine, di spaventi3 ha pieno
5Delle Muse il bel regno. Arco e faretra
Toglie ad Amore, ad Imeneo la face,
Il cinto a Citerea4. Le Grazie anch’esse,
Senza il cui riso nulla cosa è bella5,
Anco le Grazie al tribunal citate
10De’ novelli maestri alto seduti6,
Cesser proscritte e fuggitive il campo
Ai lemuri7 e alle streghe. In tenebrose
Nebbie soffiate dal gelato Arturo8
Si cangia (orrendo a dirsi!) il bel zaffiro9
15Dell’italico cielo; in procellosi
Venti e bufere le sue molli aurette;
I lieti allori dell’aonie rive10
In funebri cipressi; in pianto il riso;
E il tetro solo, il solo tetro è bello.
20E tu fra tanta, ohimè!, strage di numi
E tanta morte d’ogni allegra idea,
Tu del ligure Olimpo astro diletto11,
Antonietta, a cantar nozze m’inviti?
E vuoi che al figlio tuo, fior de’ garzoni,
25Di rose còlte in Elicona io sparga
Il talamo beato? Oh me meschino!
Spenti gli dei che del piacere ai dolci
Fonti i mortali conducean, velando
Di lusinghieri adombramenti il vero,
30Spento lo stesso re de’ carmi Apollo,
Chi voce mi darà lena e pensieri12
Al subbietto gentil convenïenti?
Forse l’austero genio inspiratore
Delle nordiche nenie?13 Ohimè! ché, nato
35Sotto povero sole14 e fra i ruggiti
De’ turbini nudrito, ei sol di fosche
Idee si pasce e le ridenti abborre,
E abitar gode ne’ sepolcri, e tutte
In lugubre color pinger le cose.
40Chiedi a costui di lieti fiori un serto,
Onde alla sposa delle Grazie alunna15
Fregiarne il crin: che ti darà? Secondo
Sua qualitade natural, null’altro
Che fior tra i dumi16 del dolor cresciuti.
45Tempo già fu17, che, dilettando, i prischi
Dell’apollineo culto archimandriti
Di quanti la natura in cielo e in terra
E nell’aria e nel mar produce effetti,
Tanti Numi crearo: onde per tutta
50La celeste materia e la terrestre
Uno spirto, una mente, una divina
Fiamma scorrea, che l’alma era del mondo.
Tutto avea vita allor, tutto animava
La bell’arte de’ vati. Ora il bel regno
55Ideal cadde al fondo. Entro la buccia18
Di quella pianta palpitava il petto
D’una saltante Driade; e quel duro
Artico19 Genio destruttor l’uccise.
Quella limpida fonte uscía dell’urna
60D’un’innocente Naiade20; ed, infranta
L’urna, il crudele a questa ancor diè morte.
Garzon superbo21 e di sé stesso amante
Era quel fior; quell’altro al sol converso,
Una ninfa, a cui nocque esser gelosa22.
65Il canto che alla queta ombra notturna23
Ti vien sí dolce da quel bosco al core,
Era il lamento di regal donzella24
Da re tiranno indegnamente offesa.
Quel lauro onor de’ forti e de’ poeti25,
70Quella canna che fischia26, e quella scorza
Che ne’ boschi sabèi27 lagrime suda,
Nella sacra di Pindo alta favella
Ebbero un giorno e sentimento e vita.
Or d’aspro gelo aquilonar percossa
75Dafne morí; ne’ calami palustri
Piú non geme Siringa; ed in quel tronco
Cessò di Mirra l’odoroso pianto.
Ov’è l’aureo tuo carro, o maestoso
Portator della luce, occhio del mondo28?
80Ove l’Ore danzanti29? ove i destrieri
Fiamme spiranti dalle nari? Ahi misero!
In un immenso30, inanimato, immobile
Globo di foco ti cangiâr le nuove
Poetiche dottrine, alto gridando:
85Fine ai sogni e alle fole, e regni il vero.
Magnifico parlar! degno31 del senno
Che della Stoa dettò l’irte dottrine32,
Ma non del senno33 che cantò gli errori
Del figliuol di Laerte e del Pelide
90L’ira, e fu prima fantasia del mondo.
Senza portento, senza meraviglia
Nulla è l’arte de’ carmi; e mal s’accorda
La meraviglia ed il portento al nudo
Arido vero che de’ vati è tomba.
95Il mar, che regno in prima era d’un dio
Scotitor della terra34 e dell’irate
Procelle correttore, il mar, soggiorno
Di tanti divi al navigante amici
E rallegranti al suon di tube e conche35
100Il gran padre Oceàno ed Amfitrite36,
Che divenne per voi? Un pauroso
Di sozzi mostri abisso. Orche deformi
Cacciâr di nido di Nerèo le figlie37,
Ed enormi balene al vostro sguardo
105Fûr piú belle che Dori e Galatea38.
Quel Nettuno che rapido da Samo
Move tre passi, e al quarto è giunto in Ega39;
Quel Giove che al chinar del sopracciglio40
Tremar fa il mondo, e allor ch’alza lo scettro
110Mugge il tuono al suo piede e la trisulca41
Folgor s’infiamma di partir bramosa;
Quel Pluto42 che al fragor della battaglia
Fra gl’immortali dal suo ferreo trono
Balza atterrito, squarciata temendo
115Sul suo capo la terra e fra i sepolti
Intromessa la luce; eran pensieri
Che del sublime un dí tenean la cima.
Or che giacquer Nettunno e Giove e Pluto
Dal vostro senno fulminati, ei sono
120Nomi e concetti di superbo riso,
Perché il ver non v’impresse il suo sigillo,
E passò la stagion delle pompose
Menzogne achèe43. Di fé quindi piú degna
Cosa vi torna il comparir d’orrendo
125Spettro sul dorso di corsier morello
Venuto a via portar nel pianto eterno
Disperata d’amor cieca donzella,
Che, abbracciar si credendo il suo diletto,
Stringe uno scheltro spaventoso, armato
130D’un orïuolo a polve e d’una ronca;
Mentre a raggio di luna oscene larve
Danzano a tondo, e orribilmente urlando
Gridano: pazïenza, pazïenza44.
Ombra del grande Ettorre, ombra del caro
135D’Achille amico45, fuggite, fuggite,
E povere d’orror46 cedete il loco
Ai romantici spettri. Ecco, ecco il vero
Mirabile dell’arte, ecco il sublime.
Di gentil poesia fonte perenne
140(A chi saggio v’attigne), veneranda
Mitica dea47! Qual nuovo error sospinge
Oggi le menti a impoverir del bello
Dall’idea partorito e in te sí vivo
La delfica favella48? E qual bizzarro
145Consiglio di Maron chiude e d’Omero
A te la scuola, e ti consente poi49
Libera entrar d’Apelle e di Lisippo
Nell’officina? Non è forse ingiusto
Proponimento, all’arte che sovrana
150Con eletto parlar sculpe e colora
Negar lo dritto delle sue sorelle?
Dunque di Psiche50 la beltade, o quella
Che mise Troia in pianto ed in faville,
In muta tela o in freddo marmo espressa,
155Sarà degli occhi incanto e meraviglia;
E, se loquela e affetti e moto e vita
Avrà ne’ carmi, volgerassi in mostro?
Ah, riedi al primo officio, o bella diva;
Riedi, e sicura in tua ragion51 col dolce
160Delle tue vaghe fantasie l’amaro
Tempra dell’aspra verità. No ’l vedi?
Essa medesma, tua nemica in vista
Ma in segreto congiunta, a sé t’invita:
Ché, non osando timida ai profani
165Tutta nuda mostrarsi, il trasparente
Mistico vel di tue figure implora:
Onde, mezzo nascosa e mezzo aperta,
Come rosa che al raggio mattutino
Vereconda si schiude, in piú desio
170Pungere i cuori ed allettar le menti52.
Vien53, ché tutta per te fatta piú viva
Ti chiama la natura. I laghi, i fiumi,
Le foreste, le valli, i prati, i monti,
E le viti e le spiche e i fiori e l’erbe
175E le rugiade, e tutte alfin le cose
Da che fur morti i numi onde ciascuna
Avea nel nostro immaginar vaghezza
Ed anima e potenza, a te dolenti
Alzan la voce e chieggono vendetta.
180E la chiede dal ciel la luna e il sole
E le stelle, non piú rapite in giro
Armonïoso e per l’eterea volta
Carolanti, non piú mosse da dive
Intelligenze54, ma dannate al freno
185Della legge che tira al centro i pesi55;
Potente legge di Sofia, ma nulla
Ne’ liberi d’Apollo immensi regni,
Ove il diletto è prima legge e mille
Mondi il pensiero a suo voler si crea.
190Rendi dunque ad Amor l’arco e gli strali56,
Rendi a Venere il cinto57; ed essa il ceda
A te, divina Antonietta, a cui
(Meglio che a Giuno nel meonio58 canto)
Altra volta l’avea già conceduto,
195Quando novella Venere di tua
Folgorante beltà nel vago aprile
D’amor l’alme rapisti, e mancò poco
Che lungo il mar di Giano59 a te devoti
Non fumassero altari e sacrifici.
200Tu, donna di virtú, che all’alto core
Fai pari andar la gentilezza e sei
Dolce pensiero delle Muse, adopra
Tu quel magico cinto a porre in fuga
Le danzanti al lunar pallido raggio
205Malïarde del norte60. Ed or che brilla
Nel tuo larario61 d’Imeneo la face,
Di Citerea le veci adempi, e desta
Ne’ talami del figlio, allo splendore
Di quelle tede62, gl’innocenti balli
210Delle Grazie mai sempre a te compagne.
Varianti
N. B. Queste varianti sono state ricavate dalla prima stampa genovese e da quella delle Poesie recenti del cav. V. M.: Firenze, tipog. delle Bellezze della lett. it., 1825.
3. le menti argive
5. Arco e quadrella
8. Senza cui nulla cosa ha leggiadria,
17. I lieti lauri
29. Di vaghe forme amabilmente il vero
35-6. e fra i muggiti Delle rauche burrasche, ei sol di meste
40. d’allegri fiori un serto
46. Del poetico impero archimandriti
48. E nell’aere e nel mar
54-5. Ln bell’arte de’ vati. Entro la buccia
55. genio distruttor
59-60. uscía dall’urna D’un’amorosa Naiade;
62-69. Il canto che alla queta ombra dal bosco Ti vien sí dolce nella notte al core Era il lamento di real donzella Da re tiranno indegnamente offesa. Fanciul superbo e di sé stesso amante Era quel fior: quell’altro al sol converso Una ninfa a cui nocque esser gelosa. Quel lauro
72. Nella sacra di Febo
80. ove i corsieri
84. Orgogliose dottrine
86-87. Magnifico parlar! degno di Plato, Ma non del sommo che cantò d’Achille L’ira e fu prima fantasia del mondo.
89. Il Resnati legge questi due versi cosí: Ma non del senno che cantò d’Achille L’ira ecc.
91. senza maraviglia
93. La maraviglia
96-7. e correttore Dell’irate procelle, il mar
98-102. Di tanti numi, che per voi divenne? Un infinito tempestoso abisso, Di turpi mostri albergo. Orche deformi
105. che Teti e Galatea.
109-120. Tremar fa il mondo; quell’inferno sire Che all’azzuffarsi degli dei squarciata Teme la terra, e tra la morta gente Intromessa la luce, un dí la cima Tenean dell’alto immaginar; ma Giove Nettuno e Pluto or sono al vostro senno Nomi e concetti
122-4. E passò la stagion delle menzogne. Di fé quindi piú degno e piú gentile Pensier vi torna il comparir d’orrendo
131. immonde larve
136. cedete il campo
139. di spirti febei fonte perenne
141. Qual nuovo error conduce
143. e per te vivo
149-50. Anzi villan proponimento, all’arte Che con forte parlar sculpe e colora
152-54. Dunque di Psiche la beltà divina In muta tela o in freddo marmo espressa Sarà dell’alme incanto e maraviglia;
159-65. Riedi sicura. A sé t’invita e prega Un’altra diva tua nemica in vista, Ma in suo segreto a te congiunta e cara, La Verità, che timida non osa Tutta nuda mostrarsi e il trasparente
167-70. Onde, mezzo nascosa, in piú desío Pungere i cuori e innamorar le menti.
175-79. E tutte al fine le create cose, De’ loro iddii spogliate, a te dolenti Alzan la voce
181-84. E le stelle, non pia mosse da dive Intelligenze, ma dannate al freno
189. a suo piacer vi crea.
196-97. nel caro aprile D’Amor l’alme rapivi
200-204. Or tu, reina d’ogni cor gentile E dolce cura delle Muse, adopra Questo magico cinto a porre in fuga
Note
- ↑ 1. Audace scuola boreal: Intende dire la scuola romantica, nata tra noi per opposizione alla scuola classica e in parte per imitazione ed influenza delle letterature settentrionali (boreal) che aveva per uno de’ canoni fondamentali poetici di togliere affatto l’uso della mitologia, perché «era una cosa assurda parlare del falso riconosciuto, come si parla del vero...; cosa fredda introdurre nella poesia ciò che non entra nelle idee, ciò che non richiama alcuna memoria, alcun sentimento della vita reale; cosa noiosa ricantare sempre questo freddo e questo falso; cosa ridicola ricantarlo con serietà, con aria d’importanza, con movimenti finti ed artefatti di persuasione, di meraviglia,di venerazione ecc.» Manzoni, Lett. cit. sul Rom.
- ↑ 3. fiorîr ecc.: ornarono le letterature greca e latina. Fiorire in senso attivo e metaforico l’ha anche Dante. Par. xvi, 110: «e le palle dell’oro Fiorian Fiorenza in tutti i suoi gran fatti».
- ↑ 4. di spaventi: Allude ai casi orribili o mostruosi, oggetto della poesia romantica nordica, che non furono, in genere, dell’italiana.
- ↑ 7. Il cinto a Citerea: a Venere il cinto della seduzione «in che raccolte e chiuse Erano tutte le lusinghe». Omero Iliad. XIV, 250 (trad. M.). Cfr. anche Tasso XVI, 25.
- ↑ 8. Senza ecc.: cfr. il v. 199, p. 206.
- ↑ 10. alto seduti: seduti, come direbbe Dante (Par. xix, 79) a scranna, in aria di giudici.
- ↑ 12. muri: le ombre de’ morti, che venivano ad atterrire di notte i viventi.
- ↑ 13. Arturo: stella del carro di Boote (Cfr. Orazio Od. III, I, 27), presa qui per tutto il settentrione.
- ↑ 14. zaffiro: azzurro. Cfr. Dante Purg. i, 13.
- ↑ 17. aonie rive: lo pendici dell’Elicona, in quella parte della Beozia che fu detta Aonia.
- ↑ 22. del ligure ecc.: bellissima fra le belle donne genovesi.
- ↑ 31. Chi voce ecc.: Ariosto III, 1: «Chi mi darà la voce o le parole Convenienti a si nobil auggetto?» Varano Vis. II, 223: «Or chi al rozzo mio stil darà le pronte Note all’obbietto eguali?»
- ↑ 34. Delle nordiche nenie?: delle malinconiche poesie settentrionali?
- ↑ 35. Sotto povero sole: Dante Purg. xvi, 2: «sotto pover cielo». Cfr. anche Tasso VII, 44.
- ↑ 41. delle Grazie alunna: tutta grazie e gentilezza. Cfr. Parini Merig., 666.
- ↑ 44. dumi: spine.
- ↑ 45. Tempo già fu ecc.: Cfr. Leopardi Alla primavera, v. 20 e segg. — dilettando: Le favole antiche non furono già croato da’ primi poeti (dell’apollineo culto archimandriti), e per dilettare; ma furono da loro accolte e celebrate perché erano stato ed erano il fondamento della loro religione e moralità.
- ↑ 55. Entro ecc.: cfr. la nota al v. 97, p. 190.
- ↑ 58. Artico: boreale.
- ↑ 60. Naiade: Le Naiadi (gr. náo, néo: scorro, nuoto) erano le dee dei fiumi e delle fonti.
- ↑ 62. Garzon ecc.: Narciso che innamorò di sé stesso e fu convertito nel fiore che porta il medesimo nome. Cfr. Ovidio Metam. III, 402.
- ↑ [p. 299 modifica]64.Una ninfa ecc.: Clizia amata da Febo, ch’egli mutò poscia in elitropio o girasole, per gelosia ch’ell’ebbe d’un’altra ninfa amante di lui, Leucotoe. Cfr. Ovidio Metam. IV, 206. Clizia, per Dante (son. 44), è «quella ch’a veder lo sol si gira, E ’l non mutato amor mutata serba».
- ↑ 65. Il canto ecc.: Leopardi Alla Prim., 69: «E te d’umani eventi Disse la fama esperto, Musico augel che tra chiomato bosco Or vieni il rinascente anno cantando, E lamentar nell’alto Ozio de’ campi, all’aer muto e fosco, Antichi danni e scellerato scorno, E d’ira e di pietà pallido il giorno».
- ↑ 67. di regal donzella ecc.: di Filomena, figlia di Pandione re d’Atene, violata dal re di Tracia, Tereo, che venne poi convertita dagli dei in usignolo. Cfr.
- ↑ 69. Quel lauro ecc.: in lauro fu trasformata Dafne, mentre era inseguita dall’amante Apollo. Cfr. Ovidio Metam. I. 452 e Petraca P. I. sest. I, 34. Il Sannazzaro (Arc. Ecl. II) chiama Dafne «colei, che fe in Tessaglia Il primo alloro di sue membra attratte». — onor ecc.: cfr. v. 25. p. 41.
- ↑ 70. Quella canna ecc.: Siringa, inseguita dall’innamorato Pane, ottenne d’essere mutata in canna palustre. Cfr. Ovidio Metam. I. 689. Pel Sannazzaro (op. e loc. cit.) Siringa è «colei, che, vinta e stanca, Divenne canna tremula e sottile».
- ↑ 71. boschi sabèi: Il territorio de’ Sabèi nell’Arabia Felice è ricco di quella pianta dalla cui scorza stilla una soavissima resina odorosa e che fu detta mirra dal nome della figlia infelice di Cinira. in essa trasformata. Cfr. la nota al v. 172, p. 103 e Ovidio Metam. X, 298.
- ↑ 79. occhio del mondo: Dante (Pur. xx, 132) chiama il sole e la luna «occhi del cielo».
- ↑ 80. Ore danzanti: cfr. la nota al v. 225, p. 105 e Parini Od. XVII. 103, Foscolo Sep. 6 e Feron. III. 11.
- ↑ 82. immenso: Il sole ha un diametro di 1.300.000 ch. è però e un 1.255.000 volte piú grande della terra.
- ↑ 86. degno ecc.: degno della scienza e non della poesia.
- ↑ 87. Che della Stoa ecc.: Allude alle severe dottrine degli Stoici, setta di filosofi ch’ebbe a capo Zenone di Cizico (340-260 av. C.), e che si chiamarono cosí perché il maestro usava insegnare la sua filosofia nel Pecile, portico di Atene (gr. stoà: portico). Cfr., per conoscere le loro dottrine. Cicerone Pro Murena. XXIX e opere filosofiche, passim. Basti qui dire che disprezzavano beni, onori, piaceri; dicevano che il Savio devo essere sempre uguale a sé stesso e non lasciarsi commuovere né dal dolore, né dalla gioia: egli il solo bello, se anche bruttissimo; il solo ricco, se anche poverissimo; il solo re, se anche servo.
- ↑ 88. del senno ecc.: di Omero, che cantò le peregrinazioni di Ulisse, figlio di Laerte (Odissea) e l’ira d’Achille, figlio di Peleo (Iliade).
- ↑ 95. d’un dio ecc.: di Nettuno, detto perciò Enosigeo (gr. énosis: scossa).
- ↑ 99. tube e conche: trombe e conchiglie marine.
- ↑ 100. Amfitrite: moglie di Nettuno e figlia dell’Oceano e di Doride.
- ↑ 103. di Nerèo le figlie: cfr. la nota al v. 14, p. 30.
- ↑ 105. Galatea: una delle Nereidi, amante di Aci e amata dal ciclope Polifemo. Cfr. Ovidio Metam. XIII, 738.
- ↑ 107. Ega: è, come intende bene il Pierg., l’ondoso palazzo di Nettuno. Cfr. Omero Iliad. XIII, 20 e segg.
- ↑ 108. al chinar ecc.: cfr. la nota al v. 539, p. 116.
- ↑ 110. trisulca: triplice, di tre solchi. Cfr. Ovidio Metam. II. 848 e Virgilio Georg. III, 139.
- ↑ 112. Quel Pluto ecc.: cfr. la nota al v. 405, p. 111.
- ↑ 122. E passò ecc. Bellissimo verso.
- ↑ 124. il comparir ecc.: Accenna all’Eleonora, famosa novella romantica di G. A. Bürgher, che tradussero in italiano Giovanni Berchet e, recentemente, Antonio Zardo (Ballate di Bürgher ecc. tradotte da A. Z.: Milano Hoepli, collezioncina diamante, p. 15), della traduz. del quale reco qualche verso nel sunto che, per la piena intelligenza di questo luogo, do della novella. Eleonora aspetta invano il ritorno dell’amante Guglielmo, partito soldato con Federico il Grande a Praga; tanto che, disperata, non ostante le preghiere e gli scongiuri della madre, impreca al mondo, alla vita e persino a Dio. Quand’ecco, venuta la notte, giunge all’improvviso un cavaliere, su cavallo morello, che le pare Guglielmo, e le dice: «Oggi il talamo entrambi ci aspetta Cento miglia lontano di qua». Ella si veste in fretta, monta sul cavallo, e col cavaliere va, va e giungono, in fine, ad un cimitero. «Ecco, orrendo prodigio, siccome Fracid’esca, a brandelli, l’usbergo Sovr’il petto, sui fianchi, sul tergo Improvviso al guerrier si sfasciò. Il suo capo in un teschio si muta, In ischeletro il corpo si solve; L’una man l’oriüolo da polve, L’altra mano la falce mostrò.... Di terror Leonora percossa, Fra la morte e la vita lottò. Tutte a raggio di luna le larve Intrecciaron la ridda, e con voci Spaventose, con urli feroci, «Pazïenza, pazïenza» gridar. «S’anco il core pel duol ti si spezza, Non lottar col Signore. Or che giace Senza vita il tuo corpo, la pace Voglia il cielo allo spirto donar».
- ↑ 135. D’Achille amico: Patroclo.
- ↑ 136. E povere d’orror: e poi che non siete orribili, com’oggi si vuole.
- ↑ 141. Mitica dea: la Mitologia.
- ↑ 144. La delfica favella: cfr. la nota al v. 141, p. 205.
- ↑ 146. ti consente ecc.: ti consente di studiare ed imitare la pittura (Apelle) o la scultura (Lisippo) antica, e non la poesia?
- ↑ 152. Psiche: la «Vergine avventurata in mortal velo Di bellezze immortali adorna» (Savioli Amore e Psiche, 12), che fu amata da Amore. — e quella ecc.: Elena argiva, «quella Ch’Europa ed Asia messe in tanti guai». Ariosto X, 3. Cfr. anche Dante Inf. v, 64.
- ↑ 159. in tua ragion: ne’ tuoi diritti.
- ↑ 167. Onde ecc.: Versi e similitudine derivati bellamente dall’Ariosto e dal Tasso. Il primo (X, 11): «Come rosa che spunti allora allora Fuor della buccia, e col sol nuovo cresca». Il secondo (XVI, 14): «la rosa... Che mezzo aperta ancora, e mezzo ascosa, Quanto si mostra men, tanto è più bella».
- ↑ 171. Vien ecc.: cfr. Leopardi Alla prim., 81 e segg.
- ↑ 183. da dive intelligenze: dagli angeli. Cfr. Dante Par. ii, 127 e segg.
- ↑ 185. Della legge ecc.: cfr. la nota al v. 121, p. 35.
- ↑ 190. Rendi ecc.: cfr. v. 5 e segg.
- ↑ 191. il cinto: cfr. la nota al v. 7.
- ↑ 193. meonio: cfr. la nota al v. 121, p. 45.
- ↑ 198. il mar di Giano: il mare di Genova, che dissero fondato da Giano.
- ↑ 205. Malïarde del norte: le streghe della poesia romantica del settentrione.
- ↑ 206. larario: la cappelletta degli dei Lari nella casa stessa. Cfr. la nota al v. 221, p. 207.
- ↑ 209. Di quelle tede: delle faci nuziali.