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208 | SERMONE SULLA MITOLOGIA |
SERMONE SULLA MITOLOGIA
Contenuto: Un’audace scuola poetica del settentrione, condannando a morte tutti gli dei che di lor leggiadria adornarono le letterature antiche, cangia in pianto il riso e il bello in orribile (1-19). Come dunque potrò cantar degnamente le nuove nozze e da chi avrò lieta ispirazione? Non già dal tenebroso genio del Nord, che, per sua natura, abborre da tutto ciò ch’è ridente (20-44). I primi poeti, per dilettare, crearono tanti numi di quanti effetti produce natura: ma ora il bel regno ideale fu distrutto da quel nordico genio (45-77): di modo che non piú ha il suo carro il sole, cui cingano le Ore danzanti; non piú il mare, soggiorno di tante divinità amiche dell’uomo, è il regno di Nettuno, né il cielo di Giove, né i luoghi sotterranei di Plutone: oggi non s’ama che l’orribile e lo strano (78-138). Eppure la bella mitologia, che vela di lusinghevoli adombramenti la verità, è necessaria: perocché il vero per sé stesso non è poesia (139-170). Ritorna adunque, o dea; ve’ che tutte le cose ti chiedono giustamente vendetta (171-189): ritorna e rendi ad Amore l’arco e gli strali, e a Venere il cinto, ed essa lo ceda ad Antonietta, perché l’adoperi a porre in fuga le streghe del Nord, e perché possa destare ne’ talami del figlio le danze delle Grazie, compagne sue per sempre (190-210). — Questo sermone fu composto nel 1825 e dedicato alla marchesa Antonietta Costa di Genova, nell’occasione delle nozze di suo figlio Bartolomeo. Fu stampato prima in Genova stessa, poi, sempre nel medesimo anno 1825 e dopo altre due stampe, in Milano dalla Società tip. dei class. it. con le ultime correzioni dell’autore. — Contro le idee del sermone montiano si levarono parecchi, tra’ quali: Giuseppe Compagnoni di Lugo (ex-prete, autore di molti articoli stampati nel Mercurio d’Italia e nel Monitore cisalpino, d’una Storia d’America e di moltissime altre operette, che pubblicò, col nome di Giuseppe Belloni «antico militare italiano», L’Antimitologia (700 versi sciolti), sermone al cav. V. M. in risposta ecc. (Milano, Sonzogno, 1825); Ambrogio Mangiagalli, che rispose più brevemente col Conforto a un vecchio, e Carlo Tedaldi Fores che fece meditazioni poetiche Sulla Mitologia difesa da V. M. (circa 600 versi sciolti: Cremona, Manini, 1825), concludendo: «E voi, numi d’Atene, egregia cura De’ primi studi miei, giuoco innocente Della mia fanciullezza, addio per sempre.... Né senza un mesto palpito, o diletti Numi, è il commiato: irriverente guerra Alle vostre reliquie io già non reco. Ma il tempo avverso....» Tutti questi ed altri ancora che confutarono il M. (il quale nel ’27 scriveva, poetando, alla march. Beatrice Trivulzio: «.... se talora Tento le corde della cetra, i suoni N’escon sí rozzi e miseri, Che piú poveri versi non faria Tommaseo, Mangiagalli e Compagnoni»: ed. Card., p. 458), ebbero sferzate dalla Gazzetta di Milano e dalla Biblioteca italiana. Perfino il Cantú, «allora studente di rettorica», presunse «rispondere al sermone del M. con un altro». Restò inedito fino a questi ultimi anni, in cui l’autore, per «vanità rimbambita», osò «darlo in appendice» al cap. XIII del suo prezioso libro, che confronterai a p. 298 e 304 e segg. — «Questo sermone, scrive il Pucc. (p. 137), ha come due parti; l’una negativa, positiva l’altra. Nella prima il poeta non combatte proprio tutto quel sistema che fu detto romantico, ma soltanto certe esagerazioni e special-