Pel giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler
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PEL GIORNO ONOMASTICO
DELLA MIA DONNA TERESA PIKLER
Contenuto: Donna, parte di me piú cara, perché mi guardi con occhi lagrimosi? Certo per l’eccesso dei mali che mi tormentano: ma datti pace, ché, quando io muoia (e sarà presto), non morrò tutto intero, e a te sarà vanto, fra le donne italiane, il poter dire che fosti da me amata (1-22). Anche ti consolerà il ricordare che ogni spirito gentile compianse a’ miei mali; ma tieni per fermo che chi desidera lunga vita, non cerca che un lungo soffrire (23-29). O mia sposa, o mia figlia, che mi siete l’unico conforto a tante sventure, non andrà molto ch’io morirò; ma non piangete a lungo per me: non altro che il vostro dolore mi graverà nel partirmi da questo mondo malvagio, per passare a quello de’ ben vissuti (29-45). Quivi t’aspetterò, o moglie, lodandomi della tua pietà co’ beati, i quali, per le tue virtú, pregheranno Dio che conceda giorni sempre lieti e sereni a te e agli amici, specialmente al mio ospite amato, che mi fa fede come trovi davvero un tesoro chi ritrova un amico (46-64). — Questi versi furono composti nell’ottobre del 1826 e pubblicati subito nel tomo XLIII della Biblioteca italiana, p. 426. A proposito de’ quali e d’altri d’affetti intimi, scrive, con bella immagine, lo (p. 250): «Cosa veramente notabile: la vecchiezza, non che inaridisse la vena dell’affetto, anzi la fece piú abbondante... Cosí, negli ultimi anni del suo vivere, egli era l’aquila che, stanca di tanti arditissimi voli, stanca di alzar le penne fino al sole o di mescersi coi nembi e le procelle, ritornava al nido per riposarvisi, chiudendo le grandi ali sul capo dei suoi cari». — Teresa, figlia di Giovanni Pikler, oriundo tirolese, valentissimo incisore di pietre dure (Cfr. Gherardo De’ Rossi: Vita del cav. G. P.: Roma, Paglierini, 1792), e di Antonia Selli, romana, nacque in Roma, sotto la parrocchia di S. Lorenzo in Lucina, il 3 giugno 1769. Fidanzata al M. prima della morte del padre (avvenuta per febbre maligna il 25 genn. 1791, nell’età di 54 anni), ebbe dal poeta, con atto legale del 10 maggio dello stesso anno, «donazione irrevocabile» di tutti i beni di lui. Lo sposalizio avvenne, in forma privatissima, la mattina avanti giorno del 3 luglio susseguente, nella chiesa predetta di S. Lorenzo. «Nessun verso gratulatorio, scrive il Vicchi (VII, 22), fu stampato, nemmeno dagli amici della bella e fortunata sposa, per il matrimonio del piú gran poeta dell’età. Di carmi satirici, sí; e doveva aspettarseli quel marito, che di quindici anni avanzava la piacevolissima consorte». Frutti di questo matrimonio furono Costanza (cfr. la nota d’introd. a p. 198) e Giovan Francesco, nato il 2 febbraio 1794 e morto prima del ’96. Teresa morí in Milano il 19 maggio 1834. Cfr., per maggiori notizie, Vicchi VII, 3 e segg. — Il metro è la canzone libera, della quale, com’è noto, diede i primi esempi Alessandro Guidi, e i migliori Giacomo Leopardi.
Donna, dell’alma mia parte piú cara1,
Perché muta in pensoso atto mi guati,
E di segrete stille
Rugiadose si fan le tue pupille?
5Di quel silenzio, di quel pianto intendo,
O mia diletta, la cagion. L’eccesso
De’ miei mali2 ti toglie
La favella, e discioglie
In lagrime furtive il tuo dolore.
10Ma datti pace, e il core
Ad un pensier solleva
Di me piú degno e della forte insieme
Anima tua. La stella3
Del viver mio s’appressa
15Al suo tramonto; ma sperar ti giovi
Che tutto io non morrò4; pensa che un nome
Non oscuro5 io ti lascio, e tal che un giorno
Fra le italiche donne
Ti fia bel vanto il dire: Io fui l’amore
20Del cantor di Bassville,
Del cantor che di care itale note6
Vestí l’ira d’Achille.
Soave rimembranza ancor ti fia,
Che ogni spirto gentile7
25A’ miei casi compianse (e fra gl’Insúbri8
Quale è lo spirto che gentil non sia?).
Ma con ciò tutto nella mente poni
Che cerca un lungo sofferir chi cerca
Lungo corso di vita. Oh mia Teresa,
30E tu del pari sventurata e cara
Mia figlia9, oh voi che sole d’alcun dolce
Temprate il molto amaro
Di mia trista esistenza, egli andrà poco
Che nell’eterno sonno lagrimando10
35Gli occhi miei chiuderete! Ma sia breve
Per mia cagione il lagrimar: ché nulla,
Fuor che il vostro dolor, fia che mi gravi
Nel partirmi da questo
Troppo ai buoni funesto
40Mortal soggiorno, in cui
Cosí corte le gioie e cosí lunghe
Vivon le pene; ove per dura prova
Già non è bello il rimaner, ma bello
L’uscirne11 e far presto tragitto a quello
45De’ ben vissuti, a cui sospiro. E quivi
Di te memore, e fatto
Cigno12 immortal (ché de’ poeti in cielo
L’arte è pregio e non colpa), il tuo fedele,
Adorata mia donna,
50T’aspetterà, cantando,
Finché tu giunga, le tue lodi; e molto
De’ tuoi cari costumi
Parlerò co’ celesti, e dirò quanta
Fu verso il miserando tuo consorte
55La tua pietade; e l’anime beate,
Di tua virtude innamorate, a Dio
Pregheranno, che lieti e ognor sereni
Sieno i tuoi giorni e quelli
Dei dolci amici che ne fan corona:
60Principalmente i tuoi, mio generoso
Ospite13 amato, che verace fede
Ne fai del detto antico,
Che ritrova un tesoro
Chi ritrova un amico.
Note
- ↑ 1. dell’alma mia ecc.: La stessa frase, ma detta alla figlia, è ne’ versi Chieggon le Muse ecc. (ed. Card., p. 425).
- ↑ 6. L’eccesso de’ miei mali: Il 9 aprile di quell’anno era stato percosso da una forte emiplegia, tanto da perderne il lato sinistro: piú, lo tormentava (senza dire de’ molti e gravissimi affanni morali), una lunga malattia d’occhi. Cfr. il son. a p. 197.
- ↑ 13. La stella ecc.: Morí, di fatti, nel 13 ottobre del ’28.
- ↑ 16. Che tutto io non morrò: È l’oraziano (Od. III. xxx, 6): non omnis moriar. Cfr. anche, per il concetto della fama immortale dei poeti e della poesia, Pindaro Pizia III, 108; Ovidio Metam. XV, 871, Amor. I, x, 62 e I, xv, 7 e 32; Properzio III, n. 23; Petrarca P. I. canz. vi, 94; Parini Od. VIII, 27; Manzoni Il cinq. mag., 23 e seg. ecc. ecc.
- ↑ 17. Non oscuro: illustre. Litote attica: cfr. la nota al v. 3. p. 2.
- ↑ 21. che di care ecc.: Accenna, com’è manifesto, alla sua maravigliosa traduzione dell’Iliade, che pubblicò nel 1810, e poi, riveduta e corretta, nel ’12.
- ↑ 24. Che ogni ecc.: Vuol dire de’ molti amici che gli furono larghi di cortesie e d’ospitalità negli ultimi anni, quali il Londonio, il Trivulzio, l’Aureggi ecc.
- ↑ 25. Insúbri: cfr. la nota al v. 17, p. 182.
- ↑ 31. Mia figlia!: cfr. la nota d’introd. a p. 108.
- ↑ 34. Che nell’eterno sonno ecc.: Tien qualcosa del petrarchesco (P. I, canz. xi, 16): «Ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda».
- ↑ 44. L’uscirne: Ariosto XLIII, 171: «Di questo fango uscir».
- ↑ 47. Cigno: cfr. la nota al v. 260, p. 18.
- ↑ 60. mio generoso ospite: Luigi Aureggi, che nella sua villa di Caraverio in Brianza ospitava allora il poeta e la famiglia di lui.