Scola della Patienza/Parte terza/Capitolo I

PARTE TERZA CAPITOLO I

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Geremia Dressellio - Scola della Patienza (1634)
Traduzione dal latino di Lodovico Flori (1643)
PARTE TERZA CAPITOLO I
Parte terza Parte terza - Capitolo II
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CAP. I

Come l’Afflittioni s’hanno da sopportare patientemente.

A
Lcuni nobili, e generosi cavalli vengano talvolta così ben’ammaestrati, che non solamente con gran patienza, e mansuetudine si lasciano cavalcare dal lor Signore; ma se gl’inginocchiano ancor dinanzi, quando stà per cavalcarli. Il che però non si deve ricercare, ne da quei, che tirano le carrozze, ò d’altri ronzini da carico, di molinari siano, ò di villani.

Alessandro Magno Rè della Macedonia hebbe un cavallo, chiamato Bucefalo il quale fù comprato per settemila, e [p. - modifica] [p. 575 modifica]ottocento scudi. Questi, quando già era insellato, e abbigliato di tutti li suoi ornamenti reali, e se ne stava già mordendo il freno; non si lasciò mai cavalcare da nessun’altro, che dal suo Rè.

Qualsivoglia huomo, che col magistero della Patienza hà imparato mansueti, e placidi costumi; conosce per suo Signore, e padrone Giesù Christo, a lui s’inginocchia prontissimo a fare, e patire tutte quelle cose, che meglio pareranno al suo Signore. E questi sì buoni, e lodevoli costumi s’imparano solamente nella Scuola della Patienza, della quale habbiam già detto due cose. La prima, che croci, e che sorti di’Afflittioni siano quelle, che vanno travagliando i poveri huomini. La seconda, che cosa s’ha da imparare da queste afflittioni: segue hor la terza, ch’è la principale: In che modo s’habbiano a tollerare [p. 576 modifica]tutte l’afflittioni. E questo non tanto è utile, quanto necessario da sapere. Poiche che ti giovarà il sapere quel, che tù patisci, se non sai il modo, con che l’hai da patire? Noi dichiararemo questo con ordine, ma succintamente. Quivi il primo documento è, che l’afflittione s’hà da sopportare pazientemente. Nella Scuola della Patienza non siamo niente se siamo impazienti. E perciò andremo hora dichiarando, che cosa sia l’esser misero con patienza.


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§. 1.

F
U benissimo detto da gl’antichi: Vir bonus non quaerit, quidnam patiatur, sed quam bene. Multa vis trophaea erexit, plura sed patientia. a L’huomo da bene non guarda a quello, che patisce mà quanto bene lo patisca. La forza hà drizzato molti [p. 577 modifica]trofei, mà n’hà drizzato più la patienza.

Christo discorrendo della più felice libertà, disse: In patientia vestra possidebitis animas vestras.1 Con la vostra patienza sarete padroni delle anime vostre. E’ tanto lontano, che un’impaziente possieda sè, e le cose sue, che più tosto, essendo egli un pazzo, e schiavo de’ suoi vitij, rovina se, e le cose sue. Di quì è che Giob con molta ragione fà questa dimanda, dicendo: Quid perdis animam tuam in furore tuo?2 Perche mandi a male l’anima tua con la tua impatienza? L’impatiente dà libertà alla colera, la quale vedendosi così libera butta quasi per le fenestre la ragione. Onde poi ne nascono molti danni. Ma un’huomo patiente, essendo più forte di qualsivoglia fortissimo huomo, conserva se, e le sue cose. E confermando ciò Salo[p. 578 modifica]mone dice: Melior est patiens viro forti, et qui dominatur animo suo expugnatore urbium.3 E’ meglio un’huomo paziente di un’huomo forte; e meglio è chi è padrone di sè stesso di uno, ch’espugna, e prende le Città. Poiche un’huomo paziente non solamente tiene a sesto la bocca, e la mano, ma i pensieri ancora. Con la patienza si raffrena l’ira, si restringono gl’animi, si reprime la mano, e si ritiene il veleno della lingua.

Quello, che si suol dire di un ciarlone: Costui non può tenere la lingua, l’istesso potrai dire di un impaziente: costui non può tenere lo sdegno, la vendetta, e l’ira lo possiedono, e ne fanno quel, che vogliono. E chi è impatiente, nutrisce sempre intieri eserciti d’acerbissimi pensieri. Questo dominio adunque dell’animo, non si può havere da alcun’altro, se [p. 579 modifica]non dalla patienza. Possederete l’anime vostre con la vostra patienza, non co’ i vostri consigli, con la vostra prudenza, ne con la fortezza, ò con le vostre ricchezze; mà si bene con la vostra patienza.

Ma forse non sappiamo ancora qual sia la definitione della patienza, sentite, che è questa: Patientia est rerum, quaecumque homini aliunde accidunt, aut incidunt, voluntaria, et sine querela perpessio.4 La patienza non è altro, che un soffrimento volontario, e senza lamenti di tutte quelle cose, che d’altronde fuor di se, accadono, ò sopravengono all’huomo. Ma noi altri huomini da bene andiamo sempre velando, e ricoprendo con un bel mantelletto la nostra impatienza, e i nostri lamenti. Senti, e riconosci un poco quel, che dicono questi delicatuzzi. Ohimè, che son [p. 580 modifica]troppo difficili le cose, che noi patiamo, e son troppo gravi a sopportarle.

O Christiani, avvertite, che l’impatienza non nasce dal troppo peso della Croce, ma dalla troppo fiacchezza di chi la porta. Chi edifica una casa non le fà il tetto, perche non sia toccata dalle pioggie, dalle grandini, e dalle nevi, mà perche senza suo danno possa sostenere le pioggie, le grandini, e le nevi. Chi fabrica una nave, non hà l’occhio a fare, ch’ella non sia percossa dall’impeto dell’onde; ma che non si rompa, non s’apra, e che non vi entri dentro l’acqua. Chi hà paura dell’aria per star sano, non procura, che non lo colga il vento, ma si bene di tener ben coperto il capo, e i piedi asciutti, e caldi. L’istesso accade ne i costumi; ma noi facciamo ogn’altra cosa. Poiche procuriamo solamente con ogni [p. 581 modifica]sollecitudine di non ammalarci, di non essere poveri, ne vilipesi, ne sprezzati, dovendo però più tosto procurare ad ogni modo d’essere patienti nell’infermità, nella povertà, e nel disprezzo. Certo, che non sà di virtù Christiana il non voler esser se non sano, ricco, e honorato; E che gran cosa è questa? Ma il poter soffrire la malatia, la povertà, e il dispreggio; questa sì ch’è opera virtuosa, questo hà non sò che di grande, anzi di grandissimo.

Ne potremo mai con arte alcuna cautelarci, e guardarci dalla miseria, ma potremo bene guardarci di non sopportar con impatienza le miserie. Questo sì che si può far con arte. Nel che io son del parere di Bione. Bione filosofo, come riferisce Laertio, soleva dire, ch’era un grande, anzi grandissimo male il non poter sopportare il male. Nel qual senso apunto [p. 582 modifica]una poesia antica così diceva: Non malum est, malum pati: at nescire malum pati, hoc malum est. Non è male patir il male: ma il non saper patir il male, questo sì ch’è male: E’ certo, che chi non sà questo, ne anche sà vivere. A niuno sarà mai soave la vita, se non haverà imparato a sopportar le miserie della vita. Servanci di essempio le cose, che seguono. Dicono costoro, che il mal di pietra, e le podagre apportano grandissimi dolori, e che questi sono incredibili, e da impazzire. Si sono ritrovati però alcuni, etiandio de’ grandi, che gl’hanno sopportati, e siano come si voglino.

Andò una volta Carneade a visitar Agesilao, che all’hora stava in grandissimi dolori per la podagra. Et avvedendosi che col parlare se gli poteano accrescere quei dolori, restringendo a poche parole quello, che gl’haveva da dire, [p. 583 modifica]pigliava già licenza per andarsene; A cui rivolto Agesilao, fermati, disse, Carneade, e additandogli tutt’a un tempo i piedi, e ’l petto; assicurati, gli disse; che di la fin quà non è arrivato ancor niente. Col quale detto gli volse dar ad intendere, ch’egli haveva il cuor sano, e allegro al pari del dolore, anchorche havesse i piedi tutti infermi, e guasti.

Mentre Carlo Quinto Imperatore di augusta memoria era una volta travagliatissimo da i dolori della podagra, l’andò a visitare un Principe dell’Impero, e con le migliori, e più accommodate parole, ch’ei seppe, cercò di consolarlo; dicendogli poi fra l’altre: Perche causa Vostra Maestà non vi adopera qualche medicamento havendo al suo servitio tanti eccellentissimi Medici? A cui l’Imperatore così rispose: In questa sorte di infermità, il migliore [p. 584 modifica]medicamento, che si potrà trovare è la patienza. Questa raffrena la lingua, lega le mani, aggiusta i pensieri, e modera tutto l’animo.

Note

  1. [p. 610 modifica]Luc. c. 21. 19.
  2. [p. 610 modifica]Iob. 8. 4.
  3. [p. 610 modifica]Prov. c. 16. 32.
  4. [p. 610 modifica]Patientia, quid.

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§. 2.

G
Li Elogij, e documenti della patienza son molti: Noi ne metteremo qui alcuni pochi pigliati da Tertulliano scrittore Africano, mà erudito.

1. Patienza in sopportar l’ingiurie.

Dominus monet: verberanti te in faciem, etiam alteram genam obverte; fatigetur aliena improbitas patientia tua. Plus improbum illum caedis sustinendo, quam ulciscendo. Ab eo enim vapulabit, cuius gratia sustines. Si lingua amaritudo maledicto, sive convicio eruperit, respice dictum: Cum [p. 585 modifica]vos maledixerint, gaudete.1 Il Signore ci avvisa: A uno, che ti percuote una guancia, voltagli l’altra. Stanchisi l’altrui malitia con la tua patienza. Peggio gli fai col sopportarlo, che col vendicartene. Perche ne sarà castigato da colui, per il quale tu lo sopporti. Se l’amarezza della lingua sboccarà fuori con qualche maldicenza, ò con qualche ingiuria ricordati di quel detto: quando diranno male di voi, rallegratevene.

2. Patienza in trattener la vendetta.

Summus impatientiae stimulus, ultionis libido, negotium curans aut gloriae, aut malitiae, sed gloria ubique vana, et malitia nunquam non Domino odiosa, hoc quidem loco maxime, cum ab alterius malitia provocata, superiorem se in exequenda ultione [p. 586 modifica]constituit. Quid autem refert inter provocantem, et provocatum, nisi quod ille prior in maleficio deprehenditur, at iste posterior? Tamen uterque laesi hominis Doino reus est, qui omnem nequam et prohibet, et damnat. Absolute itaque praecipitur malum malo non reddendum.2 Il più grande stimolo, che habbia l’impatienza è il desiderio della vendetta rimedio, che viene ò dalla gloria, ò dalla malitia. Ma la gloria da per tutto è vana, e la malitia è sempre al Signore odiosa, massime in questo luogo, quando provocata dalla malitia d’un’altro si viene a fare superiore in esseguir la vendetta. Ma che differenza è tra quello, che provoca, e quello ch’è provocato; se non che quello fa prima il peccato, e questo poi? L’un, e l’altro però è reo d’haver offeso il compagno appresso il Signore, il quale pro[p. 587 modifica]hibisce ogni male, e condanna chi lo fa. E perciò assolutamente si commanda, che non si renda mal per male.

3. Patienza in raffrenar l’istessa vendetta.

Quem honorem litabimus Domino, si nobis arbitrium defensionis arrogaverimus? Quid credimus Iudicem illum, si non et ultorem? Qui vindicat se, honorem unici Iudicis abstulit, hoc est, Dei. Quid ergo mihi cum ultione cuius modum regere non possum per impatientiam doloris? Quod si parientiam incubabo, non dolebo: si non dolebo, ulcisci non defiderabo. Nihil impatientia susceptum sine impetu transigi potest: quidquid impetu actum est, aut offendit, aut corruit, aut praeceps abit. Nam, ut compendio dictum sit; Omne peccatum impatientia adscribendum.3 Che honore rende[p. 588 modifica]remo noi al Signore, se ci arrogaremo l’arbitrio della nostra difesa? Come crediamo, ch’egli habbia da esser il Giudice, se non haverà da vendicar le nostre ingiurie? Quello, che si vendica, hà già tolto l’honore all’unico, e sommo Giudice, ch’è Dio. Che hò dunque da fare io con la vedetta, la quale per l’impatienza del dolore non posso moderare? Che se haverò patienza, non me ne dorrò: se non me ne dorrò non desiderarò nè anche di vendicarmene. Niuna cosa pigliata per impatienza si può passare senza impeto, e violenza; e tutto ciò, che si vien a fare con impeto, e violenza, ò non riesce, ò non può stare, ò se ne và subito in rovina; poiche per dirla in breve. Ogni peccato si deve attribuire all’impatien[p. 589 modifica]

4. Patienza nella perdita della robba.

Patientia in detrimentis, exercitatio est largiendi. Non piget donare eum, qui non timet perdere. Alioqui quomodo duas habens tunicas, alteram earum nudo dabit, nisi idem sit qui auferenti tunicam, etiam pallium offerre possit? Quomodo amicos de mammona fabricabimus nobis, si eum in tantum amaverimus, ut amissum non sufferamus? peribimus cum perdito. Gentilium est, omnibus detrimentis impatientiam adhibere, qui rem pecuniariam animae anteponunt. Nos vero secundum diversitatem, qua cum illis sumus, non animam pro pecunia, sed pecuniam pro anima deponere convenit, seu sponte largiendo, seu patienter amittendo. Totum licet saeculum pereat, dum patientiam lucrifaciam. Quos enim [p. 590 modifica]felices Dominus, nisi patientes nuncupauit?4 La Patienza ne i danni, che si patiscono della robba è un essercitio di liberalità in donare. Non rincresce di donare a chi non hà paura di perdere. Altrimente in che modo chi hà due toniche, ne darà una al povero ignudo, se non l’istesso, che a chi gli toglie la tunica, possa ancora offerire il mantello? In che modo ci faremo de gl’amici con il denaro, se l’ameremo tanto, che non potiamo sopportare d’haverlo perduto? Ci perderemo ancor noi con esso. E’ cosa da gentili per ogni poca perdita, a perder la patienza. E questo perche essi antepongono il denaro all’anima. Ma noi altri, che siamo da loro molto differenti, conviene, che non mettiamo l’anima per il denaro, ma si bene che lasciamo andar il denaro per l’anima, ò donandolo spontaneamente, ò per[p. 591 modifica]dendolo con patienza. Perdasi pure tutto quanto il mondo, purche io non perda la patienza. Et il Signore, quali altri chiamò beati, se non i patienti?

5. Patienza in sopportar l’afflittioni.

Gaudere, et gratulari nos decet dignatione divinae castigationis. Ego inquit, quos amo, castigo. O servum illum beatum, cuius emendationi Dominus instat, cui dignatur irasci, quem admonendi dissimulatione non decipit. Patientia in omni sexu, in omni etae formosa est. Patiens implet legem Christi. Non licet ergo nobis ulla die sine patientia manere; Malum Patientia non facit. Dilectio omnia sustinet, omnia tolerat, utique quia patiens. Undique igitur adstricti sumus officio patientiae administrandae.5 Conviene, che noi ci rallegriamo, e ci congratulia[p. 592 modifica]mo insieme per essersi Iddio degnato d’esser il nostro Correttore, poiche egli disse: Io correggo quelli, che amo. O beato quel servo il cui Signore hà cura di correggerlo, per cui talvolta si sdegna, ne lascia d’avvisarlo quando bisogna. La patienza è bella in ogni sesso, in ogni età. Chi è paziente osserva la legge di Christo. Non ci è dunque lecito stare ne pur un giorno senza la patienza. La patienza non sa far male. L’amore sopporta ogni cosa, ogni cosa tollera, e questo perche è paziente. Ad ogni modo dunque, e per ogni parte siamo costretti a far l’officio d’amministrare la patienza.

6. L’Aspetto, e l’habito della Patienza.

Vultus Patientiae tranquillus, Frons pura, nulla moeroris, aut ira rugositate contracta: remissa [p. 593 modifica]aeque in laetum modum supercilia, oculis humilitate, non in felicitate deiectis: Os taciturnitatis honore signatum: Color qualis securis, et innoxijs: Motus frequens capitis in diabolum, et minax risus. Caeterum amictus circum pectora candidus, et corpori impressus, ut qui nec inflatur, nec inquietatur. Sedet enim in eius throno Spiritus mitissimus, et mansuetissimus; non turbine glomeratur, non nubilo livet, sed est tenera serenitatis apertus, et simplex, quem tertio vidit Elias. Nam ubi Deus, et ibi et alumna eius patientia.

Il volto della Patienza è tranquillo: la fronte chiara, e serena senza ruga veruna di mestitia, ò d’ira, le ciglia hà uguali, e moderatamente allegre, tiene gli occhi bassi perche ella è humile non perche sia mal contenta, hà la bocca d’honorato silenzio ador[p. 594 modifica]na. Il suo colore è tale, quale è quello, che soglion’havere quei, che son sicuri senza colpa, e innocenti: E con sdegnoso, e minaccioso riso muove sovente contro il Demonio il capo. Del resto è tutta vestita di bianco, e le stà così bene questo vestito in dosso, e così apunto, che ne esso si gonfia, ne per soverchio drappo l’inquieta. Siede poi nel suo trono con uno spirito quietissimo, e mansuetissimo, che non si rannicchia per vento, ne s’oscura per nuvolo, ma è placidamente sereno, chiaro, e puro come quello a punto, che vide Elia la terza volta. Perche dov’è Iddio, ivi ancora è la sua alunna la patienza.

7. Gli elogi della Patienza.

Satis idoneus Patientiae sequester Deus. Si iniuriam deposueris penes eum, ultor est, si damnum, restitutor est: Si dolorem, [p. 595 modifica]medicus est, si mortem, resuscitator est. Quantum patientia licet, habeat debitorem! Nec immerito . Omnia enim placita eius tuetur, omnibus mandatis eius intervenit. Fidem munit, pacem gubernat, dilectionem adiuvat, humilitatem instruit poenitentiam expectat, exomologesin assignat, carnem regit, spiritum servat, linguam frenat, manum continet, tentationes inculcat, scandala pellit, martyria consummat: Pauperem consolatur divitem temperat; infirmum non extendit: Valentem non consumit, fidelem delectat gentilem invitat, servum Domino, Dominum Deo commendat, feminam exornat, virum approbat: amatur in puero, laudatur in iuvene, suspicitur in sene. Ergo amemus patientiam Dei, patientiam Christi; rependamus illi, quam pro nobis ipse dependit. Offeramus [p. 596 modifica]patientiam Spiritus, patientiam carnis, qui in resurrectionem carnis, & Spiritus credimus.6 Iddio è assai buon depositario della Patienza. Se tu lascierai in deposito a lui la tua ingiuria, egli la vendica: Se un danno, che hai patito egli te lo rifà: Se il dolore, egl’è medico: Se la morte, egli ti risuscita. O quanto può la patienza, e a quanto arriva, che hà Dio per debitore? E questo meritatamente. Perche ella osserva tutti i suoi commandamenti, ella interviene a tutti gli ordini suoi. Fortifica la fede, governa la pace, aiuta la dilettione, arma l’humiltà, aspetta la patienza, assegna la confessione, regge la carne, conserva lo spirito, raffrena la lingua, trattiene la mano, conculca le tentationi, caccia li scandali, compisce i martirij: consola il povero, modera il ricco, non manda in longo l’infermo con accrescergli il [p. 597 modifica]male, non consuma il sano col fiele, e con la colera, come fa l’impatienza, apporta diletto al fedele, invita il gentile, al padrone raccommanda il servo, e il padrone a Dio, adorna la donna, approva l’huomo: si ama in un putto, si loda in un giovine, si ammira in un vecchio. Amiamo dunque la patienza di Christo, restituiamogli quella, che ch’egli hebbe per noi; E noi, che crediamo la resurrettione della carne, e dello spirito, offeriamogli la patienza dello spirito, e la patienza della carne. Così dice Tertulliano nel libro della Patienza.

Note

  1. [p. 623 modifica]Tertull. in lib. de Patientia c. 8.
  2. [p. 623 modifica]Id c. 10.
  3. [p. 623 modifica]id. c. 10. 5.
  4. [p. 623 modifica]Id.c. 7. 8.
  5. [p. 623 modifica]id. c. 11. & 12.
  6. [p. 623 modifica]Id. c. 15.

[p. 597 modifica]

§. 3.

R
Acconta Theodoreto, che una volta il Demonio minacciò a S. Giacomo anacoreta di [p. 598 modifica]volerlo molto bene bastonare, a cui il buon servo di Dio apparecchiato a patir patientemente ogni cosa, con la fronte serena, e col volto tranquillo, come suol’essere quel della patienza; così rispose. Se ti è permesso da Dio, dammene pur quante tu puoi, ch’io riceverò queste bastonate molto volentieri, come mandatemi dal Signore, e non datemi da te. Ma se ciò non t’è permesso, non solo non mi darai delle bastonate, ma ne anche mi toccherai anchorche tu t’arrabbi, e t’impazzisca. Lo stesso potrebbe dire ciascuno di noi con ogni libertà a tutti quei, che tiene per nemici: se vi è stata data questa potestà da Dio, su fate ciò, che volete, battetemi, laceratemi, e stracciatemi con denti, caricatemi d’ingiurie poiche in darno vi farò resistenza. Mà se voi non havete questa licenza, anchorche m’apriate tanto di bocca e [p. 599 modifica]v’affiliate bene i denti, non mi morderete, lo sò certo, e stommene sicuro.

Il Beatissimo Papa S. Gregorio Magno, non solamente scrisse bellissimi documenti della Patienza, mà li confirmò ancora con l’essempio, e cominciò a fare, e insegnare. Poiche riferendosi all’Imperatore Mauritio, dal quale egli fù diversamente, e grandemente travagliato dice così: Quia Omnipotenti Deo incessanter quotidie delinquo, apud tremendum examen illius aliquod mihi remedium esse suspicor si incessantibus quotidie plagis ferior. Et credo, Auguste, eundem Dominum tanto nobis amplius placatis, quanto me ei male servientem districtoius affligitis.1 Perche offendo ogni giorno l’onnipotente Iddio con continui peccati, vò pensando, che in quel suo tremendo esame havrò qualche [p. 600 modifica]rimedio se ogni giorno vengo con continui travagli percosso. Et io credo, ò Imperatore, che voi ci andiate tanto più placando il medesimo Signore, quanto più crudelmente affligete me, che così mal lo servo.

O Dio: con che patienza, e con che humiltà! L’istesso disse benissimo che la patienza è un rimedio a ogni dolore. Qual Santo è stato mai coronato senza la patienza?

Dicono i Grammatici, che ogni regola hà la sua eccettione. Mà questa regola della Patienza non hà eccettione alcuna. E però San Paolo ordina a tutti così strettamente, che con tutti siano patienti, con ogni humiltà, e patienza. Patientes estote ad omnes cum omni humilitate, et patientia.

La patienza s’ha d’havere in ogni luogo, in ogni tempo, con tutti gl’huomini, in tutte le cose, [p. 601 modifica]senza veruna eccettione, poiche non vi è alcuna virtù, che sia perfetta senza la patienza. Al contrario l’impatienza è la mamma di tutti i vitij, e l’origine, e la fontana di tutti i delitti, che da per tutto và diffondendo le vene di diversi peccati. L’impatiente non obedisce mai, dove il patiente mai resiste, l’impatienza hà la origine dal Demonio, ed è madre di quella bruttissima figliuola della stoltitia, e della pazzia, poiche che cosa si può trovar più stolta, e più pazza al mondo, che radoppiarsi volontariamente il proprio male, e rifiutare il premio promesso a chi hà patienza.

L’impaziente, se per sorte perde un dinaro, subito getta via tutta la borsa; se gl’è tolto una spiga di grano subito dà fuoco à tutto il resto. Così fra i Signori Cortigiani di Rodolfo secondo Imperatore, vi fù una volta un di quei [p. 602 modifica]Signori della camera imperiale che portando una mattina un poco d’acqua fresca all’Imperatore, per lavarsi la faccia, in un bellissimo vaso di cristallo, e cadendogli per disgratia in terra il coperchio di quel vaso, venne in tanta collera, che gettò tutto il vaso in terra, dicendo con grandissima impatienza. Già che ’l Diavolo s’hà pigliato la sella, piglisi il cavallo ancora. Et a questo modo gettò via quattrocento scudi in un colpo, che tanto valeva quel vaso.

Così a un leggerissimo male, ve se n’aggiunge spesso un grande, e ad inconvenienti non tanto grandi ve se n’aggiungono poi bene spesso di grandissimi.

Ricordati di quel, che dice Salomone: Qui impatiens est sustinebit damnum,2 Chi è impaziente patirà gran danno. Perche quanto più ostinatamente uno patisce, [p. 603 modifica]tanto maggiore è il dolor, che sente. Così la fiera mentre tira il laccio, più lo stringe; così gl’uccelli presi al vischio, mentre più si sbattono, più s’invischiano. Non vi è giogo così grave, che non faccia minor danno a chi lo porta, che a chi cerca di levarselo. Perciò chi hà cervello procura d’haver patienza in ogni cosa. Un pazzo non sà fare ne patire niente: chiarissimamente dice Salomone: Qui patiens est, multa gubernatur prudentia, impatiens operabitur stultitiam.3 Chi è paziente si governa con molta prudenza, l’impaziente restarà un pazzo.

Però disse S. Gregorio: Tanto quisque minus ostenditur doctus, quanto convincitur minus patiens4 Tanto meno ciascuno si mostra dotto, quanto meno si convince per paziente. E così è à punto, tanto uno è più pazzo, quanto è più impaziente. Il che [p. 604 modifica]disse ancora risolutissimamente Salomone: Doctrina viri per patientiam noscitur.5 La Dottrina d’un’huomo si conosce dalla patienza; mà i pazzi, cioè gl’impazienti, se la pigliano ancora con se stessi; gettano la tavola per terra, rompono i vasi, si strappano i capelli, si danno de’ pugni nel petto, e bene spesso danno ancora della testa per le colonne, come fece Cesare Augusto, il quale dando della testa in un muro gridava: Redde legiones, Vare: redde legiones Rendimi i soldati. Questo vuol dire ch’ogni sregolato sdegno sempre nuoce à se stesso.

Note

  1. [p. 630 modifica]S. Greg. l. 4.
  2. [p. 630 modifica]Prov.
  3. [p. 630 modifica]c. 14. 29.
  4. [p. 630 modifica]S. Greg. hom. 35 in Evang.
  5. Prov. 19. 1.1.

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§. 4.

D
Al che ne segue ancora, che ci mettiamo in colera, e ci turbiamo per cose minime, e molto vili. Il Paggio non è così [p. 605 modifica]destro; La stufa non fu riscaldata à tempo; il Letto non è così ben fatto; la mensa è malamente apparecchiata; subito ce n’andiamo in bestia, subito spargiamo il fiele, e mostriamo l’impatienza, ci sdegniamo con la penna, con la quale noi scrivemo, col cavallo, che cavalchiamo, e col vestito, che portiamo. Quindi vengono quelle voci:, che diavolo m’hà portato innanzi costui? Chi è stato quel mal corvo, che m’ha portato à rodere questo osso? Donde mai mi venne questo soprosso? Quanto fastidio mi dà questa baia. Come mi strapazzano sti manigoldi! E perche non fò io altretanto à loro? Perche non lascio andare ogni cosa alla malhora? Et à questo modo andiamo sempre contrastando miseramente con i nostri travagli, e con le nostre croci.

O come ci staria bene, che come l’Asina di Balaam, tanto i no[p. 606 modifica]stri travagli, da i quali siamo afflitti, quanto le nostre croci, nelle quali siamo confitti, parlassero, e ci dicessero quello, che Moisè, e Aron dissero al Popolo: Nos quid sumus? nec contra nos est murmur vestrum, sed contra Dominum.1 Noi altri, che siamo? E sappiate, che voi non mormorate di noi, mà del Signore. E così qualsivoglia Croce potrebbe dire: Io, che t’ho fatto, che ti metti tanto in colera contro di me; Habbi patienza, ch’io ti pagarò ogni cosa. Di gratia concedi questo alla Patienza, e sopporta per un poco d’essere misero, e afflitto, e ogni cosa ti sarà ricompensata con centuplicata mercede.

Mà mi dirai: Troppo cose insieme, e troppo gravi son quelle, che mi molestano. Adunque à questo modo, ò mortali, ci pensiamo di guadagnar la lode de’ patienti non patendo niente ò co[p. 607 modifica]sì poco? Disse eruditamente molto a proposito S. Gregorio: Pensate quaeso ubi erit Patientia, si deest quo toleretur? Ego Abel esse non suspicor, qui Cain non habueit. Boni enim si sine malis fuerint, perfecte esse boni non possunt, quia minime purgantur Ipsa enim malorum societas, purgatio bonorum est.2 Considerate di gratia dove sarà la patienza, se vi manca che patire? Io non penso, che si trovi un’Abel, che non habbia havuto il suo Cain. Perche se i buoni saranno senza i tristi, non possono essere perfettamente buoni perche non sono purgati: Poiche la compagnia de i tristi è la purga dei buoni.

Laonde bisognaria sempre dire: Con patienza, di gratia, con patienza, almeno per amor di Christo, di gratia con patienza. Il rimedio per ogni dolore è la patienza. E sicome à quei, che son [p. 608 modifica]più lenti, e pigri, bisogna sempre dire. Horsù, che si fà, eh la, sù speditela, presto, à noi: Così à noi altri, che siamo tanto impatienti, spesso bisogna dire: Eh là, Christiano mio, habbi patienza, patienza fratel mio; così in questo come in quello, e in quell’altro, e in ogni cosa habbi patienza.

Qui ci saria bisogno di quel Paggiotto di Filippo Rè della Macedonia, che da lui havea havuto commissione di salutarlo ogni giorno a questo modo, e con queste parole: Homo es: Ricordatevi Signore, che sete huomo: Così bisognaria, che un tal paggio ci stesse attorno à tutte l’ore, e à ogni momento, e continuamente ci dicesse:, E di gratia con patienza; Patron mio, adagio, piano, con patienza tutto quello, che ci dà fastidio, e ci travaglia, s’hà da sopportare con patienza.

Note

  1. [p. 634 modifica]Exod. c. 16. 8.
  2. [p. 634 modifica]S. Greg. [p. 635 modifica]to. 4. l. 9. ep. 39. post init.

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§. 5.

N
Oi altri ci scordiamo spesso di noi stessi, ne ci ricordiamo, che stiamo in un’esilio, dove bisogna sopportar ogni cosa.

Olà Christiani, perche andiamo noi così ansiosamente cercando le delitie? Noi perdessimo il Paradiso; dall’hora in quà fummo cacciati in bando. E’ vero, che non habbiamo di nuovo pigliato quella strada, e c’incamminiamo verso il Paradiso, mà non vi siamo ancora giunti. Chi si pensa di far questo viaggio senza patienza, è come uno, che vada per la pioggia senza cappello, e senza feltro, ò pure come un soldato in mezo de’ nemici senza spada, e senza scudo.

Il paziente è armato da capo à piedi, à punto come un’huomo d’arme; e quello, che più importa, ed è una sorte di gloriosissima [p. 610 modifica]toria, egli stesso sfida tutti gl’inimici, non dando loro alcun fastidio, mà col sopportarli solamente. Il Patiente camina sopra le braci ardenti, come se fusser tante rose: Così fece il B. Tiburtio, che camminò sopra carboni accesi, come sopra tanti fiori. Mà come si dice ne’ Proverbi: Nunquid potest homo ambulare per prunas, ut non conburantur planae eius?1 Come può l’huomo camminare sopra le bragie senza brugiarsi i piedi? Quegli camina sopra le braci illeso, che sopporta gl’affanni con patienza.

Isaia di questa patienza armato, è segato per mezo, e pur parla del Signore; S. Stefano è lapidato, e dimanda perdono per i suoi nemici: Gli Apostoli sono flagellati, decollati, e crocifissi; e trionfano col crocifisso. Patientia opus perfectum habet.2 La Patienza fà le cose compitamente. [p. 611 modifica]

La Patienza come dice S. Cipriano, Tentatione expugnat, persevutiones tolerat, passiones consumat, Ipsa est, quae fidei nostra fundamenta firmiter munit.3 La Patienza vince le tentationi, sopporta le persecutioni, dà perfettione à i patimenti. Essa è quella, che fortifica bene i fondamenti della nostra fede. La patienza, per l’elogio di Tertulliano è bella in ogni sesso, e in ogni età. La Patienza difende tutte le virtù, è una corazza impenetrabile, e come dice S.Agostino. Omnis patientia dulcis est Deo.4 Ogni patienza al Signore è dolce. Dice Plinio5 ritrovarsi un’herba chiamata Nyctilopa, perche al tempo di notte risplende nelle tenebre; poi che hà il color del fuoco, e hà le sue foglie spinose. Di questa herba si servono i Rè de i Parthi per ottenere ciò, che desiderano. Et eccovi un bellissimo sim[p. 612 modifica]bolo della Patienza. La Patienza è cinta d’ogn’intorno, ò per dir meglio, guardata d’ogni intorno dalle spine come da tante foglie: E del colore del fuoco, e nel mezo dell’afflittioni risplende di natio splendore; non essendo mai sì chiara, come quando per Christo più misera si ritrova.

Nella Scuola della Patienza un sol conforto v’è di tutti i mali; il Patire, e haver Patienza nelle necessità. Dice bene un ottimo scrittore. Qui melius scit pati, maiorem tenebit pacem. Iste est victor sui, dominus mundi, amicus Christi, et haeres caeli. Si non uteris undique scuto patientiae, non eris diu sine vulnere.6 Chi meglio sà patire, godrà maggior pace. Questo è vincitore di se stesso patrone del mondo, amico di Christo, e herede del Cielo. Se non haverai sempre teco lo scudo [p. 613 modifica]della Patienza, non starai troppo senza haver qualche ferita.

Note

  1. [p. 639 modifica]Sur. 17. Aug. et in acti. S. Sebastiani 20. Ian.
  2. [p. 639 modifica]Iac. c. 1. 4.
  3. [p. 639 modifica]S. Cyp. tract. de pat. fer. 3.
  4. [p. 639 modifica]S. Aug. in ps. 42
  5. [p. 639 modifica]Pli. l. 21. nat. hist. c. 11 init. ubi haec herba est, et nyctegretum, et Eche nomycon appellatur.
  6. [p. 639 modifica]Tho. de Kemp. Imit. Chris. l. 2. c. 3. fi. et lib. 3 c. 35 init.