Scola della Patienza/Parte terza/Capitolo II
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CAP. II.
Come l’Afflittioni s’hanno da sopportare allegramente.
Tutti quelli, che hanno fatto qualche profitto nella scuola della Patienza allegrissimamente si licentiano dall’Egitto, abandonano il mondo, e hanno a caro d’esserne cacciati da lor nemici. E questo è l’altro modo di sopportar le afflittioni: Allegramente, e perciò insegnaremo in questo capitolo, che non solamente si hà da sopportare ogni cosa patientemente, ma anche allegramente.
§. 1.
Nella Scuola della Patienza accioche tu sappi, non vi sarà alcuno, che ti saluti per Dottore se tù non hai un’animo sano, vegeto, e allegro. Quivi se mai altrove, ci vuole ardire, e bisogna uscire generosamente incontro all’inimico. Però fà buon animo, e quello, che hai da sopportare, sopportalo allegramente. Canta col Real Profeta: Calicem salutaris accipiam, et nomen Domini invocabo.1 Io mi pigliarò questo calice di salute, e invocarò il nome del Signore. Un’animo basso, e vile mette impedimento a ogni trionfo. Niceta Choniate disse benissimo: Alacritas quid non facit, et animus in re mala bonus?.2 Che cosa non fà il non perdersi d’animo, e un’animo buono in cosa mala?
Vedete Giesù Christo N. Sig. Qui proposito sibi gaudio crucem sustinuit confusione contempta. Che con allegrezza sostenne la Croce senza far conto alcuno, che fusse vergognosa. Due premij s’acquistò il Salvatore: e per se, e per noi. Per se acquistò la gloria del corpo, e il dominio del mondo: Per noi la gratia, e la salute tanto dell’anima quanto del corpo. E così havendosi proposto questo premio, ò gaudio andò talmente temperando tutti i suoi tormenti, e le sue passioni, che dovendo patire una morte così acerba, e vergognosa, mostrava però d’essere molto allegro, e di sentire un meraviglioso contento. Perciò non facendo conto alcuno della vergogna disse: Desiderio desideravi hoc Pascha manducare vobiscum antequam patiar. Hò desiderato grandemente di mangiare con voi questa Pasqua prima di patire. Ahi Pasqua sanguinosa! e pure la desiderava, e come andasse ad un sontuoso, e delicatissimo banchetto s’affrettava tutto allegro, e festante d’uscire di Gierusalemme. Exultavit ut Gigas ad currendam viam. c Fece salti come di gigante per correre per questa strada. E, che strada fù quella? Dalla casa di Pilato fino al monte Calvario, e perciò non volle ne anche esser pianto per questa strada.
Perche non solamente quando già stava per patire una durissima morte, offriva se stesso per vittima con un’animo pronto, e liberale, e con una faccia allegra, e gioviale, mà dal primo momento ancora ch’ei si vestì di carne nel ventre della madre, hebbe fin dall’hora sempre innanzi à gli occhi la Croce, e tutte quelle cose, che di mano in mano doveva patire. A questo modo Christo, da che si fece huomo, hebbe sempre dinanzi gl’occhi i suoi flagelli, e la sua Croce. Quindi è, che potrei dire molto bene, che Christo non patì solamente per lo spatio di trentatre anni, e più, fù sempre tormentato nella Croce, e nondimeno, proposiuto sibi gaudio, con grandissima allegrezza, e patientissimamente sopportò ogni cosa.
§. 2.
E questo è patire allegramente per il Signore: haver li affronti per honore, tenere per veri piaceri le afflittioni. Et si qued patimini propter iustitiam, beati:3 Dice S. Pietro. E se vi occorrerà a patire qualche cosa per la giustitia, sarete beati. Omne gaudium existimate, (dice S.Gregorio) cum in tentationes variae incideritis. Beatus vir qui suffert tentationem. Tenete pure per la maggior’allegrezza, che voi potiate havere, quando v’occorrerà di patire varie afflittioni: e beato è colui, che le sopporta. E questo lo dicono solamente S. Pietro, e S. Giacomo? Il dice ancora l’istesso Christo, sentite: Beati estis, cum maledixerint vobis homines, et persecuti vos fuerint mentientes propter me: gaudete, et exultate, quoniam merces vestra copiosa est in Cælis.4 Voi sete beati, quando gl’huomini diranno mal di voi, e vi perseguiteranno a torto per causa mia: rallegratevene pure, e fatene festa; perche la mercede, che n’haverete in Cielo, è grande. Ma la delicatezza di molti non lascia loro intendere, e capir bene questa filosofia.
Henrico Sufo huomo religioso, e Santo parlando molto alla fidata con Dio, gli dice: Hoc est, Domine, quod quosdam tam male habet eaque causa aiunt, te paucos habere amicos, quod ita dure, et aspere tractas eos in hoc mundo; hinc etiam fit, ut plurimi a e deficiant. Quid ad hoc, mi Domine, respondes?5 Questo è quello, Signore, che da tanto fastidio a molti, e perciò dicono, che habbiate così pochi amici; perche li trattate troppo dura, e aspramente in questo mondo; E che perciò ancora molti vi lasciano. Che respondete a questo Signor mio? Et in vero che questo santo huomo molto ben prattico nelle cose di Dio, tenne le calamità per così pretiosi doni, e seppe, che si dovevano accettar con tanta allegrezza, che disse: Si centum annis, et flexis genibus Deum oremus, non sumus digni, ut crucem unicam accipiamus. Se pregassimo Dio cento anni con le ginocchia in terra; non siamo degni ne anche d’havere una sola minima Croce, ò una sola tribulationcella. Non vogliamo dunque essere allegri, quando Dio col suo paterno favore ci castiga? Quanto se ne rallegrò S. Paolo? Quindi è, ch’egli disse: Repletus sum consolatione, superabuno gaudio in omni tribulatione nostra.6 Mi sono riempito di straordinaria consolatione; e hò sentito sempre grandissima allegrezza ogni volta, che m’è accaduto a patir qualche cosa, e in un’altro luogo: Et si immolor super sacrificium fidei vestrae gaudeo, et congratulos omnibus vobis; id ipsum vos gaudete, et congratulamini mihi.7 Benche ancor’io sia sacrificato sopra il sacrificio della vostra fede, me ne rallegro nondimeno, e mi congratulo con voi; e voi altresì rallegratevene, e congratulatevene meco. S. Chrisostomo dice: Nivis cumuli in eum devolvuntur quotidie, et est quasi in Paradiso. Ogni giorno gli vengono gettati adosso monti di neve, ed egli stà come se fusse in Paradiso. Onde pensate voi, che la faccia di S. Stefano risplendesse come quella d’un Angelo? Assegnandone la causa S. Hilario Arelatense, dice: Hoc ex abundantia laetitiae gaudij, et cuiusdam gloriae cordis prodijt.8 Questo venne dall’allegrezza dal gaudio grande, e dall’abondanza d’una certa Gloria, che haveva nel cuore. Poiche S. Stefano haveva capito molto bene ciò che disse S. Giacomo. Omne gaudium exixtimate, fratres mei, cum in tentationes varias incideritis. Istimate pure, Fratelli miei per la maggior allegrezza, che voi potiate havere, ogni volta, che vi si presenteranno varie occasioni di patire delle tribulationi, e de’ travagli.
Note
§. 3.
Laonde, Christiani miei stiamo pure allegramente, e corriamo allegramente il pallio della Patienza; perche non ci si mostra altrimente una croce alta, e sublime, nella quale habbiamo da esser crocifissi; ne meno ci si mostrano equulei, dai quali stiamo pendendo tutti pieni di ferite; nè graticole, nelle quali ci stendiamo; non sassi da bagnar col nostro sangue, nè meno farragini, ò padelle da empirle con le nostre carni; ma le quotidiane miserie sono le nostre croci, assai miti, e tollerabili. Perche fuggimo? Dove sarà più grande la fatica, ivi ancora sarà più grande la mercede: E quanto più difficile sarà la pugna tanto sarà più pretiosa, e nobil la corona. Adunque Allegramente.
Solevano anticamente i Germani dar animo a quello, che sonava nelle nozze, con queste ò simili parole: Sù allegramente, sonatore, gonfia pur la piva con fiato allegro. Quanto più saranno i mali, che haveremo, tanto più ancora facciamo con animo a noi stessi. Sù Stefano: sù Giovanni: Sù Paolo allegramente, loda pure, e ringratia Dio perch’egli vuole, che tù patisca. Guardati, che nessuna sorte d’amarezza t’occupi l’animo, ò la lingua. Un’animo allegro fà l’età fiorita, dove la malenconia dissecca l’ossa. Spiritus tristis exiccat ossa.4 Chi sopporta i travagli, e le miserie con mestitia, e con dolore, è come se in cambio di sonare una viuola, ò un liuto, si spezzasse al muro. Il che ancora confermò S. Agostino quando disse: Si in tribulationibus defecisti, citarm fragisti.5 Se ti sei lasciato vincere dalle tribolationi, spezzasti la cetra; poiche, come dice il Savio; In moerore animi deijcitur Spiritus.6 Con la malinconia si perde lo Spirito. Et aggiunge: Si desperaveris lassus in die angustiae; imminuetur fortitudo tua: Se nel tempo della tribolatione t’arrenderai per la stanchezza; perderai rebus adversis praemimus gudeamus, hoc enim est peccatorum expiatio.7 Non si trova la più forte armatura, che lo star allegro in Dio. Quando siamo tribolati, rallegriamocene pure perche questo è un purgarsi da i peccati.
Note
§. 4.
Le prugne selvatiche, e l’agresta ti stringono la bocca, e t’allegano i denti, ma non ti fanno male allo stomaco: così sono le miserie nostre; pizzicano, e si fanno sentire un poco, ma se non vuoi non ti levano, ne ti tolgono l’allegrezza. Mira i gladiatori, che a pena vengono nell’arena senza sangue: se ne vanno però tutti allegri, e festeggianti a ricever le ferite, e molte volte nella palestra quanto più è il sangue, che si sparge, tanto più si ride.
E noi pure siam nella palestra. Qui non vi è la più vergognosa cosa, quanto piangere. Impariamo dunque, e avvezziamoci ancor noi a vederci dalle ferite nostre uscir il sangue, ma senza piangere. Ciascuno, che si dà tutto in mano della divina provvidenza, e volontà; cava sempre di là un perpetuo gusto, etiandio quando è grandemente travagliato. questo tale a guisa di soldato veterano intrepido si guarda uscire il sangue. Che gran cosa è lo star’allegro, quando le cose van bene? Questo lo sà far ancora chi è impatiente: Confitebor tibi, cum benefeceris ei:3 Si vero non fuerint saturati, murmurabunt.4 Signore quando li farete del bene vi lodarà: ma se non darete loro da mangiare, vi leggeranno la vita.
E’ consiglio di S. Giacomo: Tristatur aliquis vestrum? oret, aequo animo est? psallat. Vi è alcuno di voi, che stia melanconico? Si metta a far oratione, e se stà bene, si metta a sonare, se ne voli in alto, canti allegramente, lodi Iddio non meno, che si facessero quei trè giovinetti hebrei a i quali le fiamme parvero come tante fresche, e rugiadose rose.
Note
§. 5.
Stefano Vescovo Eduense così và esplicando quello del Deuteronomio: Inundationem maris, quasi lac sugent: Succhiaranno come latte l’innondatione del mare. Inundatio maris (dice questo Autore) Abundantia tribulationis, quae tunc fugitur, cum dulcis a iustis reputatur. Lac nutrimentum parvulorum, tribulatio fit electorum.1 L’inondazione del mare non è altro, che l’abondanza, e copia delle tribolationi, le quali all’hora si succhiano come latte quando da i giusti sono tenute per dolci. Il latte è il nutrimento dei fanciulli, la tribolatione è il nutrimento de gl’eletti. Succhiossi questa inondatione del mare colui, che disse: Sed et gloriamur in tribulationibus.2 Ma ci gloriamo ancora nelle tribolationi.
Questo è proprio de gl’huomini santi, che quanto più sono afflitti quà giù in terra, tanto più s’inalzano con l’animo verso il Cielo. A pena si trova un Rè, che sia stato miglior d’Ezechia; ma nè anche se ne trova alcuno, che sia stato più afllitto, e tribolato. Egli però soprastando sempre a tutte le sue disgratie, se ne stette sempre con un’animo forte, e con grand’animo s’inalzava a Dio.
Si racconta, che Venceslao Rè di Bohemia, quando dopo haver perduto, e sbaragliato tutto l’essercito, e rimastone senza forze, era tenuto prigione; fù interrogato com’egli stasse, al che egli rispose: meglio hora che mai. Perche quando era cinto d’ogni intorno d’aiuti humani, rare volte haveva pensato a Dio, ma hora che ne era affatto spogliato, e privo; riponeva tutta la sua speranza in Dio; e che non pensava quasi mai ad altri, che a Dio, il quale non abandona mai chi spera in lui. Et eccoti a punto quel, ch’io dissi, che i buoni quando sono più travagliati, più allegramente s’inalzano a pensare le cose divine.
Seneca và molte volte cercando: Quid praecipuum in rebus humanis est? Che cosa sia quella, che sia di più importanza fra le cose humane. Et egli stesso risponde così: Posse laeto animo adversa tolerare: quicquid acciderit sic ferre, quasi tibi volueris accidere. Debuisses enim ferre: si scisses omnia ex decreto Dei fieri. Flere, queri, ingemere, desciscere est; Quid, est praecipuum? Animus contra calamitates fortis, et contumax, luxuriae non aduersus tantum, fed & infestus. Quid est praecipuum? Altos fupra fortuita spiritus attolere, hominis meminisse, vt sive felix eris, scias hoc non futurum diu; sive infelix scias hoc te non esse, si non putes. Sai (dice questo Savio) quello, che più importa nelle cose humane? Il poter sopportare l’avversità con allegrezza. Sopportare tutto quello, che ti occorrerà come se tù l’havessi cercato, perche l’haveressi dovuto sopportare se tù havessi saputo, che ogni cosa avviene per decreto di Dio. Il piangere, il lamentarsi, il sospirare è una sciocchezza. Che cosa è quella, che più importa? Un’animo, che sia forte, e ostinato contra le calamità, e le tribolationi; che non solamente sia contrario alla lussuria; ma che le sia ancor molesto. Che cosa è quella, che più importa? Havere un’animo grande contra i casi avversi, ricordarsi d’esser huomo, perche se tù sarai felice, sappi, che ciò non durerà troppo: e se sarai infelice, sappi di non esser tale, se da te stesso non ti ci tieni.
Di maniera che, Christiani, si deve sopportare forte, e allegramente tutto ciò, che di contrario ci vien dal Cielo. Non ex tristitia aut necessitate; hilarem enim datorem diligit Deus: Non con malinconia, ò come per forza; poiche Dio vuole bene a chi dà volontieri, e allegramente quel, che da. S’hà d’andar innanzi, e non star sempre all’ultima scuola: Ne ci paia mai d’haver fatto tanto profitto. Quin paulo maiora canamus, che non n’habbiamo a far più. Nella scuola della Patienza non è de’ primi chi sopporta con patienza le cose avverse, mà chi le sopporta ancora volentieri, e allegramente. A costui si deve il primo premio, ò almeno uno d’i primi. Hilarem datorem diligit Deus. Iddio ama chi dà allegramente.