Saggi poetici (Kulmann)/Parte terza/Licofrone da Calcide
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LICOFRONE DA CALCIDE
L’ELICONA
Il Padrone
Tu per certo, straniero,
Ne’ tuoi lunghi viaggi
L’Elicona vedesti
Che si alza qual gigante
5Sovra i Beozj monti,
E visitasti ’l bosco
Sì noto delle Muse.
Deh! pregoti, ne narra
Le tante meraviglie,
10Che sull’eccelse cime
Di quel monte vedesti.
IL Viaggiatore
Al sorger dell’aurora
Ridendo il cielo intero
Di luce e di sereno,
15Preceduto da molti
Esperti condottieri,
Abbandonai l’Ascrée
A Febo sacre mura.
Con rugiadosi fiori,
20Che camminando colsi,
Fatto un legiadro serto,
Io ne cinsi l’antico
Monumento d’Esiodo.
Di repente curvossi
25La strada, ed ecco innanzi
A noi la maestosa
Altissima montagna.
Sopra il dolce pendio
Tutto sparso di fiori,
30Sorgono negre selve,
Le lor ombre lunghissime
All’intorno stendendo;
Sorge dal seno a queste
Di nudi sassi un muro
35Che sembra d’ocra tinto,
E il cuopre eterna neve:
Diresti giovin sposa
Dalle rosate guancie
E dalla nera chioma,
40In mezzo a che risorge
Ricchissimo diadema,
Ch’or spiega or cuopre un velo
D’insolita bianchezza.
E giunti al piè del monte,
45I condottier cantaro
Antichissimo un canto
Che a quel che fama il narra
Esïodo compose.
Te salutiam, de’ monti
50Beozj augusto Sire!
Te, che ad un tempo istesso
Scorgi due vasti mar.
Te preferendo ai monti
Che l’Ellade rinchiude,
55Le figliuole di Giove
Te visitan talor.
Più ratto del baleno
L’alato lor destriero
Le guida all’alto cielo,
60Ovver dal ciel quaggiù.
Desso a bell’agio pasce
Sul verde tuo pendío:
Sitibondo egli batte
Col piè, — ecco un ruscel.
65Tosto che ’l più tremendo
De’ serpi qui si nutre,
Subito perde l’atro
Letale suo velen.
Non cedono in dolcezza
70Tuoi frutti a que’ del piano,
E tu le sue dolcezze
Tutte racchiudi in te.
Ritrovano il pastore
Col gregge sul tuo fianco,
75Ovunque volgan, l’erbe
E l’acque e l’ombre lor.
Alle radici tue,
Nella vallea, mai sempre
Di dense nebbie avvolta,
80L’altre cure si stan;
Ma su tuoi gioghi altissimi,
Sempre di lume cinti,
Albergano ’l contento,
La pace ed il piacer.
85Te salutiam de’ monti
Beozj augusto Sire!
Dalle tue spalle i Numi
Si lanciano nel ciel.
Così cantaro in suono
90Festivo i condottieri.
Seguimmo lieto e largo
Sentiero, or spalleggiato
Di fruttiferi arbusti,
Or ti mostrava aperto
95I sottoposti campi,
Ed in breve giungemmo
Al bosco delle Muse.
Prima di entrar nel bosco:
«Vedi quel sen rinchiuso
100Fra que’ monti? (mi chiese
L’anziano delle guide)
L’abitator de’ campi
Circonvicin lo chiama
Cuna delle tempeste.
105Là sorge a prima vista
(Ed io non rade volte
Cogli occhi miei lo vidi)
Picciolissima nebbia,
Come avoltojo larga,
110Quando si libra a volo.
Ella, in breve, si posa
Su quella gialleggiante
Larga sporgente roccia.
All’apparir di questa
115Picciol nube temuta,
Il pastorello spegne
Il fuoco, che nudriva
Sul lembo della selva
A preparar la parca
120E povera sua mensa,
E con ansiosa cura
All’ovile riduce
Frettoloso la mandra;
L’agricoltor distacca
125Dal giogo i buoi sferzandoli
I passi loro affretta;
E ’l pescator, volendo
Salvar la ricca preda,
Remiga ardito e pronto,
130E giunto al lido, in fretta
Sua navicella trae
Sulla sabbia rimota,
Che intatta ognor rimane
Dall’onde spumeggianti
135Del lago, che sconvolto
Dall’imo al sommo viene
Dall’irata tempesta.
Cresce intanto la nube,
Si condensa, s’abbruna,
140Tutta già la vallea
Empie d’ombra e d’angoscia,
E sta, qual gonfio fiume,
A soverchiar vicina
La cima delle alture
145Che, poco fa, qual argine
Ardivano d’opporsi
A’ suoi ratti progressi.
Quale viaggiante nave
Che, l’ancora levata,
150Colle vele spiegate
Lascia l’angusto porto,
Ecco lo struggitore
Immenso nembo irato
Disvellersi dai monti.
155E lanciato sull’ali
Dei scatenati venti,
Rapido attraversare
I campi risuonanti
Dal ripetuto scoppio
160Di spaventevol tuono,
Mentre vengon sommersi
Tutti da simultanea
Piena di fuoco: e d’acqua.
Il terror lo precede,
165E l’eccidio lo siegue.
Or siamo nell’ameno
Bosca delle Camene.
Veggiamo, in mezzocerchio
D’antichissime quercie,
170Quale marina spuma
Il bianco simulacro
D’Orféo. Giace ai piedi
Del Re dell’armonia,
Qui il maestoso Sire
175Dell’ombrose foreste,
Cui sino a terra pende
L’ondeggiante criniera:
Giovin daino si vede
Che senza tema pongli
180I piè sul largo dorso,
E con le orecchie tese
Si beve il suon del liuto;
Là, cruda tigre siede,
Fra le cui zampe stassi
185Non più timida lepre.
In mezzo alla corona
Del Re del canto ascondesi
Un nido d’usignuoli
Non di piume coperti,
190Cui l’imperita voce
Stentasi a far preludi:
Al venir nostro tutti
Silenziosi restaro;
Subito che partimmo,
195Di bel nuovo con gioja
A cantar si provaro.
Traversiamo nascente
Amenissimo bosco,
Ch’arte e natura a un tempo
200S’emularo abbellir.
Quel boschetto varcato,
In luoghi ci trovammo
Aspri e selvaggi quanto
Non cape in mente umana.
205In mezzo a queste scene
Che ai più forti talora
Son cagion di terrore,
Ecco leggiadra valle!
Veggendola diresti:
210«La Grazia appo l’Orrore!»
O «vezzosa fanciulla,
Che giuoca in grembo assisa
Al mentecatto padre!»
È l’angusta vallea
215Da tre lati rinchiusa:
Ma chi, chi mai narrare
Ardiria con parole
Questa vista sublime,
Quando del sol la luce
220A pieno la percuote?
Quai verdeggianti piani,
Ove a cespugli sorgono
Amaranti e vïole,
Fioralisi e mughetti,
225Che, non dandosi posa,
Nascono in ogni luna,
Innaffiati da cento
Ruscelletti che scendono
Con grato mormorio
230Da bianchissime rupi.
Rischiarati dall’astro,
Ei sembran bionde treccie
Ai zeffiri disciolte,
Che a folleggianti Ninfe,
235Or or dal bagno uscite,
Sino ai piedi discendono.
Quando entri nella valle,
Giace dal manco lato
All’ombra di parecchi
240Colimbiferi arbusti,
Un isolato sasso
Di rozzo, informe, eppure
Non inameno aspetto.
Vedemmo appiè del sasso
245Un giovine pastore
Ed una verginella
Dalle vezzose forme,
Ch’or cantavano insieme,
Or a vicenda i carmi,
250Che l’invisibil prole
De’ monti poi ripete.
Le lor mandre frattanto
Erravano pascendo
Nella feconda valle,
255Ora seguite ed ora
Precedute dal fido
E vigilante cane
Intrepido e mai sempre
Alla difesa pronto.
260Dissemi il condottiero,
Che la vezzosa valle
Ha nome di Museo.
Poscia che lungo tratto
Di sentier percorremmo
265In via stretta e sull’orlo
Di spaventoso abisso!
Entrammo in selva ombrosa
Che rispettò la scure,
Ove lieti trovammo
270E freschezza e riposo.
Quale d’austro il mugghiare
Che vie più va crescendo,
Udiam cupo fragore
Qual d’alta cateratta.
275Acceleriamo il passo
Tra l’ombre negre e fredde
Dell’antica foresta:
Ella subito s’apre,
Ed attonito veggio
280Lo scoglio più grandioso
Che mai formò Natura!
Dal torreggiante capo,
Come da straripante
Spazioso etereo lago,
285Precipitansi cento
E cento ruscelletti
Che, sulle gigantesche
Spalle sue serpeggiando,
Formano mille e mille
290Cascatelle vezzose,
E dall’immesa rupe
Alla radice scesi,
Dan principio a due fiumi
Che in ampio letto, muti
295Seguono opposta via.
Scavò Natura in seno
A quel solido scoglio
Profondissima grotta:
Arte ne fece un tempio
300Con leggiadre colonne;
Ma de’ diritti suoi
Gelosa la Natura
Con pronta mano intreccia
Vaghissime ghirlande
305Di rampicanti fiori,
Con che l’alte colonne
Leggiadramente veste.
È quel nitido tempio
Sacro a Lino, di Febo
310Melodïosa prole.
Di quell’antro più lungi
Forse un trar d’arco «Mira!»
Con alta voce esclama
Delle guide l’anziano,
315E colla stesa mano
M’addita tenebrosa
Strettissima vallea
Fra due ravvicinate
Altissime montagne.
320Quale subita chiara
Apparizion celeste,
Ci presenta la valle
In lontananza estrema,
Degli Eliconei gioghi
325Le nevicose cime.
Sembrano torreggiante
Inespugnabil rocca
Che domini i dintorni:
Esse dai contadini
330Meteore son chiamate.
Come distintamente
Si disegnan dell’etra
Sul fondo cupo-azzurro!
«Vedi tu,» con gioconda
335Voce gridò l’anziano
«Quella veloce turba
Di salvatiche capre
Che, a saltelloni e balzi,
Valica quasi a gara
340Sassi, torrenti e abissi!»
Rammentando i dì lieti
Dell’aurea giovinezza,
Con enfasi cantocci
L’ardimentose caccie
345Da solo o cogli amici;
E poi del suo bastone
L’osseo pomo mostrocci,
Che ne’ giorni passati
Corno fu d’un camoscio,
350Abitator superbo
D’alture ch’altre volte
Credeano inaccessibili
Anche i più coraggiosi
E forti cacciatori.
355Ma senza dare ascolto
Alla comun credenza,
Egli a qualunque rischio
Di scalarle risolse,
“E con il fido strale
360Fe’ cascarne la fera
Di roccia in roccia in giuso,
La discesa segnando
Con gli spruzzi purpurei
Dello sgorgante sangue.
365Là, la via s’asconde
Ne’ sinüosi giri
D’angustissima gola,
E di subito rotta
Vien da largo e profondo
370Fesso della montagna,
Nel tenebroso abisso
Fecesi strada un rivo
Strepitoso e spumante
Per mezzo degli scogli
375Ond’è sparso suo letto.
Servono quattro alpestri
Frassini tremolanti
Di ponte al viandante,
Che senza orror nol varca.
380Passato quel torrente,
Di bel nuovo la via
Per un andirivieni
Difficile serpeggia
Tra scompigliati sassi,
385Poi ad un tratto allargasi,
E rapida scendendo
D’Arïone al fastoso
Monumento conduce.
Ai nostri piè si spande
390Ampissimo vallone.
Quali vaghe fanciulle,
Pronte alla lieta danza,
L’una a l’altra distendono
Le lor candide mani,
395Tale un vezzoso cerchio
Attorniano la valle
Di fiorite colline
Sgorgano mormorando,
Tra colle e colle, molti
400Limpidetti ruscelli
Che, nell’imo riunendosi
Della valle profonda,
Formano un chiaro lago.
Sulla punta saliente
405Di promontorio ardito,
Colossale s’innalza
D’Arïone l’immago,
E nell’onde si mira.
E con sorpresa io vidi
410Quel che la fama narra
Dell’isola di Delo,
Sacra cuna di Febo.
Vidi errare sul lago
Due isole natanti,
415Ed ubbidire al soffio
De’ capricciosi venti,
Ed or veloci or lente
Seguir de’ rivi il corso,
Che sboccano nel lago.
420«In un’orrida notte,
La di cui rimembranza
Sta sinor nella mente
De’ contadini viva,
Ne’ dì delle frequenti
425Pioggie di primavera,
Tutti que’ ruscelletti
(Or sì tranquilli e limpidi)
Di repente gonfiati
E cangiatisi in foschi
430Furibondi torrenti,
Discendendo nel lago
Raddoppiaro dell’onde
Il solito volume.
Nel lor impeto i flutti
435Distaccaro quei due
Isolotti vezzosi,
Ch’erano al lido uniti
Medïante strettissimi
Due istmi, quali funi,
440Con più giri ravvolte
Ad alberi vicini,
Legano navicelle
Carche di fiori e frutta
Alla sponda d’un fiume,
445Che maestoso traversa
Popolosa cittade.
E quell’isole adesso
Percorrono da banda
A banda l’ampio lago,
450Luogo cambiando a voglia
De’ variabili venti.»
Vidi, sulla maggiore,
Quattro upupe gentili
Dalla leggiadra cresta,
455Giuocando in lieta pace;
Sulla minor due cigni
Attempati e solinghi
In ozio maestoso
Riposavano all’ombra
460Di bel fiorito sorbo.
Mal volentier lasciai
Quel grazïoso aspetto
E quell’amena valle.
«Ecco,» esclama la guida,
465All’orïente stesa
La destra: «Ecco il nido
Dell’aquila!» Volgendo
Il capo, io veggo, in bella
Lontananza cilestre,
470Una cima dorata
Dominar tutte l’altre
Circonvicine alture
In nebbia avviluppate.
Ella appare qual alto
475Aereo promontorio,
O torre, o gigantesca
Colonna senza base:
Chè la pendice sua,
Vieppiù che gli altri colli
480Ricoperta di nebbia,
Alla vista s’invola.
Ora ascende la via
In angoli fra rupi
Sporgenti, a cader pronte,
485Se allo sguardo tuo credi,
E poi fra già cadute,
Che le tracce nericce
Serpeggianti conservano
Dei folgori di Giove.
490Altre, chiare vestigia
Mostrano di torrenti
Diseccati, ch’orrendo
Terremuoto costrinse
Lasciar l’antico letto,
495E cui s’ode distinto
Lo strepito vicino,
Benchè lo sguardo invano
Cerchi intorno a scoprirli.
Mirabile, possente
500Natura! tu benigna
Anche l’orrore abbelli.
Ecco lo spaventoso
Negro avanzo d’un monte,
Che, un tempo, fu tremendo
505Spiraglio dell’Inferno.
Veggonsi ancor l’orrende
Tracce di que’ torrenti
Di fuoco, che tuonando
Vomitava il cratere;
510Veggonsi con ribrezzo
Lungo i fianchi solcati
Tra la cenere i sassi
Calcinati, che all’etera
Con furore lanciava.
515Eppur qua e là la vite,
Quale oasi vezzosa
In arido deserto,
Più feconda qui attolle
I pampinosi ceppi,
520Ch’olezzante e copiosa
L’innumerabil uva
Orna pomposamente
Con i lunghi e dorati
O azzurri suoi festoni.
525Ha nome questo luogo
D’Alceo, che fere zuffe
E ’l don cantò di Bacco.
Serpe la strada lungo
La radice del monte,
530E sovente vien rotta
Da piccioli zampilli,
Limpidi qual cristallo.
Sembrano serpi d’oro
Che godendosi alquanto
535Del meridiano sole,
Sfuggono qui dai sassi,
Là rientrano fra sassi,
Che vestiti di musco
Attraggono lo sguardo
540Colle vaghe lor forme.
Subito il condottiero
Fermandosi, fa cenno
Colla levata mano
D’udire intenti il dolce
545Canto d’un usignuolo.
Dissemi poi: «Ei solo
Tutta la vicinanza
Signoreggia e col canto
Soavissimo la empie.
550Chiamano i contadini
E reputano in fatti
Essere quell’augello
Lo spirto di Mirtoo.
Tosto che ’l solitario
555Cantor la voce scioglie,
Intorno intorno fassi
Altissimo silenzio.
Egli abita un poggetto
Ch’ammirerem fra poco.»
560Cessato che l’augello
Ebbe il soave canto,
Il meandro seguimmo
Di tacito ruscello,
Ed ecco in mezzo a quattro
565Piacevoli laghetti
Pompeggiare vezzosa
Una punta di terra,
Tutta tutta vestita
D’ombrosissime selve,
570Che i lor rami fronzuti
Chinano sin a fiore
Dell’acque attornïanti.
A sinistra volgendosi,
Comodissima via
575Guidaci al nudo giogo
D’una fuga di colli.
Salitane la vetta
Che vediamo? Profonda
E larghissima valle,
580Ove l’occhio si perde.
E d’ambidue le sponde
Consimile l’aspetto:
Serie non interrotta,
Ma variante tuttora,
585Di vaghi seni e golfi.
Sì, sembra questa valle
L’abbandonato letto
Di smisurato lago,
Direi d’interno mare.
590Appiè delle colline
Onde rinchiuso viene,
Manifeste si vedono
Vestigie del livello
Dell’acque. dissecate.
595È della valle il fondo
D’erba magra vestito,
Quale in landa arenosa
Germogliare si vede;
E mostrommi la guida,
600Sulla calcarea china
De’ costeggianti poggi
Quella pianta che invano
Sommerger tenta il mare.
Al termine dell’ermo
605Silenzioso vallone,
Laddove lembo a lembo
Egli col ciel s’unisce,
Splende chiara laguna,
D’onde assorbisce il sole
610I vaporosi flutti,
Che in luminosi fasci
Vedi salire al cielo.
È forse quel distante
E riserrato stagno
615L’ultimo e scarso avanzo
Del pelago svanito,
Che l’astro essiccatore
Inghiottirà fra breve.
Mal soffron l’emozioni
620Gioconde in un e meste,
Innanzi a tal veduta
Dal mio core provate,
D’esser descritte al vivo
Con adeguati detti.
625Attraversai penoso
La romita e silente
Valle, ed oltrepassato
Un anfratto che i monti
Fanno, o Numi, che vedo!
630Sotto un mirando gruppo
Nell’etera sospeso
D’agglomerate nubi
Dalle magiche tinte,
E là dalle bizzarre,
635Qui, dalle vaghe forme,
Veggo caverna immensa,
Tutt’opra di possente
Creatrice natura!
Qual arco trïonfale,
640L’ingresso largo ed alto
Che ver meriggio stassi,
Vede anche il sol cader.
Al di sopra dell’alta
Volta dell’antro vasto
645Ricche macchie pompeggiano
D’alberi colossali
Dal variante fogliame
E coi rami pendenti.
Edere dai fior gialli
650O purpurei s’avvinghiano
Quale ampia rete a loro,
E numerosi formano
Maestosi festoni;
E leggiadre ghirlande,
655Che ondeggianti muovono
Ora i garruli augelli,
Ora le fresche e instabili
Primaverili aurette.
Va lo stupor crescendo
660Tosto che ’l limitare
Della grotta varcasti.
Quasi di ricchi arazzi
Addobbate risplendono
Di variegato musco
665Tutto intorno le mura.
Lungo ambo le pareti
Spunta la vite carca
Di grappoli maturi,
Che intrecciasi coi bianchi
670Gelsomini odoranti.
Cento e cento usignuoli,
Che in quell’antro ebber vita
Qui s’annidan securi,
E la tenera prole
675Ammaestrano al canto.
Della grotta nel fondo,
Là ’ve, quali sorelle
Dopo assenza lunghissima,
Amorose s’abbracciano
680Colla luce la notte,
Ed in mezzo a verdura
D’asfodilli smaltata,
Sorge romita tomba.
A difetto di marmo,
685Mano amica di povero
Patrio sasso l’eresse.
Vi lessi questi detti:
«Alla memoria di Etta,
Dalle Camene amata,
690Che nel fiore degli anni
Crudo fato rapì.»
Picciol fronda d’alloro
Ch’ïo teneva, e pochi
Semplici fior campestri
695Sulla tomba deposi,
Forse alla giovin Ombra
Non dispiacente dono...
«Ascolta attentamente,»
Il condottier mi disse:
700«Non odi tu distinto
Il cupo mormorio
Di sotterraneo fiume,
Cui de’ superni monti
L’alte nevi disciolte
705Danno precaria vita?
Egli ad alcuni passi
Dall’eterea sua cuna
Furibondo discende
In tenebroso abisso,
710Erra lungo nel seno
D’inferiori montagne,
Quando alfine, non lungi
Di quest’antro profondo,
Romoroso riappare
715D’alta schiuma coperto
Alla luce del sole,
Ingrossato da nuove
Onde, che lungo il corso
Dalle feconde vene
720Della terra raccolse.»
Sul limitar dell’antro
Il condottiero aggiunse:
«V’è ne’ sereni giorni
Un’ora, dove ’l sole,
725Ver l’occaso già chino,
Un fuggitivo raggio
Manda a quest’ampia grotta.
Viene riflesso il raggio
Da un liscio sasso, quasi
730Da tersa laminetta
D’argento o di fin’auro,
E, qual stella nascente,
Lo bruno speco allegra.
Ne viene anche nel fondo
735La tomba irradïata
In modo che, se credi
Agli occhi, la diresti
Per man di qualche Fata
Possente, inviluppata
740Subito d’una bella
Ed ampia reticella
Di mille fiammeggianti
Variabili diamanti.
Offresi all’improvviso
745Fra tanti grandïosi
E sorprendenti oggetti
Modesta collinetta
Cui, conforme a costante
Tradizïone antica,
750Diero nome di Colle
Della Apparizïone.
Cuopronla quasi tutta
Colla lor ombra i rami
D’antichissimo tiglio,
755Che le radici bagna
Nelle mormoreggianti
Onde di ruscelletto,
Che nato appena, in molte
Cascatelle leggiadre
760Si dirama e ricuopre
Pressochè mezzo il colle.
Là, credesi per certo,
Che le Muse, discese
Dall’Olimpo, degnârsi
765Apparire ad Esiodo.
A man destra dal poggio
Vedesi bella e larga
Altissima caduta,
Che piombando si cambia
770Tutta in argentea polvere
Ed ha nome Ippocrene.
Là le Muse lasciarono
L’alato lor destriero,
Che dell’indugio loro
775Annojato, coll’unghia
Scosse tre volte il monte
E diè principio al fonte,
Ispirator de’ vati.
Intravediam, tra lieve
780Nebbia che titubando
Cinge la lontananza,
Due tempj. Al primo sguardo
Pajono esser entrambi
Fabbricati, uno in cima,
785L’altro sovra il pendio
Della istessa montagna;
Ma, proseguendo i passi,
Tosto si vede, ch’essi
S’alzano su due colli
790L’un dall’altro distanti.
«Scerni tu quella cima
D’insalibil altezza,
Ch’or leggermente velano
Le passeggiere nubi?
795Diresti, ch’appoggiando
L’altiero piè sul capo
Di quei monti vicini,
Ella al cielo si slanci,
Il dentato suo culmine
800Ne’ dì chiari somiglia
A fanciulli aggruppati
In attitudin vaghe,
A trastullarsi intenti.
Se ’l bifolco, del cielo
805Assiduo osservatore,
Scorge distintamente
La giojosa brigata;
Egli grida con sommo
Contento ai circostanti:
810Amici, stiamo allegri,
La ragazzaglia giuoca!
Farà al certo bel tempo
Ben dieci giorni ancora.
Mira quell’uniforme
815E solitario monte!
Nè sull’immense terga,
Nè sulle dolci chine
Egli non ha vestigio
Di foresta o boscaglia.
820Dopo i rapidi mesi
Che qui regna l’inverno,
Di non eterne nevi
Carco da banda a banda,
Egli il primo alla lena
825De’ Zeffiri novelli;
Snuda le verdi spalle,
E le belanti mandre
Alletta a visitare
Le pasture che pompa
830Fanno di fiori e d’erba
E di bell’acque chiare.
Mancano sì le quercie
Dall’ombra opaca e fresca,
Ma ’l pastore vi trova
835Ospitali caverne,
Che dal cocente sole
Meridiano difendonlo
E ripetono tutte
A vicenda le dolci
840Arie della zampogna.
Qui mi sembra di udire
Il mormorar d’un fiume!
Feci tre passi inoltre,
Ed in romita valle
845Chiaro e maestoso fiume
Veggo di sasso in sasso
Scendere, quale un aureo
Ripulito cilindro
Sui lucenti scaglioni
850Di gigantesca scala:
Quanto egli è strepitoso
Nell’alpestre caduta,
Tanto sta cheto in grembo
Alla florida valle,
855U’ diafano s’estende
In grazïoso lago,
Del ciel sparso di nubi
Fedelissimo specchio.
Pressochè in mezzo al lago
860Un’isoletta sorge
Che delle grue ha nome.
E benchè sien fangosi
Quasi tutti i contorni
Del laghetto, non odesi,
865Al dir de’ condottieri
Quasi mai gracidare
La rana che t’assorda,
Non che d’angue nocevole
L’orrido sibilare.
870«Vedi laggiù quel ponte
Che risplende qual marmo
Bianchissimo di Paro?
Egli è, quale lo miri,
Tutto opera del verno.
875Spesso dall’alte cime,
Qual sradicato un monte,
Si distacca repente
Massa dismisurata
D’accumulata neve.
880Voltoloni cadendo,
Sempre l’immenso globo
Va crescendo e strascina
Seco ciò che rincontra
Nell’orrenda discesa:
885Ecco ei piomba nel fiume
Che scorre placidissimo
Nella stretta sua valle.
Chiuso il passo al torrente,
Questo infuriato assale
890L’usurpatrice molle
L’onde ognor risospinte,
Rapidamente s’alzano
E forman quasi un lago.
Ma irrequïete l’acque,
895Corrodendo la base
Dell’abborrito monte,
Ecco l’han perforato.
D’ora in ora allargando
Vassi l’angusta uscita;
900Ella già imita in grosso
D’un grand’arco la volta;
Ancora un mese o due,
E ’l fiume, vincitore
In un ultimo assalto,
905La colossale massa
Rovinare farà.
Dispettoso poi seco
Voltoloni gli avanzi
Strascinerà nel mare.»
910«Ora che ’l sol ne scocca
Le ardenti sue saette,»
Il condottier mi disse,
«Su via, straniero, andiamo
Dall’ospitale vecchio,
915Tal si chiama, del monte.
Piegando a destra, subito
Staracci innanzi agli occhi
L’umile capannuccia,
Ricoperta di paglia
920E di pietre pesanti
Per esserle difesa
Contro l’Eolea prole...
Ascolta! già la selva
Del muggito risuona
925Delle sue sparse vacche,
Ed ecco a rupe in cima
Le sue capre, che d’erba
Pasconsi scarsa e rara,
Ma di squisito odore.
930Ristoreratti il latte,
E le sugose frutta
Che ne offrirà quel veglio
E la parca sua mensa,
Il so, verrà condita
935D’un qualche suo racconto
Ch’ecciterà per certo
O tua curiositade
O la tua viva gioja.»
Finite ch’ebbe appena
940Quest’ultime parole,
Che ci vediamo intorno
Con l’ilare vecchietto
Parte di sua felice
Numerosa famiglia.
945Vicino alla capanna
È un placido laureto.
Appiè d’uom efligiato
In atto pensieroso,
Così lessi nel marmo:
950«Da poveri parenti
Io nacqui, ed invecchiai
In umile capanna;
In aurea regia tomba
Or riverita dorme
955La mia mortale spoglia,
In premio del favore
Ch’accordârmi le Muse.
È Pindaro il mio nome,
E mia fama si stende
960Sino ai confin dell’Orbe.»
Preso ch’avem congedo
Dall ospitale veglio,
Egli indicocci strada
Più breve inver que’ tempj,
965Che da lontan ci apparvero.
Passata folta selva,
E saliti due colli,
Onde l’ultimo tutta
La vallea signoreggia,
970Che’ divide dai tempj,
L’inferiore vedemmo
Sovra un aprico poggio.
Tanta spiegovvi l’Arte
Beltade e leggiadria,
975Ch’immaginar potresti
Ch’Amore ed i fratelli,
Compiacere volendo
Le Grazie, sue sorelle,
Fabbricato l’avessero.
980Da qual si voglia parte
Vaghe, di scelti fiori
Adornate scalee
Al bel tempio conducono.
Valicata la soglia
985Del sacrato recinto,
Un molle, dolce lume
A noi d’intorno splende,
Quale sul ciel si stende
Allora ch’al ritorno
990Dell’alma primavera
Campi e boschi s’abbellano.
Qual tre germane rose,
Scelte fra mille e mille
Per adornarne il capo
995Della Diva d’amore;
Tali le Grazie brillano,
Miracolo dell’Arte!
Ai due lati dell’ara
Sorgono i cantatori;
1000Alle Dive diletti,
Anacreonte e Saffo,
Delle Grazie lasciato
Il decoroso tempio,
Noi dirigemmo i passi
1005Ver quello delle Muse.
Camminando vediamo,
Che il vento d’orïente
Lacerava il nemboso
Velo che ricopriva
1010Dell’Elicona i gioghi.
Stammi dinanzi agli occhi
La catena de’ monti
Grandiosi ed altissimi,
Quale lucente schiera
1015D’impavidi Titani
In atto di riposo,
Ma minacciante e pronta
Ad assalir l’azzurra
Sede degl’immortali.
1020Eccoci al maestoso
Tempio delle Camene!
Sovra isolata rupe
Ch’altissima si ride
Delle orrende tempeste
1025E degli eterei strali,
Benchè talor la scuotano,
Alzasi ottangolare,
Da tutti i lati aperta,
All’Aquilon ghiacciante
1030Quanto al cocente Noto
La incantata dimora
Delle Muse, edifizio
Leggiero, eppure eterno.
Nel suo sacro recinto
1035Si diffonde, qual onda
Limpidissima, nata
Da permanente fonte
E che ogni lato ingombra
Del cielo, un dolce e vago
1040Chiarore, che abbellisce
Ed accresce ogni oggetto,
Che da lui vien toccato.
Simili a Semidei,
Vidi, del tempio al centro,
1045Omero in attitudine
Di togliersi dal capo
Una parte dei lauri
Per ornarne la fronte
Del giovinetto Esiodo;
1050Vidi presso al grandioso
Pindaro la felice
E timida Corinna.
Ma qual pennel potria
Degnamente dipignere
1055L’aspetto delle Muse?
M’accecava lo sguardo
Delle Dee lo spendore,
Che al par di quel del sole
Occhio uman non sostiene.
1060Presso al vago soggiorno
Delle Pierie suore
Malinconica sorge
Isolata collina,
E co’ ridenti campi
1065Ond’attorniata viene,
Fa severo contrasto.
Coronata è la cima
Da pini sempreverdi,
Eppur non rallegranti,
1070Da alti piramidali
Abeti vieppiù mesti,
E da foschi cipressi
Dalla cadente chioma,
Quasi umida di pianto.
1075Solo qua e là traluce
Pompeggiante una fronda
Di dovizioso mirto,
Pianta sacra all’Amore.
In mezzo al poggio, quasi
1080In magnifica stanza
D’allori tutti in fiore,
Ecco maraviglioso
Gruppo di tre mortali,
Che Numi crederesti.
1085L’anzïano di loro
Sulla Titanea fronte,
Che del fiero ed indomito
Prometeo fora degna,
Visibilmente impronta
1090Ha la generosa indole,
Benchè fiera e iraconda,
Ed accenna nel guardo
Ardimento bastevole
A sfidar Giove e ’l Fato.
1095Dell’altro, cui la mente
È tutta in sè raccolta,
L’aguzzate ed immote
Meditabonde ciglia
Dicono ben, che poco
1100Egli a cura abbia il mondo
Esterïore, e tutti
I suoi grandi pensieri
Tolga dalle sorgenti
Perenni e sempre gonfie
1105Del misterioso core,
Che, quanto più sen toglie,
Tanto ha più ridondanti
L’inesauribil’acque,
Se men forza dispiega
1110De’ precessori il terzo,
In soave dolcezza,
Che trae l’amime seco,
Ei di lungi lì avanza.
È d’uopo che ti dica
1115Che dessi sono Eschilo
E Sofocle ed Euripide,
I primi che cingessero
Il tragico coturno?
Disparisce la densa
1120Nebbia che finor tutte
Ricopriva le falde
Degli altissimi monti.
Oh scena incantatrice!
Oh vista impareggiabile
1125Di monti che cogli omeri
Fanno al cielo colonna!
Comun trono pacifico
Di due stagion nemiche,
Essi l’altere cime
1130Cinte han d’eterno ghiaccio,
E di ricca verdura
Le non erte pendici:
Radiante consesso,
Qual dei sovran dell’Orbe.
1135Con avvolte le spalle
In ampio manto azzurro,
Sull’imperiali teste
L’abbaliante diadema
Di variabil diamanti,
1140Posano il regio piede
Su strati di smeraldo.
Da quell’alpino giogo
Ravvisai con piacere
Il mare Alcïonéo
1145Talmente, che pareami
Averlo sotto ai piedi
E poterlo chinandomi
Toccare colla mano.
Scorgo all’opposto lato
1150Tra i magici vapori
Di lontananza incerta
Il più distante Euripo
Colle spiaggie renose.,
Che mi sembra superbo
1155Gran bacino d’argento
Con il lembo dorato.
Ammirava con somma
Emozione i dintorni,
E stentava d’imprimere
1160Alla mente, nemica
Dell’oblio, ogni soggetto;
Quand’ecco un sacerdote
Delle Muse m’accosta
E così mi favella:
1165«Giudicando dal zelo
Con che tutte le cose
Circonvicine osservi,
Anche tu consacrasti
Il fiore dell’etade
1170Al culto delle Muse.
Si compiace l’etade
Canuta a dar consigli,
E ’l giovane, avveduto
Li medita e li siegue.
1175Se tu aspiri al favore
Delle Muse divine,
Alle Grazie sagrifica.
Vedi quanti sentieri
Al sublime conducono
1180Tempio delle Camene;
Ma al tempio delle Grazie
Tutti concorron pria.
Sol udendo la voce
Lusinghiera di cieca
1185Ambizione, parecchi
Tentaro andar, schivando
Il tempio delle Grazie,
Dritto a quel delle Muse,
Là, lungo quelle rupi,
1190Camminando sull’orlo
Di smisurati abissi.
E le grida stridenti
Di popolare applauso,
In lor la cieca e stolta
1195Temeritade accrebbe.
Ma finor niun di loro
Riuscì. Di qui scorgere
Il cenotafio puoi
Dell’ultimo, che fece
1200Quest’infelice saggio,
Gloria e vita perdendo.
Giovin d’alta speranza,
De’ compagni il modello,
Ma d’alterigia pieno,
1205Ei ci chiamava schiavi,
Paurosi a smarrirsi
Dalle strade battute,
E mai seguir non volle
Le eterne ed invariabili
1210Orme della Natura
Bramando imporle leggi.
Ma nel suo folle ardire,
Ei medesmo parea
Uno schiavo, che, i ceppi
1215Sconciamente spezzati,
È forza dappertutto
Trarne una parte seco.
Come un tempo l’incauta
Prole Dedalea nome
1220Diede al mar, così nome
Egli impose a quel rivo1
Che, dopo sua caduta,
Via portò dell’audace
L’inanimata salma.
1225Eccoti, figlio mio,
Salutari consigli:
Ora per rallegrarti
Narrerotti... M’ascolta!
Un dì Amor colle suore
1230Venne qui d’Amatunta,
Per veder che mai sia
Il bosco delle Muse.
Ei con veloci penne
Visitò tutti i luoghi
1235Piacevoli e selvaggi;
Grandïosi e gentili
Del varïato bosco,
E, i monumenti e tempj
Visti, disse alle Grazie:
1240«A voi, care sorelle,
Del gran Giove le figlie
Consacrarono un tempio,
Ma si dimenticaro
Che non pochi cantori
1245Tali divenner, grazie
All’estro che nel freddo
Cor loro accese Amore.
Vo’ dunque io stesso alzarmi
Monumento qualunque.»
1250E di que’ monti slanciasi
Alla più alta e selvaggia
Cima nevosa, dove
Piè umano mai ascese.
Tosto che’l lieto Nume
1255Scosse le creatrici
Penne in sul ghiaccio eterno;
Tutte a gara vi spuntano
Le vaghezze più splendide
Dell’alma primavera:
1260Già vi spargono giovani
Alberi l’ombre tremole
Sulla nascente erbetta
Di fiorelli smaltata:
Già vi risuona il canto
1265Di rigiranti allodole,
E secolari nevi
In un attimo crollano,
E liquefatte scendono,
Romorosa cascata,
1270Nella valle e vi formano
Chiara perenne fonte,
Ch’appo il pio montanaro
Nome ha Fonte d’Amore
Ed appo gli abitanti
1275Della pianura, appiede
Delle montagne estesa,
Permesso, fiume limpido,
Cui tutti i rivi intorno
Crescono a gara le onde,
1280Che tra fiorite sponde
Ora eccheggiano al canto
Del provido cultore,
Ora alla dolce avena
Dell’errante pastore.
1285Oltrepassata Aliarta,
Tra le città la prima,
Egli le placid’acque
Mescola colle azzurre
Onde del vasto lago...
1290Dalle profonde valli
Già maestosamente
Sorgeano, progredendo,
Le ombre sin alla cima
Degli inferiori monti.
1295Sui Delfici lontani
E vaporosi colli
Gradatamente andava
Spegnendosi l’incendio
Del maggior fra i pianeti,
1300E già conquistatrice
S’avventava la notte,
Ottenebrando l’aria
Ed imbiancando i campi;
Quando per scesa rapida,
1305Ma di periglio esente,
Arrivammo ad antico
Ospitale villaggio
Della pianura immensa,
Che di Tebana ha nome.
1310Sulle nevose cime
Dell’alto Citerone
Maestosa parea
La Reina dell’ombre
In denso roseo velo
1315Ch’ella tosto depone,
E fa cenno alle stelle,
Che in folla, d’ogni lato,
Colla superba chioma
Aurata all’aure sparsa,
1320Appajono, girando
All’alma madre intorno,
Che serena con esse
Varca il campo celeste,
E promette ai viatori
1325Prospero l’indomani.
Note
- ↑ Narcisso.