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Per il testo della Divina Commedia II
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I.


E. Moore, Contributions to the textual criticism of
the Divina Commedia. — C. Täuber, I capostipiti dei
manoscritti della Divina Commedia. — C. Negroni,
Sul testo della Divina Commedia.



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Gli studi sul testo della Commedia accennano a risorgere con nuovo ardimento. Ne avemmo un primo indizio nelle diligenti illustrazioni del codici friulani fatta dal Fiammazzo,1 una conferma poi nella proposta letta dal Monaci all’Accademia dei Lincei,2 ed ora n’abbiamo pegno sicuro dalla Società dantesca italiana, la quale ha dichiarato che sarà sua principal cura la pubblicazione di un testo critico del Poema e delle Opere minori di Dante.3 E bene sta. [p. 6 modifica]La necessità di un siffatto lavoro è da più secoli sentita in Italia; nè potrebbe l’età nostra senza vergogna trascurarlo, per quanto esso possa sembrare di difficile attuazione. Le ripetute prove fatte per quattro secoli non sono bastate a soddisfare i desideri degli studiosi; ma della mala riuscita a che è da dar la colpa? all’argomento, o ai metodi usati? Chi conosce anche superficialmente gli studi fatti sino a qui sul testo del divino poema, non ha bisogno di risposte e tanto meno di dimostrazioni. Sa che soltanto dal Witte fu fatto un tentativo serio per risolvere il difficile problema, e che dopo di lui, nonostante sulla strada da battere per giungere a sicuri resultati non dovesse esser più dubbio, mancò chi alla difficile impresa si riaccingesse con quel fervore, di cui il dantista alemanno aveva dato esempio. Quand’ecco giungerci, al principio dell’anno scorso, un volume di contributi alla questione del testo da quell’Inghilterra che tanto benemerita è stata, in questo secolo, degli studi danteschi.4 Di questo volume troppo minor conto s’è fatto sinora in Italia di quello che merita, poichè esso non contiene solamente la collazione completa di 18 mss. per tutto l’Inferno, e la collazione di oltre 150 passi scelti, fatta su più ampio numero di codici (ora un terzo, ora la metà di quelli esistenti), seguita da giudiziose discussioni per fissare tra varie lezioni la primitiva e originale; ma dall’esperienza di molti anni il Moore ha tratto materia a scrivere una pregevole introduzione, in cui deter[p. 7 modifica]mina le cause di alterazione nei testi a penna, e discorre dei vari metodi che sono stati o possono essere usati per la ricostruzione di un testo che, quant’è possibile, si avvicini all’originale smarrito, sempre convalidando le affermazioni con abbondanza di esempî.

All’introduzione aggiunge un’utile nota sulle difficoltà che si presentano nella interpretazione dei mss.; alla collazione, una notizia dei codici da lui esaminati; e compie il volume con cinque appendici, in cui tratta questioni speciali connesse col testo: nella prima discorre dell’aiuto che si può trarre per la critica di esso dalle reminiscenze che si trovano in Dante di autori classici; nella seconda dà conto di una famiglia di codici danteschi da lui detta Vaticana, spiegando come è pervenuto a siffatti resultati, e dando le prove dell’esattezza loro; nella terza discorre dei versi interpolati nel e. XXXIII dell’Inferno che si contengono in tre codici (De Bat., 383, 489, 427); nella quarta propone alcune variazioni al testo Witte; e offre per ultimo nella quinta uno studio del rev. H.F. Tozer sul metro della Divina Commedia.5 Ma nello stesso anno 1889 questa varia e copiosa raccolta di fatti e d’osservazioni parve dover ormai riuscire al tutto inutile, poichè dalla Svizzera il dott. Carlo Täuber annunziava d’esser già colle sue ricerche giunto a determinare i capostipiti dei mss. della Commedia.6 Fatta la collazione di un numero scelto di varianti su quasi tutti i codici che oggi esistono, ed eliminando quelli che presentavano lezioni sconosciute [p. 8 modifica]alla totalità o alla gran maggioranza degli altri, egli limitava a 17 il numero dei mss. che contengono il Poema in veste originale e primitiva. Sennonchè la critica fece poi di questo lavoro tal giudizio, da apparire che nessun vantaggio avrebbero potuto trarne gli studi.7 La mala riuscita di siffatto tentativo non giovò a convincere chi ancor dubitava, della opportunità di una classificazione dei codici prima di accingerci alla ricostituzione del testo della Commedia. Già il Witte era caduto per via dopo molti anni di fatiche; or cadeva quest’altro, che il metodo del celebre dantista alemanno aveva d’assai migliorato, allargando le ricerche da un canto dell’Inferno a più canti delle tre cantiche. Nè si vedeva accordo fra gli studiosi sulla miglior via per ritentare la prova. Il Mussafia voleva fino dal ’65 un esame dei codici «da un capo all’altro» e una «relazione esatta e completa», e ne dava esempio collo studio sui codici di Vienna e di Stoccarda;8 il Monaci dichiarava, due anni fa, che «per determinare le varie famiglie, non necessita punto quell’apparato completo di varianti che si domanda per il lavoro definitivo della costituzione del testo», 9, e faceva sopra un numero ristretto di luoghi collazionare i codici romani. In tali incertezze parve al Negroni esser questo metodo non più sicuro di quelli praticati fin qui nei vari secoli per la correzione del testo di Dante, e volendo determinare un mezzo di critica non personale e su[p. 9 modifica]biettiva, ma obiettiva e impersonale, propose in una recente monografia10 di far uso per un’edizione della Commedia «di quei soli codici, dei quali, non per letterari od estetici ragionamenti (troppo di lor natura incerti e disputabili), ma per prove storiche e paleografiche, si potrà far sicuro giudizio che appartengono alla prima metà del secolo xiv, messo inesorabilmente da parte ogni altro codice di dubbia o più recente data». L’edizione che ne uscirebbe, avendo per sè la unanimità di detti codici, dove sono uniformi, o la maggioranza ove taluno diversifichi, dovrebbe essere intitolata: La Commedia di Dante Allighieri secondo la lezione de’ suoi contemporanei.

Di questi tre studî porta resultati più positivi quello del Moore. La raccolta di varianti, le notizie dei codici da lui esaminati con l’indicazione delle lezioni caratteristiche di ciascuno, saranno di molto giovamento a chi vorrà saggiare metodi o determinare relazioni fra i manoscritti. Il Moore stesso ha stabilito una famiglia di trentotto codici che denomina Vaticana, ed accenna ad altri gruppi, fra i quali uno Ashburnhamiano di sei codici. Alla determinazione della stessa famiglia Vaticana è pur giunto il Täuber; e questo trovarsi d’accordo nei resultati due lavori condotti per via diversa pare per sè stesso prova di di verità. Il Täuber stabilisce anche un altro gruppo di codici, al quale nei Contributi del Moore non si trovano che allusioni, gruppo detto Barberiniano, perchè i manoscritti che lo compongono appaiono scritti da un Francesco di ser Nardo da Barberino in vai di Pesa, che il Täuber tende a identificare (ma senz’alcun serio fondamento) con l’autore dei Documenti d’amore [p. 10 modifica]e del Reggimento e costumi di donna. Questo aggruppamento, fondato per ora piuttosto su somiglianze esteriori molto caratteristiche che su prove interne di somiglianza nel testo, merita più larghe e minute ricerche,11 poichè, se Francesco di ser Nardo è, come par certo, una stessa persona con quel da’ Cento ricordato dal Borghini, i suoi Danti devono aver dato luogo a molto larga famiglia; cosicchè, riconosciuta questa, è probabile rimanga molto sgombrato il cammino or così malagevole per giungere alla determinazione delle varie tradizioni mss. della Commedia. Nè la cosa appar difficile, quando si proceda con buon metodo, esaminando prima i due codici che portano la firma di Francesco, determinando i caratteri loro tanto esteriori che interni, e vedendo poi in quali altri individui essi si riproducano. Le rubriche ai canti sono lunghe e notevoli, alcune lezioni molto caratteristiche; e le une e le altre si ripetono, per quel ch’io ho potuto vedere, in un largo numero di codici. — Il Negroni, per quanto il suo lavoro sia tutto ragionativo, fa un’utile enumerazione dei codici e dei commenti che sono, possono essere o sono stati [p. 11 modifica]erroneamente creduti anteriori al 1350. Alla classe però dei manoscritti con data riconosciuta doveva essere assegnato anche il Bat. 465, che il Witte credeva smarrito, e che il Täuber ha trovato identico al codice della R. Biblioteca di Berlino, mss. Hamilton 203 [«Iste liber scripsit tomazus olim filius petri benecti ciui et mercatorj lucano anno natiuitatis dni MCCCLXVIJ i pmis sex mensibus de dicto anno in ciuitate pisana»].12 Così, a proposito del codice di Santa Croce, era da tener conto dello studio pubblicato dal prof. Marchesini nell’Archivio storico italiano, che risolve felicemente la vecchia questione in favore dell’autografia villaniana del codice, assegnandolo agli anni intorno al 1391;13 e a proposito del codice Poggiali non si doveva trascurare lo scritto del prof. Gentile comparso nella Rivista delle Biblioteche, nel quale l’età del ms. è fatta scendere a qualche diecina d’anni dopo la metà del secolo xiv.14 Nell’enumerazione poi dei commenti, non so su qual fondamento il Negroni assegni alla prima metà del Trecento l’Anonimo pubblicato dal Fanfani, quando in esso son ricordate l’Epistole e il De vita solitaria del Petrarca (I, 618, II, 14, 47, 161, 322 ecc.) e le Novelle del Boccaccio (II, 227 e 229), e vengon copiate pagine intere della «vecchia cronaca intitolata in Giovanni Villani» (I, 374). Ed è anche un errore il credere che il commento contenuto nel codice Ric[p. 12 modifica]cardiano 1016 sia qualche cosa di diverso dal detto Anonimo, sapendosi che il Fanfanl, prima di pubblicarlo intero nella collezione di Opere inedite e rare ne dette un saggio nell’Etruria.15

Ma l’importanza di questi tre lavori consiste principalmente in quel che arrecano di nuovo alla determinazione del metodo da seguirsi per giungere a stabilire un testo della Commedia che si avvicini quanto si può all’originale.

Che si debba lavorare sui codici, non è dubbio; ma essendo essi oltre cinquecento, e in questi confuse le tradizioni, è da cercarsi come con più sicurezza e meno fatica si arrivi all’intento. Il metodo del Täuber posa idealmente su buon fondamento: risalire ai capostipiti; ma il mezzo è fallacissimo: eliminare ciascuno dei codici che abbia varianti ignote a tutti o quasi tutti gli altri. «Ognuno di questi codici (egli scrive) che sia copiato da un manoscritto qualunque, dallo stesso autografo di Dante, va senza successore», e non può quindi chiamarsi capostipite e tenersene conto per la costituzione definitiva del testo. - Che non abbia avuto successori, può darsi, sebbene ad affermarlo occorrerebbe che nessun codice fosse andato smarrito; ma perde forse il suo valore una copia dell’autografo se non è alla sua volta trascritta e ritrascritta? Dipende dunque la bontà d’un codice dalla sua fortuna anzi che dalla sua derivazione? E non è pieno di pericoli condannare per una variante tutto un codice quando nel resto può rappresentare un’autorevolissima [p. 13 modifica]tradizione, la quale non senza grave danno verrebbe trascurata nella costituzione definitiva del testo? E poi ci assicura forse questo metodo d’eliminazione che tutti quelli stabiliti dal Täuber siano capostipiti? Tali sono per lui tutti quelli che in tutta una data serie di passi sono d’accordo, caso per caso, con una maggioranza di codici. Ma oltre che quei supposti capostipiti possono avere nei passi non saggiati, i quali sono senza confronto in maggior numero, varianti che, secondo il metodo usato dal Täuber, li riducano alla condizione di codici derivati, il criterio del numero non è valevole argomento per giudicare della primitività di una lezione, poichè la frequenza d’una variante (come pure nota il Moore a pag. XXVI) dipende da una mera combinazione d’accidenti, cioè 1) se essa sia stata introdotta da un copista più antico o che abbia trascritto più volte la medesima opera, 2) se il manoscritto che conteneva quella variante sia stato copiato spesso o di rado. Cosa derivò dall’applicazione del criterio numerico del Täuber? Che la famiglia di quei del Cento, la quale, per esser composta di molti individui, si moltiplicò potentemente, ha fatto eliminare tutte le altre tradizioni, ed è rimasta sola a fornire i capostipiti. Del qual risultato pochi, credo, rimarranno appagati.

Nè di più sicura riuscita è la proposta fatta dal Negroni; la ragione della quale posa nel convincimento che soltanto dopo la metà del secolo XIV il testo della Commedia cominciasse ad alterarsi. Il che, prima di tutto, non ha la conferma di un rigoroso confronto tra una serie di codici appartenenti sicuramente alla prima metà e una serie consimile della seconda; nè si può dar ragione che pienamente appaghi, del perchè gli amanuensi trascurati e ignoranti [p. 14 modifica]si debbano trovare nel 1350 o 1360 e non nel 1330. Si aggiunge che il Witte riferì già nei Prolegomeni alla sua edizione della Commedia parecchi esempi di false lezioni nel Laneo e nell’Ottimo Commento, nè tacque di non poche varianti che già rendevano dubbi quei primi interpreti (p. LXV). Altri esempî aggiunge ora il Moore (p. VI e VII), e conclude che la corruzione del testo cominciò in manoscritti e commenti anteriori a quelli ora esistenti, e probabilmente nelle prime copie dell’autografo stesso (p. XLIII). Vero è che il Negroni giudica siffatte discordanze nei codici, anteriori alla metà del Trecento, esser da ascriversi, molto più che a mutamenti arbitrari, a materiali trascorsi di penna dei copisti o a varianti dello stesso Poeta. Ma converranno tutti nel suo parere? Abbiam da dubitare assai, così per la natura di alcuni degli errori riferiti dal Witte e dal Moore, come per la ignoranza in cui siamo rispetto alla condizione in cui fu da Dante lasciato il Poema, e alla sua divulgazione. Molteplici possono essere state le cause di perturbazione nel testo della Commedia anche nei primi decenni del Trecento; e non son quindi da spiegarsi le varianti con supposizioni, ma con ricercare come derivassero i primi manoscritti dall’autografo. Noi conosciamo, ad esempio, tra i primi divulgatori del Poema un copista di professione, Francesco di Nardo, del quale la tradizione dice abbia copiato cento volte la Commedia. Non è da supporsi che egli, oltre a non mettere fin da principio, come persona intesa al guadagno, molta cura nell’opera, scrivesse in ultimo, dopo tante copie, molti versi a memoria?

Altro fondamento della proposta fatta dall’illustre Negroni si è la convinzione, che con ragioni storiche paleografiche si possa giungere ad assegnare sicu[p. 15 modifica]ramente alla prima metà del Trecento un buon numero di codici. Le prove storiche o mancano o tendono a riporre in più basso loco testi a penna troppo innalzati da vanità regionali, erudite, o peggio: ciò è avvenuto del codice Poggiali dopo le ricerche del Gentile; altrettanto può accadere di altri, ad esempio dell’Ashburnhamiano così detto antichissimo. La paleografia poi non basta a distinguere se un manoscritto è del 1340 o del 1360. Onde, se non vogliamo assegnare alla prima metà del secolo XIV codici sul fondamento di vaghe congetture, forse soltanto sui quattro di data certa bisognerebbe condurre l’edizione disegnata dal Negroni. E allora si pensi se il testo che ne uscirà potrà chiamarsi secondo la lezione dei contemporanei, o soltanto di alcuni pochi di essi; e se sia sicurtà di buona lezione il non tener conto di tutte le tradizioni manoscritte; le quali non potrebbero determinarsi se non confrontando tutti i codici che ci rimangono ed aggruppandoli in famiglie secondo le affinità più o meno spiccate che possono presentare gli uni con gli altri. La qual distinzione dei codici sarebbe necessaria anche per attuare la proposta del Negroni, quando fosse possibile avere un buon numero di manoscritti di età sicura quali egli vuole: che altrimenti una stessa tradizione manoscritta, che abbia più rappresentanti in codici anteriori al 1350, può concorrere con più voti alla determinazione dei luoghi controversi.

Più conto della gravità e della complessità del problema si è reso il Moore, e con più industria e sapere ne ha tentato la soluzione. Perspicua la enumerazione delle cause di corruzione nei testi a penna; sarebbe però stata da ricordare espressamente tra esse la trascrizione di molti passi a memoria, che è molto [p. 16 modifica]importante in un testo come la Commedia; assennato il giudizio dei metodi fin qui prevalsi per ridurre il Poema alla sua vera lezione, dico specialmente dei due che riposano sul numero e sull’antichità, che il Moore condanna come falsi, essendogli resultato dalle sue collazioni, come abbiam detto di sopra, che la corruzione del testo della Commedia cominciò in un punto anteriore a qualunque manoscritto o commento esistente, e che talora lezioni Indubitatamente false si trovano in una maggioranza molto larga di manoscritti, mentre alcune genuine hanno assai più scarso appoggio. Ma la formazione dell’albero genealogico dei testi a penna, che idealmente appare il metodo più sicuro per tentare la soluzione del difficile problema, il Moore non ha speranza che possa riuscire per causa della complicata mischianza (intermixture) del testo; e propone come solo praticabile il metodo già adottato dal Witte per determinare quali codici offrono lezione primitiva e corretta: stabilire un buon numero di passi, scelti però da tutti i canti della Commedia, far su di essi la collazione di tutti i manoscritti, quindi con principi critici universalmente riconosciuti determinare quali varianti debbano aversi per primitive, e scartare i codici che abbiano, invece di queste, lezioni secondarie. Nessuno potrà disconoscere la bontà dei principi critici che il Moore con molta chiarezza espone, e che non sono speciali del nostro argomento, ma generalmente applicati nell’emendazione dei testi antichi, e utilmente applicabili per giudicare delle divergenze che si troveranno fra i capostipiti della Commedia, se questi ne determineranno; ma la mischianza del testo che [...] ostacolo alla classificazione dei codici, non s’opporrà [...] pari alla stima che vuol farsi del valore intrin[p. 17 modifica] seco di ciascuno di essi? Per voler anzi che essa sia possibile, non è necessario distinguere prima in ciascun codice le varie tradizioni? Poiché, se il testo è vario nelle diverse cantiche, varia stima dovrà farsi di ciascuna di esse; se differisce da canto a canto, diversamente valuteremo ciascuno di essi. Se mischianza è nello stesso canto, bisognerà vedere in che misura v’è, né si potrà ad ogni modo da poche varianti scelte a priori e quindi a caso, giudicare della lezione di tutto il canto.

La conclusione della lettura fatta di questi recenti studi sul testo della Commedia è stata, che a voler stabilire una lezione che s’avvicini quanto più sì può all’originale, abbiamo una sola via sicura: distinguere i codici in famiglie. Date le condizioni speciali sotto cui si tramandò a noi il Poema dantesco, credo anch’io illusione che si possa formare dei codici rimasti un vero e proprio albero genealogico: ciò troverà ostacoli insormontabili nell’esser andati smarriti molti codici, e confuse in non pochi le varie tradizioni. Ma se la genealogia non si può esattamente fare, sarà sempre utile, e doveroso anzi per gli studiosi, determinare tutte le tradizioni manoscritte conservateci, distinguendo i codici in vari gruppi, dei quali si potrà sempre, sé più non esiste, ricostruire criticamente il capostipite. Anche al Moore par provata la possibilità di fissare alcune famiglie o gruppi di mss. ben distinti (p. XLIII e segg.); e gli esempi che ci han fornito il Moore stesso, e prima il Witte, e il Täuber poi, ci dan conferma di ciò. A conseguire però anche questo fine più modesto, occorre, io credo, che i confronti tra codice e codice siano fatti per intero e non rispetto a uno scelto numero di luoghi. La necessità di questo esame compiuto dei mss. della [p. 18 modifica]Commedia nel modo che il Mussafia proponeva, dando relazione dei codici di Vienna e di Stoccarda, è dovuta a più cause. È impossibile determinare a priori quali varianti lessicali e sintattiche porgano utile criterio classificativo, si che basti di esse un certo numero per determinare le relazioni fra i testi a penna. Ciò è tanto vero che pure il Täuber confessa che soltanto dopo un primo esame di tutti i manoscritti si potrà giudicare della maggiore o minore importanza d’una variante per la classificazione. Veniamo inoltre con un esame parziale a trascurare elementi, quali gli errori grossolani e le lacune, che sono preziosi per stabilire affinità fra i testi; poiché, come ben notava il Mussafia «un certo numero di errori (e lo stesso dicasi delle lacune) identici in due o più codici, non può essere meramente accidentale, ed è dato dedurne con sufficiente certezza, che o l’uno derivò dall’altro, tutti scesero da una fonte comune, che già conteneva quegli errori; in ambedue i casi, la loro affinità è fuori di dubbio». Ma c’è di peggio. Studiando le cause di mischianza nei testi, vediamo derivar essa ordinariamente da varianti marginali o da raschiature e correzioni in singoli luoghi: rarissimo (almeno per la parte più antica dei codici) dové essere il caso che uno studioso tenesse davanti due esemplari e seguisse or l’uno or l’altro con intendimenti critici. Può darsi quindi che un codice discordi da un altro in un numero limitato di punti, e in tutto il resto sia con quello uniforme. Or nota il Täuber, e la cosa fu pur da me osservata, che le varianti marginali, e così le sostituite con raschiature, principale causa di confusione delle tradizioni, sono appunto quelle che anche nella massima parte delle edizioni vengono segnalate, [p. 19 modifica]— 19 — e che quindi sono e saranno sempre indicate come punti critici per gli spogli parziali, * come Inf. I, 3 era, avea; I, 4 Et, Ah ecc.; I, 9 altre, alte: II, 55 la, una; II, 60 moto, mondo; II, 84 am/pio, alto ecc. ecc.» (p. 66 e seg.). Veniamo così ad adoperare per la classificazione gli elementi più incerti, anzi quegli stessi elementi che han turbato le tradizioni:

quindi fidando su dì essi giungeremo a fissar somiglianze discordanze che dairesame dell’intero codice potranno esser provate false; laddove sarà utilità incontrastabile deiresame compiuto dei codici, l’aver tanti materiali in mano, che bastino a spiegare ed eliminare caso per caso, quanto è possibile, gli elementi perturbatori. Prendo, per fare un esempio, a collazionare sui trenta luoghi proposti dal Monaci due manoscritti della Commedia, Riccardiano l’uno segnato del n. 1004, l’altro di San Daniele del Friuli conosciuto col nome di codice Fontanini e illustrato dal Fiara mazzo. Li trovo discordanti in non meno di sei luoghi:

Fontaniniano Riccardiano Inf.

VI. 18 aunghia ed isq.

ingoia et disquatra Vili, 101 E se Tandar E tie *1 pasRar XI, 90 divina giustizia divina vendetta XII, 125 coprìa cocea XVI, 136 a scoglio o altro scoglio altro XXV, 144 lingua penna.

Seguendo il criterio del Monaci, che ha scritto «quando su dieci mss, quattro nel canto l’dell’Inf.

V. 83, leggono con l’ali alzate e sei leggono con Vali aperte, non potremo più dubitare che i primi quattro appartengono a una famiglia o almeno a una [p. 20 modifica]— 20 sezione che non è quella degli altri sei, e sarà giustiflcata una prima classificazione su simili basi», assegneremo il Fontaniniano a una famiglia e il Riccardiano a un’altra ben distinta. Esaminati però i due codici fuori dei 30 punti critici indicati dal Monaci, essi- ci offrono tali somiglianze da farsi credere poco meno che fratelli. Sono simili le rubriche, le quali per quanto ho veduto nei codici fiorentini e potuto ricavare dal Do Batines e dal Moore, debbono essere poco frequenti, essendo sostanzialmente le stesse che compaiono nell’edizione vendeliniana coirargoménto del primo canto così modificato e spropositato: Qui comincia il primo canto della Commedia di Dante nella qiuzle si dimostra come voleva pervenire alla cognizione delle virtù e perciò conoscere gli appariscono le tre furie. Oltre a ciò, i due codici hanno la singolarità di contenere l’Ottimo commento coi primi quattro canti diversi da quello a stampa, o lezioni caratteristiche ed errori grossolani, comuni, còlti qua e là in un rapido esame del testo e fin dove mi consentiva la collazione non compiuta del Fiammazzo che dichiara di dare dei codici illustrati soltanto le varianti principali.

1, 44 non mi mettesse 57 pensieri pianger s’attrista 78 tanta gioia V, 41 schiera lunga e piena VI, 2 di due cognati Vili, 76 altre fosse XIV, 57 chiamando: Buon Vulcano XV, 29 la mano a la sua faccia 83 cara e buona imagine et paterna [p. 21 modifica]- 21 A queste somiglianze s’oppongono però anche altre varietà:

Fontaniniano Riccardiano V, 78 disio amor 79 allor annoi 126 dirò come colei dirò come colui XIII, 43 così di quella scheggia si della scheggia rotta XIV, 14 Non altrimenti fatta che Non d*altra foggia facta colei che colei 20 che gian piangendo assai che piangean tutte assai miseramente miseramente.

Or chi oserà dire quale relazione corra fra i due codici prima di aver notato quante e quali siano le somiglianze e le discordanze di essi in tutto il Poema? E come stabilire che una variante é compatibile ed altra no coll'identità dei due manoscritti, se non si avrà modo dall’esame compiuto di essi e di tutti gli altri codici rimasti di dare a ciascuno elemento di comparazione il suo valore relativo a quello di tutti gli altri?

A me pare insomma che essendo il problema complesso oltre ogni aspettativa (e chi s’accinga alla pratica del risolverlo se ne accorgerà ben presto), sia impossibile trascurare la maggior parte degli elementi su cui deve fondarsi la soluzione, senza arrivare a resultati filisi. — Ma si opporrà certamente, che, a far una raccolta compiuta delle varianti, troppi anni di lavoro saranno necessari; e s’aggiungerà forse che quand’anche l’opera fosse compiuta, tonerebbe presso che inutile, perché a mente umana riuscirebbe impossibile non sperdersi in tanta congerie di lezioni.

Alla prima obiezione è da rispondere, che a poco [p. 22 modifica]onore della nuova Italia tornerebbe che si contasse il tempo, ove si tratti di restituire alla forma genuina le opere di Dante, e che è l’ora di vergognarsi che i migliori e più larghi studî sul testo della Commedia ci vengano di fuori, mentre tante cure si spendono da noi su testi di importanza indubbiamente minore. All’altra opposizione basta osservare che quando ciascuno studioso avrà davanti ben distinto e ordinato, codice per codice, tutto il materiale, sarà come se avesse davanti a sè gli originali, e da ciascuno spoglio potrà trarre quel che via via gli sembri giovevole e sufficiente all’opera sua. A facilitar la quale, sarà (s’intende) opportuno, che nel riferire sui mss. si tenga conto delle esteriorità di ciascuno di questi, come scrittura, miniature, fregi, rubriche, sommari e dichiarazioni, le quali possono in molti casi essere utili indizi di affinità fra i codici. Trovo in quattro mss. (Laur. Tempiano 6, Ricc. 1035, Ash. app. 219, Chig. L. VII, 255) premessi a ciascuna cantica gli argomenti in terza rima del Boccaccio con queste rubriche:

Breve raccoglimento di ciò che in sè superficialmente contiene la lectera della prima parie della Cantica o vero Comedia di Dante Allighieri di Firenze chiamata Inferno...

Comincia la prima parte della Cantica o vero Comedia chiamata Inferno del chiarissimo poeta Dante Alighieri di Firenze et di quella prima parte il canto primo...

Qui finisce la prima parte della Cantica o vero Comedia di Dante Allighieri chiamata Inferno.

Breve raccoglimento di ciò che in sè superficialmente contiene la lectera della seconda parte della [p. 23 modifica]Cantica o vero Comedia di Dante Allighieri di Firenze chiamata Purgatorio...

Comincia la seconda parte della Cantica o vero Comedia chiamata Purgatorio del chiarissimo poeta Dante Allighieri di Firenze et di quella seconda parte comincia il canto primo....

Qui finisce ecc.

Breve raccoglimento di ciò che in sè superficialmente contiene la lettera della terza parte ecc. ecc.

Credesi forse che a queste somiglianze, tutto affatto esteriori, non corrisponda negli indicati codici uguaglianza di testo? Sono dal Moore assegnati alla famiglia Vaticana; e la tavola delle varianti caratteristiche di questo gruppo addimostra che, eccettuati ben pochi casi, sono di ugual lezione. Così un’altra sezione della stessa famiglia, e quella appunto che sembra rappresentarla più integralmente, ha le rubriche latine simili, di cui la prima è: Incipit primis cantus prime cantice comedie preclari poete dantis alagherij fiorentini continentis numero cantus xxxiiij. E del principal gruppo della famiglia Barberiniana sembrano esser rubriche caratteristiche: Comincia la Commedia di Dante Alighieri di Firenze nella qual tratta de le pene e punimenti de’ vizii e dei meriti e premi de le virtù. Canto I de la prima parte la quale si chiama Inferno ne la qual l’Autore fa proemio a tutta l’opera.. Canto II de la prima parte ne la quale fa proemio a la prima cantica cioè a la prima parte di questo libro solamente. E in questo canto tratta l’Autore come trovoe Virgilio il quale il fece sicuro del cammino per le tre donne che di lui aveano cura nella corte del cielo. E son poi tante le varietà secondarie nel principio e nel seguito di queste rubriche, da bastare [p. 24 modifica]l’esame compiuto di esse a distinguere in ciascun gruppo del sottogruppi notevoli. Certo che non è da fidare sicuramente ad esse, poichè d’ordinario le rubriche sono state aggiunte nei codici dopo la trascrizione del testo, quindi possono in qualche caso essere state tratte da un codice diverso da quello da cui fu esemplato il Poema; ma della loro utilità nel maggior numero dei casi, a dare indizio di affinità tra i mss., non è da aver dubbio, e devono quindi esser raccolte compiutamente, insieme con tutte le varianti e gli altri elementi esteriori sopra indicati. Così torneremmo al proposito di fare, per ciascun codice della Commedia, una pubblicazione come per quelli di Vienna e di Stoccarda fece il Mussafia. Dal che nascerebbero tre vantaggi: 1. sarebbe facile trovare chi dei mss. desse relazione, e colla maggiore esattezza possibile, perchè del proprio lavoro ciascuno avrebbe il merito e insieme la responsabilità; 2. raccolto così tutto il materiale critico ogni studioso potrebbe darsi all’opera della classificazione in qualunque luogo si trovasse, anche nel più lontano dalle città dove è abbondanza di codici danteschi, con possibilità di riuscir sempre a risultati sicuri; 3. Il lavoro di ciascuno potrebbe facilmente esser sindacato e discusso da tutti quanti gli studiosi. E sarebbe sperabile, che, resi in tal modo facili i mezzi di studio e di discussione, si avesse in tempo relativamente breve un testo della Commedia degno dei rinnovati studi.

Note

  1. I codici friulani della D. C.: illustrazioni e varianti, questioni e lezioni inedite del Bartoliniano, Cividale, 1887.
    A questo volumetto tenne dietro un’Appendice (Udine, 1888), e quindi il principio di più largo lavoro, che è desiderabile proceda alacremente: Codici veneti della D. C.: il Lolliniano di Belluno illustrato, Udine 1889. Sarebbe però bene che la trascrizione delle lezioni fosse diplomatica, e che, pur omettendo d’ordinario le varianti puramente grafiche, fonetiche e morfologiche, si tenesse conto per ogni codice di tutte le varianti sintattiche e lessicali.
  2. Sulla classificazione dei manoscritti della D. C: Notai nei Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. VI, 2º sem., pp. 228 e segg.
  3. Bullettino della Società dantesca italiana, n. 1, (marzo 1890), p. 19.
  4. E. Moore, Contributions to the textual criticism of the Divina Commedia, including the complete collation throughout the Inferno of all the mss. at Oxford and Cambridge. Cambridge, University Press, 1889; 8º, pp. LVI-723
  5. Si veda l’ampio riassunto fatto di questi Contributi nel Bullettino cit., n. 2-3, pp. 66-99.
  6. I capostipiti dei manoscritti della Divina Commedia: ricerche di C. Tauber. Winterthur, Ziegler, 1889; 8s pp. XI-148.
  7. Cfr. specialmente l’articolo del dott. V. Rossi, Un nuovo lavoro sui codici della D. C., pubblicato nella Rivista delle Biblioteche, vol. II, pp. 41-44.
  8. Sul testo della Divina Commedia: I codici di Vienna e Stoccarda, Vienna 1865.
  9. Nota cit., p. 230.
  10. Sul testo della Divina Commedia: discorso accademico, Torino, Clausen, 1890; 4º, pp. 39.
  11. Mentre rivedevo le stampe di questo articolo, è comparso nel n. 2-3 del Bullettino cit. un accurato studio del prof. U. Marchesini sopra I Danti «del Cento», in cui riprende in esame i 23 fra i 47 codici scritti, secondo il Täuber, da Francesco di Ser Nardo, che appartengono a biblioteche fiorentine. Allo studio è unito il facsimile d’una colonna del codice Laurenziano XC sup. 125, sottoscritto, com’è noto, da quell’amanuense; facsimile che renderà possibile il riconoscere gli altri codici della mano di lui che sono sparsi nelle varie biblioteche. Il Marchesini indaga se questa famiglia grafica di mss. sia altresì famiglia rispetto al testo, e per undici di essi risponde affermativamente, per gli altri rimane incerto.
  12. Cfr. Wiese, Vier neue Dantehandschriften, nella Zeitschr. f. rom. Philol., a VIII, pp. 40-42.
  13. Due manoscritti autografi di Filippo Villani, Firenze, 1888 (estratto dall’Arch. st, ital., serie V, tomo 11), pp. 16 e segg.
  14. Il Codice Poggiali della Divina Commedia, Firenze, 1888 (estratto della Riv. d. Bibl., n. 1-4).
  15. Lo spoglio degli antichi commenti per la critica del testo dantesco sarebbe senza dubbio utilissimo; ma per alcuni di essi, e segnatamente per il Laneo e per l’Ottimo, converrebbe far prima una buona edizione.