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si debbano trovare nel 1350 o 1360 e non nel 1330. Si aggiunge che il Witte riferì già nei Prolegomeni alla sua edizione della Commedia parecchi esempi di false lezioni nel Laneo e nell’Ottimo Commento, nè tacque di non poche varianti che già rendevano dubbi quei primi interpreti (p. LXV). Altri esempî aggiunge ora il Moore (p. VI e VII), e conclude che la corruzione del testo cominciò in manoscritti e commenti anteriori a quelli ora esistenti, e probabilmente nelle prime copie dell’autografo stesso (p. XLIII). Vero è che il Negroni giudica siffatte discordanze nei codici, anteriori alla metà del Trecento, esser da ascriversi, molto più che a mutamenti arbitrari, a materiali trascorsi di penna dei copisti o a varianti dello stesso Poeta. Ma converranno tutti nel suo parere? Abbiam da dubitare assai, così per la natura di alcuni degli errori riferiti dal Witte e dal Moore, come per la ignoranza in cui siamo rispetto alla condizione in cui fu da Dante lasciato il Poema, e alla sua divulgazione. Molteplici possono essere state le cause di perturbazione nel testo della Commedia anche nei primi decenni del Trecento; e non son quindi da spiegarsi le varianti con supposizioni, ma con ricercare come derivassero i primi manoscritti dall’autografo. Noi conosciamo, ad esempio, tra i primi divulgatori del Poema un copista di professione, Francesco di Nardo, del quale la tradizione dice abbia copiato cento volte la Commedia. Non è da supporsi che egli, oltre a non mettere fin da principio, come persona intesa al guadagno, molta cura nell’opera, scrivesse in ultimo, dopo tante copie, molti versi a memoria?

Altro fondamento della proposta fatta dall’illustre Negroni si è la convinzione, che con ragioni storiche paleografiche si possa giungere ad assegnare sicu-