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ramente alla prima metà del Trecento un buon numero di codici. Le prove storiche o mancano o tendono a riporre in più basso loco testi a penna troppo innalzati da vanità regionali, erudite, o peggio: ciò è avvenuto del codice Poggiali dopo le ricerche del Gentile; altrettanto può accadere di altri, ad esempio dell’Ashburnhamiano così detto antichissimo. La paleografia poi non basta a distinguere se un manoscritto è del 1340 o del 1360. Onde, se non vogliamo assegnare alla prima metà del secolo XIV codici sul fondamento di vaghe congetture, forse soltanto sui quattro di data certa bisognerebbe condurre l’edizione disegnata dal Negroni. E allora si pensi se il testo che ne uscirà potrà chiamarsi secondo la lezione dei contemporanei, o soltanto di alcuni pochi di essi; e se sia sicurtà di buona lezione il non tener conto di tutte le tradizioni manoscritte; le quali non potrebbero determinarsi se non confrontando tutti i codici che ci rimangono ed aggruppandoli in famiglie secondo le affinità più o meno spiccate che possono presentare gli uni con gli altri. La qual distinzione dei codici sarebbe necessaria anche per attuare la proposta del Negroni, quando fosse possibile avere un buon numero di manoscritti di età sicura quali egli vuole: che altrimenti una stessa tradizione manoscritta, che abbia più rappresentanti in codici anteriori al 1350, può concorrere con più voti alla determinazione dei luoghi controversi.

Più conto della gravità e della complessità del problema si è reso il Moore, e con più industria e sapere ne ha tentato la soluzione. Perspicua la enumerazione delle cause di corruzione nei testi a penna; sarebbe però stata da ricordare espressamente tra esse la trascrizione di molti passi a memoria, che è molto