Novelle (Brevio)/Novella V
Questo testo è completo. |
◄ | Novella IV | Novella VI | ► |
NOVELLA V.
Bellissime donne, io estimo che siccome infiniti sono i pericoli che ne’ casi amorosi ogni di veggiamo intervenire, cosi eziandio infiniti sieno li modi et le vie di fuggir quelli et di salvarsi, non altrimenti che delle infermità de’ corpi nostri si siano; perciocchè io mi do a credere che la natura, ottima maestra et benigna madre di tutte le cose create, abbia eziandio prodotto tutti li rimedi necessari alla salute et conservazione degli uomini, contra que’ mali tutti, che le più delle volte loro medesimi si procacciano, come di molti abbiamo veduto a’ nostri di, et tra gli altri del male dagli Italiani chiamato di Francia, per medicina del quale molti anni dopo che nella Italia fu scoperto, si trovò il Legno Santo, in maniera che oggi pochi sono quelli che n’abbino paura et ne siano schifi,pur che in soggetto che altrui piaccia, si sia, parendo oggi mai a tutti che non meno agevolmente che la scabbia scacciar si possa, benchè il tristo si sia poi ingegnato di ritornarci sconosciuto, ora in forma di pellarella, ora di denterella et di unghierella ancora, ma il mancamento tutto viene da’ medici d’oggidì, non dico di tutti perciò, ma della maggior parte di loro, i quali per ingordigia di guadagnare, più caro avendo un mezzo fiorin d’oro che la vita d’un uomo, come sanno quattro canoni di Mesue, et tre fen di Avicenna, si mettono in collo il battolo del vaio, et cingonsi la cintura dell’oro, et gonfiati et pettoruti vanno medicando, anzi uccidendo chiunque lor capita nelle mani; che se eglino studiassero quanto deverebbono, più onore et gloria a loro stessi, et a noi più utile procaccerebbono. Così dico io di voi ancora, donne mie care che se voi a’ casi vostri, quanto devereste, pensaste, più sicuramente et lietamente de’ vostri amanti vi godereste, l’onore et la vita vostra et di loro medesimamente salvando. Ma perciò che io m’avveggo in troppo cupo pelago essere entrate, della avarizia et ignoranza de’ medici, et della instabilità et leggierezza vostra parlare volendo; lasciando quelle da parte, come un valente uomo, l’onore, et la vita forse ancora di due amanti con sottile et presto avvedimento salvasse, intendo di raccontarvi; acciocchè per lo innanzi più caute et più avvedute siate negli ordini, che co’ vostri amanti metterete. Dico adunque che non sono ancora tre mesi passati, che in Vinegia, città nobilissima et di belle donne copiosissima, fu, et ancora è, un mercatante chiamato Polo di Bernardo, uomo di mezza età et di piccola nazione, ma di buon credito et assai agiato, della cui moglie, perciocchè et vaga et bella è molto, chiamata Catterina, era innamorato un altro mercatante ricco et giovane, et la Catterina di lui altresì, ma segretamente però, non mostrando nė percenni, nè per modo alcuno a Filippo, che così aveva nome il giovane che lei amava, che di lui le calesse. Ora avendola Filippo lungamente vagheggiata, et non veggendo di poter per venire al termine che egli desiderava, quasi che disperato deliberò di palesare questo suo amore ad un sensale, compare della Catterina, il quale nella casadi lei, ma separatamente, come a Vinegia far veggiamo, tuttodi abitava: et si bene seppe con parole et con doni appresso pregarlo, che egli contentò et promise di essere il mezzano di condurre il costoro amore a fine. Perchè un giorno, atteso che Polo di casa uscisse, andatosene su alla Catterina, quello tutto et molto più che Filippo gli aveva detto, le racconto: et in somma quanto più poteva pregandola et persuadendola a compiacergli dell’amor suo. La Catterina come che non men voglia di Filippo s’avesse di contentarlo, pur per mostrare d’aver cara la sua onestà, alquanti giorni stette in contegno: pur alla fine et dalle preghiere del compar sollecitata, et d’amore stimolata, disse d’essere contenta di ritrovarsi con Filippo. Onde non attendendo altro, per venire alla conclusione del loro amore, che la comodità, avvenne che a Polo per certe sue bisogne, come i mercatanti fanno, convenne ad una fiera andare, la quale ogni anno del mese di settembre si fa in un luogo non molto discosto a Vinegia chiamato Trebasiliche. Perchè alla donna parendo tempo di farsi venir il suo Filippo, dato ordine col compare, quello per la vegnente sera a cena convitar fece, seco medesima avendo divisato, estimando il marito doversi star qualche giorno ancor fuori, di ritener Filippo a dormir con esso lei. Et come quella che poco senno aveva, non contendandosi d’avere lo amante suo nelle braccia al buio, et dovunque et comunque ella potesse, come le savie donne fanno, ma per mostrarsi nobile et ricca molto, le camere tutte et la sala di capoletti, sargie et di arazzi fece adornare. Dall’altra parte compar Marco pecora, fatto intender l’ordine a Filippo, et fattosi dar di danari per comperar una buona cena, et quella comperata, a casa la Catterina ne la mandò; et quando tempo gli parve, con Filippo et con un altro amico loro chiamato Agostino, il quale molto domestico era della Catterina et del marito di lei, a casa se n’andarono. Quivi dalla donna con gratissime accoglienze raccolti, a seder postisi, mentre che le tavole si mettessono et la cena si preparasse, a ragionar d’un caso amoroso di Agostino si misero: il quale era, che essendo egli stato lungamente innamorato d’una giovane, figliuola d’un mercatante, nominato Pandolfo Rinucci, et amando ella lui, non meno che egli amasse lei, prima che a congiugnimento alcuno amoroso venissero, data tra loro la fede, ella lui per marito, et egli lei per moglie aveva presa: et per più copertamente dar fine al loro intendimento, fu Pandolfo per parte di Agostino più fiate et per più vie richesto, che la figliuola volesse dargli: alla qual cosa non avendo egli mai voluto acconsentire, Agostino disperatosi della durezza et ostinazione di Pandolfo, una notte segretamente la Camilla, che così era chiamata la figliuola, alla casa sua ne mend; de’ quai accidenti Filippo non solamente era stato consapevole, ma compar loro dello anello ancora. Mentre adunque costoro in simili ragionamenti il tempo, l’ora della cena aspettando, spendevano, avvenne che essendo ita una delle fanti della Catterina per certe bisogne della cucina, come av venir suole, a casa d’una lor vicina, et la porta della strada aperta lasciata, vi sopraggiunse Polo: il quale avendo lasciato ordine ad uno altro mercatante di ciò che s’avesse a fare delle sue mercatanzie, a Vinegia tornato s’era: et a casa giunto et la porta aperta trovata, prima seco si maraviglid, forte biasimando la poca cura della donna; poi entro passato et al sommo della scala pervenuto, et l’uscio d’un’altra porta che nella sala passava chiuso trovando, alquanto si racchetd; et entrar volendovi, fatto uno fischio, come i Viniziani fanno, et l’uscio picchiato, subito dalla moglie allo fischio fu riconosciuto. Onde tosto levatasi insieme col compar Marco, tutti tremanti entro un chiuso di tavole, che sotto una scala, la quale nel granaio passava, era si misero. Filippo et Agostino, lasciate quivi le lor cappe, in giubbone nel granaio si ricoverarono. Polo, che di fuori aspettava d’essere aperto, et non udendo persona, posto l’occhio ad un pertugio che nell’uscio era, et nella sala guardando, quella d’arazzi ornata, et le tavole poste et molti lumi veggendovi, quasi di sè medesimo maravigliandosi,parendogli et non parendogli vedere ciò che egli vedeva, et non possendo immaginarsi quello che ciò si volesse dire, come trasognato si stava, aspettando che l’uscio aperto gli fosse; et mentre che egli varie cose per lo capo avvolgendo s’andava, vi sopraggiunse la fante che del vicinato tornava; la quale come lui in capo la scala vide et conobbe, tutta stordi. Polo desiderando di coglier la moglie all’improv viso, non le disse nulla, nè ella a lui; ma la chiave dello saliscendolo della porta che nella sala passava in mano avendo, quella apri, et ad un medesimo tempo insieme nella sala se n’entrarono. Polo non vi vedendo persona, et l’uscio del granaio aperto veggendo, et udendo lo calpestio che Filippo et Agostino facevano, su per le scale del granaio s’avvio. Il che udendo la Catterina et Marco, del chiuso usciti, giù per l’altra scala, quanto più tosto poterono, n’andarono, ella in casa d’una vicina salvandosi, et egli nella sua restando. A Polo al buio trovandosi, coloro già in sul tetto esser conoscendo, parve per lo megliore di tornarsi addietro: et nella sala venuto, della moglie per tuttele camere et per quanti buchi vi aveva cercando, et non trovandolavi,nė veggendovi persona, perciocchè le fanti per la paura nascoste s’erano, tornatosi nella sala, ogni cosa minutamente guardando et considerando, non sapeva egli stesso quello che si dire, nè pensare, nè fare; masospirando per la sala s’andava. Compar Marco, indi a buona pezza, come quegli che spesse fiate era uso di venire a starsi col compar et a parlar delli lor fatti, come i sensali co’ mercatanti fanno, fatto buon viso, in sala se ne venne, et trovatolo solo et dolente, il quale della moglie si rammaricava, sembiante facendo di non saper nulla, fattosi raccontar il tutto, facendogli buone le sue ragioni, la croce addosso gridava alla povera comare. Filippo et Agostino di tetto in tetto camminando, alla catteratola d’un tetto della casa d’un loro amico pervennero: et quella per entrarvi pianamente frugando, avvenne che un figliuolo di Antonio Gallo, che cosi chiamavasi l’amico loro, il quale per fuggir lo caldo nel granaio si dormiva, allo frugar che costoro facevano, si sveglio, et prestamente al padre suo andatosene, lui dormente desto, et raccontègli ciò che udito aveva. Il padre non prestando fede alle parole del figliuolo, gli disse che egli si tornasse al letto, che dovevano esser gatte che entrar vi volevano. Il figliuolo tornatosi a dormire, appena avendosi posto giá di nuovo, udio toccar la catteratola; perchè levatosi per vedere se gatte fossero od altro, fattosi ad un fesso della catteratola, vide, essendo la notte serena, Filippo et Agostino, li quali in piede quivi si stavano: onde subitamente al padre tornatosi, lo richiamò, affermando aver veduti due in sopra ’l tetto. Il padre costoro ladri esser credendo, levatosi, et presa una sua spada ignuda in mano, nel granaio se n’andò, et la catteratola aperta, volendo egli uno di loro ferire, fu da Filippo per nome chiamato, dicendo che egli non faeesse, perchè erano amici suoi. Antonio alla voce riconosciutolo, fattolo entrare insieme con Agostino, et nella camera sua menatili, il loro accidente intieramente inteso, prima amorevolmente loro riprese, ma molto più biasimò la donna del suo poco senno: poi alla salute et di loro et della donna, et all’onore di Polo pensando, sappiando già Agostino avere menata la figliuola di Pandolfo Rinucci, la cosa con subito avvedimento in cotal guisa divisò; et voltosi ad Agostino, disse: or vatti or ora per moglietà; et insieme con alcuna delle sue fanti et un famiglio con un torchio acceso in mano, tornati a casa di Polo, et quivi picchia ben bene, dimandando di Filippo et di Marco, fi gnendo d’essere stato quivi da loro convitato a cena tu et moglietà, poi del rimanente lascia il carico a me: et da Filippo meglio informato come la cosa passata fosse, prese sue calze et giubbone, et vestitosi, alquanto si stette. In questo mezzo tempo Agostino andatosi a casa, et fatto vestir sua mogliere, secondo l’ordine di Antonio, a casa di Polo si ritornò, et picchiato l’uscio una volta et due, essendogli risposto et dimandato chi e’ fosse, et ciò che volesse, disse di volervi entrare, per ciò che da Filippo Baldani et da Marco sensale era quivi stato chiamato a cena insieme con la moglie. Al quale fu risposto, che e’ se n’andasse, per ciò che quivi non era nè Filippo nè Marco. Et replicando Agostino, mostrando di volervi per ogni modo entrare, dicendo che non lo facessero più con la moglie stare all’aria et che avevano scherzato assai, mostrando di dolersi di Filippo che in cotal guisa beffato l’avesse, fugli di nuovo risposto, che quivi non v’era ordine di cena, nè di desinare, et che egli se n’andasse con Dio. Marco udendosi nominare et parendogli et non parendogli conoscer Agostino alla voce, non sapendo che si dire, guardava Polo nel volto, et nelle spalle strignendosi, quasi dicendo, io non so nulla di cotesto fatto, si stava mutolo, et rinegava Iddio d’esservi mai ritornato. A Polo, tutte queste coseudendo, pareva di essere all’altro mondo: et come egli fuorsennato fosse, non parlava, nè faceva motto alcuno, non sapendo che si dovesse nė dire, nè pensare, nè credere. Ora mentre che queste cose per la mente delPuno et dell’altro di costoro s’aggiraravano, Antonio Gallo, lasciato nella casa sua Filippo, et detto ad Agostino che con la moglie a casa se n’andasse, giunto alla porta di Polo, picchiò, dicendo che aprissero, che egli era Antonio Gallo, compare di Polo: il che udendo Polo, fattogli aprire, se gli fece incontro in capo la scala tutto dolente, della moglie rammaricandosi. Antonio, sembiante facendo di non saper nulla di questo fatto, lasciatolo alquanto sfogare, il dimando qual si fosse la cagionedi questi rammarichi; et da capo fattosi raccontare come la cosa stesse appunto, voltatosi con un mal viso al compar Marco, gli disse lamaggior villania che si dicesse mai a poltroniere, dicendo a Polo: compar mio, non vi dogliate che di costui: egli è stato la cagionedi tutto questo scandalo, che si vorrebbe impiccarlo. Compar Marco non sapendo quello che Antonio Gallo avesse in animo di dire, ciò udendo, era nella maggior paura che egli alla vita sua fosse stato giammai, temendo non costui sapesse le ambasciate fatte alla Catterina et gli ordini posti, et tutto ciò che v’era stato, in maniera che volentieri avrebbe voluto essere stato lontano mille miglia. Onde egli si stava tutto sgomentato. Perché Antonio un tal poco in cagnesco guatatolo, gli disse: tu ti stai cheto, eh? o perchè non di’ tu la cosa com’ellasta? Maladiròio, poichè tuti taci; et voltatosi a compar Polo, gli disse: compare mio, questo apparecchio, queste tavole et questi lumi et quella cena, verse la cucina guardando, non sono preparate nė per vergogna nè per danno vostro, ma tutto a buon fine. Voi devete sapere come Agostino dal Gigante sposò la figliuola di Pandolfo Rinucci, del qual Agostino, Filippo Baldani fue compare dello anello; et volendogli dare una sera cena insieme con la moglie, et a me et alla donna mia altresì, rimanemmo con questo valente uomo di Marco, che egli dovesse pigliar la fatica dello spendere, come quegli che della gola se n’intende assai bene. Ora Filippo per rispetto del padre, che sapete quanto egli è bizzarro, pregò costui che in casa sua la facesse apparecchiare; al qual forse per essere questa sala più bella, maggiore et più fresca che la sua non è, è paruto di farla qui;et mia comare per onorar Filippo et la donna sua, et far loro avveduti che delle gare state tra voi, dal canto vostro non c’è più nulla, ha voluto con questi arazzi et con questi altri ornamenti far loro onore; et voltosi a compare Marco, disse: è egli il vero? Mai sì, rispose Marco: et seguì dicendo a compar Polo: io non ebbi ardire di dirloti, a dirti il vero; perciocchè ti vidi tanto adirato ch’io dubitai di me; ma infatti la cosa sta pur così, come t’ha raccontato Antonio; di che ti prego per Dio che tu mi perdoni. Replicò Antonio: compar Polo, credi tu che gli ordini degli innamorati si faccino con tanti lumi, con tante sargie et con tanti tappeti? Oh, tu dirai, Filippo si fuggì: egli è il vero, ma e’ si fuggì dubitando della tua furia, et come quegli che credeva che in te rimanesse ancora qualche ruggine delle gare passate: et io non ci venni perciò che mi doleva il capo, et duolmi tutta via tanto ch’io non ci veggo lume; però direi che mettendo oggi mai fine a questo romore, facesti venir la Catterina a casa, et che cenaste, et che ve n’andaste al letto; et domattina, se così a te pare, perciò che adesso l’ora è troppo tarda, faremci venire Agostino, la moglie et Filippo, et goderemci questa cena allegramente. Polo avendo adito così ordinatamente raccontar questo fatto, ricordandosi che poco dianzi Agostino et la moglie v’erano stati, sappiando Antonio essere un uom dabbene, piena fede prestando alle parole sue, si racchetò alquanto: et dimandato ciò che fosse della Catterina, intendendo ch’ella era quivi presso in casa d’un lor vicino, la si fe’ chiamare. La quale avendo inteso da compar Marco che per lei era ito, in che termine le cose stessero, non così tosto fue giunta nella sala, che voltasi al marito, disse: alla buona, che tu ci venisti a bell’otta a turbarci la festa et la cena nostra. Che domine non ti stavi tu con que’ tuoi mercatanti a mangiarti delle castagne et ber del mosto, che ci avresti lasciati godere in pace la nostra cena? Mi sarei maravigliata se tu non fosti venuto a metter a romore con la tua collera ciò che c’è: che malanno abbia essa, che noi stavamo troppo bene quando tu ci venisti a sconciare. Polo, il quale per le molte ragioni dette da Antonio, et per li segni veduti dello apparecchio della casa, della tavola, de’ lumi et della cena, che molto ricca era, appresso udendo le parole della moglie, biasimando fra sè medesimo la sua falsa credenza et collera, altro non rispose alla moglie, se non: perchè ti fuggisti tu quando io me ne venni? A cui la Catterina un tal poco il collo et capo torcendo, rispose: sì che io non ti debbo oggi mai conoscere: mal per me se io ci stavo; lodato sia Iddio che ci mandò compar Antonio che sa il fatto appunto, che a me non avresti tu creduto nulla, si sei gentile et amorevole. Antonio accorgendosi che le parole non erano per venir meno in tutta notte, voltosi verso Polo, disse: compare, e’ si vuole che noi, poi che omai l’ora è tarda, mangiamo da mattina questa cena, et faremci, come io ho detto, venir Agostino, la moglie et Filippo; et guardando Marco, disse: che ne di’ tu, compar Marco? Il quale rispose: io per me vorrei mangiarla ora, che io mi muoio di fame; ma qualche cosa ne spiccherò io questa sera, domani poi sarà ciò che piacerà a Dio. Così di pari volere di tutti terminarono che la mattina seguente si rimandasse per li convitati, et che insieme si facesse gozzoviglia, et così fu fatto. Quello che poi la Catterina et Filippo facessero, non mi si ricorda.