Novelle (Brevio)/Novella IV
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NOVELLA IV.
Graziose et amorose donne, grandissimo per certo è il numero de’ cattivelli amanti, ma non minore, a giudicio mio, è quello, degli accidenti et de’ maravigliosi effetti dello ingannevole amore de’ quali come che il mondo tutto oggi ne sia pieno, non estimo però disdicevole il raccontarne uno non ha guari di tempo avvenuto; la qual cosa fo io volentieri non solamente per racconsolare gli animi vostri, ma eziandio per iscusazione vostra appresso i severi et troppo spigolistri uomini, li quali nelle opere vostre con rigido viso guardando, quelle molto più agramente di ciò che boro si converrebbe riprendono, come se voi di carne et d’ossa non foste, et oltre, a ciò dalla natura molto più delicate et fragili che eglino non sono formate. Ma se questi cotali con ragionevole occhio se medesimi et li lor fatti misurassero, senza dubbio alcuno, più dolci et più compassionevoli giudici sarebbono, nè così frettolosamente, anzi strabocchevolmente correrebbono a biasimare et a vituperare ogni atto et cenno vostro per minimo che si sia, facendosi a credere che il dire et fare ciò che e’ vogliono, sia loro conceduto et istia bene, et che voi debbiate starvi a guisa di statove. Non nego già che d’immortal loda non siano degne quelle donne et quegli uomini altresì, li quali con l’acqua della onestà i focosi et lascivi appetiti carnali ammorzando onestamente, et se non castamente, almeno cautamente menano la vita loro; ma se ben considerar vorremo, quanta sia la forza del concupiscibile amore, quanti gli stimoli suoi, et quanta l’umana fragilità; conchiuderemo quelle donne, le quali da ardentissimo desiderio amoroso spinte nei suoi lacci traboccano, piuttosto esser degne di compassione che di severa sentenza. Come adunque una gentile et valorosa donna smisuratissimamente amando, ai suoi amorosi desideri desse fine, mi piace di narrarvi. Nella nostra città, d’accidenti d’amore più copiosa assai d’ogni altra che oggi nel mondo sia, fu, non è ancora molto tempo passato, una nobile donna et bella nominata Lisabetta, la quale d’un suo marito vedova rimasa, un figliuolo aveva senza più, d’età d’un quindeci anni, bellissimo et leggiadrissimo quanto alcuno altro fosse in Vinegia, del quale la madre sì fieramente di carnale et lascivo amore era innamorata, che ella mai bene alcuno non aveva, se non tanto quanto il figliuolo vedeva, o di lui pensava, et tanto più malagevole a tollerare era questo amore alla gentile donna, essendo ella onestissima, quanto men se le conveniva scoprirlo. Onde di giorno in giorno crescendo le bellezze et i lodevoli costumi del figliuolo, crescevano parimente le amorose fiamme nel cuore della madre, la qual conoscendo questo suo desiderio non solamente esser disonestissimo, ma eziandio contra le leggi et divine et umane, al me’ che poteva, struggendosi come la neve al sole, et consumandosi, quelle pazientemente in pace sopportava, spesse fiate della sorte sua dogliendosi, et sè stessa in cotal guisa riprendendo ahi poverina a te Lisabetta che è quello a che tu con tanta sollecitudine hai volto l’animo? or parti che ti si convenga a questo modo amare? tu hai infinite volte chiuse le orecchie a’ dolcissimi prieghi d’infiniti valorosi amanti per servare la tua onestà, et ora a carnalmente amare il proprio figliuolo ti se’ condotta peccato certamente vie più grave che l’odiare il padre et la madre. Dei tu adunque lasciarti alla libidine trasportare? Apri ben gli occhi dell’intelletto, et te medesima riconosci: or che direbbe il mondo se ciò si risapesse giammai? Non ne saresti tu per tutto il tempo della vita tua biasimata et mostrata a dito? Certo ìi: adunque in te stessa raccogliendoti, scaccia da te questi scellerati et noiosi pensieri, dà luogo alla ragione et tempera i desideri non sani; et volgendo la mente tua altrove, et col freno della ragione reggendoti, rompendo i lacci et le catene di questo sconvenevole et abbominevole amore ad onestamente amarlo, come le leggi naturali vogliono, ti disponi. Dall’altra parte d’amore combattuta et del figliuolo ricordandosi, così dicendo a sè medesima rispondeva: ahi misera me, che colpa n’ho io di questo amore? Mi sono io innamorata per elezione? mai no, i cieli m’hanno forzata a così fattamente amarlo, et se le stelle così vogliono, che ne posso io? esse hanno più forza di noi, ad esse sono gli uomini et le cose tutte di questo mondo soggette, esse troppo più possono di quello che noi mortali possiamo: come adunque posso io, femmina essendo, dalle forze loro difendermi? Come è possibile che io non ami il mio figliuolo, et ch’io non brami d’averlo di continovo nelle braccia? Certamente questo non sarà giammai: perchè debbono le leggi vietarmi l’amarlo? perche non è lecito a noi che la madre pigli il figliuolo per marito, et il padre la figliuola come altrove? Misera me, perchè non sono io nata in que’ luoghi; adunque mi dee nocer l’esser nata in queste parti? Poi di nuovo riprendendosi, pregava Iddio che di tale amore la liberasse; ma quantunque volte ella il figliuolo vedeva, di nuove et vie più ardenti fiamme si raccendeva. In questa guisa adunque con simili et più altre ragioni lungo tempo più et più volte sẻ medesima accusando et iscusando la innamorata donna di continove lagrime et lamenti pascendosi, in misera et infelice vita si dimorava, aspettando che, o la morte di lei, o il tempo, d’ogni cosa consumatore, alla sua gravissima et mortalissima piaga amorosa trovasse rimedio. Ma amore che rade volte i suoi fedeli lascia perire, non passarono molti giorni appresso, le mostrò una via per la quale ella segretissimamente poteo adempiere il desiderio suo. Aveva madonna Lisabetta una fanciulla bella et vaga molto, che alla camera et alla persona di lei solamente serviva, la qual Girolamo, che così aveva nome il figliuolo, focosamente amava, et ella lui; ma per tema della madre, la quale di questo loro amore aveva presa qualche sospezione, et del figliuolo ingelosita essendo, gli occhi molto loro addosso teneva, non avevano potuto venire a conchiusione veruna, ma con cenni et co’ sguardi tanto, et talora, ma però di rado, con qualche bacio così via là alla sfuggita, la lor vita passavano, aspettando che la benigna fortuna desse loro occasione di poter metter ordine di dar compimento alle loro voglie amorose. Et mentre che l’uno et l’altro de’ cattivelli amanti in questa guisa la loro vita disiosamente passavano, avvenne che una sera colà, di gennaio essendo, avendosi posto in cuore Girolamo di parlare ad Elena, che così era chiamata la damigella, et sapendo lei esser nella camera della madre, attese che ella n’uscisse, et nello uscire fattolesi allo incontro, così al buio senza altrimenti motto farle, l’un de’bracci al collo gittatole, lei baciar volle; il che sentendo Elena, come che troppo bene conoscesse chi colui fosse che ciò faceva, pur temendo non esser quivi colta, et fuggir volendo, et Girolamo quanto più poteva strettamente tenendola, et ella resistenza facendo, avvenne che madonna Lisabetta udio questo stroppicio, et chetamente le pianelle de’ piedi trattesi, et sulla porta della camera venutasi, udì il figliuolo che Elena con istanza pregava che quella notte istessa sulle sei ore volesse andare ad attenderlo entro una stanza a terreno che nella casa la qual cosa Elena dopo non molte preghiere promise di fare, et l’un l’altro dolcemente baciatisi, chi qua, chi là sẽ n’andarono. A madonna Lisabetta, ciò avendo udito, parve che amore et la fortuna le avessero posto innanzi la via per la quale ella potesse dar fine a quello che sopra ogni altra cosa desiderava, perchè quando tempo le parve, fattasi venire la Elena, et datole un paio di maniche a cucire, le quali ella studiosamente sdruscite aveva, le commise che per quanto avesse cara la vita non s’andasse al letto, nè quindi si dipartisse, se prima il lavorio fornito non avesse; et sembiante facendo d’andare a dire sue orazioni, come era suo costume di fare, entro una camera, nella quale, per una porta che nella sua era, vi si passava, entratasi, et l’uscio serrato et lo chiavistello messovi, alquanto profondamente sopra quello che fare intendeva, pensando si stette: poi d’amore, contra il quale umana forza non vale, costretta et vinta, per una scala che di quella camera nella stanza a terreno si scendeva andatasene, quivi ad attender il figliuolo si mise, il quale non molto dopo venutovi, lei Elena esser credendo, dolcemente abbracciò, et molto più caramente nelle braccia della madre fu ricevuto, et quivi così alla mutola l’uno dell’altro quel piacere et quella dolcezza, della quale senza dubbio nessuna è maggiore, pigliando, per buona pezza si stettero; poi con parole sommesse et rotte, il che M. Lisabetta, per non esser dal figliuolo conosciuta, con arte faceva, dato ordine per la vegnente notte, si dipartiro. Ora avvenne che continovando questa dimestichezza, M. Lisabetta ingravidò; perchè appressandosi il tempo del partorire, andatasene in villa, quivi una bella figliuola partorì, et segretamente datala a nodrire, a casa se ne ritornò, et non guari dopo data la Elena per moglie ad un servitore d’un parente suo, il quale a Corfù per Bailo n’andava, a buon viaggio ne la mandò. Indi a due anni sembiante facendo di voler pigliar una fanciulla dalla pietà, et quella nella casa sua per l’amor di Dio allevare, come nella nostra città tuttodì veggiamo fare mandata per la figliuola, quella prese et con grandissima diligenza fece governare, come cosa da lei non meno che la propria vita amata. Giulia adunque, che cosi chiamavasi la figliuola, ben nodrita essendo, in bellezze et in costumi tanto crebbe, che maravigliosa cosa era a vederla, et già da marito venuta, avendola più volte Girolamo molto ben considerata et istranamente piacendogli, ferventissimamente l’amava. Della qual cosa madonna Lisabetta si venne accorgendo, et con istrettissima guardia la teneva; di che Girolamo ne viveva pessimamente contento. Onde conoscendo egli apertamente, per la custodia che di Giulia la madre faceva, esser impossibile di poter condurre questo suo amore al desiderato fine, del tutto disperandosene, seco medesimo deliberò, che che avvenir se ne devesse, di pigliarla per moglie. Perchè un giorno entratosene là dove la madre sola si stava, dopo averle scoperto l’ardentissimo amore che egli alla Giulia portava, l’animo et intenzione sua le apri, et in somma, quanto più caldamente poteva, pregandola che alle voglio di lui consentisse, la madre ciò udendo; tutta stordì, et pregò il figliuolo che a questa cosa non pensasse, dicendo che dove egli volesse ammogliarsi, non gli mancherebbono de’ primi partiti della città, et delle donne belle nobili et ricche; allegando la Giulia non esser sua pari; et che nè roba, nè danari, nè parentado non aveva; aggiugnendo che grandissima vergogna, non pur di lui, ma di lei ancora et di tutto il loro parentado sarebbe quando essi ciò facessero, et in fine quanto più poteva, pregandolo che egli se ne rimanesse. Ma Girolamo più innamorato che consigliato, di nuovo pregando la madre, et a’ preghi le lagrime aggiugnendo, disse che egli si morrebbe per la passione, ove questa cosa negata gli fosse: et sì bene seppe et dire et fare, che la madre temendo no ’l figliuolo infermasse, troppo bene conoscendo quanto di forza in un animo gentile l’amorose fiamme avessero, amando meglio d’avere il figliuolo vivo et sano con qualche vergogna et carico di coscienza, che morto od infermo con più onorevole moglie et senza peccato, contentò che egli la Giulia per sua donna prendesse, et indi a pochi dì, perciocchè amore a Girolamo i cintolini strigneva comunicata la cosa co’ parenti, et quelli fatti venire a casa, come è usanza della patria nostra, le nozze si fecero belle et orrevoli molto, et ancora vivon tutti, che Iddio lasce loro lungamente godere. Cotal fine adunque, donne mie care, ebbe l’amore di madonna Lisabetta, la quale, come che nel principio della novella mia, avendo rispetto alle forze d’amore et alla umana fragilità, abbia iscusata, nondimeno estimo non esser alcuna di voi di così debole intelletto, che considerando quanto grave all’anima et vituperevole al corpo il mescolarsi nel proprio sangue si sia non solamente non biasimi, ma infinitamente ne sia schiva; la qual cosa vi conforto io a fare, quanto più semplicemente et puramente per voi si può menando la vita vostra, quegli amori cercando che dalla natura benigna madre et maestra della vita nostra vi si mettono innanzi.