Malmantile racquistato/Decimo cantare

Decimo cantare

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Nono cantare Undecimo cantare

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DECIMO CANTARE.

ARGOMENTO.

Per far la maga col rival quistione
Va, ma in vederlo poi le spalle volta,
E con lui dietro fugge nel salone
Ove è la gente per ballare accolta.
Del lupo in traccia Paride si pone:
Il trova, e 'l prende con industria molta:
E ucciso quel, dà fine all'avventura,
Ed in tal guisa è liberato il Tura.

1.
Quanti ci son che vestono armatura,
Dottor di scherme e ingoiator di scuole1,
Fantonacci che fanno altrui paura,
Tremar la terra e spaventare il Sole;
E raccontando ognor qualche bravura
Ammazzan sempre ognun colle parole;
Se si dà il caso di venire all’ergo,
Zitti com’olio poi voltano il tergo!

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2.
Ma e' son da compatir s'e'fanno errore,
Benchè non sembri mancamento questo;
Se chi a menar la man non gli dà il cuore,
In quel cambio a menare i piedi è lesto.
Oh, mi direte, vanne del tuo onore;
Sì; ma un po' di vergogna passa presto:
Meglio è dire: un poltron qui si fuggì,
Che: qui fermossi un bravo e si morì.
3.
Dunque appien mostra in zucca aver del sale:
Chè il savio sempre fugge la quistione2;
Anzi veder facendo quanto ei vale
Nel giocare3 al bisogno di spadone,
E che chi a nessun vorria far male
Sa ritirarsi dall'occasïone,
E senza pagar taste o chi lo medichi
Dà campo che di lui sempre si predichi.
4.
Ma voi che di question fate bottega,
Credendo immortalarvi; e che vi giova
Far la spada ogni dì com'una sega
E porvi a' rischi e fare ogni gran prova,
Se quando poi la morte vi ripiega,
«Il vostro nome appena si ritrova?»
Or imparate un po' da Martinazza,
Ch'ella v'insegnerà come s'ammazza.

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5.
Colei c'ha fatto buio, e che fallita4
Paga di sogni i debiti a ciascuno,
Quella che, dianzi tolse al dì la vita,
Cagion che tutto il mondo porta bruno;
Perch'ella teme d'esserne inquisita,
Benchè si chiugga gli occhi per ognuno5,
Per fuggir l'alba c'ha le calze gialle,
Comincia a ragionar di far le balle.
6.
E Martinazza, che di quei balletti
Sarebbe in corte tutto il condimento,
Perchè in un tempo solo, co' calcetti
Ballando, suona6 al par d'ogni strumento;
Dopo cena per degni suoi rispetti
Prese dagli altri un canto7 in pagamento,
E sopra un pagliericcio angusto e sodo
Fino ad ora s'è cotta nel suo brodo.
7.
Perocchè, nel pensar che la mattina
Entrare in campo dee alla tenzone,
Fa giusto come quella nocentina8,
Ch'a giorno andar dovendo a processione
Occhio non chiude, e tuttavia mulina
Tantochè 'l capo ell'ha come un cestone;
Così la strega in cella solitaria
Attende a far mille castelli in aria.

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8.
Infastidita poi da tanti e strani
Suoi mulinelli, sorge dalla paglia:
E data una scossetta come i cani,
La lancia chiede, brando, piastra e maglia,
Perchè il nimico all’alba de’ tafani9
Vuol trucidare in singolar battaglia;
Ed a fargli servizio e più che vezzi,
Vuol che gli orecchi sieno i maggior pezzi.
9.
Dimostra cuore intrepido e sicuro,
E spaccia10 il Baiardino e il Rodomonte;
Chi la stringesse poi fra l’uscio e il muro,
Pagherebbe qualcosa a farne monte11;
Ma tutto questo finge e in sè tien duro,
Fa faccia tosta e va con lieta fronte,
Sperando ognor che venga un accidente
Ch’e’ non se n’abbia a far poi più niente.
10.
Spada e lancia frattanto un servo appresta;
Col petto a botta12 in man l’altro galoppa,
Un altro l’elmo da coprir la testa,
Da difender, un altro, e braccia e groppa:
Di che coperta in ricca sopravvesta,
Par un pulcin rinvolto nella stoppa;
Ed allestita in sul cantar del gallo,
Altro quivi non resta che il cavallo.

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11.
Perciò fa comandare a’ barbereschi
Che lo menin ’n un campo di gramigna,
Acciocch’ei pasca un poco e si rinfreschi,
Perchè per altro13 il poverin digrigna.
La marca14 ebbe del Regno, e i guidaleschi
Gli hanno rifatta quella di Sardigna:
Maglie e reti15 ha negli occhi, onde per cena
Vanne a pescar nel lago di Bolsena16.
12.
Or mentre pasce il misero animale
E ch’e’ si fa la cerca17 della sella,
Giunge un diavol più nero del caviale
Con un martello in mano e una rotella
Ed un liquor bollente in un pitale,
Ed inchinato a lei così favella:
Il re dell’infernal diavolería
Con queste trescherelle18 a te m’invìa.
13.
E ti saluta e ti si raccomanda,
E perc’ha inteso che tu fai duello,
Un rotellon di sughero ti manda;
Spada non già, ma ben questo martello,
Con una potentissima bevanda
Ch’io ti presento entr’a quest’alberello
Bell’e calduccia, come la mattina
Allo spedal si dà la medicina.

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14.
Or senti, chè qui batte il fondamento:
Quand’il nimico ti verrà a ferire,
Va’ pure innanzi, e non aver spavento
Al ferro questa targa a offerire;
E tosto ch’ei la passa per di drento,
Sii presta col martello a ribadire;
Ma lasciagliene subito alla spada,
Perch’egli a sè tirando, tu non cada.
15.
Facc’egli poi con essa quanto vuole,
Chè più di punta non può farti offesa:
Di taglio manco; essendochè una mole
Sì fatta a maneggiar pur troppo pesa:
Portila dunque per ombrello al sole
Perch’alla testa non gli muova scesa19;
E digli, giacchè quella non è il caso,
Che s’egli ti vuol dar ti dia di naso.
16.
Ma se per non aver buon corridore,
Quivi a cansarti tu non fossi lesta,
O per altra disgrazia o per errore
Ei t’appoggiasse qualche colpo in testa,
Voglio che tu per sicurtà maggiore
Or per allora ti tracanni questa
Qual’è una bevanda sì squisita,
Che chi l’ha in corpo non può uscir di vita.

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17.
Così le fa ingoiar tanto di micca20
D’una colla tenace di tal sorte,
Che dove per fortuna ella si ficca
Al mondo non è presa21 la più forte:
Questa, dic’egli l’anima t’appicca
Ben ben col corpo, e s’altro non è morte
Ch’una separazion di questi duoi,
Oggi timor non hai de’ fatti suoi.
18.
Quando la maga vede un tal presente
C’ha in sè tanta virtù, tanto valore,
Da morte a vita rïaver si sente,
Si ringalluzza e fa tanto di cuore;
E dove sarebb’ita un po’ a rilente
Nel far con Calagrillo il bell’umore,
Or c’ha la barca assicurata in porto,
Per sette volte almanco lo vuol morto.
19.
Le stelle omai si son ite a riporre,
Han prese l’ombre già tacita fuga,
E già dell’aria i campi azzurri scorre
Quel che i bucati in su i terrazzi asciuga;
Perciò fatta al ronzin la sella porre,
Vi monta sopra e poi lo zomba e fruga,
Perch’adesso ch’egli ha rotto il digiuno,
Camminerebbe piú in tre dì che in uno.

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20.
Perch’ei bada a studiar declinazioni22,
Più non sì può farlo levare a panca23;
Le polizze24 non può, porta i frasconi25,
E colle spalle s’è giocato un’anca26;
Pur, grazia del martello e degli sproni,
Tentenna tanto, zoppica ed arranca,
Ch’ei vien dove27 n’ha a ir, non dico a once
Ma a catinelle il sangue ed a bigonce.
21.
Quando il nimico ch’ivi sta a disagio
A tal pigrizia, grida ad alta voce:
Vieni asinaccia, moviti Sant’Agio28,
Ch’io son qui pronto a caricarti a noce29.
Ella risponde: a noce? adagio, Biagio!
Fate un po’ pian, barbier, che ’l ranno cuoce;
S’altro viso non hai, vàllo a procura,
Perchè codesto non mi fa paura.
22.
Se tu sapessi, come tu non sai,
Ch’armi son queste, e poi del beveraggio,
Faresti forse il bravo manco assai
O parleresti almen d’altro linguaggio.
Ma giacchè tu venisti al tuo’ ma’ guai,
A’ vermini a tua posta manda il saggio30;
Mentr’io che mai non volli portar basto31,
Coll’ammazzarti farotti lor pasto.

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23.
Orsù, dic’egli, all’armi t’apparecchia,
E vedrem se farai tante cotenne32.
A questo suono allor mona Pennecchia33
Dice fra sè: no, no, non tanto ammenne34,
Sarà meglio qui far da lepre vecchia.
E senza star a dir pur al cui vienne35,
Fa prova, già discesa dal destriero,
Se le gambe le dicon meglio il vero.
24.
Le guarda dietro Calagrillo e grida:
M’avessi detto almen salamelecche!
Volta faccia, vigliacca, ch’io t’uccida
E ch’io t’insegni farmi le cilecche36;
Così tu, che intimasti la disfida,
Mi lasci a prima giunta in sulle secche?
Ma fa’ pur quanto sai, ch’io ho teco il tarlo,
E ti vo’, se tu fossi in grembo a Carlo37.
25.
Se al cimento, dic’ella, del duello
A furia corsi, or fuggolo qual peste;
Però va ben, che chi non ha cervello
Abbia gambe; e così mena le seste38
E intana di ritorno nel castello,
Perocchè dopo il muro salvus este.
Gridi egli quanto vuol, la va in istampa39,
Chè per le grida40 il lupo se ne scampa.

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26.
Poich’egli vede in somma che costei
Altrimenti non torna, fa i suoi conti
Che sarà ben ch’ei vada a trovar lei,
Come faceva Macometto a’ monti41;
E perch’ell’ha due gambe ed egli sei,
Mentre però di sella ei non ismonti,
L’arriverà; nè prima il destrier punge
Ch’all’entrar di palazzo ei te la giunge.
27.
Martinazza che teme del suo male,
Vedendo che ’l nemico se le accosta,
Tre scaglion c’ha la porta a un tempo sale,
E gli dà nel mostaccio dell’imposta;
Dipoi dandola a gambe per le scale
Senza dar tempo al tempo o pigliar sosta,
Insacca nel salon là dove è il ballo,
Ed ei la segue, sceso da cavallo.
28.
Appunto era seguíto in sul festino,
Come interviene in tresche di tal sorte,
Che due di quei che fanno da zerbino
S’eran per donne disfidati a morte;
L’un forestiero, e smenticò pel vino
L’armi la sera, anch’ei cenando in corte;
Ha spada accanto il cortigian, ch’è l’altro,
Ma più per ornamento che per altro.

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29.
Tutta l'architettura e prospettiva
Questi a vestirsi mette di Vitruvio42;
Or mentre che più gonfio d'una piva
Tirar crede ogni dama in un vesuvio,
Spesso riguarda se 'l nimico arriva,
Perocch'egli ha paura del diluvio,
Che in un tempo estinguendo il fuoco al cuore
Alle spalle non susciti il bruciore.
30.
In quel ch'ei morde i guanti e fa quei giuochi
Che van de plano all'arte del Mirtillo43,
E ch'egli ha sempr'all'uscio gli occhi a' mochi44,
Dietro alla strega giunge Calagrillo,
Che lui non sol, ma spaventò quei pochi45;
Ond'egli, che più cuor non ha d'un grillo,
Fece, stimando quello il suo rivale,
Più de' piè che del ferro capitale.
31.
Tosto tornando l'amicizia in parte46,
Si viene all'armi, chè ciascuna armata
Ciò tien dell'altra un segno fatto ad arte
Per darle a tradimento la pietrata47.
Di qui si viene a mescolar le carte48,
Tal ch'in vederla49 tanto scompigliata,
Ritirandosi, a dir badan le dame:
Basta, basta, non più, dentro le lame.

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32.
Prima che tra costoro altro ci nasca
E che la rabbia affatto entri fra’ cani,
E’ mi convien saltar di palo in frasca,
E ripigliar la storia del Garani
Ch’è dietro a far che ’l Tura ci rinasca;
Acciò tornato poi come i cristiani,
Ad onta della strega ogni mattina
Ritorni a visitar la Regolina50.
33.
Paride giunto in mezzo a’ casolari,
Ove messer Morfeo a un tempo solo
Fa dir di sì51 a molti in Pian Giullari52,
Strepitando, fuggir lo fece a volo,
Sì ch’ognun desto vanne a’ suoi affari,
Ed ei che star non vuol quivi a piuolo53
Anzi dare al negozio spedizione,
Dimanda di quel lupo informazione.
34.
Un gran villano, un uom d’età matura,
De’ quarantotti54 lì di quel contado,
Che perchè ei non ha troppa sessitura55
Ed è presontuoso al quinto grado,
Innanzi se gli fece a dirittura,
E con certi suoi inchin da Fraccurrado56:
Benvenga, disse, vostra signoria,
E le buone calende il ciel vi dia.

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35.
In quanto al lupo, egli è un animale;
Ma che animal dich'io bue di panno57?
Un fistol di quei veri, un facimale
C'ha fatto per ingenito58 gran danno:
E già con i forconi e colle pale
I popoli assiliti59 tutto uguanno60
Quin'oltre gli enno61 stati tutti rieto,
Per levar questo morbo da tappeto62.
36.
Ma gli è un setanasso scatenato
Che non teme legami né percosse.
S'è carpito più volte ed ammagliato,
Ed ha reciso funi tanto grosse;
Le bastonate non gli fanno fiato,
Ch'e' non l'ha a briga63 tocche, ch'e' l'ha scosse;
D'ammazzarlo co' ferri non c'è via,
Ch'egli è come frucar'n una macía.
37.
Là entro in quella selva ei si rimpiatta,
Perch'ella è grande, dirupata e fitta,
Acciocchè nimo64 un tratto lo combatta
Quand'egli ha dato a' socci65 la sconfitta;
Chè tutti gli animali ch'ei raccatta
Ciuffando, gli strascina liviritta66:
E chi guatar potesse, io fo pensiero
Ch'e' v'abbia fatto d'ossa un cimitero.

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38.
Sta Paride a sentirlo molto attento;
Ma poi, vedendo quanto ei si prolunga,
Fra sè dice: costui v’ha dato drento,
Come quel che vuol farmela ben lunga:
Gli è me’ troncargli qui il ragionamento,
Acciò prima che il dì mi sopraggiunga.
Io possa lasciar l’opera compita,
Però gli dice: ovvia, fàlla finita.
39.
Poich’egli ha inteso dov’ei possa battere
A un dipresso a rinvergare il Tura,
Dell’esser folto il bosco, e d’altre tattere
Che gli narra costui, saper non cura.
La lanterna apre e il libro, onde al carattere
Possa, vedendo, dare una lettura;
Così leggendo, sente darsi norma
Di quanto debba fare in questa forma.
40.
Vicino al boschereccio scannatoio,
Mentre fuoco di stipa vi riluca,
Pallon grosso, bracciali e schizzatoio
Co’ giocatori a palleggiar conduca:
Al rimbombar del suo diletto cuoio
Tosto vedrà che ’l gocciolone67 sbuca,
Quei ricchi arnesi vago di mirare
Che già in Firenze lo facean gonfiare,

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41.
Paride in questo subito ubbidisce;
Accender fa le scope, e intorno al fuoco
Già questi e quel si spoglia68 ed allestisce
Col suo bracciale, e si comincia il giuoco;
Al suon del qual l'amico comparisce,
Ma è ritenuto perch'ei vede il fuoco:
Elemento, che vien dall'animale
Fuggito per instinto naturale.
42.
Il Garani, che stava alle velette,
Vedendo che 'l compar viene alla cesta69,
Che le scope si spengano commette
Ed in un tempo a' giocator dà festa70.
'N un batter d'occhio il giuoco si dismette,
La stipa si sparpaglia e si calpesta;
Talchè sicuro l'animal ridotto,
Va Paride pian piano e fa fagotto71.
43.
Ciò ch'è in giuoco in un fascio egli ravvia
E tra gambe la strada poi si caccia,
Il tutto strascicando per la via
Con una fune d'otto o dieci braccia.
Spinto dal genio a quella ghiottornia
Da lunge il Tura séguita la traccia,
Come fa il gatto dietro alle vivande
E il porco a' beveroni ed alle ghiande.

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44.
Vagheggialo, s’allunga, zappa e mugola;
Talor s’appressa e colle zampe il tocca;
Or mostra sbavigliando aperta l’ugola;
Or per leccarlo appoggiavi la bocca
Tutto lo fiuta, lo rovistia e frugola;
Così mentre il suo cuor gioia trabocca,
Ei, che non tocca per letizia terra
Entra nel borgo e in gabbia si riserra.
45.
Perchè Paride fa serrar le porte,
E poi comanda a un branco di famigli,
Che quivi fatti avea venir di corte,
Che di lor mano l’animal si pigli;
Ma i birri, che buscar temean la morte,
Non voglion accettar simil consigli;
E fan conto72, sebben’ei fa lor cuore,
Ch’ei passi tuttavia l’Imperadore.
46.
Poichè gran pezzo a’ porri ha predicato
E che fan conto tuttavia ch’ei canti
Perocchè da’ ribaldi gli vien dato
L’udïenza che dà il papa a’ furfanti,
Senza più star a buttar via il fiato,
Tolti di mano al caporale i guanti,
Bisogna, dice, con questa canaglia
Far come il podestà di Sinigaglia73.

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47.
E quei guanti che san di caporale
Legando ad una delle sue legacce74,
Uno per testa, addosso all'animale
Mette attraverso a uso di bisacce;
Al fragor75 di tal concia di caviale
La bestia fece subito due facce,
Ch'una di lupo, ed una d'uomo, sembra;
E di sua specie ognuna ha le sue membra.
48.
Si resta il lupo, e 'l Tura uomo diviene,
Ma non però che libero ne sia,
Ch'ambi sono appiccati per le rene
Formando un mostro qual'è la bugia.
Dice Turpino, e par ch'ei dica bene,
Ch'essendo questa sì crudel malía,
Non erano a disfarla mai bastanti
Gli odor birreschi semplici de' guanti.
49.
E che se tanto oprò tal masserizia,
Avrebbon molto più fatto le mani;
Perchè gl'incanti in man della Giustizia
Come i fichi alla nebbia, vengon vani.
E Paride che già n'ebbe notizia
Da quel suo libro, si dà quivi a' cani76;
Perchè più oltre il libro non ispiega
Ond'ei fa conto al fin di tôr la sega.

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50.
Perciò fatti venir due marangoni
Con tutto quell’ordingo che s’adopra
A segare i legnami ed i panconi,
A divider il mostro mette in opra.
Mentre la sega in mezzo a’ duoi gropponi
Scorre così, va il mondo sottosopra
Mediante il rumor de’ due pazienti,
Che l’un fa d’urli, e l’altro di lamenti.
51.
Pur senza ch’intaccato ell’abbia un osso
La sega insino all’ultimo discese
Lasciando il Tura libero, ma rosso
Dietro di sangue, com’un Genovese77,
La bestia gli volea tornare addosso;
Ma Paride che subito l’intese,
Presa la spada, la tagliò pel mezzo,
Pensando di mandarla un tratto al rezzo78.
52.
E morta te la dà per cosa certa;
Ma quel demonio insieme si rappicca,
E qual porco ferito a gola aperta
Per divorarlo sotto se gli ficca.
Ed egli ch’all’incontro stava all’erta
In sulla testa un sopramman gli appicca
Che in due parti divisela di netto,
Com’una testicciuola di capretto.

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53.
Ma ritornato a penna79 e a calamaio,
Pur questo stesso a Paride si volta;
Che per veder il fin di quel moscaio,
Se e’ fosse mai possibile una volta,
Mena le man che e’ pare un berrettaio80
Ed a chius’occhi pur suona a raccolta81
E dágli e picchia, risuona e martella;
Ma forbice!82 l’è sempre quella bella83.
54.
Talch’ei si scosta nove o dieci passi,
E piglia fiato, perch’ei provar vuole
Se la virtude a sorte gli giovassi
C’hanno l’erbe, le pietre e le parole;
Perciò gli avventa il libro e poi de’ sassi,
Con una man di malve e petacciuole84;
E parve giusto il medico indovino,
Già detto mastro Grillo85 contadino.
55.
Perchè ’l demonio, o si recasse a scorno
Che un uomo uso alle giostre e alle quintane,
Con tal chiappolerie gli vada intorno,
E lo tratti co’ sassi come un cane;
Ovver ch’e’ fosse l’apparir del giorno,
Che scaccia l’ombre, il bau e le befane;
Sparisce affatto e più non si rivede:
Ma Paride per questo non gli crede.

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56.
Resta in parata, molto gira il guardo,
Prima ch’un piè nè anche egli abbia mosso,
Mercè ch’ei sa che ’l diavolo è bugiardo
E quanto ci sia sottile e fili grosso86;
Perciò si mette un pezzo a Bellosguardo87,
Credendo ognor che gli saltasse addosso;
Ma poich’ei vedde omai d’esser sicuro,
Andò all’oste e cavollo88 di pan duro.

Note

  1. Scuole. Par che dica scuole di scherma. Ma scuola è anche il nome di un certo pane condito con anaci, così detto perchè ha la forma di una scuola o spuola da tessere.
  2. Fugge la questione, facendo piuttosto vedere quanto ecc., e che ecc. Qui si sottintende A due gambe.
  3. Giocar ecc. Fuggire. Vedi c. VII, 76.
  4. In questa ottava si descrive assai piacevolmente il cessar della notte. Sembra però che si parli di una donna fallita e omicida che fugga dalle spie e dai toccatori che portavan calze gialle. Vedi c. II, 60.
  5. Per ognuno. Da ognuno.
  6. St. 6 Suona. Pute. Vedi c. VI, 49.
  7. Un canto. Fu giusto che del suo suono avesse un canto in pagamento. Pigliare un canto in pagamento significa Andarsene. Dare un canto in pagamento vale Scantonare, Fuggire il creditore.
  8. St. 7 Nocentina. Innocentina.
  9. St. 8 L'alba de' tafani. Di là da mezzogiorno.
  10. St. 9 E spaccia. ecc. E fa il bravo. Qui, piuttosto che al cavallo di Orlando, pare che alluda ad un Baiardo, valoroso militare, di cui parla anche il Varchi.
  11. Farne monte. Mandare a monte il duello con Calagrillo.
  12. St. 10 Petto a botta. Armatura del petto da parar le botte.
  13. St. 11 Per altro. Con altro pasto che gramigna, la bestia non adoprerebbe mai i denti, e non potrebbe che digrignarli.
  14. La marca. ecc. Aveva già una marca sulla pelle che indicava esser quello un cavallo del Regno di Napoli: ma i guidaleschi che ha, indicano che è solamente buono da esser mandato allo scorticatoio. Vedi c. I, 24.
  15. Maglie e reti. Malattie che vengono negli occhi ai cavalli.
  16. Bolsena. Bolso.
  17. St. 12. E’ Si Fa La Cerca. Vanno cercando.
  18. Trescherelle. Bagattelle.
  19. St. 15. Scesa d’umori. Infreddatura.
  20. St. 17. Micca. Minestra, broda.
  21. Presa è sostantivo.
  22. St. 20. Declinazioni. Declinare, decadere, scadere, cadere.
  23. Levare a panca. Farlo star ritto; dai bambini, che quando imparano a camminare, si vanno appoggiando alle panche.
  24. Le polizze ecc. Non ha tanta forza da portare una polizza.
  25. Porta i frasconi. Si dice così degli uccelli infermi, che abbassando le ali, somigliano giumenti carichi di fastelli di frasconi.
  26. Giocarsi una cosa, vale Perderla o renderla inservibile. Se dunque il povero cavallo s’era giocata un’anca e le due spalle, non gli era rimasto di buono altro che una gamba.
  27. Vien dove. Arriva al luogo dove tanto sangue si deve spargere.
  28. St. 21. Sant’agio. In altri paesi d’Italia si dice Padre Comodo.
  29. A noce. Forse perchè i sacchi di noci, nel caricarli, fanno grande strepito.
  30. St. 22. Manda il saggio, perchè fra poco manderai loro tutto il tuo corpo.
  31. Portar basto. Essere altrui sottoposto e soffrire in pace ogni sorta d’ingiurie.
  32. St. 23. Cotenne. Bravure. (Minucci). Forse cose o covelle in lingua ionadattica. (Biscioni.)
  33. Mona Pennecchia. Detto derisivo alle donne.
  34. Ammenne. Non tanta furia, fretta. Forse viene da quella tempesta di Amen che per lo più regalano ai devoti i cantanti nelle messe in musica.
  35. Vienne, chè io me ne vado. Senza metter tempo in mezzo.
  36. St. 24. Le cilecche. Vedi c. VII, 25.
  37. Carlo Magno. In grembo a Giove.
  38. St. 25. Le seste. Le gambe.
  39. La va in istampa, Significa È un dettato divulgatissimo.
  40. Per le grida. Finchè non trattasi d’altro che di grida.
  41. St. 26. A’ monti, a’ quali aveva Maometto ordinato che per miracolo venissero a lui.
  42. St. 29. Vitruvio. Scrittore latino di architettura.
  43. St. 30. Mirtillo è l’innamorato nel Pastor fido del Guarini.
  44. Mochi. Una specie di biade di cui sono avidi i colombi: e perciò si deve aver l’occhio ad essi quando sono seminati, perchè i colombi non vadano a danneggiarli.
  45. Quei pochi. È detto per antifrasi.
  46. St. 31. parte. Fazione, inimicizia.
  47. La pietrata. Colpo mortale.
  48. Mescolar le carte. Venire alla zuffa. Vedi c. IX, 33, e VIII, 61.
  49. Vederla, Veder la faccenda.
  50. St. 32. La Regolina, detta così da regolina specie di focaccia, era una bottega che stava aperta in tempo di quaresima, e vi si vendevano frittelle, tortelli, e cose simili. Questa bottega è sempre nel Lungarno presso al ponte Vecchio; ma non so che la chiamino Regolina.
  51. St. 33. Dir di sì. Descrive la mossa di chi si addormenta senza appoggiare il capo.
  52. Pian Giullari, o di Giullari, è un borghetto vicino a Firenze. Per Pian Giullari anticamente s’intendeva il letto.
  53. Stare a piuolo. Stare in disagio aspettando.
  54. St. 34. Il quarantotto in Firenze era la dignità senatoria.
  55. Sessitura. Considerazione, riguardo, giudizio. Propriamente è una piegatura che si fa da piè alle vesti per allungarle al bisogno.
  56. Fraccurrado. Fantoccio, burattino.
  57. St. 345. Bue, di cenci ch’io mi sono.
  58. Ingenito, Istinto.
  59. Assilliti. Punti dall’assillo, inveleniti.
  60. Uguanno. Unguanno, quest’anno. Vedi c.VI, 92.
  61. Enno. Sono. I contadini di Toscana l’usano sempre.
  62. Levar da tappeto. Levare dal supremo magistrato; levare di dignità, da qual si voglia luogo; levar dal mondo.
  63. St. 36. A briga, A pena, appena.
  64. St. 37. Nimo. Niuno. Vedi c. VII, 89.
  65. Soccio. Bestiame che si dà al contadino per fare a mezzo.
  66. Liviritta. Ivi. Costui parla contadinescamente.
  67. St. 40. Gocciolone. Baccellone, bacchillone, pinchellone, balordo.
  68. St. 41. Si spoglia. Si mette in maniche di camicia.
  69. St. 42. Alla cesta. Come il porco va alla cesta ov’è la ghianda.
  70. Dà Festa. Li licenzia; dal maestro che dà festa, vacanza agli scolari.
  71. Fa fagotto di ciò ch’è in giuoco, cioè palloni, bracciali ecc.
  72. St. 45. Fan conto ecc. Non badano, non curano. Dice il Minucci che questo modo può avere avuto origine dalla trascuranza con cui accoglievano i Fiorentini l’imperadore greco Giovanni Paleologo dopo che la vista di lui si fu resa familiare, e forse, dopo che, mancatili i danari, non compariva più così pomposo.
  73. St. 46. Il podestà di Sinigaglia comandava, e faceva da sè.
  74. St. 47. Legacce delle calze.
  75. Fragor. Alla fragranza di così fetente concia.
  76. St. 49. Si dà a’ cani. S’arrabbia.
  77. St. 51. Come un Genovese. V’era una compagnia di Genovesi in Firenze che, la sera del Giovedì Santo, s’andava processionalmente disciplinando a sangue.
  78. Al rezzo. All’ombra eterna.
  79. St. 53. A penna ecc. Per l’appunto.
  80. Un berrettaio o cappellaio, che feltri cappelli, dimena assai le mani, per esser l’acqua bollente.
  81. A raccolta. Quando la campana suona a raccolta, suona a lungo.
  82. Forbice. Detto che esprime ostinazione: e dicono che venga da una tal moglie che, offesa di non aver ottenuto dal marito che le comprasse un paio di forbici, ad ogni domanda gli rispondeva: forbice; nè a farla chetare valsero minacce e percosse: finchè impazientito l’uomo la gettò in un pozzo. Ed ella gridò forbice finchè, ebbe fiato; e questo mancatole, colle dita accennava forbice.
  83. Quella bella. Sempre la medesima.
  84. St. 54. Petacciuola. Piantaggine.
  85. Mastro Grillo è il soggetto di una favola in cui si narrano le sue prodezze nell’arte medica e in quella dell’indovinare.
  86. St. 56. Filar grosso. Fingere d’esser goffo e balordo.
  87. Bellosguardo. Poggio vicinissimo a Firenze, ove sono molte ville da cui si guarda intorno molto paese.
  88. Cavollo ecc. Gli finì tutto il pane che aveva in casa.