Malmantile racquistato/Nono cantare

Nono cantare

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Ottavo cantare Decimo cantare

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NONO CANTARE.

ARGOMENTO.

Giunti i rinfreschi e invigorito il campo
Corre all'assalto, e segue aspra baruffa.
Malmantil quasi è preso, ond'al suo scampo
Chiama all'accordo, e termina la zuffa;
Chi tratta più di guerra or trova inciampo,
Perchè nell'allegrezze ognun si tuffa:
Fassi in corte il convito, e poi, dal vino
Riscaldati quei prìncipi, il festino.

1.
La guerra che in latino è detta bello,
Par brutta a me in volgar per sei befane;
Non ch'altro, s'e' comincia quel bordello1
Di quell'artiglierie che son mal sane,
E ch'e' non v'è da mettere in castello2,
E stenti3 poi per altro com'un cane,
Senz'un quattrino e pien di vitupero4;
Ditelo voi se questo è un bel mestiero.

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2.
E pur la gente corre, e vi s’accampa
Ognun, per farsi un uomo e acquistar gradi,
Quasi degli uomin colà sia la stampa,
Mentr’il cavarne l’ossa avviene a radi.
Là gli uomin si disfanno, e chi ne scampa
Ha tirato diciotto con tre dadi5;
E pria ch’ei giunga a esser caporale,
Mangerà certo più d’un staio di sale.
3.
Sícchè e’ mi par ben tondo ed un corrivo6
Chi può star bene in casa allegro e sano
E lascia il proprio7 per l’appellativo,
Cercando miglior pan che quel di grano.
Ce n’è un’altra ancor ch’io non arrivo8,
Ch’è quell’assalir un coll’armi in mano
Che non sol non m’ha fatto villania,
Ma che mai viddi in viso in vita mia.
4.
Orsù, cerchi chi vuol battaglia e risse
E si chiarisca9 e provi un po’ le chiare;
Che s’io credessi farmi un altro Ulisse,
L’armi perciò non m’hanno a inzampognare10.
Ognuno ha il suo capriccio, come disse
Quel lanzo che volea farsi impiccare;
Però mi quieto, ma perch’ora bramo
Mostrarvi il vero, attenti e cominciamo.

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5.
Sorge l’aurora, e come diligente
Spazza le stelle in cielo e fa pulito;
Poi fassi alla finestra d’orïente,
E vòta l’orinal del suo marito;
Ma perchè il carretton ricco e lucente
Già muove il Sole ed ella l’ha sentito,
Acciocch’ei non la vegga sconcia e sciatta,
Manda giù l’impannata e si rimpiatta.
6.
Quando il vitto comparve ed il rinfresco,
Sicchè chi avea col masticar divieto11
Appoggiò lietamente il corpo al desco
E, come si suol dir, riebbe il peto.
E il general, che tutta notte al fresco
Andò coll’astrolabio innanzi e indreto,
Battendo la dïana12 in sul lunario
Avea fatto di stelle un calendario13.
7.
Lasciato s’era anch’egli rivedere
Tutto quanto aggrezzato14 al pappalecco15,
Dove per aver meglio il suo dovere
Fece in principio un bel murare a secco.
Quand’ei fu pieno, alfin chiese da bere,
E poich’egli ebbe in molle posto il becco,
Figliuoli, disse, omai venuta è l’ora
Ch’e’ si tratta d’averla16 a cavar fuora.

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8.
Se a mensa ognun di voi tanto s’affolta,
Mangia per quattro e beve poi per sette,
Che par proprio ch’e’sia giunto a ricolta,
Anzi ch’egli abbia a far le sue vendette;
Tal ch’io pensai vedervi anco una volta
La tovaglia ingoiar e le salviette:
Ed ebbi un tratto anche di me paura;
Per una spalla dávola17 sicura.
9.
Redeamus ad rem: se, come ho detto,
Qua foste al bere infermi18 e al mangìar sani,
E co’ coltelli in man standovi a petto
Riusciste sì bravi sparapani,
In battaglia vedervi ancora aspetto
Colla spada così menar le mani,
Onde il nimico vinto ed abbattuto
Ne sia, come stanotte ho preveduto.
10.
Chè quasi fui per dar nelle girelle;
Perchè, dopochè i punti della Luna
Ebbi descritti, e che tutte le stelle
Avevo rassegnate ad una ad una,
Trovo smarrite aver le Gallinelle19;
Ma dopo è ch’io mi davo20 alla fortuna,
Che fra le stelle fisse e fra l’erranti
Non vedevo nè anche i Mercatanti21.

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11.
Ma dissi poi da me che poco importa
Se quel branco di polli non si trova;
Anzi che questo a noi risparmio apporta,
Perocchè mangian molto e non fann’uova.
E se nè anche alcuna stella ho scorta
De’ Mercatanti, qui creder mi giova
Ch’e’ sieno in fiera, ovvero al lor viaggio
Per la Via Lattea a mercantar formaggio.
12.
Ma perchè in armi boti22 son costoro,
Che, fuor che a’ tribunali, non fan lite
Nè altro scudo impugnan che quel d’oro,
Nè dan, se non di penna, le ferite,
Ogn’altro poi nel resto dee dar loro
Come a’ lor libri piantan le partite;
Senza lor dunque andiam, chè avrem vittoria:
Essi cerchin la roba, e noi la gloria.
13.
Non prima stabilì l’andare in guerra,
Che vedesti, più presto ch’io nol dico,
Un leva leva a un tratto, un serra serra,
Ed ir correndo contr’all’inimico:
Com’un branco d’uccelli il quale in terra
Sia calato a beccar grano o panico,
Un che si muova, basta; chè quel solo
Fa subito pigliare a tutti il volo.

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14.
I coraggiosi, al primo che si mosse;
Gli altri, già sendo meglio su’ picciuoli23,
Non poterono stare più alle mosse,
Ma corsero ancor lor come terzuoli24.
Giunti di Malmantile in sulle fosse,
Drizzate al muro assai scale a piuoli,
Il salirvi tenevano una baia,
Com’andar pe’ piccioni in colombaia.
15.
Ma quei di sopra fecero parerli25
Ben presto un altro suon; perchè isso fatto
Cominciaro a tirar non solo i merli
Ch’avrebbon le testuggini disfatto,
Ma, quasi fosse quivi un Bastian Serli26
O quanti architetture hanno mai fatto
A stampar capitelli e frontespizi,
Per aria diluviavan gli edifizi.
16.
Gli stipiti, le soglie e gli architravi
A questo effetto essendo già smurati,
Per via di curri, d’argani e di travi
Gli avevan sulle mura strascinati;
E benchè molto disadatti e gravi,
In tal maniera posti e bilicati,
Che ad ogni po’ di spinta botto botto
Faceano un venga27 addosso a chi era sotto.

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17.
Le donne anch’esse corron co’ figliuoli,
E ciò che trovan gettan dalle mura;
Chi colla conca o vaso da viuoli
Piglia a qualcun del capo la misura:
Profuma il piscio i panni e i ferraiuoli,
Nè guardan s’e’ v’è pena il far28 bruttura
Chi tira già un lastrone alle cervella,
Che s’e’ v’è grilli serva per murella29.
18.
Chi, perchè giù non piglin l’imbeccata30,
Cuopre i capi con tegoli e mattoni:
Chi versa giù bollente la rannata
Che pela i visi e porta via i bordoni31:
Nell’olio un’altra intigne la granata
E fa l’asperges sopra i morïoni:
Altre buttan le casse, acciò i soldati
Partir si debban poichè son cassati32.
19.
Un’altra con un gatto vuol la berta:
Legato il cala; ond’ei fra quei d’Ugnano
Sguaina l’ugna e colla bocca aperta
Grida inasprito in suo parlar soriano:
Ed il primo ch’ei trova, egli diserta33,
Chè dov’ei chiappa, vuol levarne il brano:
Così l’alz’ella e abbassa colla corda,
Acciocch’or questo or quello ei graffi e morda.

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20.
Miagola e soffia il gatto e s’arronciglia,
Ed essa gode ed utile ne strappa;
Perchè quel che tra l’ugna un tratto piglia
Egli è miracol poi se più gli scappa;
Ond’ella spesso, che lo tiene in briglia,
Lo tira su con qualche bella cappa,
Con qualche ciarpa o qualche pennacchiera.
E, così gli riesce di far fiera.
21.
Quand’una volta lascialo calare
Dinanzi al busto di Grazian Molletto
Che fu dì posta per ispiritare
Quel pelliccion vedendo intorno al petto;
La bestia intanto salta, e dal collare
Tutto prima gli straccia un bel giglietto34;
Di poi si lancia e al capo se gli serra,
Sicchè il cappello gli mandò per terra.
22.
Non sa Grazian, che diavol si sia quello;
Pur tanto fa, ch’al fine ei se ne sbriga,
Ed alza il viso per farne un macello.
Ma vedendo il rigiro e ch’ei s’intriga
Con dame, vuol cavarsi di cappello;
Ma perch’il micio gli ha tolto la briga,
La dama accivettata35, anzi civetta,
Lo burla che gli è corsa36 la berretta,

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23.
Ed ei che da colei punger si sente,
Onde al naso lo stronzolo gli sale,
Perde il rispetto e quivi si risente
Con dirgli mona Merda e ogni male.
Va in questo all’aria un gran romor di gente
Che a terra scende a masse dalle scale,
Fiaccate e rotte anch’esse dagli spruzzoli
Di pietre che ancor grattano i cocuzzoli37.
24.
Chi boccon, chi per banda e chi supino
Giù se ne viene e fa certe cascate,
Che manco le farebbe un Arlecchino
Quand’in commedia fa le sue scalate.
Sicchè, se innanzi fecero il fantino38,
Le brache in fatti39 gli eran poi cascate;
E infranti e pesti andando giù nel fosso,
Hann’oltre a questo nuove scale addosso.
25.
Quantunque il campo annaffi tal rugiada
Come le zucche, inarpican le scale;
Onde più d’uno in giù verso la strada
Fa pur di nuovo un bel salto mortale:
Ma benchè a monti ne trabocchi e cada,
Sardonello sta forte e in alto sale;
E tra i nimici affine, a lor mal grado,
Mette su il piede e agli altri rompe il guado.

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26.
Chi vidde in un pollaio ove si trova
Un numero di polli senza fine
Tra lor cascar qualche pollastra nuova,
Che tost’addoss’ell’ha galli e galline
Ciascun per far di lei l’ultima prova;
E se e’ non fosse la padrona alfine,
Che la difende e da beccar le porta,
Stroppiata rimarrebbe e forse morta:
27.
Non altrimenti il numeroso stuolo,
Vedendo Sardonel c’ha fatto il passo.
Concorre tutto quanto contro a un solo
Per mandarlo in minuzzoli a Patrasso40;
E gli facean tirar presto l’aiuolo41,
O col ferirlo o col tirarlo a basso;
Ma Eravan, che debito42 lo scorge,
Aiuto a un tempo ed animo gli porge.
28.
Chiunque è ’n castello allor pien di paura
Corre per far ch’avanti ei più non vada;
E mentre il vuol rispinger dalle mura,
Ch’altri più la s’arrampica non bada.
Pur d’ovviare anco di qua proccura,
Ma in sette luoghi è già fatta la strada;
E d’ogn’intorno tanto il popol cresce,
Che ogni riparo invalido riesce.

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29.
Avviene a lor nè più nè meno un iota
Com’a’ fanciulli, quando per la via
Fan la tura al rigagnol colla mota,
E l’acqua ne comincia a portar via;
Che mentre assodan quivi ov’ella è vota,
Essa distende altrove la corsia;
E se riparan là, più qua fracassa,
Talch’ella rompe e a lor dispetto passa.
30.
Già tutti son di sopr’alla muraglia
Che la circonda un lungo terrapieno;
Già si fiorisce in sì crudel battaglia
Di sanguinacci la gran madre il seno;
Celidora a due man ferisce e taglia,
Che nè anche un villan che seghi il fieno,
Tanti fil d’erba col falcion ricide,
Quant’uomini costei squarta ed uccide.
31.
Il principe d’Ugnano ed Amostante
Da toccatori43 fan col brandistocco44,
Perocchè della morte almen cessante45,
Se non prigion, si fa chi è da lor tocco.
All’incontro ritrovasi Sperante
Che fa, menando la sua pala, il fiocco46:
E se già le sustanze ha dissipate,
Or manda male gli uomini a palate.

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32.
Maso di Coccio a questo e quel comanda,
Ed all’un danne e a un altro ne promette;
La compagnia47 del Furba innanzi manda;
Che resti a’ fianchi a Batiston commette,
Con Pippo, il quale sta dall’altra banda.
Ma egli in retroguardia poi si mette;
E mentr’ognun s’avanza a gloria intento,
Ei siede a gambe larghe e si fa vento.
33.
Amostante all’incontro un nuovo Marte
Sempra fra tutti avanti alla testata;
Lo segue Paol Corbi da una parte,
E da quell’altra Egeno alla fiancata.
Vengonsi intanto a mescolar le carte48
E vien spade e baston per ogni armata;
E chi dà in picche e a giuocar non è lesto,
Vi perde la figura e fa del resto49.
34.
Vedendo i terrazzan che stanno in fiori50,
Che il nimico dà spade e giuoca ardito,
Per non far51 monte in su’ matton, da’ cuori
Ritiransi52 e non tengon più l’invito;
Ma speran ben, mostrando a’ giuocatori
Denari e coppe, indurgli a far partito;
Perciò nel campo un saggio ambasciadore
Spediscon, che parlò in questo tenore:

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35.
Spida53, signori, l’armi ognun sospenda.
A che far questa guerra aspra e mortale?
Fermi, per grazia, più non si contenda,
Perch’altrimenti vi farete male;
Fate che la cagione almen s’intenda,
Chè a chetichelli54 a questo mo’ non vale;
E chi pretende, venga colle buone,
Chè data gli sarà soddisfazione.
36.
Con quei che dona per amor, non s’usa
In tal modo la forza e la rapina;
Chiedete; imperciocchè giammai ricusa
Il giusto ed il dover la mia regina.
Non entraron mai mosche in bocca chiusa,
E con chi tace, qua non s’indovina.
Puoss’egli accomodarla con danari?
Dunque parlate, e vengasi a’ ripari.
37.
A questo il general c’ha un po’ d’ingegno,
Ritiene il colpo e indietro si discosta.
Che si fermino i suoi dipoi fa segno,
Passa parola e manda gente a posta:
Né badò molto a fargli stare a segno,
Chè la materia si trovò disposta.
Ciascun d’ambe le parti stette saldo,
Ch’ognun cerca fuggire il ranno caldo.

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38.
Chi della pelle ha punto punto cura,
Cioè che non vorrebbe essere ucciso,
Sempre le sciarre55 di fuggir proccura,
E se mai v’entra, ha caro esser diviso.
E bench’ei mostri non aver paura,
Se in quel cimento lo guardate in viso.
Lisciato le vedrete d’un belletto56
Composto di giuncate e di brodetto.
39.
Sien due gran bravi, sien due masnadieri,
Se mai vengono a quel tirarla fuore,
Credete che e’ lo fan malvolentieri,
Perocch’a tutti viene il batticuore;
E ch’e’ la passerebbon di leggieri
Se lo potesser far con loro onore,
Attenendosi a quella opinïone,
Di veder quanto viver sa un poltrone.
40.
E questi che badavansi a zombare
In Malmantil, s’accorsero ben presto
Che quel non è mestier da abborracciare;
Però si contentaron dell’onesto.
Già i tagli alcuno impiastra colle chiare,
Altri rimette braccia e gambe in sesto.
Altri da capo a piedi si son unti
E chi si fa sul ceffo dar de’ punti.

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41.
Baldone in questo, per la più sicura,
Due gran dottori a’ trattamenti invia:
L’un Fiesolan Branducci, che proccura
D’aver, s’ei non può in Pisa o in Pavia,
Almeno in refettorio una lettura;
L’altro è Mein Forcon da Scarperia,
Che se l’uom vive per mangiar, vi giuro
Ch’ei vuol campar mill’anni del sicuro.
42.
Cassandro casa Cheleri frattanto,
Del duca allora il primo segretario,
Per far loro un disteso di quel tanto
Dovevan dire al popolo avversario,
Cacciatosi Giovan Boccaccio accanto
E scorso tutto il suo vocabolario,
Scrisse in maniera e fece un tale spoglio,
Ch’ei messe un mar di crusca in mezzo foglio.
43.
Et essi andaron colla lor patente
Di poter dire e fare e alto e basso:
Lor camerata fu, tra l’altra gente,
Che gli seguía, curioso per suo spasso,
Baldino Filippucci lor parente,
Uom che piuttosto canta ben di basso57;
Crescer voleva come gli altri appunto,
«Ma si pentì quand’a mezzo fu giunto.»

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44.
Son alti gli altri due fuor di misura
Ond’ei nel mezzo camminando ad essi,
Resta aduggiato58 sì, che di statura
Nè men può crescer più, quand’ei volessi.
Giunti alla fin colà dentro alle mura,
E a Bertinella che gli aspetta ammessi,
Un bel riverenzon fecer, che prese
Di territorio un miglio di paese.
45.
Ed ella pure a lor quivi s’inchina,
Dando a ciascuno i suoi debiti titoli;
E con essi fermò l’altra mattina
Il discorrere, e far patti e capitoli,
Purchè il nome conservi di regina,
Quando per l’avvenire altra s’intitoli;
Che questo non le nieghin chiede almanco,
Nel resto poi dà loro il foglio bianco.
46.
E perchè l’ore già finian del giorno,
Si consultò che fosse fatta sera;
Perciò tutti alle stanze fer ritorno
Com’un sacco di gatti59 fuor di schiera.
I cittadini stavan d’ogn’intorno
Nelle strade, su i canti e alla frontiera,
Acciocch’ognun, secondo il suo potere,
A’ forestieri in casa dia quartiere.

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47.
Giunta a palazzo Bertinella intanto,
In Amostante e in Celidora incappa;
E vuol che, gli odii omai posti da canto,
Stien seco; ma ciascun ricusa e scappa.
Pur finalmente, ne li prega tanto,
Ch’e’ non si fanno poi stracciar la cappa.
Va innanzi il general dentro al palagio:
Chi dà spesa60, dic’ei, non dia disagio.
48.
Del principe d’Ugnan poi si domanda:
E perchè la labarda61 anch’egli appoggi,
Staffieri attorno a ricercar si manda
Chi l’abbia raccettato e chi l’alloggi.
Ed ei che in una camera locanda
S’era acculato, volle mille stoggi62
Pria ch’ei n’uscisse: pur col suo codazzo
N’andò per alloggiar anch’ei in palazzo.
49.
A cena, perchè il giorno in questo loco
Ebber altra faccenda le brigate
Che stare a cucinare intorno al foco,
Si fece una gran furia di frittate,
Che si fan presto sì, ma duran poco,
Chè appena fatte ell’eran già ingoiate;
Perchè la gente a tavola era molta,
E ne mangiavan due e tre per volta.

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50.
In cambio di guarir dell’appetito,
Faceano il collo come una giraffa;
Se vien frittate, ognun stava accivito63,
Chè per aria chi può se la scaraffa.
Si ridussero in breve a tal partito,
Ch’ogni volta faceano a ruffa raffa;
In ultimo seguendo Bertinella
L’andavano a cavar della padella.
51.
Stanchi già di mangiar non sazi ancora.
Tal musica finì po’ poi in quel fondo;
Ma perchè dopo cena il vin lavora,
Facean pazzïe le maggior del mondo.
Fra l’altre Bertinella e Celidora
Cominciaron per burla un ballo tondo;
E appoco appoco entrovvi altra brigata
Talchè si fece poi veglia formata64.
52.
Accender fanno ancor, com’è l’usanza,
Molte candele intorno alla muraglia
Lo splendor delle quali in quella stanza
È tale e tanto, che la gente abbaglia;
Sicchè distinto si vedeva in danza
Chi meglio capriole intreccia e taglia.
Nannaccio intanto sopr’alla spinetta65
S’era messo a zappar la spagnoletta66.

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53.
Un gobbo suo compagno, un tal delfino67
Ch’alle borse, piuttosto che nel mare
Tempesta induce, prese un violino
Che sonando parea pien di zanzare.
Intanto un ben dipinto mestolino
Si porge in mano a quei c’ha da invitare68;
E l’Ugnanese, al quale il ballo tocca,
Sciorina69 a Bertinella in sulle nocca.
54.
È grave il colpo e giugne in modo tale,
Che quanto piglia tanta pelle sbuccia;
La donna, benchè sentasi far male,
Senz’alterarsi in burla se la succia.
Non vuol parer, ma in sè l’ha poi per male;
E dice l’orazion70 della bertuccia:
Sorride, ma nel fin par che riesca
In un rider piuttosto alla tedesca71.
55.
Al duca veramente pare strano
Ch’ell’abbia a far sì grande storcimento,
Perchè gli par d’averle dato piano,
Anzi d’averla tocca a malo stento;
Ma quando sanguinar vedde la mano,
Io mi disdico, disse, e me ne pento;
Finalmente io ho il diavol nelle braccia,
E sono e sarò sempre una bestiaccia.

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56.
Per curargliene pensa e ghiribizza,
Ma non sa come; al fin gli tocca il ticchio
Di tòr del sale e ve lo spolverizza,
Come il villano quando fa72 il radicchio;
Ed ella, chè la man perciò le frizza,
E di quel tiro73 stiaccia74 come un picchio,
Ritiratasi in camera in sul letto
Manda giù Trivigante75 e Macometto.
57.
Il principe, a quel grido a quel guaire,
Quale a soqquadro il vicinato mette,
Si sente tutto quanto imbietolire,
Ch’amore in lui vuol far le sue vendette.
Comincia impietosito a maledire
Il mestolino e quei che glie lo dette;
E per mostrare or quant’ei lo disprezzi,
Lo getta in terra in cento mila pezzi.
58.
E pensa poi la bestia scimunita,
Che se un cane, scarpione o ragnatelo
Ci morde in qualche parte della vita,
E che se il corpo loro ovvero il pelo
S’applica presto sopr’alla ferita,
Va via il dolore ed è la man del cielo;
Quel mestolino ancora, essendo messo
Dov’egli ha rotto, debba far lo stesso,

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59.
Ravvia quei legni, ond’egli forse spera
Cessare il duolo, i pianti e le querele;
E perchè per le fasce ivi non era
Comodità di panni nè di tele,
La camicia dappiè fregiata e nera
Da’ venti che portavan via le méle
Squaderna fuora, e tagliane un buon brano;
Così alla donna medica la mano.
60.
Gridò la donna allor come una bestia,
E dopo il dirgli76 manco che messere,
Per levarsi d’attorno tal molestia
Volle co’ calci fargli il suo dovere;
Ma trattenuta poi dalla modestia
Di non mostrar intanto Belvedere,
Getta nel muso al medico da succiole77
L’unguento che le fa veder le lucciole.
61.
Non dimostra la faccia così mesta
Quel ragazzo scolar, quel cavezzuola,
Allorchè molti giorni è stato festa,
E che finita poi quella vignuola78
Il maladetto tempo ecco s’appresta
Ch’e’ s’ha di nuovo a tornar alla scuola;
Nè si guasta belando sì la bocca,
Quand’il maestro col baston lo chiocca;

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62.
Quanto cambiato in viso e mal contento
Adesso pare il povero Baldone,
Che ha una stizza ch’ei si rode drento,
Per non aver cervel nè discrizione;
Chè bench’altrui la morte dia spavento,
S’e’ non fosse che e’ c’è condennagione
A chi s’ammazza pena della vita,
Con una fune avrebbela finita.
63.
S’impiccherebbe; ma dall’altro canto
Ei va poi renitente, e circospetto,
Stimando che l’indugio tanto o quanto
Sia sempre ben per ogni buon rispetto.
Fatto al morir un soprattieni intanto,
Vuol ch’ella stessa che è per lui nel letto
Con quella man ch’a lei di sangue ha tinta,
Gli vada in sulle forche a dar la spinta.
64.
Poichè ’l condotto delle pappardelle
S’ha da serrar, dic’egli, ella sia il boia;
Perchè s’ìo levo alle sue man la pelle,
A lei s’aspetta il farmi trar le quoia;
Ch’è ben dover, se membra così belle
Con legno offendo, che in tre legni79 io muoia,
E mentr’io quivi i calci all’aria avvento,
Mostri ch’io sono un ballerino a vento.

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65.
In tal maniera per uscir d’affanni
Entro sè stesso di morir divisa;
Ed ella più colà facendo il nanni80,
Il tutto osserva e scoppia dalle risa;
Nè può per l’allegrezza star ne’ panni,
Perchè, mentre ch’e’ l’ami, ella s’avvisa
Ch’omai la guerra e ogni sparere e lite
Se n’abbia a ire in fumo d’acquavite.
66.
Mentre Baldon qual semplicetto uccello
Così d’intorno alla civetta armeggia81,
A tutti quivi serve per zimbello,
Senza che mai vi badi o se n’avveggia
Ognun lo burla e dice: Vèllo, vèllo!
Ciascun dice la sua, ciascun motteggia;
Beato chi più bella te la stianta82;
E poi levansi crosci dell’ottanta
67.
Ma ridan pure e faccian cicalecci,
Perch’ei vuol fare orecchi di mercante;
Lo burlino le genti, Amor lo frecci
Ch’ad ogni mo’ sarà fido e costante.
Come talor s’abbrucia i costerecci
Il gatto al fuoco e stavvi non ostante,
Baldon già sente il fuoco e non lo fugge,
Ma com’un pan di burro ivi si strugge.

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68.
E così va, perchè a principio Amore
Par bella cosa, e sembra giusto giusto
Una pera cotogna, il cui colore,
Odor, sapor diletta e piace al gusto;
Ma nel gettarla, allor dà gran dolore,
Perchè ristringe e rende il ventre adusto:
E così Amore, al primo è un certo imbroglio
Ch’alletta e piace, ma nel fin ti voglio.
69.
Ed egli, ch’è impaniato e a qualche segno
Crede il suo amor da lei esser gradito,
Altero vanne, e stima d’esser degno
D’invidia più, che d’esser mostro a dito.
Ma lasciamlo per or, ch’io fo disegno
Che questo canto resti qui finito;
Perchè disse un dottor da Palestrina:
Brevis oratio penetra in cantina83.


Note

  1. St. 1 Bordello. Strepito.
  2. Mettere in castello. Mettere in fortezza i viveri.
  3. Stenti. Tu stenti.
  4. Vitupero. Qui, Ogni sorta di malanni e sudicerie.
  5. St. 2. Diciotto ecc. È stato fortunatissimo. Con tre dadi il massimo dei punti è 18.
  6. St. 3. Corrivo. Semplice, credulo.
  7. Il proprio ecc: Il certo per l’incerto. Modo preso dal linguaggio grammaticale.
  8. Non arrivo a intendere.
  9. St. 4. Si chiarisca ecc. Vedi c. I, 1 e 60.
  10. Inzampognare. Infinocchiare.
  11. St. 6. Avea divieto. Non poteva, per non v’esser di che.
  12. Batter la diana, la borra, i denti, pel freddo.
  13. Calendario. Qui, Registro.
  14. St. 7. Aggrezzato. Intirizzito.
  15. Pappalecco. Mangiare, ghiottornía.
  16. Averla. La spada.
  17. St. 8. Dàvola. Nel caso che mi voleste mangiar me, io m’accordava di darvi una spalla.
  18. St. 9. Gl’infermi, per l’arsura della febbre, bevono assai.
  19. St. 10. Le Gallinelle. Le Pleiadi.
  20. Mi davo ecc. Mi disperava.
  21. I Mercatanti. Tre stelle del Balteo d’Orione.
  22. St. 12. Boti. Uomini di gesso. Vedi c. IV, 17.
  23. St. 14. Picciuoli. Gambi delle frutte. Qui, Gambe.
  24. Terzuolo. Specie di falcone.
  25. Fecero parerli ecc. Li fecero ricredere e conoscere che la cosa stava altrimenti.
  26. Bastian serli scrisse d’architettura.
  27. St. 16. Un venga. Quando altri getta da alto roba in istrada, senza poter guardare se passa gente, si tiene uno da basso che gridi all’uopo Venga o Non venga.
  28. Il far. Cioè a far. Allude alle leggi che proibiscono di gettare immondizie per le vie.
  29. Murella. Piastrella. Vedi c. V, 34.
  30. St. 18. Imbeccata. Infreddagione.
  31. Bordoni. Quelle penne che non sono ancor del tutto spuntate fuor dalla pelle; il pelo che spunta.
  32. Cassati. Doppio senso: cancellati incassati.
  33. St. 19. Diserta. Concia male.
  34. St. 21. Giglietto. Specie di trina.
  35. St. 22. Accivettati si dicon gli uccelli che non si lascian cogliere alla pania, perchè abituati a veder la civetta.
  36. Corsa. Rubata. Questo modo vale anche: Essere un dappoco.
  37. St. 23. I cocuzzoli. Le teste.
  38. St. 24. Il fantino. Il bravo.
  39. In fatti. Quando si fu a’ fatti.
  40. St. 27. A Patrasso. Farlo morire. Vedi c. ̆V, 13.
  41. Tirar l’aiuolo. Esser nelle convulsioni della morte.
  42. Debito a morte; in pericolo di esser perduto per sempre.
  43. St. 31. Toccatori. Vedi c. II, 60; e VI, 44.
  44. Brandistocco. Arme in asta simile alla picca.
  45. Si fa cessante, se non prigione, della morte. Se non muore, manca poco. Cessante è il debitore contro cui si possa immediatamente fare esecuzione. Usa questa frase per continuare la metafora dei Toccatori.
  46. Fare Il Fiocco. Fioccar colpi.
  47. St. 32. La compagnia ecc. Vedi c. III, 57.
  48. St. 33. Mescolar le carte ecc. Vedi c. VIII, 61.
  49. Fa del resto. Muore.
  50. St. 34. In fiori. In gioia.
  51. Per non far ecc. Per non coprire il terreno di morti.
  52. Ritiransi da’ cuori. Lascian l’ardire.
  53. St. 35. Spida è la parola di cui si servono i ragazzi nei loro giuochi per dire: Sospensione.
  54. A chetichelli. Occultamente; senza parlare.
  55. St. 38. Sciarre, Risse, tafferugli.
  56. Un belletto ecc Un colore fra bianco e giallo.
  57. St. 43. Canta ben di basso. È basso di statura. Quel che segue s’intende bene ove si pensi che alla stanza 41, dicendo gran dottori, il Poeta ha voluto significare grandi di statura, come più chiaramente dice appresso.
  58. St. 44. Aduggiato ecc. La troppa ombra impedisce alle piante di crescere.
  59. St. 46. Un sacco di gatti ai quali si dia l’andare.
  60. St. 47. Chi dà spesa ecc. Chi, essendo invitato a un desinare, è cagione di spesa all’invitante, non deve dargli disagio col farsi aspettare. Con questo detto altri si licenzia da chi lo trattiene sull’ora del convito.
  61. St. 48. La labarda, dice il Minucci, è il ferraiuolo o cappa dei lanzi, i quali non hanno ferraiuolo nè cappa. Onde questo detto vale Posare in casa altrui il ferraiuolo per quivi mangiare, senza spesa.
  62. Stoggi. Cerimonie e lusinghe.
  63. St. 50. Accivito. Lesto, pronto.
  64. St. 51. Formata. Formale, solenne.
  65. St. 52. Spinetta. Specie di cembalo.
  66. La spagnoletta. Specie di danza.
  67. St. 53. Il Delfino, pesce che pare gobbo, induce, vale a dire, indica le tempeste. Questo gobbo, sonator di violino, fu un tal Trafedi, nano di corte, astutissimo giocatore.
  68. Ha da invitare a ballare.
  69. Sciorina. Batte gagliardamente.
  70. St. 54. Dice l’orazion ecc. Brontola.
  71. Riso alla tedesca. Il Minucci spiega: Ridere in tedesco si dice lachen lachen ionadatticamente può significare lacrimare.
  72. St. 56. Fa. Condisce il radicchio per insalata.
  73. Tiro. Offesa.
  74. Stiaccia. Digrigna e batte i denti come l’uccello detto Picchio batte il becco sui rami degli alberi.
  75. Trivigante e preso, cred’io, per un dio de’ Gentili, forse Marte, quasi Intrigante. (Biscioni.)
  76. St. 60. Dirgli grandi ingiurie.
  77. Succiole. Marroni cotti col guscio nell’acqua.
  78. St. 61. Vignola. Vita comoda.
  79. St. 64. Tre legni. I tre pali delle forche.
  80. St. 65. Il nanni. Il goffo, l’addormentato.
  81. St. 66. Armeggia. Fa e dice, e non conclude nulla.
  82. Stianta. Schianta, spiattella.
  83. St. 69. Penetra in cantina. È intesa anche da’ vinai.