Lettera apologetica di Stefano Borgia
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L E T T E R A
APOLOGETICA
D I
STEFANO BORGIA
Accademico Etrusco, e socio Colombario
Fiorentino
A L P A D R E
D. MAURO SARTI
MONACO CAMALDOLESE.
In Pesaro M. DCC. LII.
Nella Stamperia Gavelliana. Con lic. de’ Sup.
REVERENDO PADRE.
Il motivo che vi à stimolato a diriggermi la divisata lettera, altro non è stato, per quanto dalla medesima raccolgo, che l’aver io in dubbio messa e la vostra supposta scoperta, e la lezione dell’ultimo verso della Massacciese iscrizione, il che forse vi è dispiaciuto: ma sappiate che io servito mi sono della libertà di giudizio a tutti comume. Vana cosa è, P. S., il pretendere di mettere le pastoje al mondo erudito, spezialmente in quel che all’antica geografia si appartiene per quella difficil parte, che i siti delle già desolate e distrutte città investiga, e determina. Quello è un vasto campo di battaglia, in cui tra i critici crudelmente si è combattuto, ma la guerra non è ancor terminata, e ciascun partito pretende avere il vantaggio. A buona ragione adunque non potete meco dolervi, poiché, come ben sapete, appena un’opera à la pubblica luce sortita, che subito tante opinioni va mendicando, per quante mani è trattata, ed è lecito a chicchessia dire il suo parere, quando per altro quello si faccia col dovuto rispetto verso di chi è di contraria sentenza.
Ciò brevemente premesso veniamo ora, siccome è convenevole, ad accennare alcuna cosa sopra quel che scrivete per impugnare quel mio laconico periodo
Tutto lo studio vostro è stato di dimostrare che nella lapida Massacciese non ci si può in conto alcuno leggere CVRATORES in vece di CVPRENSES, com’erami stato detto da que’, che per mio consiglio quella iscrizione osservarono. Quel che sia di ciò a me nulla cale, avendolo io sull’altrui fede asserito, onde potevate risparmiare quella bella diceria più ornata di figure d’ironia, di sarcasmo, e di preterizione, che forte di ragione.
Queste sono ciance, che, quantunque dette a gabbo, non istan bene in bocca di religiosa persona, non essendo dovere che a vizio mio si ascriva l’altrui poca avvedutezza. Voi su questo punto avete vinto, ed io non ò perduto. Per altro sappiate che la parola CVRATORES non cangerebbe in un pataffio senza senso quella iscrizione, imperciocché con un ET, brevissimo monosillabo, che potrebbe supplirsi nel fine del penultimo verso, rimarrebbe nella pristina sua eleganza. Che poi non trovisi mai il nome di Curatori, senza dirsi che fossero curatori, egli è vero se intendete degli ufizj ordinarj, ma non così degli straordinari. Molti sono gli esempj, che potrei addurvene, ne’ quali vedesi il termine Curatore, senza altra espressione; a me però besterà di riportarne uno soltanto preso da! capo XV. delle Maschere Sceniche descritte dal Ficoroni, in cui leggesi:CVIVS OB DEDICATION.
SPORTVLAS DEDIT
ADLECTIS. SING. XXXV.. DECVR.,
BOVILL.
SING. X. V. AVGVSTAL. SING. I.
DEDIC. III - IDVS AVG.. SOSSIO PRISCO
ET COELIO. APOLLINARE. COS
CVRATORE
Q. SOSIO. AVGVSTIANO
Adunque, se quei erano Curatori straordinarj, l’Iscrizione andrebbe pel verso suo, se poi ordinarj, altro non vi mancherebbe che eorum, termine assai spesso per eleganza tracciato nelle Lapidi, e che dee sottinteadersi. Sentite sopra cotesta difficoltà il parere del celebre sig. abate Jacopo Facciolati, eccellente maestro della latina lingua. „ Niente ripugna [dic’egli in una lettera a me scritta] alla buona latinità il dire Alimentarj & Curatores, intendendoci eorum" sia però comunque si voglia, io sono ben persuaso, che nel marmo Massacciese non vi si legga CVRATORES, ma non cosi lo sono circa il CVPRENSES, onde scrissi essere la vostra pretesa scoperta in qualche dubbiezza appo non pochi. E giacchè quello mio parlare, assai circospetto e moderato, non vi è paruto uniforme alle leggi della buona critica, permettetemi che io qui appresso vi esponga con quali fondamenti ciò affermai.
Due sono i principali vostri argumenti, co’ quali pretendete di collocare presso il Massaccio la Cupra Montana, l’uno la supposta lezione della lapida ritrovata nell’anno 1718., l’altro la bolla d’Innocenzo III. in cui dice, che l’odierno castello di Poggio Cupo vien chiamato del Poggio di Cupra. Sentite ora, se vi aggrada le riflessioni da me fatte sopra i medesimi. Quanto al primo fa d’uopo che vi rammentiate di quel che affermate nella dissertazione inserita fra gli opuscoli Calogeriani, cioè esser nell’ultima linea del marmo assai chiaramente inciso CVPRIENSES MONTAN, aggiustando poscia nell’errata MONTANI. Bene: ma io comprender non so come voi abbiate indi nella lettera stampata in Pesaro nel 1748. dal mezzo del CVPRIENSES e dal fine del MONTANI sbandite le due innocentissime vocali I. Se la scittura era più che nitida, non potevate prendere abbaglio, e tanto più, perchè dite di aver anche in oggi buona vista, e qualche pratica nel leggere antiche iscrizioni; se poi le lettere vi erano sfuggevoli perchè stampare perquam nitidissime conscriptus visus est? Ma o vogliate stare alla prima dissertazione, oppure vogliate far buona la seconda soltanto, non potrete nè coll’una, ne coll’altra l’inverosimiglianza evitare della vostra pretesa scoperta. Perciocchè o sia stato il P. Abate D. Pietro Canneti, cui Voi meritamente appellate vir eruditissimus, e che suppongo sia quel desso, del quale fa menzione il chiarissimo P. Abate D. Pietro Paolo Ginanni nell’insigne sua prefazione alle Rime de’ Ravennati pag. 39., oppure Angelo Tacchi, cujus [sono vostre parole] recens est, nec tenuis fama hic in patria sua, che mandò un apografo della Massacciese iscrizione al Muratori d'immortal memoria appo de’ letterati tutti, che il primo sì pubblica luce diedela, convien dire che non doveva alcuno d’essi passare per cucciolo; cosicchè delle lettere non Etrusche, o Pelasghe, ma latine del più bel secolo poca, o niente pratica avesse. Uno adunque trascrisse dall’ultima linea della lapida le seguenti parole C. VIBIVS. ENOES. MON.PONT, ovvero come stampato leggesi nel tesoro del Muratori. VIBIVS - ENOES. MON.PNT, dalle quali diciannove lettere ne trasse quanto alla prima copia, e diciotto quanto all’altra, se un punto di più vi si novera in luogo del primo C tolto via, e nell’una, e nell’altra quattro spazj con altrettanti punti. Or se è cosi, contandosi nel CVPRIENSES MONTANI diciassette lettere soltanto, chieggo da voi dove andati sieno e la restante lettera, e gli spazj co’ punti? Crescerà sempre più la giustizia di quella domanda, se star volete alla lettera stampata in Pesaro, in cui leggete CVPRENSES MONTAN, perciocché numerandoli in essa quindici lettere, un tal numero non può all’altro di diciotto corrispondere, oltre agli spazj, e punti. Se il marmo inciso era nella maniera che vedesi nell’apografo da voi riportato per fedelissimo, come mai potè il Canneti, ed il Tacchi, questi Massacciese, quegli Cremonese con istrana metamorfosi due parole in quattro dividere, come aggiugnervi lettere, spazj, e punti intermedi, quando che, secondo la vostra copia, un orbo Bolognese eziandio vi avrebbe letto almeno CVPRENSES MONAN. Voi prevedeste cotesta difficoltà, e però vi studiaste con somma industria di accrescere quante lettere potevate nell’ultima linea, quindi in luogo di CVPRENSES faceste CVPRIENSES, e lasciando correre nella stampa MONTAN, nella correzione apposta in fine emendaste con assai diligenza MONTANI, per cosi fatta maniera corrispondere al numero delle lettere da que’ primi notate, lusingandovi che tolta via questa difficoltà di puro fatta ed oculare, non si trovasse nel resto chi ad impugnar si ponesse la vostra nuova lezione. Ma poscia vedendo essere stato peggiore il rimedio del male, stimaste sano consiglio di garantirla in qualche parte coll’uniformarla alle voci usate da Plinio, Tolomeo, e Mela, quinci nella seconda dissertazione riformaste CVPRENSES MONTAN, e perchè più non si pensasse all’I posto nel mezzo, lo faceste naufragare in quella lacuna tra le lettere R ed E, che io non so comprendere come sia all'improvviso nata per tranguggiarlo, eppure perquam nitidissime, ancor da chi avesse avuto le traveggole, vi si leggeva, e come il T di MONTAN siasi nascosto fra quelle lineole, che nell’impresso disegno appariscono. Finalmente, acciocché più non si pensasse a tante varianti lezioni, voi stesso andaste in cerca di eruditissimi approvatori della vostra pretesa scoperta, i quali al più formano il numero di altrettanti compagni di opinione, per cosi gettare a terra quel che vi lessero il Canneti, ed il Tacchi, cosa, per vero favellare, da recar non poca meraviglia a chi non è appieno del fatto informato, in veggendo le diverse parole in varj tempi ritratte dall’ultimo verso del marmo Massacciese. Io però non ne fo gran calo, imperciocché ben so, come più sotto ad evidenza vi dimostrerò, che quella lapida in tempo del Canneti, e del Tacchi non era ancora stata sformata e guasta, come è poscia accaduto nelle ultime tre linee, per opera di moderno scalpello, e che la vostra copia, peraltro fedelissima, all'autografo punto non corrisponda.
Veniamo ora al secondo argomento, cioè al Diploma d’Innocenzo III. dat. Later. an. 1199. che di bel nuovo recate in mezzo, e su cui tanto contate, conciossiachè in esso il castello di Poggio Cupo è appellato del Poggio di Cupra, leggendosi in castro Podii Cupræ, secondo vien da voi riferito nella Lettera latina stampata in Pesaro. Con questa Bolla voi credete di aver cosi ben puntellata la Massacciese iscrizione, che francamente dite esser follia il cercare altrove la Cupra Montana. Lungi da me simil franchezza in metter fuori debolissime conghietture, che pur con tuono da oracolo volete far passare per irrepugnabili dimostrazioni, vi dico nulla provare in favor vostro il testè accennato Diploma; imperocché, o la denominazione di Cupra è sufficiente a dimostrare essere stata in un luogo la Cupra Montana, oppure a nulla vale. Se il primo, dovrem dire essere state nell'antico Piceno cinque Cupre Montane, mentrechè in cinque luoghi di quello trovasi un tal nome: La prima a Ripa Transona, l'altra a Recanati, la terza nel Castel Mainardo diruto, la quarta a S. Ginesio, e la quinta a Poggio Cupo. Quanto ciò sia insussistente ognuno da per se il conosce, dunque dobbiamo al secondo appigliarci, per non dipartirci dalle regole della vera critica, che c'insegna di non far uso di simili conghietture, se non dopo aver trovate tali e tante ragioni, che, anche senza di queste, possano concludentemente la cosa dimostrare. Una lapida dubbia e portatile, una denominazione che più non sussiste, a nulla servono, nulla provano, e nulla concludono. Onde assai lepido mi pare talun presto parlatore, che con pochissimo studio, e con fievoli conghietture vuol decidere dal tripode di lontane cose ed oscure, persuadendosi che tutto quello, che non è secondo la sua immaginazione, sia sproposito, e tutto quel ch’esso dice sia un oracolo. E quando anche il marmo Massacciese fosse integerrimo, proverebbe forse esser ivi stata la Cupra Montana, coll'ajuto eziandio della Bolla? Io credo di no, quando altre ragioni non vi fossero, e mi persuado che anche gli altri, purché privi sieno di parzialità, e di passione, ne formeranno lo stesso giudizio. Ed acciocché la cosa in comparsa venga più chiara, eccovene un esempio molto a proposito. O' io vedute in Civita parecchie lapidi, nelle quali leggesi Veji, e Vejentes, mi fu insegnato un luogo non molto lungi, che anche presentemente dicesi la Costa de’ Viej, e pure con tutti questi monumenti nè il Mico, nè il Castiglioni, nè il Mazzocchi, nè altri an potuto provare, che sia il Vejo antico. Tanto è vero che da sì fatte conghietture, senza altre ragioni, nulla puossi inserire.
Eccovi brevemente accennate le mie riflessioni sopra i due principali vostri argomenti. Ora ditemi di grazia, se io ebbi forte motivo di scrivere esser la vostra pretesa scoperta eziandio appo non pochi in qualche dubbiezza? Ma giacché cotesto latino, torno a ripeterlo, assai moderato, e circospetto non vi è piaciuto, voglio or ora farvi toccar con mano, che in verun modo poteva essere presso il Massaccio l’antica Cupra Montana. Prima però debbo accennarvi alcuni di que' molti, che tuttavia esitano della vostra supposta scoperta, per farvi conoscere non iscriver io a capriccio, come so che andate pubblicamente dicendo. Questi sono il P. Paciaudi de’ Cherici Regolari, il P. Odoardo di S. Francesco Saverio Carmelitano Scalzo, il P. Lodovico Siena dell’Oratorio, il sig. Alessandro Bandini Tesoriere di Camerino, il sig. avvocato Mattia Vignoli, il sig. Paolo Riccomanni, governatore di Recanati, il sig. Ignazio Erei, ed altri non pochi per dottrina, o per erudizione ragguardevoli, che lunga cosa sarebbe di qui registrare, dovendo io quella esporvi, al quale ò dito cominciamento.
E primieramente sappiate che io non ò veduta la Massacciese Iscrizione, né di ciò mi curo, e tuttoché volessi, ora non sono più in istato di portarmi ad osservarla, poichè mi si scrive per cosa certa essere stata quella nascosta, e così resa a tutti invisibile, forse, cred’io, acciocché non vengan per altri le evidenti viziature della medesima attese, in ricoprire le quali avete in vano ghiribizzato. Questo dovevasi fare un poco prima, avvegnaché un diligente soggetto, che non debbo tacere, cioè il sig. Paolo Riccomanni testè. mentovato, si era già portata a riconoscerla, e ne à stesa una distinta relazione, colla quale chiaramente prova l’alterazione del marmo, e la poca somiglianza del vostro apografo col medesimo, per quel che spetta agli ultimi tre versi, che bravamente dimostra doversi leggere, come già furono letti dal Canneti, e dal Tacchi. Io adunque altro non farò che un estratto assai breve dell’accennata relazione circa l’ultima linea, con alcune mie giunte, per inoltrarvi non essere stata presso il Massaccio la Cupra Montana, perchè nella lapida, quantunque con istudio recentemente accomodata, non vi si legge CVPRENSES MONTANI.
Comincia il nostro Osservatore dalla lettera C, che dice averla trovata in proporzionata distanza dalla seguente V, là dove nel vostro apografo è stata troppo appressata. Indi nota che dopo tal lettera evvi un punto rotondo, segno evidente che quella era, ed è iniziale di una parola; questo però non comparisce nella fedelissima copia da voi pubblicata. Il sig. Riccomanni saggiamente riflette che ai punti rotondi, che prima erano in tutto il marmo, e ne rimangono due eziandio nel decimo verso dopo la terza, e decima lettera, vi è stata poscia aggiunta una leggiera e superficiale codetta a foggia di virgola, per unire comodamente le lettere a suo modo, e formarne termini differenti da quelli, che originalmente vi si lessero. L’invenzione di que’ punti virgolati mi pare assai graziosa per far cangiar faccia ad una Iscrizione; dispiacemi però, che, chiunque sia stato il malfattore, abbia fatto uso di un mezzo, che apertamente il condanna. Imperciocchè punti così virgolati non erano in uso ne’ tempi di Antonino, anzi per quante diligenti ricerche abbia fatte nelle opere del Buonarruoti, Aringhio, Ficoroni, Ciampini, Olivieri, Marangoni, Vettori, ec. e per quella esperienza che io ne ò, non mi è sinora occorso di trovarne esempio nelle Iscrizioni de’ primi tre Secoli, e molto meno ne’ tempi anteriori, ne’ quali sei differenti maniere di punti trovo adoperati dagli Antichi ne’ Marmi, cioè il rotondo . , il triangolare ▴, l’ovato o, il lineato \, oppure <, l’arabico 6, e finalmente il seguente , che alcuni vogliono significhi il cordoglio di colui, che pose il monumento, e perciò osservo trovarsi per lo più simil punto ne’ Marmi Sepolcrali. Passa il sig. Riccomanni, al di cui occhio critico niente è sfuggito, all’altra, lettera, ed osserva che la seconda asta dell V nel prototipo è del tutto guasta, non ne rimanendo segno alcuno, onde non doveva nell’apografo comparire punteggiata. Siegue nella vostra copia un P di poco mancante; ma nell’originale altra non vedesi che un’asta con picciola linea superiore di moderno lavoro, la quale non forma pancia alcuna. La quarta lettera nel disegno apparisce essere un R, ma il nostro osservatore dice, che nel Marmo fa figura di un P, senza altro segno, e siccome tra quella lettera, e l’E che segue, egli vi nota uno spazio sufficiente a separare una parola dall’altra, così fuor d’ogni dubbio crede, che in detto sito, ora del tutto guasto, vi doveva essere l’altro punto, benchè voi per riempierlo v'immaginaste di vedervi un I scolpito perquam nitidiffime. Appresso osserva che tra l'N, e l’E nell’autografo notasi una profonda mancanza, rimanendo solamente uno spazio rotondo, in cui vi doveva essere un O, ed infatti ne resta la parte inferiore, alla quale con industria è stata aggiunta una picciola, e quali invisibile linea ritorta al disopra, non però come vedesi nell'apografo. Avanti l’M, che vien dopo, osservasi una considerabile mancanza, che non è stata espressa nella vostra copia, ed è credibile che in tal sito fosse il terzo punto, come anche il quarto dopo le lettere MON. Prosiegue il critico osservatore le sue accurate riflessioni, e dice che per opera di scagliature, e corrosioni è stata tolta l’asta del P, che prima era nel marmo, e dalla sua pancia coll’aggiunta di una linea verso l'ultima lettera se n’è formata un’A assai superficiale, il che manifestamente dimostra l'usato artificio. Termina finalmente il sig. Riccomanni il paralello tra l’autografo, ed il vostro apografo, per quel che riguarda l’ultimo verso, con dire che la linea soprapposta all’asta dell’ultimo N è stesa in maggior lunghezza, di quel che vedesi nella copia, da voi spacciata per fedelissima, il che è un chiaro indizio significar quella un T, e non un I nella seguente guisa connesso NT. Da tutte quelle belle osservazioni, delle quali dobbiamo aver grado al degno autore, che ci speranza di pobblicarle intieramente, a meraviglia risulta la lezioneC. VIB. ENOES. MON. PNT
cioè, Cajus Vibius Enoes Monumentum posuerunt (il numero del più à relazione agli altri soggetti nominati nella decima linea) non dissimile da quella del Canneti, e del Tacchi.
Io mi lusingo che dopo tante evidenti dimostrazioni cangerete ancor voi pensiero con tutti i vostri eruditissimi e virtuosissimi colleghi circa la da voi supposta lezione
CVPRENSES MONTAN
parole che non sono mai state nel marmo, nè, con tutta l’industria usata, vi compariscono ancor oggi. Voi per vero dire avete sin ora creduto diversamente, ed io non dubito punto, che ciò avvenuto sia perchè con buona fede abbiate sin ora creduto sussistenti que’ fondamenti di puro fatto, su de’ quali e voi, ed altri, che così sentono, vi siete fondato. Mi lusingo però, che conosciutane l’insussistenza, siccome quello, che per solo amore del vero, e non per privata gara, od impegno vi appigliate a scrivere, dalla prima opinione rimovendovi, non avrete difficoltà di venire nella mia stessa sentenza.
Dalle osservazioni apologetiche mi conviene ora passare alle critiche, giacché voi me ne date motivo sul proposto della pietra rivenuta, non à guasi, presso Ripa Transona. Questa non è graffita, ma di rilievo, ned è stata, come vi an contato, solennemente collocata nel pubblico palazzo, perchè si aspetta di ritrovare gli altri pezzi, onde possa aversi chiara la spiegazione della medesima, per indi collocarla in luogo decente lungi dalle ingiurie del tempo e degli nomini. Per tre cose sembra a voi sospetto cotesto monumento, ma io vi farò vedere, che per le stesse tre cose a me pare antico del V. o VI. secolo, quando in Italia le arti erano in somma decadenza. Vi sono molti, voi mi direte, che an l’arte di fingere caratteri, ed iscrizioni, io ben lo so; ma so altresì che v’à ancor l’arte critica lapidaria che c’insegna di distinguere i veri dai falsi, che sopra tutto consiste in aver giuste notizie, e saper ben discorrere. Facciamoci a considerare la prima.
Questa verte sopra quel MONTIS, perchè doveva dire MONTANAE, Io sono persuaso, e tutti i critici in questo convengono, che chiari e forti argomenti ci vogliono per riprovare uno scritto, una lapida, ec. La difficoltà proposta non mi pare di questo tenore. Quante insolite voci vengono tutto giorno in luce per lo scavarsi di nuove iscrizioni? Quante sconvenevolezze son derivate da’ secoli, ne’ quali la negletta scienza siedeva sul trono di ferro inalzatole dalla ignoranza? Ma senza tante riflessioni eccovene degli esempj, da’ quali verrete in chiaro, che poteva usarsi un sustantivo per un aggettivo. Fanum Martis si chiama in not. Imp. ed appresso Eginardo dicesi Pagus Fanamartensis, come osserva il Cellario, Geog. lib. 2. cap. 3. Plinio, lib. 16. cap. 19. scrive Forum Augustum, ed egli medesimo, lib. 36. cap. 15. lo nomina Forum Augusti. Il Cluverio, tom. 2. pag. 1181. così scrive: Suessa oppidum cognomine Aurunco, sive Auruncorum. Da Dionigi lib. 4. Suessa Pometia è appellata Suessa Prometiana. Vitruvio lib. 3. cap. 3. dice in agro Falisco, e Plinio lib. 3. cap. 2. agro Faliscorum. Lo stesso lib. 3. cap. 5. nomina Lucus Feroniæ, e Balbo de limit. Lucoferonia, poi quel tratto ne’ tempi bassi fu detto Caferonianum, ora Carfagnana. Balbo appella Urbs Salviensis quella, che da Tolomeo dicesi Urba Salvia. In una lapida appo il Grutero, pag. 475. leggesi COLONIA IVLIA FANO, ed in Mela Colonia Fanestris. Per fine credereste che il Magini, tab.6. Europa, in vece di Cupra Montana, dice Cupra mons? Così è, ed io non dubito che a vista di tante puntuali autorità da me fin qui assegnate, ancor voi comprenderete, che poteva dirsi CVPRÆ MONTIS, onde non vi recherà più meraviglia che i cognomi delle città, i quali sono aggettivi, si facciano talvolta sustantivi.
La seconda difficoltà, che promovete nella pietra di Ripa Transona, si è in quel dittongo Æ, che per vostro avviso non trovasi in lapidi molto antiche, il che suppongo abbiate scritto coll’autorità del Bosio, del Severano2, e del Cellario, che però non nega alle monete, ed ai MSS. antichi il dittongo Æ, sia per lo scrivere più spedito, sia per l’angustia del sito, o per altra cagione, che non è qui luogo di dimostrare. Questo è un nuovo canone di critica antiquaria, che viene a terra gittato dagli esempj in contrario, i quali voglio credere non essere stati a contezza degli accennati autori, giacchè la vera critica fa spicco maggiore nel difendete gli scrittori, che nel condannarli. Comincerò da una tegola ritrovata in queste parti, e che presentemente vien posseduta da questo erudito sig. abate Giuseppe Maria Morici. In essa veggonsi le seguenti lettere:
Io non dubito che cotesta iscrizione sia una nota figulinare, e quantunque gli Etrusci incidessero alle volte memorie sepolcrali in tegole, tuttavia quelli esempj sono rarissimi nelle antichità Romane. Nel principio la tegola è mancante di una lettera, che doveva essere un C, per formare la parola Cæcili. La voce seguente contiene il cognome di Silonis. La L fa figura di L, ed I3, e l’ultima lettera che a prima vista pare un R, non è che una unione di I, ed S rovesciato. Non faccia specie che la bassa gente de’ fornaciai avesse nome, e pronome, conciossiachè gli esempj sono assai frequenti; oltre di che questi nomi alle volte non sono dei bassi artefici, ma delle famiglie nobili, che facevano correre ne’ loro predj questi negozj. Nell’insigne commentario Græce Pron. § 7. n. 5. del chiarimmo P. Abate D. Gregorio Piacentini Monaco Basiliano riportanti due tegole, da me osservate, nelle quali in quelle due maniere è formato il dittongo AE Æ . Eccovene la più bella:
che io leggo: Ex prædio Domitiæ Lucillæ Latini (Uxoris) Tiberii prima, poichè il fornaciajo aveva nello stesso predio più fornaci distinte con quelli numeri I. II. ec. e se ne trova fino al terzo, e quarto tra le Romane. Nel dovizioso museo del non mai abbastanza lodato sig. commendatore Francesco Vettori vi sono parecchi esempj del dittongo Æ in figuline, delle quali ne riferirò tre dal medesimo con molta gentilezza comunicatemi:
I. | EX FRÆD FAVSTINÆ S. AVG OPV | |
DOL. EX FIG. DOMIT | ||
MAIOR | ||
iI. | FL IÆ S DOMITIL FELICIS | |
iiI. | DOL ANTEROT. SEVER. | |
CÆS |
Altri eziandio ne addurrei presi dal Ciampini, e dal Fabretti, ma siccome ben so, che dalla forma di questi bolli non si può argomentare alla miniera lapidaria, imperciocchè i figoli, per l’ordinario facendo fare le loro stampiglie in bronzo, risparmiavano più lettere, che potevano per economia: pure anche i quadratarj per la mancanza del marmo ricorsero a quelle breviature, e talvolta senza una simile necessità, fecero uso dell’Æ nelle iscrizioni. Eccovene tre esempj, che del fatto vi renderanno sicuramente avvisato.
I. | IVLIÆ IVLIANÆ SORORI ASPRI . . . . |
Cotesta lapida è riportata nel Com. Græcæ Pron. §. 8. n. 6. del lodato P. abate Piacentini.
iI. | D heic columbæ duæ M. | |
cum ramusculo in vostris |
iiI. | . . . . ME | |
MAMMÆ | ||
SVAE |
Ella è riferita nel §. 8. n. 7. della elegante Diss. sopra le antichità di Ripa Transona dello stesso P. Paciaudi, e quantunque nell’apografo, ch’egli ne dà, non vi sia il primo dittongo unito, tuttavolta nella pietra da me riconosciuta evvi il dittongo Æ. Altre iscrizioni potrei qui citare, osservate dall’eruditismo P. Maestro Antonio Ortolani dell’Ordine de’ Predicatori, che cortesemente mi à mandate trascritte, altre prese dall’Aringhio, Roma subter. lib. 3. cap. 3 & 22. lib. 4. cap. 7. 18. 37. & 35. dal Marangoni, delle cose Gentil. cap. 82., e da sì fatti collettori di prischi monumenti, ma per non vi tediare in una cosa messa già in chiarissimo lume, talchè dubbio non resta, tralascio di farlo, per pattare all’ultima vostra critica.
La terza, ed ultima prova, che recate per dimostrar falsa l’iscrizione della pietra di Ripa, si è quell’Є di forma minuscola, quasi che simil lettera non fosse in uso appo gli antichi. Questa opposizione è assai debile, perchè nelle lapidi, particolarmente de’ bassi tempi, si vedono da chi le à sotto gli occhi tali nessi, variazioni, e capricci nel modo di scolpirle, che pare da questo non potercene formare alcun buono argomento per rigettarle. Dello stesso parere è il sig. marchefe Scipione Maffei, decoro, ed ornamento ben grande della letteraria repubblica, cui avendo io motivata, la vostra difficoltà, egli mi rispose ne’ seguenti termini „ Le dirò, che benché ssi veda qualche tratto di carattere minuscolo in una lapida dopo i primi 4. secoli, non è da farla sospettar moderna " Nelle opere del Buonarroti, e dell’Aringhio ò io trovati esempj di quasi tutte le lettere minuscole, eziandio in tempo, in cui era in uso l’antico tondo, e quel ch’è da più notarsi al caso nostro, che anche nelle lapidi di carattere tondo soleano qualche lettera minuscola, o corsiva, che vogliam dire, mescolare, forse per vaghezza di variare le figure, o per proprio capriccio. Debbo però sinceramente dire che fin'ora non mi è avvenuto di vedere esempio dell’e minuscolo, che l'ò sempre trovato in questa maniera Є espresso, e bene spesso unito in una medesima lapida all’E latino. A me non pare granfatto che lo scultore o per ignoranza, o per accidente, o anche per propria volontà abbia inciso un e coll'occhio chiuso, in vece di farlo aperto, come portava l’ordinario stile di que’ tempi. O qui sì che puossi ripetere l’antico proverbio Cornicum oculos configere, Cic. in orat. pro Murena. Tuttavolta per trovarne qualche esempio presi l’espediente di scriverne al celebre sig. abate Francesco Mariani, famæ fuper æthera notus, cui pregava di far diligenza ne’ collettori più accurati d'antiche iscrizioni per questa bisogna, parendomi cosa assai strana esser l’unico quello del monumento di Ripa Transona. Questo valentuomo mi rispose che dopo aver molto ricercato nelle iscrizioni MSS., e ne’ papiri della Vaticana, nella quale occupa egli l’onorevole posto di scrittore della lingua Greca, alla fine gli riuscì di trovarne due. Il primo nel tomo IV. del Grutero della nuova edizione, ove alla pag. 1129. n. 1. è riporta una lapida come realmente sta, ed in essa leggesi ΘΕΟС ЄΝЄΙΓΟΥ con l'e chiuso. L’altro è preso dal Mabillone alla pag. 357. Ivi riportansi varie maniere della scrittura del secolo VI. e fra le altre avvi il salmo MeMЄNTO Domine David col primo e parimente chiuso4, e sebbene cotesto esempio sia di scritto, e non di lapida, non si può rigettare, perchè non eran differenti i caratteri delle Scritture da que’ de’ marmi. Ædes verum est, moris hujus originem ab ipsis veterum Romanorum temporibus repetendam esse. Così termina il dottissimo Monsig. Giambattista Passeri, vero padre della scienza antiquaria, l’erudita nota alla tav. 101. del tomo II. delle sue Lucerne, ove appunto tratta de’ caratteri corsivi, e cosi eziandio pongo io fine alle mie critiche osservazioni, dalle quali verrete in chiaro che il monumento di Ripa dee tenersi per antico per gli stessi motivi, che ve lo rendono sospetto.
Eccomi giunto al fine della mia lettera apologetica, nella quale non ò voluto se non solamente fermarmi sopra quelle cose che mi sono parute di maggior rilievo. Io caldamente vi prego a por mente alla purità del vero, che senza passione alcuna ò preteso di raccontare, nel che, se mi sarò ingannato, non mi sarà discaro di riceverne i lumi migliori. Del resto persuadetevi pure, che io non lascio di aver per voi una distinta considerazione, mentre sono con tutta la stima.
Di Voi R. P. Fermo 3. Settembre 1752.
Divmo, ed obbmo Servid. Stefano Borgia. |
Note
- ↑ „E perchè il detto suo erudito libro à dato moto a queste dicerie, mi sono preso l’ardire d’indirizzare a V.S. Illma la suddetta mia difesa scritta con tal rispetto del suo riveritissimo nome, che non dispero sia per rimanerne contenta“ Di questa maniera scrive il P. S. nella lettera MS.
- ↑ L’eruditissimo Domenico Maria Manni nella sua dotta opera, de Titulo Dom. Cruc. Archetypo cap. 23. n. 3, dice che il Bosio, ed il Severano tolsero e verbo IVDÆORVM figuram Æ tanquam, in antiquitatem vel ignotam, vel rarissime usurpatam & litteras AE separatim substinuere.
- ↑ Un simil nesso osservasi in una iscrizione ritrovata fralle ruìne di Pozzuolo, della quale mi mandò copia il celebre P. Lettore Ignazio della Croce Agost. Scalzo, che, per essere inedita, stimo bene di qui riferire:
D. M.
VMBRICIAE. AFILIAE
IVSTAE. VIXIT. AN. XVI
MENS. VII. DIES. DECE...
A. VMBRICIVS. MAGNVS
ET. CLODIA. FELICITAS. PA sic
RENTES. FILIAE. INCOMPARABIL.
sic
QVOD. FTA. PARENTIBVS. FACERE
DEBVIT. MORS. INTER. CESSIT
FILIAE. FECERVNT. PARENTES - ↑ Nella eruditissima Diss. filologica del coltissimo sig. commendator Francesco Vittori alla pag. 89. è riferito un disegno di alcune figure, e caratteri antichi presi da un codice Valliceliano scritto prima del mille, nel quale osservansi alcuni, minuscoli; che però non fanno al caso nostro, poichè il celebre autore mi fece intendere per lettere, che que’ caratteri sono stati modernamente ritoccati, anzi mi mandò una breve nota da lui fatta sopra ciò, che per esser indietro restata nella stampa, stimo bene di qui riportare, lusingandomi di far cosa grata al pubblico, dal quale so che vengono con gran piacere ricevute le dotte produzioni di sì degno cavaliere, cui non potrò mai soddisfare abbastanza per le molte obbligazioni, che gli professo da che ebbi l’onore di essere annoverato fra i suoi amici. Inscriptio autem, quæ legitur in suppedaneo sedis Sancti Laurentii; & formas characterum ævi inferioris præfert, recentiori atramento, ut vividior appareret, depicta est; idque aliquando factum fuisse putamus, ne prorsus deleretur eadem vetustas inscriptio, ac tota interiret, quæ prope finem paginæ descripta, legentium manibus facile absumebatur: ita vere characteres illi nennibil formas mutaverunt