Leonardo o dell'arte/La necessità e le leggi della pittura
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LA NECESSITÀ E LE LEGGI
DELLA PITTURA
Chiunque ha potuto occuparsi di Leonardo, sa com’egli abbia visto il mondo della natura. È dunque inutile che continui a parlarne. Mi preme invece di rilevare come Leonardo si sia servito delle leggi che aveva divinato nella natura, per inquadrarne il suo concetto dell’arte.
Per Leonardo, la natura appare dinnanzi agli occhi di un artista nello stesso tempo come un fine e come un modello.
Che cosa era invece per gli artisti del Rinascimento? Non era un fine, poiché non si erano proposti di rivaleggiare con la natura, ma di raggiungere la bellezza; non era un modello, poiché in lei non vedevano che una pittura. Poteva essere un esempio d’affresco, un affresco infinitamente più vasto, ma non un modello d’ordine interno. Serviva dunque perchè potessero disegnar delle linee e mesticar dei colori sopra una falsariga universale; rappresentava, ai loro occhi, quello che agli occhi di una danzatrice sono gli atteggiamenti dei contadini, in cui si ritrovano i ritmi e i suggerimenti di un ballo.
Leonardo, invece, considerava la natura come il line supremo dell’arte — e questo forse, lo ammetto, non era che l’ambizione teorica di un visionario — perchè voleva raggiungere un microcosmo, creare cioè col pennello un piccolo mondo in cui tutte le cose si sentissero vivere, non solo come superficie, ma come oggetti sottomessi a una necessità, densi e gravi di leggi. Sarebbe stato felice se Balzac avesse potuto chiedere ansiosamente dinnanzi a un suo quadro, come fece dinnanzi a un paesaggio dipinto, in cui fumava una piccola casa di contadini: «Questi uomini, che fanno mai? Si amano? Litigano? Sono felici? Pagano i debiti?»
Ma al tempo stesso considerava la natura come un modello, perchè a questo microcosmo Leonardo voleva arrivare inquadrando l’arte in una cornice di leggi, analoga a quella che regola l’universo. Anche l’arte per Leonardo è infatti sottoposta a delle necessità. Il piano è la grande necessità del quadro; l’immobilità della statua. Nel mondo dell’arte, come in quello della natura, questa necessità suscita delle leggi che disciplinano l’uomo. Di tutte le leggi, che secondo Leonardo devono regolar l’opera del pittore, due sono infatti illustri: la legge del contrapposto e quella del chiaro scuro.
Quando Leonardo scrive che la natura è l’unica maestra dell’arte, e che gli artisti non devono studiare le opere degli artisti, quando possono studiar la natura, non li spinge dunque a imitarla, ma li avverte che per creare un piccolo mondo fatto sul modello di quello grande, devono impararne il congegno.
Per questo Leonardo non può contentarsi, come i pittori del Rinascimento, di contemplare nella natura una splendida superficie tinta di luce, ma deve entrare nelle viscere delle cose.
«Il pittore, scrive infatti, con una punta di disdegno, che ritrae per pratica e giudizio d’occhio è come lo specchio, che in sè imita tutte le a sè contrapposte cose senza cognitione di esse» 1.
La famosa immagine dello specchio è smentita: il pittore non deve riflettere il mondo. Che dovrà fare invece?
«Necessità, scrive, costringe la mente del pittore a trasmutarsi nella propria mente di natura, e a farsi interprete in fra essa natura e l’arte, comentando con quella le cause delle sue dimostrazioni costrette dalla sua legge» 2.
Quando scrive che «la mente del pittore, deve trasmutarsi nella propria mente di natura», Leonardo finisce quasi per stabilire che Patteggiamento di un pittore ideale di fronte al mondo della natura è soprattutto un atteggiamento conoscitivo. La conoscenza di questo universo in azione servirà «da Interprete in fra essa natura ed arte». Imitare e conoscere, in questo caso, sono le due facce di una medaglia, perchè Leonardo non si riferisce soltanto alle dimostrazioni, ma nello stesso tempo alle cause. Altrimenti, perchè il pittore dovrebbe darsi la pena di chiarificare, nel mondo della natura, mille difficili segreti che non gli servirebbero a nulla? Non dovrebbe sentirsi pago dello spettacolo? Per tutte le risonanze che avrà nell’estetica di Leonardo, questo atteggiamento, anche se teoricamente inammissibile, mi sembra degno di esame. Capita qualche volta che le idee più profonde nascono sulla base di un sentimento sbagliato. Non bisogna quindi spaventarsi di una contraddizione iniziale; io mi propongo infatti, in questo studio su Leonardo, di seguire quello che ci è apparso per ora come un sentimento, fino a che poco a poco verrà a trasformarsi in idea. Perciò voglio subito far rilevare quel «contentando».
Il verbo è ancora troppo timido per chiarire il problema; stabilisce però in che relazione si trovino il mondo della pittura e il mondo della natura: concatenati, poiché si può commentar solo quello che si ha sempre dinnanzi; ma già liberi, poiché il commento è una emancipazione — simili e opposti; analoghi e inconciliabili.
Esaminiamo le analogie; vedremo dopo i contrasti.
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Che la natura, per il fatto stesso che ogni opera d’arte ha da essere un microcosmo, appaia dinnanzi agli occhi di Leonardo come il fine supremo, si capirà facilmente, studiando i mille attributi di cui Leonardo s’affatica a decorar la pittura e gli strani argomenti, con cui cerca di offrirle una indiscutibile supremazia delle arti. Questi argomenti saranno tali, che potremo senz’altro intendere arte là dove Leonardo scrive pittura, perchè tutto quello ch’egli può chiedere a un’arte, la pittura gliel’offre.
I passi in cui Leonardo cerca appunto di dimostrare, come la pittura sia l’arte più grande e perfetta, sono parsi inutili e un poco irritanti agli storici e ai critici. E non a torto. Se si badasse infatti al valore degli argomenti, che cosa si dovrebbe pensare della pittura, quando Leonardo afferma che è superiore alla poesia, perchè nessuno adora in ginocchio dei libri, mentre tutti s’abbattono dinnanzi alla maestà di un’immagine sacra? Ma da un altro punto di vista credo che i critici abbiano avuto torto di non riflettere dinnanzi al mistero di queste pagine assurde, perchè tra le maglie allentate di una dialettica primitiva, si può metter la mano su quello che può essere il tesoro più grande: l’idea non espressa. Intendere quello che un pensatore ha voluto dire e non ha detto bene, quello che ha voluto pensare e non ha scritto che in parte — non è forse il premio più dolce di uno studioso? In verità, Leonardo è un appassionato. Un filosofo ragionevole e astuto diffida di sè medesimo, gioca con delle armi che non lo scoprono. L’appassionato afferma credendo di dimostrare. Bisogna dunque prendere queste imagini del Trattato della Pittura come la chiave di un pensiero nascosto, valersene come se fossero delle confessioni.
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Leonardo rileva prima di tutto come la pittura sia la più universale delle arti, come cioè non rifiuti nessuna delle cose che si vedono nell’universo.
«Il pittore, scrive infatti, è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero all’uomo, perciocché s’egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli è signore di generarle, e se vuol vedere cose mostruose che spaventino, o che siano buffonesche e risibili, o veramente compassionevoli, ei n’è signore e creatore. E se vuol generare siti deserti, luoghi ombrosi o freschi ne’ tempi caldi, esso li figura, e così luoghi caldi ne’ tempi freddi. Se vuol valli, il simile; se vuole dalle alte cime di monti scoprire gran campagna, e se vuole dopo quelle vedere l’orizzonte del mare, egli n’è signore; e così pure se dalle basse valli vuol vedere gli alti monti, o dagli alti monti le basse valli e spiaggie. Ed in effetto ciò che è nell’universo per essenza, presenza o immaginazione, esso lo ha prima nella mente, e poi nelle mani e quelle sono di tanta eccellenza, che in pari tempo generano una proporzionata armonia in un solo sguardo qual fanno le cose»3.
Signore del mondo, padrone del possibile, guardando le sue mani Leonardo pensa che quello che non è ancora può essere. Grandissimo privilegio, perchè è il primo fondamento di una estetica, che vede un microcosmo nel quadro. Non ci si deve quindi meravigliare se questa «universalità» gli pare l’attributo più grande, di cui la pittura possa vantarsi.
«Alcuni si può chiaramente dire che s’ingannano, scrive, i quali chiamano buon maestro quel pittore il quale solamente fa bene una testa o una figura. Certo non è gran fatto che, studiando una sola cosa tutto il tempo della sua vita, non ne venga a qualche perfezione; ma conoscendo noi che la pittura abbraccia e contiene in sè tutte le cose che produce la natura e che conduce l’accidentale operazione degli uomini, ed in ultimo ciò che si può comprendere con gli occhi, mi pare un tristo maestro quello che solo una figura fa bene. Or non vedi tu quanti e quali atti siano fatti dagli uomini? Non vedi tu quanti diversi animali, e così alberi ed erbe e fiori e varietà di siti montuosi e piani, fonti, fiumi, città, edifizi pubblici e privati, strumenti opportuni all’uso umano, varii abiti ed ornamenti ed arti? Tutte queste cose appartengono di essere di pari operazione e bontà usate da quello che tu vuoi chiamare buon pittore» <ref> B. 70. 4.
«La pittura è superiore alla scultura perchè gli scultori «non possono figurare i corpi trasparenti, non possono figurare i luminosi, non linee riflesse, non corpi lucidi, come specchi e simili cose lustranti, non nebbie, non tempi oscuri ed infinite cose che non si dicono per non tediare» 5.
Quanto più è universale, tanto più un’opera d’arte s’assomiglia al mondo poliedrico della natura. Per questo ha da illudere sopra la falsariga appunto della natura. Bisogna che le cose raffigurate in un quadro sembrino nel tempo stesso il frutto del genio e il prodotto spontaneo dell’universo. Per Leonardo la pittura non ha solo da essere um ver sale; deve essere nello stesso tempo lo strumento di questo continuo miracolo.
Egli ama la pittura perchè:
«Con questa si muovono gli amanti verso i simulacri della cosa amata a parlare con le imitate pitture; con questa si muovono i popoli con infervorati voti a ricercare i simulacri degli Iddii; e non a vedere le opere dei poeti, che con parole figurino i medesimi Iddii; Con questa s’ingannano gli animali: già vidi io una pittura che ingannava il cane mediante la similitudine del suo padrone, alla quale esso cane faceva grandissima festa; e similmente ho visto i cani abbaiare, e voler mordere i cani dipinti; ed una scimmia fare infinite pazzie contro ad un’altra scimmia dipinta. Ho veduto la rondine volare a posarsi sopra i ferri dipinti che sportano fuori delle finestre degli edilizi; tutte operazioni del pittore meravigliosissime» 6.
Quando sa raffigurare una donna la pittura... «è causa che tutti i sensi insieme con l’occhio la vorrebbero possedere, e pare che a gara voglion combatter con l’occhio. Pare che la bocca se la vorrebbe per sè in corpo, l’orecchio piglia piacere d’udire le sue bellezze, il senso del tatto la vorrebbe penetrare per tutti i suoi meati, il naso ancora vorrebbe ricever l’aria che al continuo da lei spira» 7.
In questi passi canori, Leonardo vuol glorificare il pittore, non perchè riproduce, come si potrebbe credere, il mondo, ma perchè ne costruisce un altro più piccolo; non perchè imita la natura, ma perchè le cose rappresentate sopra la sua tela vivono come quelle dell’universo. Kant ha chiuso in una formula filosofica, rigorosa e chiara, questo stesso sentimento: «Davanti a un prodotto dell’arte bella, ha scritto, bisogna aver la coscienza che esso è arte e non natura; ma la finalità della sua forma deve apparire libera da ogni costrizione di regole volontarie, come se fosse un prodotto semplicemente della natura... Vedemmo che la natura è bella quando ha l’apparenza dell’arte; l’arte, a sua volta, non può esser chiamata bella se non quando noi, pur essendo coscienti che essa sia arte la riguardiamo come natura»8.
In Leonardo non si vede bene come l’artista possa raggiungere la bellezza, ma si capisce come costruisca il suo mondo. Della bellezza, che cercando di spegnere il problema nelle onde di una frase musicale, ha chiamato «proporzionalità armonica», Leonardo si occupa appena di quando in quando. Il pittore, tal quale sorge dalle pagine scintillanti del Trattato della Pittura, non si strugge, come tutti i pittori di questo mondo, di dipingere un quadro bello, ma persegue le chimere teoriche del microcosmo, smania di farsi centro di un mondo. Questo mondo può occorrere che sia bello. Le mani del pittore «ritraggono ciò che è nell’universo per essenza, presenza e immaginazione». Quelle mani «sono di tanta eccellenza, che in pari tempo generano una proporzionata armonia». Il punto cruciale è nascosto con disinvoltura sotto due parole. Ma di questo parleremo nella seconda parte del nostro studio. Ci basti per ora di rilevare che Leonardo richiede subito alla pittura d’essere «viva». Si inorgoglisce perciò pensando che il quadro, come un brano dell’universo, esiste intero in un attimo.
Per Leonardo la pittura è un’arte perfetta, non solo perchè è universale e illusiva, ma perchè sa offrire una sintesi delle cose. Egli nota, ammirando, che possiamo vedere un quadro «con quella prestezza che si vedono le cose naturali» 9. Per questo la pittura supera la poesia. Nel Trattato troviamo un discorso del re Mattia, che esprime il pensiero di Leonardo.
Re Mattia, pel dì Natale aveva ricevuto due doni: una poesia, in cui si lodava il giorno della sua nascita, e un quadro, in cui era dipinta la figura della sua amante; e poiché il poeta si lamentava che il Re si rallegrasse del quadro, più che della poesia, il Re gli rispose: «Non sai tu che la nostra anima è composta di armonia ed armonia si ingenera in istanti ne' quali la proporzionalità degli obbietti si fan vedere o udire? Non vedi che nella tua scienza non è proporzionalità creata in istante, anzi, l’una parte nasce dall’altra successivamente, e non nasce la succedente se l’antecedente non muore? Per questo giudico la tua invenzione essere assai inferiore a quella del pittore, solo perchè da quella non componesi proporzionalità armonica. Essa non contenta la mente dell’uditore o veditore, come fa la proporzionalità delle bellissime membra componitrici delle divine bellezze di questo viso che m’è dinanzi, le quali in un medesimo tempo tutte insieme giunte mi danno tanto piacere, con la divina loro proporzione»10. Attraverso questo passo, in cui le arti si incominciano già a dividere in temporali e spaziali, Leonardo ci svela il fondo di una stupefacente paura: che una convenzione intellettuale (quella che permette di presentare un tutto, immerso nel tempo e decomposto nelle sue parti) opponga la natura all’arte, e spogliando l’arte del privilegio di fare una sintesi delle cose, la costringa a rinunziare a quel microcosmo, modellato sulla natura, che in una sintesi immediata ha il suo fondamento.
Si capisce quindi perchè Leonardo, quando considera questa sintesi, si lasci invadere quasi da un’ingenua soddisfazione. L’universo si distingue «dalle opere degli uomini» che l’hanno cantato nella letteratura, perchè presenta in un solo istante gli infiniti effetti di tutte le sue premesse, come sospesi da una bacchetta magica. Ma il pittore non è forse «fuori del tempo» come un piccolo Dio?
«Noi abbiamo la dimostrazione degli effetti» 11 esclama gloriosamente, mentre la poesia ha soltanto «gli effetti delle dimostrazioni». La pittura, direi per commentar questo passo nebuloso e inquietante, è un mondo come quello della natura, che allo stesso tempo commuove e dà la chiave della commozione, che, dopo averli riempiti di un sentimento, rimane paziente e immobile dinnanzi agli uomini, perchè studiandola possano ritrovare in lei «le dimostrazioni degli effetti»; mentre la poesia, per il fatto che le parole si succedono, come nascendo e consumandosi continuamente, produce in noi «un effetto», ma non ce ne offre mai «la dimostrazione». Inammissibile e strana idea che abbiamo cercato alla meglio di interpretare. Leonardo stesso, d’altronde, vuol commentarla:
«Tolgasi un poeta, scrive, che descrive le bellezze di una donna al suo innamorato, e tolgasi un pittore che la figuri: vedrassi dove la natura volgerà più il giudicatore innamorato» 12.
La pittura, più che la poesia, si avvicina all’ideale artistico di Leonardo, il microcosmo, il mondo analogo della natura. Ed è infatti, «più mirabile quella scienza che rappresenta le opere di natura che quella che rappresenta le opere dell’operatore; cioè le opere degli uomini, che sono le parole, com’è la poesia e simili, che passano per la umana lingua» 13. E poiché la natura, quando la contempliamo, ci riempie di godimento, l’ultimo fine della pittura è un piacere analogo. Per darcelo, l’uomo ha creato un’arte che riunisse insieme tutte le qualità sopraddette. La pittura, dice Leonardo, «dà quel piacere al senso massimo, qual dare possa alcuna cosa creata dalla natura» 14.
Questa mi pare, per quanto falsa, una delle più solenni confessioni di Leonardo; perchè ci lascia intendere come la natura sia veramente un gran modello d’ordine interno da far rivivere.
Si capisce dunque che Leonardo concluda: «la pittura è filosofia, perchè la filosofia
8. Ferrero tratta del moto aumentativo e diminutivo» 15.
Per quanto ci appaia imprecisa e forse un po’ candida, questa definizione 16 si può contrapporre ai principi! estetici dell’Alberti e di Piero della Francesca, che riavvicinavano, se mai, la pittura alla geometria.
Filosofia è contrapposta a geometria, come scienza delle leggi, dell’ordine e delle relazioni tra le cose, è contrapposta a scienza delle immagini e della decorazione.
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Leonardo glorifica dunque la pittura per quattro ragioni: perchè è universale; perchè supera sè stessa e cioè commuove gli uomini non come pittura, ma come mondo; perchè offre all’occhio una sintesi immediata; e finalmente perchè, valendosi di questi elementi, riesce a darci un piacere analogo a quello della natura. La pittura ha uno scopo: il microcosmo. D’altra parte, come la natura, è sottomessa a delle necessità. Per raggiungere il microcosmo il pittore deve essere disciplinato da certe leggi. Nella pittura Leonardo vede sopratutto un piano (necessità), su cui egli vuole raffigurare lo spazio, l’ombra, la luce, l’uomo, le vegetazioni, non solo badando alla loro veste esteriore, ma pensando alle leggi universali che li governano; una superficie, su cui vuol suscitare (microcosmo) quell’infinito numero di relazioni tra distanze, colori e forme, che sembrava il privilegio della natura. Ma l’uomo non può raggiungere questo risultato che umiliandosi e irrobustendosi nell’obbedienza di certe leggi — sovrane e ineluttabili come quelle dell’universo.
«Dico essere più difficile — scrive quella cosa che è costretta a un termine, che quella che è libera. Le ombre hanno i loro termini a certi gradi, e chi n’è ignorante, le sue cose saranno senza rilievo, il quale rilievo è l’importanza e l’anima della pittura. Il disegno è libero, imperocché si vedrà infiniti volti, che tutti saranno varii. E chi avrà il naso lungo e chi lo avrà corto. Adunque il pittore può ancora lui pigliare questa libertà, e dov’è libertà non è regola» 17.
Leonardo, esteta e pittore, smania inv... per delle regole, per delle leggi. Che sono infatti, in un certo senso, i principi del contrapposto, del chiaroscuro, del lume e dell’ombra, del rilievo, della profondità, della prospettiva, della convenienza psicologica e del parco uso dei colori, se non le grandi leggi pittoriche, che nel sistema di Leonardo fanne riscontro alle leggi della natura?
Ha torto in fondo il Berenson di spaventarsene e di tenerle per degli esempi di un primo incartapecorimento accademico. In Leonardo sono solenni e vive, perchè rappresentano quell’inquadratura universale, che fa di un’opera d’arte un mondo analogo al mondo. Per quanto rigorose e nette, non servono a chi manca di genio. Fin dalle prime pagine del Trattato, Leonardo aveva detto che ci sono delle scienze imitabili e delle scienze inimitabili. «Le scienze che sono imitabili sono in tal modo, che con quelle il discepolo si fa uguale all’autore, e similmente fa il suo frutto; queste sono utili all’imitatore, ma non sono di tanta eccellenza quanto quelle che non si possono lasciare per eredità, come le altre sostanze. In fra le quali la pittura è la prima; questa non s’insegna a chi natura nol concede, come fan le matematiche, delle quali tanto ne piglia il discepolo, quando il maestro gliene legge» 18.
Si capisce, ad ogni modo, come lo stesso rigore e la stessa parzialità di queste leggi gli siano cari, perchè non mai come quando una regola è scomoda, ci si illude che sia davvero obbiettiva. Quando guardava un quadro, Leonardo infatti si andava persuadendo che, come le leggi naturali, anche quelle leggi che aveva in verità concepite lui, gli fossero state imposte da una fatale determinatezza dell’arte, di cui si sentiva l’umile schiavo. Coi pennelli nel pugno, vedendosi a poco a poco nascere un microcosmo dinnanzi agli occhi, si persuadeva invece d’avere imposte quelle leggi con la sua volontà creatrice.
«Per questo concluderemo — scrive della pittura — non solamente essere scienza, ma una deità essere con debito nome ricordata, la quale deità ripete tutte le opere viventi fatte dal sommo Iddio!» 19. E arriva alla conseguenza logica di questa premessa: sente crescere in sè medesimo la forza di un Dio.
«La Deità che ha la scienza del pittore, fa che la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina» 20.
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Mi si potrà dire che per dipingere un quadro, non ci sarebbe nessun bisogno di partire da così lontano e di avere delle ambizioni così vaste, e che forse Leonardo, nel tempo stesso in cui vedeva nella natura un ordine da ricomporre, ci vedesse, come gli altri pittori del Rinascimento, anche un semplice spettacolo da imitare. Niente di più probabile. Sta di fatto però, anche se in parte egli ha visto la natura come i suoi contemporanei e anche se i contemporanei hanno in parte vista la natura come lui, che si sente in Leonardo una volontà architettonica, un’ambizione smaniosa di lottare contro la tela e contro le mestiche, di cui non si vede traccia negli altri. Che Leonardo fosse sempre scontento di sè medesimo non deve meravigliare, quando si pensa che, dipingendo un quadro, si struggeva di creare un piccolo mondo. Partendo da più lontano e volendo arrivare più in là, si fermava poi, fatalmente, allo stesso punto degli altri; ma a noi la smania di questo filosofo sognatore servirà più dell’opera dell’artista. Come Cristoforo Colombo, si può dire di Leonardo che ha scoperto l’America credendo di andare in India. La chiave della sua estetica è in questo inutile struggimento, in questa bizzarra e immortale infatuazione di idee.
Note
- ↑ [p. 124 modifica]Richter, 20.
- ↑ [p. 124 modifica]B. 36.
- ↑ [p. 124 modifica]B. 9.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 70.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 34.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 10.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 19.
- ↑ [p. 125 modifica]Kant, Critica del Giudizio. Traduz. di A. Gargiulo, Bari, Laterza, pag. 45.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 18.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 23.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 15.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 15.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 3.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 18.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 5.
- ↑ [p. 125 modifica]Anche il Ghiberti, nei Commentarii, scrive che la pittura è filosofia; ma si tratta, mi pare, di una semplice coincidenza di parole.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 121.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 4. — Vedi, a questo proposito, Kant quando scrive che «il genio è il talento di produrre ciò di cui non si può dare una regola determinata» (Op. cit., pag. 44) che «tutto ciò che Newton ha esposto nella sua immortale opera dei principi della filosofia naturale, per quanto a scoprirla sia stata necessaria una grande mente, si può bene imparare; ma non si può imparare a poetare genialmente, per quanto siano minuti i precetti della poetica ed eccellenti i modelli», (pag. 45).
- ↑ [p. 125 modifica]B. 130.
- ↑ [p. 125 modifica]B. 65.