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che agli occhi di una danzatrice sono gli atteggiamenti dei contadini, in cui si ritrovano i ritmi e i suggerimenti di un ballo.
Leonardo, invece, considerava la natura come il line supremo dell’arte — e questo forse, lo ammetto, non era che l’ambizione teorica di un visionario — perchè voleva raggiungere un microcosmo, creare cioè col pennello un piccolo mondo in cui tutte le cose si sentissero vivere, non solo come superficie, ma come oggetti sottomessi a una necessità, densi e gravi di leggi. Sarebbe stato felice se Balzac avesse potuto chiedere ansiosamente dinnanzi a un suo quadro, come fece dinnanzi a un paesaggio dipinto, in cui fumava una piccola casa di contadini: «Questi uomini, che fanno mai? Si amano? Litigano? Sono felici? Pagano i debiti?»
Ma al tempo stesso considerava la natura come un modello, perchè a questo microcosmo Leonardo voleva arrivare inquadrando l’arte in una cornice di leggi, analoga a quella che regola l’universo. Anche l’arte per Leonardo è infatti sottoposta a delle necessità. Il piano è la grande necessità del quadro; l’immobilità della statua. Nel mondo dell’arte, come in quello della natura, questa necessità suscita delle leggi che disciplinano l’uomo. Di tutte le