La scienza nuova - Volume I/Introduzione dell'editore/IV

IV. Di questa edizione

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Introduzione dell'editore - III Titolo
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IV


Dalla precedente esposizione già si delineano le varie questioni e difficoltà che occorreva risolvere e superare per allestire un’edizione della seconda Scienza nuova, che rispondesse ormai alle legittime esigenze degli studiosi; e cioè che, insieme con la criticità e la completezza, offrisse anche il requisito d’un largo commento storico.

Cominciamo dal testo. Che fosse da tenere a fondamento l’edizione del 1744 debitamente collazionata sul manoscritto autografo, è fuor di discussione. Senonchè codesta edizione doveva essere riprodotta diplomaticamente, ossia rispettando grafia, punteggiatura e perfino quell’affannoso avvicendarsi di caratteri tondi, corsivi e maiuscoli, a cui innanzi si è accennato? Astrattamente considerando, parrebbe che quello della Scienza nuova fosse proprio uno dei casi in cui «edizione critica» ed «edizione diplomatica» diventano sinonimi. Infatti, pur non volendo tener conto che riproduzioni più o meno diplomatiche hanno dato i precedenti editori, ci sarebbe sempre da affermare senza tema di errore che, dal momento che quella grafia, quella punteggiatura e quel bizzarro alternamento di caratteri erano stati voluti di proposito dall’autore per raggiungere speciali effetti artistici (o antiartistici), obbligo d’un editore coscienzioso era per l’appunto quello di rispettarli con la maggiore scrupolosità. Al quale obbligo noi, in principio del nostro lavoro, non intendevamo punto di sottrarci; tanto più che ci si sarebbe risparmiata di non poco la fatica. Senonchè, quando poi abbiamo cominciato a tradurre in atto la [p. lxiv modifica]sione del precedente ragionamento, ci è venuta spontanea la domanda: — Ma in fondo quali vantaggi pratici offre siffatta riproduzione diplomatica? — A dir vero, alla nostra mente non se ne è presentato se non un solo: quello cioè di esibire ancora una volta un documento lungo parecchie centinaia di pagine, che il Vico soleva scrivere a quel modo, punteggiare a quel modo e trasformare a quel modo una pagina di stampa quasi in una carta geografica. Troppo poco, a parlar franco: tanto poco, anzi, da non potersi sostenere nemmeno per un istante sulla bilancia di fronte a una lunga serie di svantaggi, non ultimo dei quali quello che la Scienza nuova libro per se stesso di non facile intendimento, riesce ancora più difficile nello strano aspetto esterno datole dall’autore. D’altra parte occorreva proprio una documentazione così piena d’un fatto che in un’opera di pensiero è d’interesse secondario? o non bastava asserirlo puramente e semplicemente, offrendo a guisa di saggio un facsimile dell’autografo vichiano?

Tutte queste considerazioni, e l’aver trovato in autorevoli scrittori espresso il desiderio che si togliesse una buona volta dall’opera vichiana quella brutta patina, che ne rendeva ancora men chiara la visione1, ci hanno [p. lxv modifica]risoluti a mettere definitivamente da banda il disegno di una riproduzione diplomatica. Con che, naturalmente, non vogliam dire che non abbiamo dedicati tutti i nostri sforzi, mercè parecchie collazioni, affinchè questa che ora offriamo non sia fedele fino allo scrupolo. Tutte le nostre innovazioni si assommano in tre capi:

a) Riduzione delle varie fogge di carattere a un carattere unico («tondo comune»), adoperando il «corsivo» semplicemente pei brani in lingue non italiane e pei titoli dei libri citati, e servendoci (assai di rado per altro) dello «spazieggiato» per dare rilievo a qualche parola o frase, su cui ci è parso veramente indispensabile richiamare l’attenzione del lettore.

b) Ammodernamento della grafìa, limitato per altro a quei soli casi in cui tra la forma vichiana e quella odierna non vi sia alcuna differenza fonetica. Quindi tutte le forme peculiari del Vico, anche se spropositate (p. e.: «propio», «sappiente», «traccurare», «bibbico», «istrappazzare» ecc.) sono state sempre rispettate.

c) Rifacimento totale della punteggiatura. In ciò non abbiamo avuto scrupoli: anzi abbiamo trattato il testo vichiano come materia bruta, cui convenisse dare aspetto di prosa mediante una razionale interpunzione. Tra le cure da noi dedicate alla presente edizione, questa forse è stata la più molesta. E ciò non tanto perchè ci si sono presentate, tutt’altro che raramente, questioni d’interpetrazione, che conveniva dirimere punteggiando in un modo o in un altro (donde la necessità di ricorrere spesso a fonti sussidiarie, ossia alle altre opere del Vico, per esser sicuri del pensiero di lui); quanto perchè, a cagione di [p. lxvi modifica]tutte le cose esposte innanzi, lo stile vichiano è completamente refrattario a una punteggiatura razionale. Si ha un bel voler incominciare, per contraddistinguere con relativa perspicuità gl’incisi, dai tratti, e poi aprire parentesi, e infine contentarsi di semplici virgole: col Vico si giunge quasi sempre al punto che siffatta gradazione discendente non è possibile per materiale mancanza di segni grafici. Si ha un bel dividere in due, in tre, in quattro, i periodi troppo lunghi, o (caso assai più raro) fonderne in un solo due o tre eccessivamente brevi: i nuovi periodi, che risultano da codesta scissione o fusione, presentano sempre qualcosa d’irrimediabilmente zoppicante. Si ha un bell’aumentare o diminuire i capoversi: resteranno sempre, per la natura stessa dell’argomento, pagine intere nelle quali non è possibile concedere al lettore un sol momento di respiro, e altre in cui gliene si debbono dare troppi. Insistere su ciò ci sembra superfluo, perchè finiremmo col ripetere quanto abbiamo detto sopra circa la struttura del periodo vichiano. Il difetto è intrinseco, e come al Vico non riusciva di rimediarvi cogli espedienti avanti accennati, così tanto meno poteva riuscire a noi, che non potevamo fare altro che mutare, aggiungere o togliere qualche segno d’interpunzione. — Senonchè ci sembra che se, con la punteggiatura da noi adottata, per quanto essa possa essere migliorata di molto (e noi stessi ci auguriamo di migliorarla in successive ristampe, facendo anche sparire quel po’ d’incertezza che v’è nelle prime pagine), la Scienza nuova guadagna ben poco in euritmia sintattica, essa, per converso, acquisti parecchio in perspicuità; ch’è poi il miglior servigio che un editore poteva rendere al Vico.

Due altre avvertenze ci restano a fare intorno al testo.

Abbiamo parlato innanzi spesso di sezioni in cui è diviso ciascun libro, e di capitoli in cui è suddivisa [p. lxvii modifica]ciascuna sezione. Ora codesto sistema di partizione, per quanto sia implicito nella seconda Scienza nuova, non è per altro adoperato in essa esplicitamente, almeno in modo chiaro. Vale a dire, il Vico dà un numero progressivo solamente ai libri, ma non alle divisioni e suddivisioni di ciascuno di essi, limitandosi a scrivere, dei titoli delle une e delle altre, alcuni in caratteri maiuscoli (segno di divisione primaria: sezione), altri in carattere minuscolo (segno di divisione secondaria: capitolo). Perchè dunque tutto ciò risultasse in modo più evidente, e anche per rendere più agevoli le citazioni, abbiamo numerato progressivamente, tra parentesi quadre, le diverse sezioni e, nell’interno di queste, sempre tra parentesi quadre, i vari capitoli.

Un’altra innovazione abbiamo compiuta rispetto alle Annotazioni alla tavola cronologica (libro I, sezione I). Il Vico aggiunge ad alcuni dei lemmi della Tavola cronologica lettere alfabetiche (A, B, C, ecc., e poi Aa, Bb, ecc.). Queste stesse lettere servono nelle Annotazioni a numerare le note corrispondenti a quei lemmi, senza che questi vengano ripetuti. Il "Weber alle lettere alfabetiche sostituì numeri cardinali: il Ferrari conservò la numerazione alfabetica, ma aggiunse, per maggior chiarezza, in carattere corsivo, a principio di talune annotazioni i lemmi rispettivi. Noi alla progressione alfabetica abbiamo sostituito numeri ordinali, e a tutte le annotazioni abbiamo aggiunto a guisa di titoletti, tra parentesi quadre, i lemmi a cui esse si riferiscono.

Passiamo alle varianti. Crediamo appena necessario ricordare che il testo del 1744, quantunque dia la forma definitiva in cui il Vico volle presentare l’opera sua, sia ben lontano dal rappresentare tutta la seconda Scienza nuova. Troppe cose e troppo importanti il Vico tolse via nell'ultima redazione, perchè non si sia obbligati, in una edizione che vuol essere completa, a tener conto anche [p. lxviii modifica]delle redazioni anteriori. Abbiamo visto ciò che fece il Ferrari nelle sue due edizioni. Il nostro compito era alquanto più complesso. Abbiamo anzi tutto, come lavoro preparatorio, collazionato CMA1 con SN2; CMA2 con SN2 e CMA1; CMA3 con SN2, CMA1 e CMA2; e CMA4 con SN2, CMA1, CMA2 e CMA3 per istabilire con esattezza ciò che ciascuna redazione (in ognuna delle quali, come s’è detto, è rifusa una parte delle precedenti) contiene di veramente nuovo di fronte a quelle che hanno più antica data. Finalmente, abbiamo collazionato SN3 con SN3, e con gli spogli ottenuti, mercè l’anzidetto confronto, da CMA1, CMA2, CMA3 e CMA4; riuscendo così ad assodare quali e quanti brani erano stati soppressi o sostanzialmente mutati nella redazione definitiva (giacché, seguendo in ciò l’esempio del Ferrari, abbiamo creduto inutile tener conto delle varianti meramente formali), e in quale delle redazioni a questa precedute essi erano primamente comparsi. Confessiamo che un lavoro di cotal genere, che abbiamo rifatto due volte, nell’apparecchiare il manoscritto e, per controllo, nella revisione delle bozze (e ci auguriamo che non ci sia sfuggito nulla d’importante), ha quasi prodotto su noi lo stesso effetto che la lettura dei libri di cavalleria sul povero don Chisciotte: quello cioè, secondo l’immaginosa frase del Cervantes, di seccarci, almeno momentaneamente, il cervello. Ma miglior premio non ne potevamo raccogliere; giacché quale più bella soddisfazione per un editore vichiano, che offrire una Scienza nuova per un buon terzo inedita o almeno ignorata?

Senonché era tutt’altro che facile, a lavoro compiuto, d’esibire il risultato delle nostre indagini in modo tale, che raggiungesse, nello stesso tempo, i vantaggi della concisione, della perspicuità e della completezza. Dopo aver tentati vari sistemi, ci siamo convinti che il migliore [p. lxix modifica]era sempre quello adottato dal Ferrari: dare, cioè, i singoli brani a pie di pagina, a guisa di varianti. Perchè non avvenissero confusioni, abbiamo stampate queste varianti in carattere intermedio fra quelli adoperati pel testo e per le note propriamente dette, contraddistinguendole con lettere alfabetiche progressive: la prima parola di ciascuna di esse si attacca a quella che precede immediatamente il relativo segno di richiamo nel testo; le ultime, stampate in «corsivo», corrispondono a quelle identiche del testo (che talvolta si trovano una o più pagine dopo), cui bisogna riattaccarsi per proseguire nella lettura.

E quasi inutile avvertire che, dovendo noi riferire di cinque, o meglio (calcolando anche gli esemplari postillati della SN2 e CMA3*) di sette redazioni, le combinazioni che ci si sono presentate sono state varie, e non sempre di facile risoluzione.

1°) Un brano (sottintendiamo sempre «soppresso o mutato sostanzialmente in SN3») si trova in SN2 o in CMA1, CMA2, ecc., senza giunte o correzioni importanti nelle redazioni successive. — Lo abbiamo riferito tal quale, senza aggiungere nessuna speciale sigla per indicarne la provenienza, quando esso apparteneva alla SN2; o ponendo a principio tra parentesi quadre la sigla relativa, se era tratto da CMA1, CMA2 e via dicendo.

2°) Un brano si trova, come sopra, in SN2, con correzioni semplicemente formali o piccole giunte negli esemplari postulati. — Abbiamo tenuto conto di queste giunterelle e correzioni, senza avvertirne di volta in volta il lettore, perchè ciò ricorre quasi in ogni variante.

3°) Un brano si trova in SN2, ma è parzialmente o totalmente cancellato negli esemplari postillati. — Lo abbiamo riprodotto integro, avvertendo della totale o parziale cancellazione tra parentesi quadre. [p. lxx modifica]4°) Un brano si trova in SN2 (o in CMA1, CMA2, CMA3 o CMA3*), con giunte in una o più redazioni successive. Abbiamo intercalate le giunte ai luoghi rispettivi, facendole precedere dalla sigla corrispondente alla redazione da cui son tolte, e seguire dalla sigla SN2 (o CMA1, CMA2 ecc.) per indicare la ripresa del primitivo testo.

5°) Un brano si trova in SN2 (o CMA1, CMA2 ecc.), con modificazioni in redazioni posteriori. — Qui bisogna distinguere tra a) mutamenti veri e propri di pensiero, b) e ampliamenti o raccorciamenti. Nel primo caso abbiamo data la forma più antica, aggiungendo subito dopo, tra parentesi quadre, la modificazione o le modificazioni posteriori; nel secondo, abbiamo scelto di regola la forma più ampia.

6°) Un brano è identico in due o più redazioni (caso che si verifica soltanto a cominciare da CMA1). Lo abbiamo dato con la sigla corrispondente alla redazione più antica.

7°) Un brano di SN2 o di qualche altra redazione è, non già propriamente soppresso in SN3, ma semplicemente anticipato o posposto o frantumato qua e là. — Non lo abbiamo riferito, ma ci siamo limitati a render conto, tra parentesi quadre, dell’anticipazione, posposizione o frantumamento.

Queste le combinazioni che si sono presentate più di frequente e per le quali ci è parso necessario di dare in principio gli opportuni chiarimenti: per altri casi più rari, abbiamo aggiunte di volta in volta, tra parentesi quadre, ai luoghi rispettivi, le convenienti spiegazioni. Ultima avvertenza che ci resti qui da fare è che, quando si trattava di interi capitoli soppressi, abbiamo creduto utile, anziché di relegarli a pie di pagina insieme con l’altra massa di varianti, d’incorporarli al testo; aggiungendo, per altro, accanto al numero d’ordine del capitolo, la sigla [p. lxxi modifica]corrispendentealla redazione cui esso appartiene, affinchè il lettore possa scorgere a colpo d’occhio che esso non fa parte di quella definitiva2.

Una sola cosa la nostra edizione non contiene di quelle date dal Ferrari a questo proposito: la tavola, anzi le due tavole, a cui si è innanzi accennato3. La ragione è ovvia. Riprodurre puramente e semplicemente quelle dell’editore milanese, in cui l’esame comparativo è limitato alla SN2 e SN3, non era possibile. Avremmo quindi dovuto o suddividere ciascuna tavola in tante tabelle quante sono le redazioni della Scienza nuova, oppure ricorrere all’elegante espediente di ripartire ogni tavola in un numero corrispondente di colonne. Nell’uno e nell’altro caso avremmo durata una fatica improba, aumentato il libro d’un non esiguo numero di pagine, incontrate chi sa quante difficoltà d’indole tipografica; e tutto ciò per raggiungere uno scopo d’assai dubbia utilità. L’essenziale era di dare integra la seconda Scienza nuova: le tavole sul tipo di quelle del Ferrari son di quei raffinamenti, i quali, di certo, non guastano, ma che, dopo aver cagionata una perdita di tempo infinita, si scopre quasi sempre che, a conti fatti, non servono a nulla.

Ed eccoci finalmente a discorrere delle nostre note. Di un cemento perpetuo alla Scienza nuova non si era finora fatto il tentativo, tranne che (nella misura limitata che s’è vista) dal Weber; sicché bisognava quasi costruirlo ex novo. Occorreva anzi tutto stabilirne l’indole. Taluno forse avrebbe desiderato veder corredata questa nostra edizione di un largo apparato filosofico. Ma, lasciando stare che un cemento di tal sorta non era consentite dalle [p. lxxii modifica]norme generali della collezione di cui questo volume fa parte, e avrebbe richieste forze ben altrimente poderose di quelle di cui disponiamo, la Scienza nuova è uno dei libri che meno si presta ad annotazioni di siffatto genere. Il Vico nello scriverla ebbe in mente tutt'altro che di esporre un sistema filosofico e nemmeno singoli problemi filosofici: la sua filosofia, quindi, bisogna ricostruirla pezzetto per pezzetto, desumendola talvolta perfino dal punto di vista da cui egli si pone nel considerare una questione storica o letteraria. Ora questa non è materia da cemento: tutto al più poteva formare oggetto di una introduzione critica. E quest’introduzione, che noi non potevamo né sapevamo dare, l’ha scritta in vece nostra Benedetto Croce col suo già ricordato libro su La filosofia di G. B. Vico; il quale forma parte così integrante del presente volume, che non sapremmo consigliare a chi sia ancora digiuno di studi vichiani di accingersi alla lettura della Scienza nuova (nella qual lettura si saltino via per la prima volta l'Idea dell’opera e le Annotazioni alla Tavola cronologica e si cominci dalle Degnità) senza valersi anzi tutto di quel libro come propedeutica, e senza ripercorrerlo a lettura compiuta, per poter tornare una seconda e terza volta al testo vichiano con adeguata preparazione circa i problemi che vi si agitano.

La sola cosa veramente utile, che si poteva fare nel campo filosofico da un cemento, era già stata fatta, e in modo eccellente dal Ferrari, mercè le belle note di cui abbiamo già discorso, poste, a cominciare dal secondo libro, a principio di ciascun capitolo. Appunto per ciò le abbiamo fatte tutte nostre, apportando in esse qualche lieve modificazione di cui non è il caso di rendere conto: semplicemente, invece di porle a piè di pagina insieme con quelle che ci appartengono, le abbiamo date a guisa di [p. lxxiii modifica]sommari, tra parentesi quadre, subito dopo i titoli dei singoli capitoli.

Pel medesimo motivo, oggetto del nostro comento non potevano essere le linee generali della storiografia vichiana: lavoro anch’esso ricostruttivo e compiuto in modo maraviglioso dal Croce. Il nostro compito insomma doveva limitarsi a una illustrazione, quanto più si poteva completa, di particolari filologici, intendendo l’aggettivo nell’accezione latissima che gli dava il Vico. Occorreva cioè:

a) Controllare tutte le citazioni fatte dal Vico, additando pei libri medievali e moderni (oggi quasi tutti dimenticati) i titoli in extenso, e non già limitandoci a indicare il luogo preciso a cui egli voleva rimandare, ma informando anche il lettore, mercè il riferimento (integrale o per riassunto) dei singoli passi, delle inesattezze, e talvolta gravi errori, da lui commesse.

b) Aggiungere, col medesimo sistema avanti detto, anche le citazioni non fatte dal Vico, o fatte in modo vago («eruditi dicono», «ci è giunta tradizione», e simili); ossia indicare, fin quanto era possibile, le fonti di cui egli si serviva e il modo, quasi sempre assai singolare, in cui egli le adoperava.

c) Chiarire le numerose allusioni storiche e rettificare la non piccola quantità di errori di fatto commessi dal Vico, tentando di indagarne le cause, e a ogni modo distinguendo tra errori suoi personali (che sono la maggior parte) e quelli dovuti, più che a lui, alla cultura del suo tempo. Naturalmente anche in codesta materia ci siamo limitati a semplici errori di particolari; quindi non abbiamo apposta nessuna nota per rettificare, a mo’ d’esempio, la concezione vichiana della storia ebraica dal Diluvio in poi, o altri argomenti dello stesso genere. E di regola ci siamo ben guardati dal correggere una per [p. lxxiv modifica]una le arbitrarie etimologie e le non meno arbitrarie interpetrazioni che il filosofo napoletano dava di questo o quel mito; e ancora meno c’è venuto in mente (cosa che sarebbe stata di pessimo gusto) di contrapporre a una derivazione etimologica o a una ricostruzione mitologica vichiana quelle che oggi godono maggior favore, e che forse (ci si perdoni il nostro scetticismo in codesta materia), non ostante gl’innegabili progressi della filologia comparata, non hanno talvolta più solidi fondamenti di quelle escogitate dalla fervida fantasia di Giambattista Vico.

Che anche se limitata a questi tre punti, la nostra indagine dovesse riuscire tutt’altro che agevole, è cosa che chiunque abbia un po’ di pratica con lavori siffatti, può facilmente immaginare.

Il Vico era uomo di vasta cultura; assai disordinata e frammentaria, se si vuole, ma vasta. Aveva letto, da adolescente nella botteguccia di libraio del padre, da giovane nel castello di Vatolla, e diventato uomo maturo nella biblioteca dei Gerolamini, un mondo di libri (talvolta rari e curiosi) intorno ai più diversi argomenti: teologia, filosofia, storia, archeologia, letteratura, giurisprudenza, fisica, medicina, numismatica e, andando giù giù, perfino astrologia e araldica. La sua conoscenza, specialmente in poetica, come allora si diceva, e in linguistica, dati i tempi in cui viveva, non poteva essere più piena. Le tracce di tutte queste letture s’incontrano a ogni passo nella Scienza nuova che tra i grandi libri filosofici è forse quello che si presenta maggiormente armato da un formidabile apparato erudito.

Se cotanta sciupata erudizione fosse restata nella mente del Vico totalmente separata (come è in effetto) da quelle che sono realmente le sue grandi idee e le sue grandi scoperte, non v’ha dubbio che essa sarebbe stata [p. lxxv modifica]di gran lunga più esatta, e la nostra fatica conseguentemente ci sarebbe riuscita meno ingrata. Il guaio è che quel dio, che si agitava in lui quando faceva il filosofo o lo storico dalle grandi linee, non lo abbandonava nemmeno quando, scendendo parecchi gradini, si dava a far l’erudito. Se per caso si poneva a leggere un libro, anche il più frivolo e insulso, finiva sempre col trovare in un periodo, in una frase, in una parola, un addentellato con la sua Estetica, con la sua Morale, con i suoi canoni di ermeneutica storica. Bastava ciò perchè egli si suggestionasse e perchè quel libro acquistasse agli occhi suoi contenuto e valore assai diversi (se non a dirittura opposti) dalla realtà.

A questo difetto originario, che era tale da rovinargli tutte le citazioni, s’aggiunga che il Vico, nonché esser dotato da madre natura d’un amore almeno platonico per la diligenza e per l’esattezza, nutriva per queste due virtù erudite il più sovrano disprezzo. «La diligenza — egli dice4 — dee perdersi nel lavorare d’intorno ad argomenti c’hanno della grandezza, perocch’ella è una minuta e, perchè minuta, anco tarda virtù». E circa l’esattezza, pochi uomini hanno sofferto quel che si dice «malattia dell’inesattezza» in grado così acuto. Credevamo di aver altra volta5 additato un esempio tipico in un luogo dell’edizione del 17306 (poi corretto in CMA2), in cui il Vico, volendo esporre l’argomento del primo libro dell’Iliade, lui che s’era torturato una vita intera intorno alla questione omerica, c’ informa che Achille «per un puntiglio ingiusto non acconsente di restituirsi Criseide [p. lxxvi modifica]al padre Crise, sacerdote di Apollo, per la quale lo dio fa scempio dell’esercito greco con crudelissima pestilenza; e dappoi presovi giusto compenso Agamennone, e toltagliela e restituitala al vecchio padre, perchè nella division delle prede della guerra era la Criseide tócca ad esso lui [si badi: ad Achille], se ne richiama offeso con gli uomini e con gli dèi», e via discorrendo. Ma possiamo ora esibire qualcosa di meglio. Il Vico non sapeva essere esatto nemmeno quando citava se stesso! Si legga un passo della terza Scienza nuova7, in cui egli rimanda alla prima, citandone il capo [ossia il libro] quarto, nel quale avrebbe fatto vedere «i padri di famiglia, per quindeci aspetti diversi osservati nello stato delle famiglie e delle prime repubbliche nel tempo che si dovettero formare le lingue, essere stati appellati con altrettantidiversi vocaboli da quindeci nazioni antiche e moderne». Orbene il capo [o libro] non è il quarto, ma il terzo (§ o cap. 41); gli aspetti diversi con cui ivi vengono considerati i padri di famiglia non sono quindici, ma dodici; le denominazioni, tutt’altro che relative a questi aspetti, non sono altrettante (e cioè dodici), ma quindici; e finalmente le nazioni antiche e moderne che le usarono non sono quindici, ma sette o tutt’al più (volendo tener conto anche dell’espressione generica «barbari ritornati») otto.

Posto ciò, si può bene immaginare che cosa dovesse succedere quando al Vico, dieci, quindici, vent’anni dopo d’aver letto un passo, capitava di ricordarsene nella foga dello scrivere e di volerlo citare (giusta il sistema allora in uso anche presso gli eruditi di mestiere) a memoria, e quel che è peggio, adducendolo a sostegno di qualcuna delle sue teorie. Ben altro che «Codesto non [p. lxxvii modifica]vi mis’io», quantunque in altro senso, gli avrebbe detto, a mo’ d’esempio, Cornelio Tacito, se avesse potuto alzare per un momento la testa dal sepolcro! A tutto questo complesso di circostanze e non già alla poca cultura, o, come è stato sostenuto di recente, a spirito «àcrito»8, e tanto meno, come si è visto, all’aver attinte tutte le sue errate citazioni di seconda mano al Lessico dell’Hoffmann è dovuta l’inverisimile massa d’inesattezze, per non dire gravi spropositi, ond’è infarcita la parte erudita della Scienza nuova.

Da ciò un raddoppiamento di lavoro per noi; lavoro (ci si consenta per una volta di lodare noi stessi) tanto più meritorio in quanto noi pei primi siamo convinti (e abbiamo avuto altra volta a manifestare questa opinione9) della scarsa importanza di esso per la vera intelligenza e sopra tutto per la valutazione della Scienza nuova. Giacchè, ed è quasi inutile avvertirlo, tutti gli errori d’erudizione che abbiamo potuto notare, e gli altri che ci saranno sfuggiti, non solo non riescono nemmeno a scalfire la roccia granitica su cui poggia la fama del filosofo napoletano, ma non danno altro che una prova un po’ più abbondante d’un fatto ormai conosciuto da gran tempo: vale a dire che il sostrato erudito della Scienza nuova è assai fragile e su di esso non è da fare affidamento. Che anzi proprio l’aver potuto trovare così gran numero di volte in fallo il Vico, lungi dal suscitare in noi una «boria di dotti» o, per dir meglio, una sciocca [p. lxxviii modifica]e maligna vanità da eruditucci di provincia, deve renderci ancora più piccini e spingerci a guardare con raddoppiato senso di venerazione a quell’uomo veramente straordinario; il quale, movendo da documenti alterati, mutilati e falsificati dalla sua stessa fantasia (condizione assai peggiore di chi disponga di documenti guastati per opera altrui), e sfornito di tante qualità naturali, indispensabili per compiere l’ufficio di storiografo, seppe, con la sola forza del suo genio, assurgere a una costruzione storica di cui non si sa se ammirare maggiormente la vasta grandiosità o la profonda verità delle linee generali.

Soltanto se indirizzate a questo scopo, le nostre note potevano riuscire proficue; ed è perciò che dal canto nostro non abbiamo risparmiata fatica perchè fossero il meno indegne della grande opera a cui si riferiscono. Dire che ne siamo pienamente contenti, sarebbe asserire cosa contraria al vero, giacché fin da ora, quantunque giunti appena alla metà del lavoro, ci accorgiamo di lacune e imperfezioni che vanno riempiute o ritoccate. Ma ci è di scusa e conforto al tempo stesso la considerazione che lavori di simile genere non possono esser condotti a una relativa completezza e perfezione in una sola volta; e che, se prima di accingervisi bisogna guardare solamente in avanti, ossia mirare alla perfezione assoluta, è pur lecito, a lavoro compiuto, dare un’occhiata indietro, ossia, considerando a ciò che hanno fatto coloro che ci hanno preceduti nel medesimo campo, consolarsi col riflettere d’aver progredito di qualche passo. D’altronde auguriamo a noi stessi e anche a quella larga conoscenza del Vico fra tutte le persone colte (ch’è stato lo scopo precipuo di questa nuova edizione della Scienza nuova e delle varie pubblicazioni vichiane che escono con essa) di esser presto costretti a imprendere una ristampa del lavoro, per la quale [p. lxxix modifica]invochiamofin da ora la larga e affettuosa collaborazione di tutti gli studiosi del Vico.

Il che per altro non deve farci scordare qui dei nomi di coloro, i quali in questo primo abbozzo ci son voluti essere prodighi d’incoraggiamenti e di consigli. Menzionare Benedetto Croce e Giovanni Gentile può quasi sembrare un fuor d’opera, giacché non è studioso di filosofia in Italia, che non conosca l’amore con cui essi dirigono questa ormai gloriosa collana filosofica e la preziosa cooperazione che in essi trovano tutti coloro cui è dato di collaborarvi. Da essi ci fu suggerita l’edizione che ora presentiamo; in essi trovammo sempre una parola di sprone e di conforto in qualche momento di sfiducia che ci ha assaliti nel corso del lavoro; a essi siamo non poche volte ricorsi, e sempre con frutto, quando qualcuno dei tanti enigmi che ci si presentavano ci sembrava di troppo complicata soluzione. Pure daremmo prova d’assai ingratitudine, se accanto a questi due nomi, tanto a noi cari, non ricordassimo l’altro del dott. Gaetano Burgada della Biblioteca nazionale di Napoli, della cui cortesia e speciale competenza abbiamo usato e, saremmo per dire, abusato.

Napoli, maggio 1911.

F. N.

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SCIENZA NUOVA

  1. Tommaseo, op. e loc. cit., p. 9: «Molte oscurità della Scienza nuova si dileguerebbero, io credo, se meglio punteggiati stampassersi quei periodi con capiversi frequenti e meno caratteri corsivi, che l’attenzione, non che attrarre, dileguano». E più oltre (pp. 13-14): «Il Vico, qui come altrove, a rileggerlo attentamente, a togliere dai suoi periodi quelle divisioni di cifre romane, e a punteggiarlo altrimenti, riesce non pur elevato nel suo dire, ma splendidamente facondo: il Tacito insieme ed il Platone dei secoli che storia non hanno» — Si veda anche Cesare Cantù, Storia degli italiani (4a ediz., Torino, 1895, V, p. 331 n): «Perchè dei moderni editori [del V.] nessuno pensò a dargli punteggiatura alla moderna? Facendo quel che si praticò col Guicciardini [questo poi no, perchè il Rosini perpetrò un vero ], ne sarebbe grandemente agevolata l’intelligenza. Si dovrebbe anche far sparire la noiosa e inutile vicenda di carattere tondo e corsivo, che corre da capo a fondo dell’opera».
  2. Per distrazione la sigla CMA4 fu omessa a p. 1, accanto al titolo: Occasione di meditarsi quest’opera.
  3. Si veda più sopra, pp. lv, n. 4, e lvi.
  4. Si veda più oltre, pp. 11-2.
  5. Critica, VIII (1910), pp. 374-8.
  6. Si veda nel II vol., lib. II, sez. V, cap. VII.
  7. Si veda più oltre, p. 294.
  8. Si veda Pasquale Garofalo di Bonito, Acrisia vichiana nella SN (Napoli, Detken e Rocholl, 1909), intorno a cui scrissi una breve recensione in Critica, l. c. Da questo libro ho tratto qualche aiuto, il quale sarebbe stato di gran lunga maggiore, se la tesi polemica in esso sostenuta e altre ragioni (che indicai nel citato articolo) non ne scemassero di molto il valore.
  9. Critica, l. c.