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IV. di questa edizione lxv

risoluti a mettere definitivamente da banda il disegno di una riproduzione diplomatica. Con che, naturalmente, non vogliam dire che non abbiamo dedicati tutti i nostri sforzi, mercè parecchie collazioni, affinchè questa che ora offriamo non sia fedele fino allo scrupolo. Tutte le nostre innovazioni si assommano in tre capi:

a) Riduzione delle varie fogge di carattere a un carattere unico («tondo comune»), adoperando il «corsivo» semplicemente pei brani in lingue non italiane e pei titoli dei libri citati, e servendoci (assai di rado per altro) dello «spazieggiato» per dare rilievo a qualche parola o frase, su cui ci è parso veramente indispensabile richiamare l’attenzione del lettore.

b) Ammodernamento della grafìa, limitato per altro a quei soli casi in cui tra la forma vichiana e quella odierna non vi sia alcuna differenza fonetica. Quindi tutte le forme peculiari del Vico, anche se spropositate (p. e.: «propio», «sappiente», «traccurare», «bibbico», «istrappazzare» ecc.) sono state sempre rispettate.

c) Rifacimento totale della punteggiatura. In ciò non abbiamo avuto scrupoli: anzi abbiamo trattato il testo vichiano come materia bruta, cui convenisse dare aspetto di prosa mediante una razionale interpunzione. Tra le cure da noi dedicate alla presente edizione, questa forse è stata la più molesta. E ciò non tanto perchè ci si sono presentate, tutt’altro che raramente, questioni d’interpetrazione, che conveniva dirimere punteggiando in un modo o in un altro (donde la necessità di ricorrere spesso a fonti sussidiarie, ossia alle altre opere del Vico, per esser sicuri del pensiero di lui); quanto perchè, a cagione di



    sassinio], ne sarebbe grandemente agevolata l’intelligenza. Si dovrebbe anche far sparire la noiosa e inutile vicenda di carattere tondo e corsivo, che corre da capo a fondo dell’opera».