La moglie saggia/Atto I
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ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Anticamera nel palazzo della marchesa Beatrice, con una tavola in mezzo
con bocce di vino e bicchieri1.
Brighella, Arlecchino, Faloppa, Pistone intorno la suddetta tavola, che bevono2.
Arlecchino. Salute, patroni. (beve)
Brighella. Viva, compare Arlecchin. (beve)
Pistone. Evviva. (beve)
Faloppa. Che possiate vivere tanti anni, quanti bicchieri di vino3 ho bevuto in tempo di vita mia. (beve)
Arlecchino. Grazie, patroni. Evviva, e che la vaga. (beve)
Brighella. Paesan, questo l’è un bon vin. (ad Arlecchino)
Arlecchino. Eh, mi no son gonzo, l’è del meio che sia4 in cantina. Oè, l’è de quel che i beve de là in tavola della patrona.
Brighella. Bravo, cussì va ben. Gode i patroni, godemo ancora nu. Alla vostra salute. (beve)
Faloppa. Il mio padrone si beverebbe il mare5, se fosse vino.
Pistone. E il mio per mangiare non la cede ad un parassito.
Brighella. El mio el magna poco, el beve manco, ma l’è rabbioso co fa una bestia.
Arlecchino. Per quest ghe piase la me padrona, perchè anca eia l’è6 stizzosa come una vespa7.
Faloppa. Sì, voi dite bene. Il signor conte Ottavio, padrone vostro, colla signora marchesa Beatrice, padrona vostra, fanno all’ amore come i gatti. (a Brighella ed Arlecchino)
Arlecchino. Anca el conte Ottavio8 colla me padrona fa cussì, el grida sempre.
Brighella. L’è per altro una bella vergogna, che sto sior Conte me padron vegna qua a cicisbear colla signora9 Marchesa, e el fazza desperar quella povera signora contessa Rosaura so muier, che l’è bona come un agnello.
Pistone. Sapete la cosa com’è? Il vostro padrone è pentito di avere sposato la figlia d’un mercante. L’ha fatto per amore, e adesso che n’è sazio, conosce che ha fatto male.
Brighella. El doveva pensarghe avanti. Finalmente sior Pantalon l’è un marcante ricco e civil.
Arlecchino. El to patron l’ha fatto mal a no sposar la me padrona. (a Brighella)
Brighella. Perchè?
Arlecchino. Perchè i è rabbiosi tutti do, e s’avaria visto una nova razza de rospi.
Brighella. E la mia padrona l’è tanto bona e paziente.
Pistone. Il mio padrone, il signor Florindo, lo conosci? (a Brighella)
Brighella. Oh se lo conosso.
Pistone. Oh, quello è una buona limosina: si caccia per tutto, vuol saper tutto, e poi nelle botteghe conta tutto, e fa commedia di tutti.
Faloppa. Ed il mio padrone mangia e beve da questo e da quello, e fa l’adulatore.
Pistone. Tale10 e qual come il mio, fa l’amico a tutti, e poi li sbeffa.
Faloppa. Il mio è una razza bella e buona11.
Brighella. El mio l’è un diavol, nol se pol sopportar.
Arlecchino. E la me padrona! Maledetta! L’è insatanassada.
Brighella. Orsù, bevemo. Alla estirpazion dei padroni cattivi.
Arlecchino. Alla conservazion dei salari.
Pistone. Alla salute della libertà.12 (tutti bevono)
SCENA II.
Lelio, Florindo da una camera, e detti.
Lelio. Faloppa.
Florindo. Pistone. (Tutti s’alzano. Faloppa e Pistone vanno ad accendere le lanterne13)
Florindo. Andiamo.
Arlecchino. Comandela torzo?14
Lelio. Non importa.
Arlecchino. Servitor umilissimo. (Manco fadiga, e più sanità). (da sè, parte con Brighella)
Lelio. Che vi pare di questa cena?
Florindo. Per essere stata improvvisa, non vi è male.
Lelio. Tutta roba cattiva.
Florindo. La Marchesa spende, ma è mal servita.
Lelio. Non vi era salvaggiume.15
Florindo. E quella zuppa? Pareva nell’acqua.
Lelio. Non mi è dispiaciuto quel pasticcio.
Florindo. Sì, me ne sono accorto; l’avete mangiato mezzo.
Lelio. E voi il resto.
Florindo. Noi ci siamo portati bene; mentre gli amanti rabbiosi taroccavano.
Lelio. Che pazzo è quel conte Ottavio!
Florindo. E la Marchesa non è più savia di lui.
Lelio. Fanno impazzire quella povera contessa Rosaura.
Florindo. Suo danno, non doveva sposare un cavaliere.
Lelio. Io giuoco ch’ella se ne sta lavorando, mentre il marito si diverte.
Florindo. Andiamola a ritrovare?
Lelio. Sì, andiamo. So che il conte Ottavio ha del prezioso vin di Canarie.
Florindo. Con questi pazzi è il più bel divertimento del mondo.
Lelio. E chi vuol godere, bisogna secondarli.
Florindo. Oh! sempre. Ecco i nostri servitori col lume. Andiamo.
SCENA III.
Faloppa e Pistone colle lanterne, e detti.
Florindo. Dalla contessa Rosaura. (a Pistone)
Lelio. Sì, dalla Contessa. (a Faloppa)
Florindo. Già il conte Ottavio non partirà di qui così presto.
Lelio. Avete veduto con che cera brusca ci guardava? Voleva restar solo.
Florindo. E noi andiamo a tener compagnia a sua moglie.
Lelio. Oh, s’ella non fosse così scrupolosa!
Florindo. Eh! Chi sa?
Lelio. Bravo: sempre sperare.
Florindo. Sperare, ma non ispendere.
Lelio. Oh caro! Andiamo. (tutti partono)
SCENA IV.
Arlecchino e Brighella.
Arlecchino. Caro camerada, za chi è andai via, deme una man a desparecchiar.
Brighella. Sì, volentiera. Aspetta, sto vin no voi che el vada de mal. (beve)
Arlecchino. Presto, presto, vien zente; portemo via tutto. (portano via la tavola)
SCENA V.
Ottavio e detti.
Ottavio. Brighella?
Brighella. Signor.
Ottavio. Accendi.
Brighella. La servo. (parte)
Ottavio. Sia maladetto il punto ch’io venni in questa casa.
SCENA VI.
Beatrice dalla camera, e detti.
Beatrice. Arlecchino?
Arlecchino. Signora.
Beatrice. Il lume. Voglio andare a letto.
Arlecchino. Gnora sì. (parte)
Ottavio. Si va a letto presto questa sera.
Beatrice. Che cosa volete ch’io faccia, sola come una bestia?
Ottavio. Io vi lascio sola, per non vedervi andare sulle furie.
Beatrice. Non anderei sulle furie, se non vi alteraste per niente.
Ottavio. Ma certe cose non le posso soffrire.
Beatrice. Nè io certe altre.
Ottavio. Che ora abbiamo? (guarda l’orologio) Quattr’ore16.
Beatrice. Il mio da camera non fa che tre ore e mezza.
Ottavio. Sarà così, il mio va presto.
SCENA VII.
Brighella con lanternone. Arlecchino con lume, e detti.
Brighella. Son qua, signor.
Ottavio. Vattene, è ancora presto. (a Brighella)
Brighella. Che smorza?
Ottavio. Sì.
Brighella. Recipe, un’altra bozza de vin. (smorza e parte)
Arlecchino. Comandela? (a Beatrice)
Beatrice. No, no, vattene, ti chiamerò.
Arlecchino. Pazienza. A revéderve all’alba. (parte)
Ottavio. Sapete pure quanta stima ho per voi.
Beatrice. Se aveste della stima per me, non mi fareste arrabbiare.
Ottavio. Ma se non volete ascoltarmi.
Beatrice. Se dite cose che non si possono tollerare.
Ottavio. Dunque io sono un pazzo. (alterato)
Beatrice. Ecco lì, subito si altera. Con voi non si può parlare. Siete una bestia.
Ottavio. Sì, sono una bestia. Brighella. (chiama)
Brighella. Signor.
Ottavio. Accendi subito.
Brighella. (Fumo in camin). (da sè, parte)
Beatrice. Cose, cose, che se avessi due teste, me ne taglierei una.
Ottavio. Dico cose che non si possoro soffrire.
Beatrice. Eh, andate al diavolo. Arlecchino. (chiama)
Ottavio. Brighella. (chiama)
SCENA VIII.
Brighella col lume. Arlecchino senza, e detti.
Beatrice. Presto il lume. (ad Arlecchino)
Ottavio. Andiamo. (a Brighella, camminando per andarsene)
Arlecchino. (Mar in borrasca). (da sè, parte)
Beatrice. Bella creanza! (ad Ottavio)
Ottavio. Chi non sa che cosa si dica, non sa nemmeno cosa si faccia.
Beatrice. Che signor delicato! Bisogna pesar le parole.
Ottavio. E con lei bisogna misurar i termini.
Beatrice. Bel cavaliere! Si picca con una dama.
Ottavio. Ma sempre, sempre...
Beatrice. Eh via, che siete volubile.
Ottavio. O voi, o io.
Arlecchino. Son qua. (col lume)
Beatrice. Io non fo quelle scene che fate voi.
Ottavio. Signora mia, perdonatemi; voi non mi conoscete.
Beatrice. Oh, oh, se vi vedeste voi nello specchio.
Ottavio. Ah maladetta la mia collera!
Beatrice. Anch’io sono un poco calda di temperamento, ma voi mi superate assai.
Ottavio. Sapete perchè sono rabbioso, impaziente? Ve lo dirò io... Va via. (a Brighella)
Brighella. Che smorza?
Ottavio. Sì. Va via.
Brighella. (Manco mal, finirò la bozza17). (da sè, parte)
Beatrice. Via, parlate. Va via. (ad Arlecchino)
Arlecchino. No la vol?...
Beatrice. Va via, asinaccio.
Arlecchino. (Oh che maniera soave!) (da sè, parte)
Ottavio. Sapete perchè son rabbioso? Perchè vi amo.
Beatrice. Vostro danno: non dovevate sposare colei.
Ottavio. L’ho sposata, e non vi è più rimedio.
Beatrice. Sapete pure quel che vi ho detto prima che la sposaste.
Ottavio. Ero cieco.
Beatrice. Chi vi aveva accecato?
Ottavio. Non so. Un fanatico amore.
Beatrice. Vostro danno, torno a dirvi, godetevela.
Ottavio. Ah marchesa, pietà.
Beatrice. Che pietà? Che cosa volete da me? (alterala)
Ottavio. Via, via, non mi mangiate.
Beatrice. Son una donna onorata.
Ottavio. Non mi mangiate, vi dico. (alterato)
Beatrice. Ecco lì, subito alza la voce.
Ottavio. E voi niente.
Beatrice. Io sono in casa mia, posso dir quel che voglio.
Ottavio. Ed io... ed io... me n’andrò.
Beatrice. Andate.
Ottavio. Sia maladetto.
Beatrice. Maladetto voi.
Ottavio. Brighella. | (chiamano) | |
Beatrice. Arlecchino. |
SCENA IX.
Brighella, Arlecchino e detti.
Brighella. La comandi.
Arlecchino. Son qua.
Ottavio. Andiamo via. (a Brighella)
Beatrice. A letto. (ad Arlecchino)
Brighella. Vólela che impizza18?
Ottavio. No. Andiamo. Schiavo suo. (parte con Brighella)
Beatrice. A rotta di collo.
Arlecchino. Vólela el lume?
Beatrice. Voglio il diavolo che ti porti. (parte)
Arlecchino. Oh maladetta! (parte)
SCENA X.
Camera della contessa Rosaura con lumi.
La Contessa Rosaura con un libro in mano, poi Corallina.
Rosaura. Ah! pazienza. (siede, e legge)
Corallina. Signora padrona, avete sentite le ore?
Rosaura. Sì, le ho sentite.
Corallina. Quattr’ore, e il padrone non si vede.
Rosaura. Non è tardi, verrà.
Corallina. Sì, sì, verrà. Volete andare a cena?
Rosaura. No, aspettiamolo.
Corallina. Eh, il signor Conte avrà cenato.
Rosaura. Dove?
Corallina. Oh bella! Dalla signora Marchesa.
Rosaura. Credi tu che ci vada frequentemente dalla marchesa Beatrice?
Corallina. Io credo che vi sia a tutte le ore.
Rosaura. Come lo puoi tu credere?
Corallina. Domandatelo a Brighella mio marito, e lo saprete.
Rosaura. Ah pazienza! (si mette a leggere)
Corallina. Eh signora padrona, siete troppo buona.
Rosaura. Ma che vorresti tu ch’io facessi?
Corallina. Dite l’animo vostro.
Rosaura. Il Conte va in collera per niente, lo sai pure.
Corallina. E per questo avete paura?
Rosaura. Quando va in bestia, mi fa tremare.
Corallina. Oh, s’egli avesse a fare con me, non mi lascerei metter i piedi sul collo. S’egli alzasse la voce tre tuoni, ed io sei. S’egli alzasse le mani, ed io più alte di lui. Brighella mio marito fa a mio modo, e di me ha qualche soggezione; per altro starebbe fresco. Oh, s’egli avesse un’amicizia fissa, come il signor padrone, la vorressimo veder bella.
Rosaura. Orsù, bada a te, e lasciami leggere.
Corallina. Leggete, non parlo più. Compatitemi, signora padrona, parlo per amore, e non so quel ch’io19 mi dica.
Rosaura. Se mi vuoi bene, non mi parlare di certe cose.
Corallina. È stato picchiato.20
Rosaura. Va a vedere chi è.
Corallina. Subito. (Così le vorrebbero le mogli gli uomini vagabondi. Essi a spasso, e la moglie a casa). (da sè, parte)
Rosaura. Ma! In due anni ch’io sono moglie del Conte, non ho mai avuto un giorno di bene. Mio padre ha voluto sagrificarmi. Pazienza. (Corallina ritorna)
Corallina. Signora, il signor Lelio ed il signor Florindo vorrebbero riverirvi.
Rosaura. Questa non è ora di visite. Di’ loro che non vi è mio marito.
Corallina. Lo sanno che non vi è. Dicono che hanno qualche cosa da dirvi.
Rosaura. Oimè! Non vorrei che fosse accaduta qualche disgrazia a mio marito. Fa che passino.
Corallina. (Tant’è: e più che il marito la maltratta, più gli vuol bene). (da sè, parte)
Rosaura. Una visita a quest’ora non dovrebbe essere senza motivo. Mi trema il cuore.
SCENA XI.
Lelio, Florindo e Rosaura.
Lelio. Servo, signora Contessa.
Florindo. Riverisco la signora Contessa. (allegri)
Rosaura. Serva di lor signori. (Sono allegri, non vi saranno disgrazie), (da sè)
Lelio. Povera damina! Sempre sola.
Florindo. Ecco la sua conversazione, i libri.
Rosaura. Certamente, mi diverto moltissimo con i libri.
Lelio. Eh, lasciate di conversare coi morti.
Florindo. Coi vivi, signora Contessa, coi vivi.
Rosaura. Questa, per dir vero, è più ora da leggere, che da far la conversazione.
Lelio. Amico, la signora Contessa ci dà il congedo.
Florindo. Noi non siamo venuti per disturbarvi.
Rosaura. M’immagino che qualche cosa di straordinario vi avrà qui condotti.
Lelio. Per dir vero, siamo qui venuti per un motivo stravagante.
Rosaura. Lo volevo dire. Vi è qualche novità?
Lelio. Eh, novità... Amico, ditelo voi, io non ho coraggio.
Florindo. Compatitemi, parlate voi. Io non voglio essere il primo.
Rosaura. (Oimè! Mi mettono in apprensione). (da sè)
Lelio. Sappiate, signora mia... Da galantuomo, non lo dico.
Florindo. Nemmen io certamente.
Rosaura. Via, signori, parlate. È accaduta qualche disgrazia?
Lelio. Oh, signora no. Siamo venuti a bere una bottiglia di Canarie, sapendo che ne avete del perfetto.
Florindo. Io non avevo coraggio di dirlo.
Lelio. Ecco, per causa vostra son divenuto rosso.
Rosaura. Mi avete fatto tremare. Ma non andate a cena?
Lelio. Eh, abbiamo cenato.
Florindo. Se sapeste dove!
Lelio. Se sapeste con chi!
Rosaura. Via, ora che mi avete posta in curiosità, parlate.
Florindo. Abbiamo cenato con la marchesa Beatrice.
Lelio. Se sapeste chi vi era a cena!
Rosaura. Già me l’immagino: mio marito.
Lelio. Basta, non so niente. Non voglio metter male.
Florindo. Povera damina! E voi qui a leggere un libro.
Rosaura. Questo libro vai più della vostra cena.
Lelio. Se provaste anche voi a godere un poco di mondo, non direste così.
Florindo. Che caro conte Ottavio! Una sposa di questa sorta, lasciarla qui con un libro in mano.
Rosaura. Signori miei, i gusti sono diversi. Vi prego lasciarmi nel mio sistema.
Lelio. Oh sì. Non distolghiamo la Contessina dal piacer dei suoi libri. È una bellissima cosa veder una dama a leggere.
Florindo. Sì, in verità. Io godo21 quando ne vedo qualcheduna.)
Rosaura. Sono forse poche le donne che sanno?
Florindo. Saranno moltissime, ma io non le conosco.
Rosaura. Perchè di quelle non andrete in traccia.
Lelio. Bravissima. Ah Florindo, ti ha trattato da ignorante. Gran Contessina! Siete la nostra delizia, siete la nostra gioia, la nostra consolazione.
Florindo. Poh! Andarsi a perdere colla marchesa Beatrice.
Lelio. Ah! Che dite? Vi è paragone fra questa e quella?
Rosaura. Vi supplico in grazia; in faccia mia non dite mal di nessuno.
Lelio. Io non dico male d’alcuno. Ma non potete impedirmi di dir bene di voi.
Florindo. Se siete adorabile, non volete che si dica bene?
Rosaura. Io non merito le vostre lodi.
Lelio. E se mi vien male a pensare quel che passa fra una certa persona e la marchesa Beatrice, non volete compatirmi?
Rosaura. Ma... Che cosa passa?
Lelio. Eh! niente. Galanterie.
Florindo. Parliamo d’altro.
Rosaura. Voi mi mettete in agitazione.
Lelio. Niente, madama, niente. Leggete il vostro libro, e lasciate fare. (con allegria)
Rosaura. E sempre peggio.
Lelio. Contessina, beviamo questa bottiglia?
Florindo. Eh! Non ci vuol favorire... Non siamo degni.
Rosaura. (Son piena di sospetti). (da sè) Aspettate, signori miei.
Corallina. (chiama)
SCENA XII.
Corallina e detti.
Corallina. Signora?
Rosaura. Porta una bottiglia di Canarie e dei bicchierini.
Corallina. Sì, signora. (Scrocconi!) (da sè, parte)
Rosaura. Favorite. Raccontatemi qualche cosa.
Lelio. Il Conte non è ancora venuto a casa?
Rosaura. No certamente.
Lelio. Ah? Sarà ancora lì. (a Florindo)
Florindo. Buon pro gli faccia.
Rosaura. Ma che credete voi ch’egli faccia?
Lelio. Niente; leggerà un libro come fate voi.
Florindo. Oh, non pensate che vi sia22 male.
Rosaura. Così credo. Che male vi può essere fra un cavaliere ammogliato ed una dama onorata?
Lelio. Voi che vi dilettate di leggere, saprete qualche cosa.
Florindo. Io certamente, in massima, non vi saprei rispondere.
SCENA XIII.
Corallina col vino e bicchieri, e detti.
Corallina. Ecco serviti questi cavalieri. (con ironia)
Lelio. Oh! brava ragazza.
Florindo. Avete il tirabusson23? (a Lelio)
Lelio. Sì, lo porto sempre addosso.
Corallina. Ognuno porta i ferri del suo mestiere.
Lelio. Come sarebbe a dire?
Corallina. Eh, dico per servir dama. (con ironia)
Lelio. Spiritosa davvero.
Rosaura. Corallina, ritirati.
Corallina. Vado, vado. (Dare a questa gente il vin di Canarie, è come dare i confetti ai porci). (da sè, parte)
Lelio. Amico, tenete. Viva la nostra Contessina.
Florindo. Viva; prego il cielo che la renda un poco più contenta.
Rosaura. Obbligatissima alle vostre grazie.
Lelio. Ehi amico, vi ricordate a cena di quegli scherzetti?
Florindo. Sì. E di quelle occhiate furtive? (bevendo)
Lelio. Cose da crepar da ridere. (bevendo)
Rosaura. Parlate ora di mio marito?
Lelio. E poi, tutto in un tempo, tanto di grugno.
Florindo. Tuoni, lampi, saette.
Lelio. Avete veduto mordersi le labbra?
Florindo. Sì, e ho anche sentito bestemmiare fra’ denti.
Rosaura. (Assolutamente parlano di mio marito). (da ah)
Lelio. Oh che vino! Oh che vino!
Florindo. Non ho bevuto il meglio.
Lelio. Da capo. (torna a empire i bicchierini)
Rosaura. Cari signori, vi supplico, per carità, se sapete qualche cosa di positivo, avvisatemi, perchè mi possa regolare. Non temete ch’io parli. Son donna, ma so tacere.
Lelio. Eh, non sono poi cose da farne stato. (bevendo)
Florindo. Un poco di parzialità. (bevendo)
Lelio. Vi è della intrinsichezza, ma indifferente. (bevendo)
Florindo. Amicizia. (bevendo)
Lelio. Amor platonico. (bevendo)
Florindo. Oh, oh, amor platonico! (ride e beve)
Rosaura. Ma parlatemi chiaro.
Lelio. Chiarissimo.
SCENA XIV.
Corallina e detti.
Corallina. Signora, è il vostro signor padre, che gli preme dirvi una parola.
Rosaura. Perchè non viene?
Corallina. Lo sapete; quando vi è gente, non viene volentieri.
Lelio. Signora, vi leveremo l’incomodo.
Florindo. Che prezioso Canarie!
Rosaura. E volete lasciarmi piena di curiosità?
Lelio. Eh, state quieta. Leggete il vostro libro, e non pensate più in là.
Florindo. Già è tutt’uno. Felice voi, che siete docile e virtuosa.
Lelio. Domani sarò a riverirvi. Parleremo, discorreremo.
Florindo. Sentirete, sentirete. Felicissima notte!
Rosaura. Serva loro.
Lelio. Riposi bene. O che Canarie! Madama. (s’inchina e parte)
Florindo. Madama. (parte)
Rosaura. Fa che venga mio padre.
Corallina. Li conoscete quei signorini?
Rosaura. Perchè mi dici questo?
Corallina. Perchè, se non li conoscete, vi dirò in due parole chi sono: scrocconi, adulatori, maldicenti e cicisbei affamati.
Rosaura. Dubito che costei dica il vero. Non credo capace mio marito d’indegni affetti; nè la marchesa Beatrice può essere capace di alimentare un sì tristo fuoco.
SCENA XV.
Pantalone e detta.
Rosaura. Oh signor padre, a quest’ora?
Pantalone. Sì ben, cara fia, me giera sta dito che gieri sola, e son vegnù a farve un poco de compagnia.
Rosaura. Bravissimo, vi ringrazio di cuore.
Pantalone. Cossa fava qua quei do martuffi24?
Rosaura. Sono venuti pieni di allegria, ed hanno voluto bevere una bottiglia.
Pantalone. Za i xe della bona lega. Cara fia, no i pratichè.
Rosaura. Io li tratto in una maniera, che non li obbligherà a frequentarmi.
Pantalone. E vostro mario25 dove xelo?
Rosaura. Mah! (sospirando)
Pantalone. El sarà al logo solito.
Rosaura. Sì, ha cenato colla Marchesa.
Pantalone. L’ha cenà? Come lo saveu?
Rosaura. Me l’hanno detto quei due signori. Sono stati a cena ancor essi26.
Pantalone. I ha cenà anca lori? Lori i xe vegnui via, e vostro mario xe resta là? Ho inteso.
Rosaura. E per questo, che cosa pensate voi?
Pantalone. Gnente. I zogherà a picchetto. (ironicamente)
Rosaura. Caro signor padre, non mi affliggete, non mi accrescete i sospetti.
Pantalone. Ah pazienza!
Rosaura. Io ho bisogno di chi mi consoli, non di chi pianga.
Pantalone. Povera desfortunada!
Rosaura. Sapete ch’io mi sono maritata per obbedirvi.
Pantalone. Ah, pur troppo xe vero. Questo xe el mio rimorso. Questo xe el mio dolor. Veder una fia27 sacrificada per amor mio. M’arrecordo, fia mia, sì, m’arrecordo che con modestia ti m’ha fatto cognosser la poca inclinazion che ti gh’avevi per sto partio. Me son anca mi lassà acciecar dall’ambizion, credendo che el farte contessa bastasse per far la toa e la mia felicità. Me son lusingà che col tempo te podesse piaser el mario, e ho credesto che dovesse in elo durar quella tenerezza che el mostrava allora per ti. O poveretto mi! Ho pensà mal; adesso me ne accorzo, che ho pensà mal. Doveva preveder che un signor grando, innamoraà de una putta de grado inferior, l’ama fintanto che nol pensa alla so condizion; e nol ghe pensa, se no quando l’è sazio dell’amor, e co l’è sazio, el cognosse el sproposito, e el se pente d’averlo fatto, e l’odia chi ghe l’ha fatto far. Povera putta! Povera Rosaura! Ti xe sacrificada per causa mia. Mi ho fatto el mal, e ti ti soffri la penitenza; ma se ti vedessi el mio cuor, ti vederessi che el mio dolor xe tanto più grando del too, quanto xe più grando d’ogni altro amor quello del pare, che supera tutti i amori del mondo.
Rosaura. Non mi fate piangere, per carità.
Pantalone. Rosaura, vien qua, fia mia, e ascolteme, e resolvi. Son ancora to pare. El vincolo del matrimonio no destruze quello della natura. To mario te pol comandar, ma to pare te pol conseggiar; e se el mario te tratta con crudeltà, no ti mancherà al to dover buttandote in brazzo d’un pare, che te aiuterà con amor. Vien con mi, fia mia, vien a star con mi, e no te dubitar, e non aver paura de gnente. Andemo a Roma, dove che gh’ho casa e negozio. Se là al sior Conte ne vorrà tettar de mazo28, anderemo a Venezia. Anca là gh’ho casa, parenti e capitali. Fin che vivo, ti starà con mi. Co sarò morto, ti sarà parona de tutto. Ti viverà civilmente, e ti sarà una regina.
Rosaura. Ah signor padre, prima di consigliarmi ad una simile risoluzione, pensateci meglio. Avete confessato voi stesso aver errato nel darmi lo sposo: nello staccarmi da lui, badate di non far peggio.
Pantalone. No, fia mia, no fazzo mal a far sta resoluzion, a levarte dalle man d’una bestia indomita, che tratta con ti, come se ti fussi una so nemiga.
Rosaura. Io sono stata sempre rassegnata e obbediente ai vostri voleri. Non ho mai opposto ragioni ai vostri comandi. Ma ora permettetemi, che vi dica ciò che mi detta il mio cuore e la presente mia condizione. Io son moglie del conte Ottavio, ed ho acquistato quel grado di nobiltà che ha saputo innamorare voi stesso. Questa nobiltà deve essere un bene assai grande, se voi siete stato sollecito in procurarmelo, e avete arrischiato tutto per questa sola ragione. Io per altro considero un bene maggiore nell’acquistata nobiltà, che forse voi non considerate. Se il cielo mi concederà dei figliuoli, saranno nobili veramente, ed io averò la consolazione di averli dati alla luce, e voi giubilerete mirando in essi il maggior frutto delle vostre premure. Dovrei dunque perder io questo bene, farlo perdere ai miei figliuoli, per il solo motivo di non soffrire? Ditemi, signor padre, chi è al mondo che qualche male non soffra? Figuratevi i disagi della povertà, i dolori dell’infermità. Il cielo che mi libera da tai travagli, mi vuol mortificare col poco amore di mio marito. Pazienza! Sarà segno che io non merito di essere amata. Segno che il cielo mi vuol oppressa per questa strada, forse perchè non m’insuperbisca soverchiamente della mia fortuna; ed io mi credo in debito di ringraziare i numi per il ben che mi fanno, e non irritarli, ricusando l’amaro delle mie pene, con cui temprar vogliono il dolce delle mie e delle vostre consolazioni.
Pantalone. Cara fia, ti me fa pianzer, e no te so cossa responder.
SCENA XVI.
Ottavio e detti.
Ottavio. Schiavo suo. (a Pantalone, con serietà)
Pantalone. Patron mio29.
Rosaura. Oh consorte, ben venuto. (ilare)
Ottavio. Comanda qualche cosa? (a Pantalone)
Pantalone. Gnente, patron, fava compagnia a mia fia, perchè no la stasse sola.
Ottavio. Perchè non andate a letto? (a Rosaura)
Rosaura. Aspettavo voi.
Ottavio. Ve l’ho detto cento volte. Io non voglio soggezione. Andate a letto. (a Rosaura)
Rosaura. Ma se ho piacere d’aspettarvi.
Ottavio. Eh, seccature. (con disprezzo)
Pantalone. Ma, caro sior Conte, la vede; povera putta, la ghe vol ben.
Ottavio. Non voglio ragazzate.
Pantalone. Le finezze, che se fa mario e muggier, no le xe ragazzade.
Rosaura. Via, mio marito so come è fatto. Non vuol carezze. Ë uomo serio. Vuol bene a sua moglie, ma non lo dice. Non è così, signor Conte?
Ottavio. Signora mia, favorisca d’andare a letto.
Rosaura. Voi non venite?
Ottavio. Verrò, quando vorrò.
Pantalone. (El me fa una rabbia, che lo scanneria). (da sè)
Ottavio. Ehi. (chiama)
SCENA XVII.
Brighella e detti.
Brighella. Signor.
Ottavio. Da scrivere.
Brighella. La servo. (E a letto mai!) (da sè, parte)
Rosaura. Caro signor Conte, è tardi; scriverete domani.
Ottavio. Non mi rompete la testa.
Pantalone. (Oh che bestia!) (Brighella ritorna con tavolino da scrivere)
Rosaura. Dunque anderò a letto. Marito, v’aspetto. Non dormo, se non venite. (vezzosa)
Ottavio. Brighella.
Brighella. Signor.
Ottavio. Preparami il letto nella stanza terrena30. (Brighella parte)
Rosaura. Volete che vada nell’appartamento terreno? Anderò.
Ottavio. Voi andate nella vostra camera. Voglio dormir solo.
Pantalone. (Oh siestu maledetto!) (da se)
Rosaura. Solo!
Ottavio. Signora sì. (scrivendo)
Pantalone. (Povera creatura! Tolè, anca dormir sola). (da sè)
Rosaura. Ma perchè questa novità?
Ottavio. Andate. (come sopra)
Rosaura. Avete male?
Ottavio. Ho il diavolo che vi porti. Andate via.
Pantalone. Ma questa, sior Conte, non xe la maniera... (alteralo)
Ottavio. Come c’entrate voi?
Pantalone. La xe mia fia.
Rosaura. Zitto. Vado a letto. (a Pantalone)
Ottavio. In casa mia comando io.
Pantalone. E mi no posso veder a strapazzar el mio sangue.
Ottavio. Oh! un gran sangue!
Pantalone. Onorato, civil e senza macchie.
Rosaura. Zitto, per amor del cielo. Marito, vado nella mia camera. Signor padre, andate a casa.
Ottavio. Maledetto quando vi ho conosciuto! (a Pantalone)
Pantalone. Sia pur maledetto, co son vegnù in sto paese.
Ottavio. Tant’è. La vostra figliuola io non la posso più vedere.
Pantalone. E mi la torrò su, e la menerò via.
Ottavio. Sì, prendetela. Andate, andate con vostro padre, andate. (la spinge, dopo essersi alzato)
Pantalone. Vien, vien, fia mia, andemo.
Rosaura. Eh via, quietatevi, non facciamo scene.
Ottavio. Andate, andate. (come sopra)
Rosaura. Son vostra moglie.
Ottavio. Pur troppo, per mia disgrazia.
Rosaura. Non dicevate così una volta.
Ottavio. Pazzo, pazzo ch’io sono stato!
Rosaura. Ma! Vi ha illuminato la Marchesina.
Ottavio. Giuro al cielo! (alza la mano)
Pantalone. Olà, patron, se alza la man? (si frappone)
Ottavio. Andate via di qui, vecchio insensato.
Pantalone. Andemo via. (a Rosaura)
Rosaura. Ah signor Conte...
Ottavio. Andate, andate.
Rosaura. No, marito mio...
Ottavio. Sì, andate, non mi seccate. V’odio, v’aborrisco, non vi posso vedere. (parte)
Rosaura. Pazienza! (piange)
Pantalone. Andemo, fia mia.
Rosaura. No, signor padre, lasciatemi andar a letto.
Pantalone. Ti te ne pentirà.
Rosaura. Il cielo mi assisterà.
Pantalone. No ti vedi? El xe un basilisco.
Rosaura. Si ravvederà.
Pantalone. El te bastonerà.
Rosaura. Non lo ha ancora fatto.
Pantalone. El lo farà.
Rosaura. Se lo farà... Basta: è cavaliere, non lo farà.
Pantalone. Oh ghe ne xe dei altri, che petuffa31 le muggier.
Rosaura. Signor padre, lasciatemi andare a letto.
Pantalone. Va là, fia mia, el ciel te benediga. Pénseghe ben, no te lassar strapazzar. Torna da to pare, torna dal to caro pare, che te vol tanto ben. (piangendo parte)
Rosaura. Sì, vi ritornerò, quando non potrò fare a meno. Vo’ resistere fin ch’io posso; prima di abbandonare un marito, convien pensarvi moltissimo. L’onestà, il decoro sempre discapita; ed è assai meglio soffrire le domestiche dispiacenze, di quello sia esporsi alle dicerie, alle critiche, alle derisioni del mondo. (parte)
SCENA XVIII.
Altra camera con porta in prospetto, lume sul tavolino.
Brighella passeggiando.
Brighella. Me pareria che fosse ora d’andar a letto. Tolì, a st’ora el padron scrive, e mi stago qua a goder el fresco. Ho un sonno che casco, ma se m’addormento, povero mi. Se el me chiama, e che no sia pronto a responder, el me magna vivo. Oh, ecco qua mia muier! Cossa diavolo fala in quella camera? Ghe zogo che la vien a gridar32. Sempre la brontola de qualcossa. Oh, la staria pur ben a servir la siora Beatrice! Ma mi son troppo bon, son troppo minchion. Bisogneria qualche volta, che imparasse dal padron a tegnir bassa la muier. No digo strapazzarla come el fa lu, ma mortificarla; e mi ghe n’averia ben rason. La padrona l’è un agnellin, e Corallina l’è... Eccola qua, se la me sentisse, povero mi! Ma no l’anderà sempre cussì; un dì o l’altro me metterò i mustacchi; imparerò dal padron.
SCENA XIX.
Corallina e detti.
Corallina. E così, questa sera non si viene a letto?
Brighella. Signora no. (con sussiego)
Corallina. Oh bella risposta! Signora no!
Brighella. Signora no. (passeggiando)
Corallina. (Costui ha qualche cosa per il capo). (da sè) Il padrone è a letto?
Brighella. Signora no. (come sopra)
Corallina. Si potrebbe dirlo con un poco più di buona grazia. (Brighella prende il tabacco, e non risponde) (Che diavolo ha costui questa sera? Dubito che sia briaco). (da sè) Avete cenato?
Brighella. Signora sì. (come sopra)
Corallina. Dove?
Brighella. Non lo so.
Corallina. Non lo so? A me si dice non lo so?
Brighella. Oh bella! Siora sì. A vu se dise, non lo so.
Corallina. (Oh, è briaco senz’altro; non mi ha mai risposto così). (da sè)
Brighella. (Voio un poco principiar a parlar da omo). (da sè)
Corallina. Si può sapere, perchè non me lo volete dire?
Brighella. No conto i fatti del me padron.
Corallina. Me li avete detti tante altre volte.
Brighella. Ho fatto mal, e no i dirò più.
Corallina. Sì, non li direte più, perchè siete d’accordo, perchè siete un briccone, un discolo come lui; gli farete il mezzano: la Marchesina avrà qualche cameriera. Il padrone colla padrona, il servitore colla serva. Ma se me n’accorgo, giuro al cielo, se me n’accorgo, povero voi, povero voi!
Brighella. (Adess el saria el tempo de principiar). (da sè)
Corallina. Non lo so! Non conto i fatti del padroni Pezzo di asino.
Brighella. A mi?
Corallina. A voi.
Brighella. Porteme rispetto, sa, pettegola impertinente.
Corallina. A me pettegola? Ah infame! Ah maledetto! A me pettegola?
Brighella. Zitto, che el padron no senta.
Corallina. Sei briaco? Sei pazzo? Sei fuori di cervello? Mai più mi hai detto tanto. Ma se avrai più ardire di dirmi una mezza parola, te ne accorgerai.
Brighella. Cossa farala, patrona, cossa farala?
Corallina. Come? Minacce? A me? Temerario! A me? (forte)
Brighella. Zitto, che el padron no senta.
Corallina. Ci verrai in camera, ci verrai a letto.
Brighella. E così? Cossa sarà?
Corallina. Te n’accorgerai.
Brighella. (Oh diavolo! Custia l’è una bestia, capace de scannarme in letto). (da sè)
Corallina. A me pettegola?
Brighella. Oh via mo, no l’è una gran cosa!
Corallina. Bestiaccia! A me impertinente?
Brighella. Le son cosse che se dise tra mari e muier.
Corallina. A me rimproveri, minacce, strapazzi?
Brighella. Ma zitto, che el padron sente.
Corallina. Non me n’importa. Sei un briccone, m’hai strapazzata, e mi voglio sfogare. Ma niente, niente, a letto!
Brighella. A letto?
Corallina. Sì, t’aspetto.
Brighella. Eh via.
Corallina. Che via? Perdermi il rispetto? Strapazzarmi! Dirmi pettegola? insolente?
SCENA XX.
Il Conte Ottavio di dentro nelle camere, e detti.
Ottavio. Brighella. (lo chiama, e non sente)
Brighella. Via, tasi.
Corallina. A una donna della mia sorta, pettegola, insolente?
Brighella. Mo tasi.
Ottavio. Brighella. (chiama di dentro)
Corallina. Non te la perdono più.
Brighella. (Sia maledetto quando ho parlà). (da sè)
Corallina. Pettegola? impertinente? a me? Asino! asinaccio! (Il conte Ottavio in veste da camera apre l’uscio di fondo ed esce.)
Brighella. L’è qua el padron. (a Corallina)
Corallina. Dirmi impertinente? Dirmi pettegola? Strapazzarmi? Che novità? Che temerità? A lett! A letto, briccone! insolente! temerario! A letto. (parte33)
Brighella. Stago fresco.
Ottavio. Chiamo, chiamo, e non rispondi.
Brighella. La compatissa, lustrissimo, no l’ho sentido.
Ottavio. Ti romperò le braccia, sai; asino! Quando chiamo, voglio essere sentito. Se non risponderai quando chiamo, ti taglierò le orecchie.
Brighella. Lustrissimo, ghe domando perdon. Quella maledettissima de mia muier l’è vegnuda a tormentarme anca qua.
Ottavio. Che cosa voleva? Che cosa faceva?
Brighella. Al so solito: gridar e strapazzarme.
Ottavio. E non la bastoni?
Brighella. La vede ben...
Ottavio. Pezzo d’asino. Dagli, bastonala.
Brighella. Ma bastonar la muier!
Ottavio. Un uomo ordinario, un servitore lo fa. Così lo potessimo fare anche noi.
Brighella. Se alzo le man, la me coppa.
Ottavio. Tieni questo biglietto, e domattina per tempo portalo alla marchesa Beatrice; aspetta ch’ella si levi, e daglielo in proprie mani.
Brighella. La sarà servida.
Ottavio. Avverti ch’ella si leva presto.
Brighella. Anderò a bonora. Za debotto l’è l’alba.
Ottavio. Va a riposare un poco, e fra due ore al più trovati dalla Marchesa.
Brighella. No la vol che la serva?
Ottavio. No, non voglio altro. Va a letto.
Brighella. Eh non importa, dormirò qua su una carega34.
Ottavio. Ma perchè non a letto? Per dire ch’io ti faccio fare una vita da bestia?
Brighella. Ghe dirò, lustrissimo... Ho gridà con me muier...
Ottavio. Sì, fai bene a mortificarla. Il maggior dispetto che si possa fare alla moglie, è questo di non andar con essa a dormire. (va in camera, e chiude)
Brighella. Mi son l’omo più intrigà de sto mondo. Se vado a letto l’è mal, se no vado pol esser pezzo; no so quala far.
SCENA XXI.
Rosaura e Brighella.
Rosaura. Ehi, Brighella. (iottovoce)
Brighella. Lustrissima.
Rosaura. Di’ piano. È a letto il padrone?
Brighella. L’è andà in camera giusto adesso.
Rosaura. Oh, che non mi vedesse!
Brighella. No gh’è pericolo: perchè el letto l’è35 dentro in quell’altra stanza. L’aspetta. (va a vedere dal buco della chiave) L’ha serrà, no se vede più el lume.
Rosaura. Ha detto niente di me?
Brighella. Gnente.
Rosaura. (Pazienza!) (da sè) Dove siete stati iera sera?
Brighella. Dalla signora marchesa Beatrice.
Rosaura. Ha cenato mio marito?
Brighella. Signora sì. I ha cena, i è stadi allegri. Gh’era el signor Lelio e il signor Florindo; ma védela? I è andadi via presto lori, e l’è restà el padron colla signora Marchesa; capissela?
Rosaura. Bene. Avranno giuocato.
Brighella. Eh signora... altro che zogar!... Basta...
Rosaura. Via, voi altri sempre pensate al male. Vergogna! Un cavaliere con una dama, impegnato nel giuoco, non deve piantarla.
Brighella. Mi no so se i zoga, o cossa che i fazza, ma se la volesse saver quel che passa tra de lori, mi gh’averia la maniera.
Rosaura. Come?
Brighella. El padron za un poco el m’ha dà sto biglietto da portar domattina a bonora alla signora Marchesa; el bollin l’è ancora fresco; se la volesse, la se poderia soddisfar.
Rosaura. (Costui mi tenta). (da sè)
Brighella. So che fazzo una mala azion verso el me padron; ma gh’ho tanta compassion del so stato, lustrissima padrona, che me faria impiccar per vederla quieta e contenta.
Rosaura. Ti ringrazio dell’amor tuo, ma non acconsento che tu tradisca il padrone. Fa il tuo dovere. Obbedisci chi ti dà il pane. Siccome giudico onesta l’amicizia di mio marito colla Marchesa, non ho curiosità di vedere il loro carteggio.
Brighella. E pur, signora...
Rosaura. Vattene. Pensa meglio a te stesso, e impara a non formar giudizi del tuo padrone.
Brighella. Basta... la perdoni... (No ghe digo più gnente. Vado... Ma dove? In letto per sta notte mia muier no me cucca36). (da sè, parte)
Rosaura. Sarebbe stata imprudenza aprir quel biglietto. Avrei accreditati i sospetti del servitore; gli avrei dato cattivo esempio, e avrei forse trovati dei nuovi motivi di rattristarmi. Bastami essere assicurata che l’amicizia continua, e si rende più frequente e impegnata. Studierò qualche via ragionevole e onesta per rimediarvi. Farò tutto il possibile, prima di distaccarmi da mio marito. Amo la sua riputazione egualmente come la mia. Il cielo mi assisterà. Il cielo non abbandona chi in lui sinceramente confida.
Fine dell’Atto Primo.
Note
- ↑ Nell’ed. Bettinelli: Antisala nel palazzo di Beatrice con tavola apparecchiata e lumi.
- ↑ Bett.: sedendo a tavola, bevendo e cantando.
- ↑ Bett.: per quanti bicchieri di vino ch’io ecc.
- ↑ Bett.: sippia.
- ↑ Bett.: I me padrone si beverebbe i mare ecc.
- ↑ Bett. e Pap.: anca le l’è ecc.
- ↑ Bett.: vespera.
- ↑ Bett. e Pap.: Ottavi.
- ↑ Bett. e Pap.: siora.
- ↑ Bett.: E lo padrone mio? Mandò, vene da chisso e da chillo ecc.
- ↑ Bett.: E lo mio è una razza bella e bona.
- ↑ Bett. aggiunge: «Fal. E viva lo mancià, lo vevvere, e no far niente».
- ↑ Bett.: i lampioni.
- ↑ La torcia. [nota originale]
- ↑ Bett.: salvatico.
- ↑ Si intende dopo il suono dell’avemaria.
- ↑ Boccia, bottiglia.
- ↑ Vuole (ella) che accenda? V. vol. II, 228 n. a.
- ↑ Bett.: cosa che
- ↑ Bett.: battuto.
- ↑ Bett.: arrossico.
- ↑ Bett. aggiunge: niente di.
- ↑ Voce dialettale. Cavatappi: v. Boerio.
- ↑ Babbuini: v. vol. I, 161 n. a ecc. Bett.: canapioli.
- ↑ Marito. [nota originale]
- ↑ Bett.: anche loro.
- ↑ Figlia. [nota originale]
- ↑ Disturbare. [nota originale]
- ↑ Bett.: Strissima.
- ↑ Bett., qui e sotto: nell’arcova.
- ↑ Che bastonano. [nota originale]
- ↑ Bett.: a ruzar.
- ↑ Bett.: parte brontolando sin dentro la scena.
- ↑ Sedia: v. vol. II, 201 n. b ecc.
- ↑ Bett.: l’arcova.
- ↑ Non mi piglia. [nota originale]