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446 | ATTO PRIMO |
strada, forse perchè non m’insuperbisca soverchiamente della mia fortuna; ed io mi credo in debito di ringraziare i numi per il ben che mi fanno, e non irritarli, ricusando l’amaro delle mie pene, con cui temprar vogliono il dolce delle mie e delle vostre consolazioni.
Pantalone. Cara fia, ti me fa pianzer, e no te so cossa responder.
SCENA XVI.
Ottavio e detti.
Ottavio. Schiavo suo. (a Pantalone, con serietà)
Pantalone. Patron mio1.
Rosaura. Oh consorte, ben venuto. (ilare)
Ottavio. Comanda qualche cosa? (a Pantalone)
Pantalone. Gnente, patron, fava compagnia a mia fia, perchè no la stasse sola.
Ottavio. Perchè non andate a letto? (a Rosaura)
Rosaura. Aspettavo voi.
Ottavio. Ve l’ho detto cento volte. Io non voglio soggezione. Andate a letto. (a Rosaura)
Rosaura. Ma se ho piacere d’aspettarvi.
Ottavio. Eh, seccature. (con disprezzo)
Pantalone. Ma, caro sior Conte, la vede; povera putta, la ghe vol ben.
Ottavio. Non voglio ragazzate.
Pantalone. Le finezze, che se fa mario e muggier, no le xe ragazzade.
Rosaura. Via, mio marito so come è fatto. Non vuol carezze. Ë uomo serio. Vuol bene a sua moglie, ma non lo dice. Non è così, signor Conte?
Ottavio. Signora mia, favorisca d’andare a letto.
Rosaura. Voi non venite?
Ottavio. Verrò, quando vorrò.
Pantalone. (El me fa una rabbia, che lo scanneria). (da sè)
Ottavio. Ehi. (chiama)
- ↑ Bett.: Strissima.