Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Bottega di speziale.

Agapito solo, leggendo i foglietti e ponendosi a sedere.

Sono seguite le nozze fra la Principessa figlia del re del Mogol, col Principe ereditario della China. Capperi! hanno fatto presto a far questo matrimonio. Io scommetto che in Italia sono il primo a saperlo. L’imperator della China ha spedito un’ambasciata al Gran Can de’ Tartari, assicurandolo della sua buona amicizia, ma si prevede che il Tartaro non lo accetterà. Come! non l’accetterà? Perchè? Con qual ragione? Signor sì che l’accetterà, signor sì. Il re del Mogol avanzerà alla Persia le sue proposizioni. Oh bravo! Il re del Mogol sarà il mediatore. Si aggiusteranno, si aggiusteranno. (segue a legger piano) [p. 444 modifica]

SCENA II.

Il dottore Merlino, Tarquinio e detto.

Merlino. Caro signor Tarquinio, l’avete fatta bella. Per fare a modo vostro, ho fatto cavar sangue a quel poveruomo, e dopo la cavata di sangue ha peggiorato.

Tarquinio. Vi vuol pazienza; sono accidenti che accadono. Anch’io l’altro giorno, per eseguire un vostro ordine, cavai sangue a quel mercante, tuttochè non ne avesse bisogno.

Merlino. E se quel povero garzone di stalla morisse per cagion vostra?

Tarquinio. Nessuno dirà che sia morto per questo.

Merlino. Pur troppo, quando un ammalato muore, si dice ch’è stato il medico che l’ha cacciato sotterra; e se guarisce, ch’è risanato non per cagione del medico, ma per la gioventù, per la buona complessione, per qualche stella, per qualche favorevole pianeta che l’ha soccorso.

Tarquinio. Ma con tutto questo, tutti quelli che si ammalano, chiamano il medico.

Merlino. È vero. Ma in oggi il medico non è più nella estimazione di prima. Non si obbedisce e non se gli crede.

Tarquinio. Si paga? Se si paga, basta.

Agapito. Come! Il Can de’ Tartari (s’alza) vuole che il principe della China ripudi la sposa? Ah cane, veramente cane! Povera principessa! Ripudiarla? Perchè sposi una tua figlia? una tua bastarda? No. Giuro al cielo, non la ripudierà; non la ripudierà. (passeggia)

Merlino. Signor Agapito...

Agapito. Non la ripudierà...

Tarquinio. Che cosa avete, signor Agapito?

Agapito. Non la ripudierà.

Merlino. Che cosa vi è di nuovo?

Agapito. Sposar la figlia del Cane!

Merlino. La figlia di un cane?

Agapito. Signor sì, del Cane, signor sì. [p. 445 modifica]

Merlino. Ma chi è questa figlia del cane?

Agapito. Avete letto i foglietti?

Merlino. Io non leggo foglietti.

Agapito. Sì? li avete letti?

Merlino. No, no, vi dico. (forte)

Agapito. Via, via, non gridate, non son sordo. Se non li avete letti, non parlate; non sapete niente. E voi li avete letti? (a Tarquinio)

Tarquinio. Signor no. (forte)

Agapito. Povera gente! Non sapete niente. Maledetto Cane! Disfar un matrimonio? Orsù, sinora sono stato neutrale, ma in oggi mi dichiaro. Son China, son China, son Mogol, son China. Sì, contro il Cane. Ho tanta rabbia contro il Cane de’ Tartari, che non voglio più veder cani.

SCENA III.

Pantalone e detti.

Pantalone. Sior Agapito. (forte)

Agapito. Padron mio.

Pantalone. S’ha visto el dottor Buonatesta? (forte)

Agapito. Signor no; l’aspetto ancor io.

Pantalone. Mia fia sta pezo che mai.

Agapito. Come?

Pantalone. Mia fia sta pezo. (forte)

Agapito. Volete farla guarire?

Pantalone. El ciel volesse.

Agapito. Come, se volesse?

Pantalone. (Oh poveretto mi!) Magari1. (forte)

Agapito. Datele la china.

Pantalone. La china?

Agapito. In oggi la china è il medicamento dominante. La china si adopera per tutti i mali. [p. 446 modifica]

Pantalone. La china farala ben a mia fia? (forte)

Agapito. Farà benissimo.

Pantalone. Podemo provar.

Agapito. Grand’obbligazione abbiamo alla China! Viva la China! E il Can de’ Tartari vorrebbe che il principe della China ripudiasse la sposa? Non la ripudierà, non la ripudierà.

Pantalone. Cossa gh’intra el Can de’ Tartari colla china? (forte)

Agapito. Avete letto i foglietti?

Pantalone. Sior no.

Agapito. Se non avete letto i foglietti, non parlate.

Pantalone. Orsù, se vien el dottor Bonatesta, mandèlo da mi, che voggio far consulto per mia fia.

Merlino. (Il signor Pantalone dice di voler far consulto. Potrebbe chiamar anche me). (a Tarquinia)

Tarquinio. (Se bisognasse sangue, son qua io).

Pantalone. Aveu inteso del consulto? (forte ad Agapito)

Agapito. Che consulto?

Pantalone. Voggio far consulto per mia fia. (forte)

Agapito. Datele la china.

Pantalone. Vôi sentir el consulto dei miedeghi.

Agapito. Verrà il dottor Buonatesta.

Pantalone. Sì, col vien, mandèlo subito. Avanti le disisette, se el pol.

Agapito. Vi sarà il dottor dell’acqua fresca?

Pantalone. Chi?

Agapito. Il dottor Onesti.

Pantalone. Sior sì, el ghe sarà. Ma vorria che ghe fusse un altro miedego.

Agapito. Come?

Pantalone. Vorria che i fusse tre. (forte)

Agapito. Verrò io, verrò io.

Pantalone. Vu no sè miedego.

Agapito. Che? Non son medico?

Pantalone. Sè spizier.

Agapito. Me n’intendo più dei medici. Io ho più pratica di loro. [p. 447 modifica] Ho dei segreti particolari. Medico alla moderna; verrò io, verrò io, e porterò meco la china, e vedrete che il dottor Buonatesta l’approverà. (parte)

SCENA IV.

Il dottor Merlino, Tarquinio e Pantalone.

Merlino. Sentite? Questo speziale vuol far da medico, e leva le visite e le cure ai professori. (a Tarquinio)

Tarquinio. (Sì, fa anche da chirurgo. Porta con sè gli unguenti, e medica le ferite e le piaghe). (a Merlino)

Merlino. (Questa cosa va male. Ognuno ha da esercitare la sua professione. Anche voi, che siete chirurgo, vi dilettate di tastare il polso ed ordinare i medicamenti per le febbri). (come sopra)

Tarquinio. (E voi pure avete insegnato tante volte a fare il decotto di salsapariglia). (come sopra)

Merlino. Signor Pantalone, servitor umilissimo.

Pantalone. Patron mio riverito.

Merlino. Come sta la sua signora figlia?

Pantalone. Mal assae, patron. Ma chi èla ella?

Merlino. Non mi conosce?

Pantalone. Mi no, in verità.

Merlino. E pure, per grazia del cielo, son noto assai in questo paese, nè vi è cavaliere, e pochi sono i mercanti, che da me non sieno serviti.

Pantalone. In verità, mi no la cognosso.

Merlino. Non conosce il dottor Merlino Malfatti, che ha fatto2 tante cure e tanti prodigi in questa città?

Pantalone. Certo, me par assae de no averla mai vista e mai sentia a nominar, perchè in casa mia credo che ghe sia sta tutti i miedeghi, tutti i cerusichi e tutti i spizieri de sto paese.

Merlino. Vi dirò, signor Pantalone, non sono io di quelli che facciano maneggi per ottenere delle cure, e che entrino, come si suol dire, per forza nelle case. Io non fo negozi con gli speziali [p. 448 modifica] per essere introdotto. Fo onestamente la professione mia, vado ove sono chiamato, e per grazia del cielo posso vantarmi che dove ho avuto sinora l’occasione d’andare, sono riuscito nelle mie cure, con tutta la gloria e soddisfazione di quelli che mi hanno chiamato.

Pantalone. (Cancaro! El xe un omo grando!) (da sè)

Merlino. Se il signor Pantalone brama di me informazione, può dimandar qui al signor Tarquinio.

Pantalone. Chi èlo sto sior?

Tarquinio. Non conosce Tarquinio Cristieri? Il primo chirurgo di questa città?

Merlino. Oh, il signor Tarquinio è un uomo esperimentato.

Tarquinio. Il signor dottor Merlino è un uomo celebre.

Merlino. Per cavar sangue non vi è l’eguale.

Tarquinio. Per mali incurabili è un prodigio.

Pantalone. Ma gh’ho ben a caro aver cognossù do persone de tanto merito e de tanta vertù. Mi gho una fia che xe sempre ammalada.

Merlino. Se V. S. comanda, la visiterò.

Tarquinio. Se ha bisogno del chirurgo, son qua io.

Pantalone. Vorria far un poco de consulto; se la vol restar servida, la me farà favor. (a Merlino)

Merlino. Volentieri, la servirò.

Tarquinio. Verrò ancor io, per servirla.

Pantalone. Ma no so, se del chirurgo ghe sia bisogno.

Merlino. Può venire, e potrà dire3 la sua opinione.

Pantalone. Benissimo, ch’el vegna pur. (Manco mal, el cielo provvede4). (da sè, parte)

Merlino. Ricordatevi di approvare tutto quello che dirò io. (a Tarquinio, e parte)

Tarquinio. Se non ordina sangue, non approvo niente. (parte) [p. 449 modifica]

SCENA V.

Camera di Rosaura.

Rosaura sola.

Oimè! Quel pezzo di vitello arrosto col pane5 mi ha toccato il cuore. Veduto il mio caro medico dalla finestra, subito6 mi ha fatto venire appetito7. Ora ho sete, e non so come fare. Oh, vien gente. Presto, presto, nascondiamo il resto del pane; non voglio che mi vedano mangiare.

SCENA VI.

Beatrice, Colombina e detta.

Beatrice. Cara Rosaura, non volete mangiare?

Rosaura. Non posso, non ho appetito.

Colombina. Ma senza mangiare e senza bere non si può vivere.

Rosaura. Via, per farvi servizio beverò.

Colombina. Volete acqua?

Rosaura. Non mi piace.

Beatrice. Volete vino?

Rosaura. Mi fa male.

Colombina. Volete il tè?

Rosaura. Ne sono stufa.

Beatrice. Volete il caffè?

Rosaura. Non mi conferisce.

Colombina. Volete brodo?

Rosaura. Mi fa nausea.

Beatrice. Volete del vino di Cipro?

Rosaura. Oh sì, sì, vin di Cipro. (ridendo)

Colombina. Ora lo vado a prendere. (parie, e poi torna)

Beatrice. Ditemi, quando viene il dottor Onesti, volete che io gli parli segretamente? [p. 450 modifica]

Rosaura. Signora no, che non voglio che gli parliate segretamente.

Beatrice. Intendo per voi.

Rosaura. Per me? (ridendo)

Beatrice. Sì, per voi. Vi contentate?

Rosaura. Acciò mi guarisca presto? (ridendo)

Beatrice. Acciò vi guarisca presto. Vi contentate?

Rosaura. Fate voi.

Beatrice. (Eh ragazza, l’ho conosciuto il tuo male). (da sè)

Colombina. Ecco il vin di Cipro. (porta un bicchiere col vino)

Beatrice. Via, bevetelo.

Rosaura. Ho paura.

Beatrice. Eh via!

Rosaura. Mi farà male.

Beatrice. Via, alla salute del medichino.

Rosaura. Sì, alla sua salute. (prende il bicchiere)

SCENA VII.

Pantalone e dette.

Pantalone. Coss’è? Cossa ghe deu? Cossa bévela?

Beatrice. Per ristorarsi beve il vino di Cipro.

Pantalone. Per restorarse? Coss’è, siora, me la volè mazzar mia fia? (a Beatrice) E ti, frasconazza, ti ghe porti el vin de Cipro? (a Colombina) Qua sto gotto. Povera putta! I te voleva far morir. (leva il bicchiere di mano a Rosaura)

Colombina. È stato battuto.

Pantalone. Ande a veder chi xe. Tutta sta roba a una povera ammalada! (Colombina parte, e poi torna)

Rosaura. (Questa volta mi colpisce nella gola). (da sè)

Colombina. Ecco il signor dottor Onesti.

Rosaura. (Oimè! respiro). (da sè)

Pantalone. Coss’è, fia mia, ti te mui8 de color a sentir el miedego? Hastu paura? No te dubitar, che faremo consulto. [p. 451 modifica]

SCENA VIII.

Il dottor Onesti e detti.

Onesti. Servo di lor signori.

Pantalone. Sior dottor, andemo de mal in pezo.

Onesti. Signora, che cosa avete?

Rosaura. Non so... mi sento... Oimè!... ho una sete crudele.

Onesti. Se ha sete, datele da bere.

Pantalone. No se sa cossa darghe; tutto ghe fa mal.

Beatrice. (Signor dottore, fra voi e me vi dirò il suo male). (piano all’Onesti)

Onesti. (Già me l’immagino, vorrà marito). (da sè) Colombina, fatevi dare quella boccia d’acqua cordiale, che ha portato ora il garzone dello speziale: prendete un bicchiere, e venite qui.

Colombina. Subito. (parte, poi ritorna)

Pantalone. La varda che no femo pezo. (al dottore)

Onesti. Fidatevi di me.

Pantalone. Ho paura che no la la torrà.

Onesti. Signora Rosaura, la prenderete?

Rosaura. La prenderò.

Onesti. Mi credete?

Rosaura. Vi credo.

Onesti. Quando l’ammalato crede al medico, guarisce più facilmente.

Colombina. Eccomi. (con una boccia d’acqua ed un bicchiere)

Onesti. Date qui. (getta l’acqua nel bicchiere)

Pantalone. Via, cara, per amor de to pare.

Onesti. Caro signor Pantalone, lasciate fare a me.

Beatrice. Lasciate fare a lui, che ha più grazia di voi. (a Pantalone)

Pantalone. Se no ghe la dago mi, no la la vorrà.

Onesti. Signora Rosaura, se ve la darò io, la beverete?

Rosaura. Signor sì.

Pantalone. Vustu che te la daga mi?

Rosaura. Signor no.

Pantalone. Via, la ghe la daga ela. Za no la ghe farà niente.

Onesti. (Cara signora Rosaura, è peccato che una giovine come [p. 452 modifica] voi, si lasci opprimere dalla malinconia. Via, bevete quest’acqua cordiale). (piano)

Rosaura. (Beve, guardando con attenzione il medico, e poi sospira.)

Onesti. (Siete sul fior della gioventù; pensate a maritarvi). (piano)

Rosaura. (Beve e ride.)

Onesti. (Quando si saprà che siete sana, sarete subito desiderata in isposa). (piano)

Rosaura. Oimè, quell’acqua mi ha data la vita.

Pantalone. Distu dasseno?

Rosaura. Sì certamente; sto meglio assai.

Onesti. Vedete, se quest’acqua è prodigiosa?

Pantalone. Son fora de mi dalla contentezza.

Beatrice.9 (Oh, più dell’acqua hanno operato le parole del medico). (da sè)

Pantalone. Cara ela, cossa xe quell’acqua?

Onesti. È un mio segreto particolare. (A suo tempo saprà essere acqua di pozzo). (da sè)

Pantalone. Te sentistu più gnente? (a Rosaura)

Rosaura. Oh, il signor dottore mi ha dato la vita.

Onesti. (Signor Pantalone, volete ch’io vi dia un consiglio da galantuomo, per far che vostra figlia stia sempre bene?) (piano)

Pantalone. (Via mo, cara ela, la diga).

Onesti. (Datele marito).

Pantalone. (Disela dasseno?)

Onesti. (Fate a mio modo, e vi troverete contento).

Pantalone. (Me l’ha dito dei altri e no gh’ho bada; co lo disc el miedego, sarà cussì. Bisognerà mandarla). (da sè) Fia mia, stastu ben?

Rosaura. Parmi di star bene.

Pantalone. Dimme, cara ti; se vegnisse occasion de maridarte, tioresistu mario volentiera?

Rosaura. (Ride e si vergogna.)

Pantalone. Te torna mal? [p. 453 modifica]

Rosaura. Oh, signor no.

Pantalone. Dimme, tioresistu mario?

Rosaura. Perchè no?

Pantalone. Ben; se ti sarà sana, te mariderò.

Rosaura. Adesso parmi di essere risanata.

Pantalone. Co l’è cussì, sappi, fia mia, che un certo sior Lelio Ardenti t’ha fatto domandar; gh’ho dito de no, perchè ti gieri poco sana; ma adesso che ti sta ben, ghe dirò de sì, e te mariderò.

Rosaura. Oimè! Mi vien male, non posso più.

Pantalone. Sior dottor, presto, ghe torna mal. Vedeu? Gnanca el mario la farà guarir.

Onesti. (Costei è innamorata di qualcheduno). (da sè) Volete un altro bicchiere d’acqua cordiale?

Rosaura. No, non ne voglio.

Pantalone. Vustu che te la daga mi?

Rosaura. Signor no.

Onesti. La volete da me?

Rosaura. Ah, non giova. (sospirando e guardandolo)

Onesti. Via, signora Rosaura, fatevi animo.

Rosaura. Non posso.

Pantalone. Ma cossa gh’astu?

Rosaura. Non lo so.

Onesti. Via, che cosa vi sentite?

Rosaura. Non lo so. (piangendo)

Pantalone. Ti pianzi? Ti me par matta.

Rosaura. Se son pazza, lasciatemi stare da pazza. Non mi abbadate, non mi tormentate.10 (parte)

Pantalone. Povera putta! Ande là, creature, agiutela.

Colombina. (Oh, il medico non la guarirà mai, sino che suo padre sarà presente alla cura). (parte, e poi ritorna)

Beatrice. (Signor dottore, fra voi e me parleremo) (piano al dottore) Amore fa proprio impazzire le povere donne. (parte) [p. 454 modifica]

Pantalone. Mi resto incantà. L’è un mal che no se capisse.

Onesti. Eppure io lo capisco perfettamente.

Colombina. Signor padrone, vi sono delle persone che vi domandano.

Pantalone. Chi èli?

Colombina. Mi paiono medici.

Pantalone. Sì, sì, va là, dighe che vegno.

Colombina. Questa casa è divenuta uno spedale. (parte)

SCENA IX.

Il dottor Onesti e Pantalone.

Pantalone. Sior dottor caro, sta putta no xe varìa. Par che un medicamento ghe fazza ben, ma la torna pezo che mai. Se la se contenta, voi che femo un pochetto de consulto.

Onesti. Signor Pantalone, voi gettate via il vostro denaro; il male di vostra figlia non ha bisogno di consulti.

Pantalone. Oh, me maraveggio, patron, se tratta del mio sangue; vaga la casa e i coppi11, ma voi sentir l’opinion de altri miedeghi; a ela no fazzo torto; la xe el miedego della cura, e no intendo de licenziarla.

Onesti. Caro amico, i consulti sono spesse volte la rovina degli ammalati. La moltitudine dei medici produce della confusione. O sono tutti d’accordo, ed è superfluo il moltiplicarli, o sono discordi, e l’ammalato si fa morire più presto.

Pantalone. Ma cara ela, perchè me vorla impedir che me toga sta soddisfazion?

Onesti. O vi fidate di me, o non vi fidate. Se vi fidate, lasciatemi operare; se non vi fidate, prendete un altro medico, e contentatevi di uno solo.

Pantalone. Mi de ela me fido. Ma gnancora la m’ha savesto dir che mal che gh’abbia mia fia?

Onesti. Sapete che male ha vostra figlia?

Pantalone. Via, che mal gh’ala? [p. 455 modifica]

Onesti. Niente affatto. Sta meglio di voi e di me.

Pantalone. Come gnente? La ghe dise gnente a quei mali che ghe chiappà12?

Onesti. Vi parlo da galantuomo, da uomo onesto; non ha niente: non gettate denari in medici e in medicine, perchè vi replico, non ha niente.

Pantalone. Ma pur anca ela la gh’ha ordenà l’acqua cordial, e la gh’ha fatto ben.

Onesti. Sapete che cordiale è? Acqua di pozzo pura.

Pantalone. Eh via, fandonie. Se la l’ha fatta revegnir.

Onesti. È opinione; non ha niente.

Pantalone. Orsù, se la me dà licenza, vôi sentir l’opinion dei altri. Se i dirà che no sia gnente, no sarà gnente. Ma vôi sentir.

Onesti. Troverete di quelli che diranno che ha un gran male, e non sarà vero.

Pantalone. Questi che ho trova, i xe do galantomeni.

Onesti. Chi sono?

Pantalone. El dottor Bonatesta e el dottor Merlin Malfatti.

Onesti. (Buono! Un impostore e un ignorante). (da sè)

Pantalone. No i xe do virtuosi de garbo?

Onesti. Io non dico male di nessuno.

Pantalone. Xeli so amici?

Onesti. Io sono amico di tutti.

Pantalone. Hala difficoltà de unirse con lori?

Onesti. Io parlo con chicchessia.

Pantalone. Donca la vegna via, e andemo a far sto consulto, (parte)

SCENA X.

Il dottor Onesti solo.

Pover’uomo! Mi fa pietà. Getta via il suo denaro, e certamente la sua figliuola non ha verun male. Ella è innamorata, e se mi riuscisse scoprire chi sia il suo amante, avrei trovata la medicina [p. 456 modifica] sicura per guarirla. Spero che saprò tutto dalla signora Beatrice. A me suol dare delle occhiate languide e appassionate, ma le considero come di una supposta inferma, che al medico si raccomanda. Non credo mai ch’ella sia innamorata di me. Se ciò potessi suppormi, lascerei subito di visitarla; perchè non s’avesse a dire che, col pretesto della mia professione, avessi io sedotta la figlia d’un galantuomo. Son un uomo d’onore, che antepone il proprio decoro a qualunque interesse di questo mondo.13 (parte)

SCENA XI.

Camera con varie sedie.

Pantalone dando mano a Rosaura, li tre medici e Tarquinio chirurgo.

Pantalone. Via, fia mia, sèntete qua, e abbi un poco de pazenzia; sentirne cossa sa dir sti tre14 medici; se tratta della to salute.

Rosaura. Sì, sì, ascoltiamo tre medici; acciò, se mi fanno morire, non si sappia a chi dar la colpa.

Pantalone. No i xe qua per farte morir, ma per farte varir.

Rosaura. (Caro il mio medichetto! quello mi farebbe guarire!) (da sè)

Pantalone. Le resta servide, le se comoda. (tutti siedono)

Onesti. Signor Tarquinio, qui non abbiamo caso di chirurgia.

Tarquinio. Può darsi che vi sia bisogno di sangue.

Onesti. Se vi sarà bisogno di sangue, sarete chiamato.

Tarquinio. Come! Non posso star a sedere fra lor signori? Sono addottorato ancor io.

Pantalone. Signori, quella xe la mia povera putta ammalada. Le supplico de intender la qualità del so mal, e dir la so savia opinion.

Onesti. Signori colleghi e padroni miei veneratissimi, a me, come medico attuale della signora, toccherebbe a far l’istoria del male, [p. 457 modifica] se quello che la molesta fosse mal fisico, e non piuttosto ideale. Tre sono gli effetti perniciosi prodotti dalla sua immaginazione: vigilia, inappetenza, oppression di cuore. Ella non può dormire, perchè avendo impegnata la fantasia a pensare, escono continuamente dalla glandula pineale una quantità di spiriti, dai quali si mantengono dilatati i ventricoli del cervello; onde tutte le filature de’ nervi, che da essi derivano, sono tesi e agitati, e la macchina pronta a ubbidire alle operazioni degli spiriti, si mantien vigilante. Ella non ha appetito, perchè l’agitazione degli spiriti diffondendosi per tutta la diramazione dei nervi, agita violentemente la fibra15, e ne produce un’imperfetta chilificazione, onde rimanendo aggravato il ventricolo da materie indigeste e viscose, ne proviene l’inappetenza. Ella patisce delle oppressioni di cuore, ma queste non sono certamente prodotte nè dall’abbondanza del sangue, nè da’ coaguli, nè da vene anguste e molto meno da vene dilatate, poichè il polso regolare ci assicura non esservi alterazioni nei fluidi, nè disordine alcuno nei solidi; onde convien dire, che la stessa forte immaginazione accrescendo il vigore a quelli spiriti che formano la virtù elastica delle arterie e de! cuore, faccia sentir con violenza le pressioni che si formano alle parti vitali, e impediscano per alcun poco il respiro. Ciò mi conferma a credere la facilità con cui ella passa dal riso al pianto, effetti appunto prodotti dai moti diversi delle viscere superiori, cioè dalla restrizione e dalla dilatazione de’ polmoni. Conchiudo pertanto, giudicando io il male di questa signora essere meramente ideale e non fisico, dipendente unicamente dalla immaginazione, non esservi nell’arte medica rimedio opportuno a rischiararle la fantasia; ma ciò doversi fare colla cognizione del motivo della sua fissazione, secondando le di lei brame, se sono oneste, o correggendole, se tali non sono. Rimettendomi al savio parere della loro esperimentata virtù.

Rosaura. (Caro il mio dottorino, ha conosciuto il mio male), (da sè) [p. 458 modifica]

Pantalone. (Sto sior dottor Onesti vuol che mia fia sia matta). (da sè)

Buonatesta. Signor Malfatti, dica ella la sua opinione.

Merlino. Per me, mi rimetto in tutto e per tutto al savio parere del dottor Onesti.

Buonatesta. Se vi rimettete voi, non mi rimetto io.

Tarquinio. Badi bene, signor dottore, che l’oppression di cuore proverrà da sangue grosso, abbondante, coagulato.

Buonatesta. Favorisca il polso. Ah! (fa cenni che va male) Signor dottor Merlino, sentite questo polso.

Merlino. (Lo tasta) Ah! (dimena il capo)

Buonatesta. Vi par che questo sia polso giusto? (toccando il polso a Rosaura)

Merlino. Non mi pare. (toccando l’altro)

Buonatesta. Vi par che sia polso eguale?

Merlino. Oh, signor no.

Buonatesta. Di polso stiamo male.

Merlino. Malissimo.

Onesti. (Diamine! Che abbia in un momento cambiati i polsi?) Favorisca, signora Rosaura, che lo senta ancor io. (lo tasta) (Va bene, che non può andar meglio). (da sè) Signor dottor Merlino, senta meglio questo polso. Va benissimo.

Merlino. È vero. Ora va benissimo.

Onesti. Può essere più uguale?

Merlino. Ugualissimo.

Onesti. Senta, signor dottor Buonatesta.

Buonatesta. L’ho sentito, e va male. Orsù, permettano, signori miei, che colle metodiche osservazioni possa io formare l’agnostico ed il prognostico di questo male. Dice Ippocrate: Si sufficerit16 medicus ad cognoscendum, sufficiet etiam ad curandum.

Pantalone. Oh bravo!

Buonatesta. Signora mia, che nome avete?

Rosaura. Il mio nome non ha che fare col mio male.

Buonatesta. Interim medicis nominum inquisitio omnino necessaria. [p. 459 modifica]

Onesti. Perdoni, signor dottore. Intelligitur de nominibus rerum, non personarum.

Merlino. Sì, rerum, non personarum.

Buonatesta. Siamo qui non per questionare, ma per medicare.

Onesti. (E per dire degli spropositi). (da sè)

Buonatesta. Quanti anni avete? (a Rosaura)

Rosaura. (Vuol sapere anche gli anni). (da sè) Ne ho venti.

Pantalone. No, fia mia, ti falli, i xe vintiquattro17.

Buonatesta. Siete allegra o malinconica?

Rosaura. Secondo le occasioni.

Pantalone. Ora la pianze, ora la ride.

Buonatesta. Risus est species convulsionis, vel spasmi convulsivi. Proviene il riso involontario e smoderato a pracordium inflammatione. Bisogna rimediarvi; tutti quei mali che possono dinotare impegno di coagulo, sono nella categoria dei mortali. Bisogna rimediarvi.

Merlino. Conviene rimediarvi.

Tarquinio. Se vi è impegno di coagulo, vi vuol sangue.

Merlino. Certissimo. Vi vuol sangue.

Onesti. Piano con questo sangue. La signora Rosaura non ha ingoiata l’erba sardonica, onde possa dirsi che il riso in essa sia prodotto da convulsione.18

Tarquinio. Ora ride, ora piange.

Buonatesta. Le lacrime dette dai Greci dacrya, sono effetti patematici, provenienti dall’agitazione degli spiriti animali e dal sangue.

Tarquinio. Sangue, sangue.

Merlino. Sì, sangue.

Onesti. Le lacrime non sono che un umore escrementizio, sieroso e linfatico, ex oculorum glandulis prorumpens, per occasione di qualche tristezza o di qualche dolore; onde consolata che sia la persona, cessan le lacrime, giusta il trito assioma: remota causa, removetur effectus. [p. 460 modifica]

Merlino. È vero: removetur effectus.

Pantalone. (Sto sior dottor Merlin accorda tutto). (da sè)

Buonatesta. Avete appetito? (a Rosaura)

Rosaura. Signor no.

Buonatesta. Conosco dalle vibrazioni del vostro polso esservi un’abbondanza di sangue, che altera la digestione. Bisogna rimediarvi.

Merlino. Senza dubbio.

Onesti. Mi perdonino; se si pretende arguire l’abbondanza del sangue dal polso, io dico e sostengo che il polso della signora Rosaura è naturale, giusto e sano, senza un minimo accidente che lo possi denotare alterato.

Buonatesta. Questa è questione di fatto. io dico esservi della effervescenza. (tasta il polso) Signor Malfatti, sentite.

Merlino. Certo, vi è dell’effervescenza. (tastando)

Onesti. Io dico che questo polso non può essere più naturale, e non so come il signor dottor Malfatti possa sostenere il contrario. Favorisca dirmi per mia istruzione, quali sono gli accidenti che denotano il polso effervescente?

Merlino. Eh, che il polso è naturale, naturalissimo. (tastando)

Rosaura. (S’alza) Signori miei, sono annoiata di farmi toccare il polso. L’avete sentito tanto che basta; io non ne voglio più. Discorrete, consultate, ordinate quanto volete, non vi abbado e non vi credo.

Onesti. (Come? non abbadate a nessuno?) (piano a Rosaura)

Rosaura. (Sì, abbado a voi, e se voi foste in caso di abbadare a me, forse forse staremmo bene tutti due). (piano all’Onesti, e parte)

SCENA XII.

I tre medici, Tarquinio e Pantalone.

Pantalone. Tolè, la s’ha stufà, la xe andada via.

Onesti. (Che diavolo ha ella detto? Credo di non averla bene capita). (da sè)

Buonatesta. Orsù, non potendoci noi accordare nella qualità del [p. 461 modifica] polso, non possiamo accordarci nella qualità della cura. Io dico che il male di vostra figlia è gravissimo. Ricordatevi dell’aforismo d’Ippocrate: Principiis obsta, sero medicina paratur. (cava l’orologio) Signor Pantalone, sono passati i due quarti d’ora, il Conte mi aspetta, e non posso più trattenermi.

Pantalone. Ma cossa hale concluso?

Onesti. Si è concluso quello che vi ho predetto che si doveva concludere.

Buonatesta. Signor Pantalone, vi riverisco.

Pantalone. Servitor suo.

Buonatesta. (Guarda l'orologio e guarda Pantalone.)

Onesti. (Via, date la paga al signor dottor Buonatesta, e dategliela generosa). (a Pantalone)

Pantalone. (Co sto sugo l’ho da pagar?) (all'Onesti)

Onesti. (Vostro danno). (a Pantalone)

Buonatesta. Signor Pantalone, comanda altro da me?

Pantalone. La favorissa. (gli dà denari)

Buonatesta. Obbligatissimo. (prende il denaro)

Pantalone. Ma insomma cossa sarà de mia fia?

Buonatesta. Ora non posso trattenermi, tornerò e parleremo. La signora Rosaura guarirà, ma vi vuol per lei una cura lunga. (parte)

SCENA XIII.

Il dottore Onesti, il dottore Merlino, Tarquinio e Pantalone.

Merlino. Signor Pantalone, vi son servitore.

Pantalone. Patron mio reverito.

Merlino. Se non comanda altro, vado per i fatti miei.

Onesti. (Via, pagate anche lui). (a Pantalone)

Pantalone. (Per aver dito quello che diseva i altri?)

Onesti. (L’avete chiamato, convien pagarlo).

Pantalone. La perdona, la riceva sto piccolo regaietto per la cioccolata. [p. 462 modifica]

Merlino. Obbligatissimo. (A me meno degli altri?) (da sè)

Pantalone. Cossa me disela de mia fia?

Merlino. Faccia a modo del signor dottor Onesti, e non potrà errare.

Tarquinio. Ma il sangue è necessario.

Merlino. Certamente il sangue vi vorrà senz’altro. (parte)

Pantalone. (Oh che caro dottor panchiana!19 Sior sì, sior no, de qua, de là, co fa le banderiole20). (da sè)

Tarquinio. Signor Pantalone, gli son servo.

Pantalone. Anca mi a ela.

Tarquinio. Mi comanda?

Pantalone. La so cara grazia.

Onesti. (Ehi, vuol la paga egli pure). (piano a Pantalone)

Pantalone. (Anca elo? per cossa?)

Onesti. (Non avete sentito quante volte ha detto sangue, sangue; bisogna pagarlo).

Pantalone. Co ghe vorrà sangue, me prevalere de ela.

Tarquinio. Signore, io ho detto la mia opinione.

Pantalone. E mi la mia.21

Onesti. E convien pagarlo.

Pantalone. Co l’è cussì, besogna pagarlo. Questo xe un filippo: xela contenta?

Tarquinio. Contentissimo. Anzi per farvi vedere che vi sono grato, voglio darvi un altro ricordo.

Pantalone. La me farà grazia.

Tarquinio. Se la signora Rosaura non volesse il sangue, se le potrebbero applicar le ventose. (parte) [p. 463 modifica]

SCENA XIV.

Il dottore Onesti e Pantalone.

Pantalone. Grazie de sto bel recordo. In verità son contento! Oh, adesso son qua da ela. La lassa che anca co ela fazza el mio debito, e ghe paga sto consulto.

Onesti. Mi meraviglio: di questo consulto non voglio nulla.

Pantalone. Mo perchè?

Onesti. Perchè non voglio profittare della vostra troppa credulità.

Pantalone. La m’ha pur dito ela che daga la paga ai altri miedeghi.

Onesti. A quelli si conveniva una tal paga, perchè vivono d’impostura, non a me che mi compiaccio unicamente degli onesti profitti. Vi ripeto ciò che vi ho detto a principio: Vostra figlia ha un’infermità, a cui non giovano nè i rimedi, nè i medici. Ella non vuol consulti, ma vuol marito. Io ho rilevato il suo male; tocca a voi a scoprire qual abbia a essere la sua medicina. (parte)

SCENA XV.

Pantalone solo.

Pussibile che mia fia senta tanti incomodi per voggia de mario? Ma se quando ho parlà de maridarla la s’ha sconvolto, e l’è squasi andada in accidente? Oh, sto sior dottor Onesti xe troppo zovene; nol gh’ha altro in testa che frascherie22; nol fava altro che contradir a quel gran omo del dottor Bonatesta, e sì credo che ghe ne sappia più elo col dorme, che sto sior dottor quando el veggia. No se sente che l’è un omo grando? El parla squasi sempre latin. (parte) [p. 464 modifica]

SCENA XVI.

Strada con la casa di Pantalone.

Lelio solo.

Muoio di voglia di sapere che cosa abbiano concluso i medici nel consulto sopra il male della signora Rosaura. Il dottor Merlino Malfatti mi ha assicurato che a quest’ora il consulto doveva farsi. Qualcheduno uscirà da questa casa, e ne potrò domandare. Oh, ecco il dottor Buonatesta.

SCENA XVII.

Il dottor Buonatesta e detto.

Lelio. Signor dottore, favorisca in grazia, come sta la signora Rosaura? (al dottor Buonatesta, che esce dalla casa di Pantalone)

Buonatesta. Male assai, male assai. (parte)

Lelio. Oh povera giovane! mi rincresce per lei, e mi rincresce per me.

SCENA XVIII.

Tarquinio dalla casa di Pantalone, e detto.

Lelio. Signor Tarquinio, come sta la signora Rosaura?

Tarquinio. Non vi è gran male! Con una cavata di sangue guarisce perfettamente. (parte)

Lelio. Oh via, sia ringraziato il cielo! Non v’è quel male che diceva il dottor Buonatesta.

SCENA XIX.

Il dottor Merlino dalla casa di Pantalone, e detto.

Lelio. Oh, signor dottor Malfatti, favorisca: come sta la signora Rosaura?

Merlino. Poverina! ha un gran male. [p. 465 modifica]

Lelio. Ma sarà un male sanabile?

Merlino. Ho paura di no.

Lelio. Ha una male incurabile?

Merlino. Ho paura di sì. (parte)

Lelio. Dunque il chirurgo non sa quello che si dica; due medici dicono che il male è grave, ed ei pretende guarirlo con una cavata di sangue? Ecco il dottor Onesti.

SCENA XX.

Il dottor Onesti dalla casa di Pantalone, e detto.

Lelio. Signor dottore, perdoni la mia curiosità. Sta male assai la povera signora Rosaura?

Onesti. Anzi sta benissimo.

Lelio. Come! se gli altri medici hanno detto che sta assai male?

Onesti. Ed io vi dico che sta perfettamente bene. (parte)

Lelio. Oh, andate a credere a questi medici. Uno dice male assai. L’altro male incurabile. Il chirurgo: guarirà con una cavata di sangue. Quest’altro medico sostiene che sta benissimo. Posso dunque concludere, che nessuno di tutti quattro sa quel che si dica. Disse bene Ippocrate ne’ suoi aforismi: Ars longa, vita brevis. Ma io quest’aforismo lo interpreto a modo mio: Ars longa, rispetto a quei medici che non l’imparano mai. Vita brevis, rispetto a noi altri poveri disgraziati, che per credere ai medici ci abbreviamo la vita.

Fine dell’Atto Secondo.



Note

  1. Lo stesso che: volesse il cielo. [nota originale]
  2. Pap.: il dottor Merlino Malfatti? Quel medico che ha fatto ecc.
  3. Pap.: e potrà dire sul fatto.
  4. Pap.: el cielo me provvede; co sta sorte de omeni, mia fia varisse senz’altro.
  5. Pap.: con questo pane.
  6. Pap.: Ho veduto ecc. e subito.
  7. Zatta: mi è venuto appetito.
  8. Ti cangi. [nota originale]
  9. Segue nell’ed. Pap.: «Colomb. Le preme che si sappia ch’è guarita, per trovar marito».
  10. Segue nell’ed. Pap.: Voglio ridete, voglio piangere, voglio far quel ch’io voglio.
  11. Vada tutto, si spenda tutto. [nota originale]
  12. A quei mali che l’assalgono? [nota originale]
  13. Pap. aggiunge: Son tale, qual credo sieno, e certamente saranno, tutti quelli dell’onorata mia professione.
  14. Zatta: cossa sa dir tre.
  15. Pap. aggiunge: trituratoria.
  16. Così tutte le edd.
  17. Pap.: vintidò.
  18. Segue nell’ed. Pap.: «ella ride per gioialità, per piacere, per allegria. Merl. Se ride per allegria, non fa duopo di sangue. Tarq. Come ride per allegria, se ora ride, ora piange? Merl. Quando sia così, voi dite bene. Buon. Le lacrime delle ecc.»
  19. Ciarlona. [nota originale]
  20. Come le girandole. [nota originale]
  21. Segue nell’ed. Pap.; «Tarq. Ma io ho perso mezz’ora con lei senza frutto. Pant. E mi ho perso mezz’ora con lor siori senza profitto. Tarq. Per me ha sentito; ho detto sangue. Pant. E mi la sente: digo pagherò. Tarq. E per il consulto? Pant. E per il consulto... On. E per il consulto convien pagarlo. Pant. Co l’è cussì, bisogna ecc.»
  22. Che barzellette. [nota originale]