La finta ammalata/Atto I
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ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Bottega di speziale.
Agapito sedendo e leggendo i foglietti. Tiburzio dentro al banco. Dottor Merlino e Tarquinio, che giuocano a sbaraglino.
Agapito. Oh, chi l’avesse mai detto, che l’imperator della China avesse a sposare la figlia del re del Mogol!
Tarquinio. Il signor Agapito non pensa altro che alle novità, e lascia la spezieria in mano de’ suoi garzoni. (giuocando)
Agapito. Buono, buono: faranno lega offensiva e difensiva. Signor dottore. (forte verso Merlino)
Merlino. Che cosa c’è? (giuocando)
Agapito. Signor dottore. (più forte)
Merlino. Che cosa volete?
Agapito. Signor dottore. (più forte)
Tarquinio. Non sapete che è sordo? Dite forte. (a Merlino)
Merlino. Che cosa volete? (forte)
Agapito. Sentite questa bella novità. L’imperator della China sposerà la figlia del re del Mogol.
Merlino. Non me n’importa un fico.
Agapito. Ah?
Merlino. Non m’importa.
Agapito. Che?
Merlino. (Oh sordo maladetto!) Vi dico che non ci penso. (forte)
Agapito. Ho inteso, ho inteso. Siete di buon gusto. (È un dottor ignorante, che non sa niente; non sa nemmeno scrivere le ricette). (da sè)
SCENA II.
Fabrizio e detti.
Fabrizio. Signore.
Agapito. Che domandate?
Fabrizio. È ella il padrone?
Agapito. Come?
Fabrizio. Il padrone chi è?
Agapito. Io. Che cosa volete?
Fabrizio. Mi manda l’illustrissimo signor marchese Asdrubale, mio padrone.
Agapito. Chi?
Fabrizio. Il signor marchese Asdrubale. (forte)
Agapito. Oh, l’illustrissimo signor Marchese... Son qui, son qui; che cosa comanda? (s’alza)
Fabrizio. La prega di mandargli un medico.
Agapito. Che? Un medico? Dite un poco più forte.
Fabrizio. Si signore, la prega di mandargli un medico.
Agapito. Chi ha male? Il signor Marchese?
Fabrizio. Signor no; un suo garzone di stalla.
Agapito. Stalla? Avete detto stalla?
Fabrizio. Sì, signore, un garzone di stalla.
Agapito. Uh! gran premura per un garzone di stalla! (siede)
Fabrizio. È pregata mandargli questo medico. (forte)
Agapito. Ecco lì, prendete il signor dottore Merlino.
Fabrizio. È buono veramente? Perchè l’ammalato è mio fratello.
Agapito. Sì, sì, per un garzone di stalla è buono.
Fabrizio. Signore, la vita di un garzone di stalla vai quanto quella del suo padrone.
Agapito. Vi manda il padrone; ho capito. Signor dottore Merlino, andate a visitare questo garzone di stalla.
Merlino. (S’alza) Andiamo pure. (Se questa fosse una buona cura, non mi manderebbe al certo; ma convien pigliare quello che viene). (da sè)
Tarquinio. Galantuomo, se vi è bisogno del chirurgo, son qua io.
Fabrizio. Non lo so. Gli è venuta la febbre con uno svenimento.
Tarquinio. Svenimento? Vi vuol sangue; è vero, signor dottore? vi vuol sangue.
Merlino. Andiamo, e lo vedremo.
Tarquinio. Tutto il male vien dal sangue.
Merlino. Se vi sente il signor Agapito, state fresco! Manco male ch’è sordo.
Tarquinio. Sì, egli vorrebbe che invece di cavar sangue, si caricassero gli ammalati di pillole e di sciroppi. (parte)
Merlino. Ognuno procura tirar l’acqua al suo mulino. (parte)
Fabrizio. Il cielo me la mandi buona. (parte)
SCENA III.
Agapito solo, leggendo.
Si prevede che il Gran Can de’ Tartari, posto in gelosia di un tal matrimonio, si armerà alle frontiere del suo paese... Non vedo l’ora che venga il dottor Buonatesta. Questo foglietto non l’avrà avuto; non ha egli le corrispondenze che ho io. Oh, ecco qui il dottor Onesti. Questi è un galantuomo che sa, ma scrive poco; non è buono per una spezieria...
SCENA IV.
Il dottore ONESTI e detto.
Onesti. Riverisco il signor Agapito.
Agapito. Servitor suo.
Onesti. È stato nessuno a cercar di me?
Agapito. Che dice?
Onesti. (Che pena con questo sordo!) (da sè) Nessuno ha domandato di me? (forte)
Agapito. Signor no, nessuno.
Onesti. Ditemi, si è veduto il signor Pantalone de’ Bisognosi?
Agapito. Bisognosi, di che?
Onesti. Si è veduto il signor Pantalone? (forte)
Agapito. Ah, il signor Pantalone de’ Bisognosi? Ho inteso. Signor no, non si è veduto.
Onesti. Porterà, o manderà una ricetta mia per la signora Rosaura sua figlia. Voi avete a fingere di dargli un medicamento, e gli avete a dare una boccia d’acqua del vostro pozzo. (forte e vicino)
Agapito. Perchè una boccia d’acqua, e non altro?
Onesti. Perchè il male di quella giovane è ideale; crede aver male, e non è vero. Per contentarla, qualche volta le accordo apparentemente un qualche medicamento che non le possa far male; le do l’acqua pura, per non imbarazzarle lo stomaco con inutili medicamenti. (forte)
Agapito. Ma se le do l’acqua, che cosa metterò in conto nel libro?
Onesti. Niente. (come sopra)
Agapito. Niente?
Onesti. Volete farvi pagare l’acqua pura del vostro pozzo? (come sopra)
Agapito. Ma se la do per medicamento!
Onesti. È un finto rimedio, per secondare l’immaginazione della ragazza. Quando l’avrà bevuta, probabilmente le parrà star meglio, loderà il medicamento; ed io allora svelando la verità, assicurandola che la bevanda non era che acqua di pozzo, può essere che mi riesca disingannarla, e distruggere a poco a poco i suoi pregiudizi e le sue malinconie. (forte)
Agapito. Andate là, che siete un bravo medico. (con ironia)
Onesti. Fate voi il vostro mestiere, e lasciate a me fare il mio. (forte)
Agapito. Se medicate coll’acqua fresca, distruggete il mio mestiere ed il vostro.
Onesti. Io non ordino i medicamenti per beneficar lo speziale. (forte)
Agapito. Sì, voi ordinate l’acqua fresca per incomodarlo.
Onesti. Il signor Pantalone è uomo ricco e proprio; non dubitate, vi riconoscerà. (allontanandosi)
Agapito. Che cosa conoscerà?
Onesti. Dico che vi riconoscerà.
Agapito. Chi?
Onesti. Il signor Pantalone.
Agapito. A chi?
Onesti. A voi.
Agapito. Come a me?
Onesti. Riconoscerà voi.
Agapito. Perchè?
Onesti. (Oh sordo maledetto!) (da sè)
Agapito.' Il Gran Can de Tartari fortificherà le piazze di frontiera. (legge)
SCENA V.
Lelio e detti.
Lelio. Signor dottore, appunto di voi andava in traccia.
Onesti. In che vi posso servire? Che cosa avete da comandarmi?
Lelio. Vorrei pregarvi di sapermi dire, come sta la signora Rosaura.
Onesti. Siete voi parente della signora Rosaura?
Lelio. Parente no, sono amico.
Onesti. Amico di suo padre o di lei?
Lelio. Veramente più di lei che di suo padre. Vi dirò, la desidero per moglie e l’ho fatta chiedere al signor Pantalone. Egli, col pretesto che la figlia è ammalata, non la vuol maritare, onde per questo desidero sapere come sta di salute.
Onesti. Vi dirò, signore, ella sta bene e crede di star male.
Lelio. Caro signor dottore, ve la raccomando.
Onesti. Assicuratevi ch’io farò il mio dovere.
Lelio. Vorrei pregarvi d’una grazia.
Onesti. Dove posso, comandatemi.
Lelio. Quando andate a visitarla, favoritemi salutarla da parte mia.
Onesti. Mi maraviglio di voi; di questa sorta d’uffizi non s’incaricano i pari miei. Io faccio il medico, e pratico nelle case unicamente per esercitare la mia professione. Io non m’introduco negli affari domestici; non fo il consigliere, non fo l’economo, e molto meno il mezzano. (parte)
SCENA VI.
Lelio ed Agapito.
Lelio. Capperi! questo signor dottore porta alta la sua professione. Il dottore Merlino non avrebbe avuto tante difficoltà. Bisognerà assolutamente che io mi serva di qualche mezzo per coltivar la signora Rosaura. Una figlia unica di un padre ricco merita tutta l’attenzione di un uomo che brama fare la sua fortuna. (parie)
Agapito. (S’avanza) Sia ringraziato il cielo! Il signor dottore dell’acqua pura se n’è andato; se tutti facessero così, starei fresco. Acqua pura? Almeno avesse ordinato che gli mettessi dentro quattro semi di zucca, che avrei messo a libro: Per emulsionem quattuor seminum frigidorum maiorum, paoli tre.
SCENA VII.
Pantalone e detto.
Pantalone. Sior Agapito riverito.
Agapito. Oh signor Pantalone riveritissimo, padron mio stimatissimo, servitor suo umilissimo.
Pantalone. Come steu? Steu ben?
Agapito. Sta bene? Me ne rallegro.
Pantalone. Digo se vu stè ben. (forte)
Agapito. Io sto bene, se sono in grazia del mio veneratissimo signor Pantalone.
Pantalone. Grazie alla vostra bontà.
Agapito. Ha nulla da comandarmi?
Pantalone. Gh’ho qua sta ricettina, se volè far grazia.
Agapito. Favorisca, lasci vedere. L’ha fatta il dottor Onesti?
Pantalone. Giusto elo.
Agapito. (Il signor dottore dell’acqua pura). (da sè) Sentiamo che cosa dice: Recipe aquam putei recenter extractam, ponatur in vase vitreo, deinde offeratur puellae, ut bibat ad satietatem. (Oh bella ricetta!) Signor Pantalone, ha veramente male la signora Rosaura?
Pantalone. Poverazza! Xe tanto tempo che la gh’ha mal, e nissun ghe trova remedio1. (forte)
Agapito. Non faremo nulla.
Pantalone. No? mo perchè? (forte)
Agapito. Con queste ricette non si guariscono le malattie.
Pantalone. Tutti me dise che sto dottor Onesti xe un omo de garbo.
Agapito. Se fosse un uomo di garbo, lo vedreste frequentare la mia spezieria.
Pantalone. Caro sior Agapito, vu me mettè in agitazion.
Agapito. Come?
Pantalone. Me mettè in agitazion. (più forte)
Agapito. Io vi parlo da amico. Il dottor Onesti va per le lunghe, non la finisce mai. Vi parlo contro il mio interesse, ma vi parlo da galantuomo.
Pantalone. Ve son obbligà, bisognerà muarlo. (forte)
Agapito. Volete che io vi dia un bravo medico? Un uomo grande? Un uomo celebre? Galantuomo, bravo teorico, bravo pratico?
Pantalone. Magari; ve sarò ben obbligà.
Agapito. Con chi siete obbligato? Coll’Onesti?
Pantalone. A vu sarò obbligà. Chi èlo sto bravo miedego2?
Agapito. Conoscete voi il dottor Buonatesta?
Pantalone. Non lo cognosso.
Agapito. Ho piacere che lo conosciate. Quello è il primo uomo del mondo.
Pantalone. Come poderavio far a poderlo aver? (forte)
Agapito. Poco può stare a capitar qui.
Pantalone. Vienlo qua? (forte)
Agapito. Oh, qui praticano tutti gli uomini grandi, e quelli specialmente che si dilettano di novità. Voi siete amante di nuove? Leggete i foglietti?
Pantalone. Mi no me ne diletto.
Agapito. Dunque se vi dilettate di nuove, sentite questa.
Pantalone. Mi vorria che vegnisse sto miedego.
Agapito. Sì, tanto che viene il medico. L’Imperator della China sposerà la figlia del re del Mogol.
Pantalone. A mi no me ne importa.
Agapito. La Porta? Come c’entra la Porta? Il Turco non ha che fare colla China e col Mogol; sino che diceste il Gran Can de’ Tartari, direste bene; perchè sentite: Si prevede che il Gran Can de’ Tartari, posto in gelosia di un tal matrimonio, si armerà alle frontiere della Tartaria. Ah, ah, che ne dite? È una bella nuova?
Pantalone. Vorria che vegnisse sto miedego.
Agapito. Oh eccolo, ch’egli viene; osservate che gravità. Ah, che vi pare? AH’aspetto solo non si ha da dire che è un uomo grande?
Pantalone. Certo l’è un omo de bella apparenza.
Agapito. Che apparenza? È un uomo di sostanza.
SCENA VIII.
Il dottore Buonatesta e detti.
Buonatesta. (Con gravità saluta, senza parlare.)
Agapito. Servo di V. S. illustrissima.
Buonatesta. Riverisco.
Pantalone. Strissima.3
Buonatesta. Schiavo suo.
Agapito. Signore, è qui il signor Pantalone de’ Bisognosi, che ha bisogno di lei per una sua figlia ammalata.
Buonatesta. Ho troppe visite. Non so se potrò.
Agapito. È un mercante assai ricco, de’ primi della città.
Buonatesta. Servitor suo. Che male ha la sua figliuola? (a Pantalone)
Pantalone. No so gnanca mi. Un mal grando, che nissun Lo cognosse.
Buonatesta. Nessun lo conosce? Oh povera medicina! Nessun lo conosce?
Pantalone. De tanti miedeghi nissun gnancora l’ha cognossù.
Buonatesta. Lo conoscerò io. Signor Agapito: (forte) i medici non conoscono il male della figlia di questo signore: povera medicina! Lo conoscerò io.
Pantalone. Spero che la so virtù farà quello che non ha fatto tanti altri.
Buonatesta. Chi la medica?
Pantalone. Il dottor Onesti.
Buonatesta. Il dottor Onesti? (chiama Agapito) Il dottor Onesti? (forte)
Agapito. Sì, il dottor dell’acqua fresca.
Buonatesta. Quai sono gli effetti di questo gran male che non si conosce?
Pantalone. El ghe fa mille stravaganze. Ora la ride, ora la pianze, no la gh’ha appetito, la se destruze che la fa compassion.
Buonatesta. (È ipocondriaca!) (da sè) Ehi. (chiama Agapito) (È ipocondriaca?) (all'orecchio)
Agapito. (Sì, e il dottor Onesti le ha ordinato una boccia d’acqua pura). (piano a Buonatesta)
Pantalone. Caro sior illustrissimo4, la prego5, la vegna a visitarla, e la veda se la pol arrivar a capir cossa che xe el so mal.
Buonatesta. Se posso arrivare a capirlo? Venite qua, e stupite. Mi avete detto: ora ride, ora piange, non mangia e si distrugge. A me. Qualche volta le verranno delle mancanze di respiro.
Pantalone. È vero.
Buonatesta. Le tremeranno le gambe.
Pantalone. Certo.
Buonatesta. Le parrà di cadere.
Pantalone. È verissimo.
Buonatesta. La notte non potrà dormire.
Pantalone. No la serra mai occhio.
Buonatesta. Niente la divertirà.
Pantalone. Gnente affatto.
Buonatesta. Le verrà voglia d’una cosa, e poi non la vorrà più.
Pantalone. Vero, vero; sior illustrissimo, la sa tutto senza véderla.
Buonatesta. Ah? lo conosco io il suo male?
Pantalone. La lo cognosse senza vederla.
Buonatesta. Sì, senza vederla, sulle vostre relazioni. Lasciate poi che la veda, e vi farò stupire.
Pantalone. Oh che omo! Oh che gran virtuoso! El cielo me l’ha mandà. Sior Agapito. (s’accosta) Oh che omo! Ve son tanto obbligà.
Agapito. Ah, vi piace?
Pantalone. El m’ha fatto un consulto in piè, in piè, senza veder l’ammalada. (all’orecchio)
Agapito. (Gli avete dato nulla?)
Pantalone. (Cussì presto?)
Agapito. (Agli uomini di questa sorta si pagano le parole un tanto l’una).
Pantalone. (Adessadesso). Sior illustrissimo, comandela de favorir de vegnir con mi a veder sta mia putta?
Buonatesta. Ora non posso. Ho troppe visite.
Pantalone. Ma quando poderala vegnir?
Buonatesta. Lasciate ch’io veda il mio taccuino. A ore sedici dal conte Anselmo. A sedici e mezza dal marchese Ruggiero. A sedici e tre quarti dalla contessa Olimpia. A diciassette dal cavaliere Roberto. A diciassette e un quarto dal principe Casimiro. Alle diciotto dal conte...
Pantalone. Dal sior Prencipe la ghe sta tre quarti d’ora?
Buonatesta. Ha piacere di divertirsi; sagrifica volentieri tre zecchini per parlar meco tre quarti d’ora.
Pantalone. (Un zecchin6 ogni quarto d’ora! Ma cossa s’ha da far? Per varir sta putta bisogna spender). (da sè)
Buonatesta. Vedete? Per questa mattina non potrò venire.
Pantalone. Se la podesse levar do quarti d’ora al sior Prencipe e darmeli a mi, supplirave anca mi al mio debito... senza pregiudizio de vussustrissima.
Buonatesta. Caro signor Pantalone, siete tanto proprio e civile, che non posso ricusare di compiacervi. Alle ore.. Aspettate. (osserva il taccuino) Alle ore diciassette e mezza sarò da voi, e ci sarò sino alle diciotto.
Pantalone. E mi farò el mio dover. Vago intanto a consolar mia fia e dirghe che la staga allegra, che ho trova un mie dego che cognosse el so mal.
Buonatesta. Non lo conoscevano?
Pantalone. No i lo conosseva.
Buonatesta. Povera medicina strapazzata!
Pantalone. Ma la prego, per grazia. Za ch’ella a st’ora lo cognosse sto mal, cossa se ghe dise?
Buonatesta. Il male di vostra figlia vocatur flatulenta affectio mirachialis.
Pantalone. Oh bravo! Cara ela, la torna a dir.
Buonatesta. Flatulenta affectio mirachialis.
Pantalone. Cossa vuol dir mo sto mirachiale?
Buonatesta. Mirach, idest ahdomen, scilicet mesenterium.
Pantalone. (Oh che omo!) Sior illustrissimo, no la voggio più tediar. Vago da mia fia, e a disisette ore e mezza l’aspetto. (Oh che omo de garbo! Se mia fia no varisse sta volta, no la varisse mai più). (da sè, parte)
SCENA IX.
Agapito e il dottor Buonatesta.
Agapito. Signor dottore, avete veduto il foglietto della China?
Buonatesta. Non l’ho veduto ancora. Avete sentito? Questo buon vecchio ama molto sua figlia.
Agapito. Sì, la figlia del re del Mogol sposerà l’imperator della China.
Buonatesta. Badate a me. Credete voi che possa spendere7?
Agapito.8 Se può spendere? Se il re del Mogol può spendere? Sentite. Si preparano per il bagaglio reale venti elefanti, trecento camelli...
Buonatesta. Ora non è tempo di novità. Avete de’ cordiali? (forte)
Agapito. Oh, signor sì.
Buonatesta. Perle ne avete?
Agapito. Che?
Buonatesta. Avete perle? (forte)
Agapito. Perle? per che farne?
Buonatesta. Da macinare ne’ cordiali. (forte)
Agapito. Signor sì, ho delle perle, ordinatele pure. (Scorza d’ostriche fa lo stesso). (da sè)
Buonatesta. Preparate quattro dramme di sal di tartaro.
Agapito. Oh, i Tartari si difenderanno.
Buonatesta. Signor Agapito, voi patite d’ipocofosi.
Agapito. Come?
Buonatesta. D’ipocofosi. (forte)
Agapito. Che cosa vuol dire?
Buonatesta. Di sordità. (forte)
Agapito. Io sordo? Non è vero.
Buonatesta. Voi avete offeso il timpano. (forte, e parte)
Agapito. E voi m’avete rotto il tamburo. (parte)
SCENA X.
Camera di Rosaura.
Rosaura e Colombina.
Colombina. Via, signora padrona, state allegra, non abbadate a tutto. Più che si pensa, più il male cresce. Finalmente non avete febbre, non avete verun cattivo accidente.
Rosaura. Oimè, Colombina, dammi la mano, che mi par di cadere.
Colombina. Tenete; sedete qui. Che cosa vi sentite?
Rosaura. Mi gira il capo.
Colombina. Non avete mangiato da ieri in qua. Vi girerà il capo per la debolezza. Eh via, mangiate qualche cosa.
Rosaura. Ma se non posso.
Colombina. Il medico ha detto che, se non mangerete, vi ammalerete davvero.
Rosaura. Qual medico ha detto questo?
Colombina. Il dottor Onesti.
Rosaura. Il dottor Onesti? (ridendo)
Colombina. Capperi! Il dottor Onesti è un bravo medico.
Rosaura. Perchè?
Colombina. Perchè vi rallegra sententolo nominare.
Rosaura. Oh, sei pure sguaiata!
Colombina. Dite quel che volete, ma io assolutamente voglio credere a modo mio.
Rosaura. Via, che cosa hai nel capo? Che cosa credi?
Colombina. Credo che tutto il vostro male sia mal d’amore.
Rosaura. Oh, oh, mal d’amore! Mi fai ridere senza voglia.
Colombina. E credo che, per guarirvi, più delle medicine vi gioverebbe il medico.
Rosaura. Oh, che ti venga la rabbia; che diavolo vai dicendo? Oh, oh, questa9 è da ridere. (ridendo)
Colombina. Ma se la cosa è così, non vi state a tormentare inutilmente; ditelo a vostro padre.
Rosaura. Via, via, che sei pazza. In verità, mi fai crepare di ridere.
Colombina. Ora mi date piacere. Vi vedo pure una volta ridere.
Rosaura. Ma se tu di’ cose...
Colombina. Dite a me; siete innamorata?
Rosaura. No. (ridendo)
Colombina. Ed io dico di sì.
Rosaura. No, ti dico, no.
Colombina. Avete male?
Rosaura. Sì.
Colombina. Verrà il medichetto e vi guarirà.
Rosaura. Ah, ah, ah, pazza maledetta! Ah, ah, ah. (ridendo)
SCENA XI.
Beatrice e dette.
Beatrice. Chi è qui? Si può venire? (di dentro)
Colombina. La signora Beatrice.
Rosaura. Le voglio bene, ma ora non vorrei nessuno.
Colombina. Bisogna farla passare. Venga, signora Beatrice.
Beatrice. Buon giorno, signora Rosaura, come state?
Rosaura. Ah! male assai. (malinconica)
Colombina. (Ha finito di ridere). (da sè)
Beatrice. Ma che cosa vi sentite?
Rosaura. Non posso respirare; ho una malinconia che mi uccide.
Colombina. (E ora rideva come una pazza). (da sè)
Beatrice. Avete febbre?
Rosaura. Oh, credo d’averne sempre.
Beatrice. Eppure non avete cattiva cera.
Rosaura. Accomodatevi; datele da sedere.
Colombina. Subito, vi servo. Cara signora Beatrice, procurate farla stare allegra, divertitela da questa sua malinconia.
Beatrice. Farò il possibile per divertirla.
Colombina. Signora padrona, volete che vada a farvi un poco di zuppa?
Rosaura. No, no, mi solleva lo stomaco solamente a sentirla nominare.
Colombina. L’ha detto il dottor Onesti.
Rosaura. L’ha detto? (alquanto ridente)
Colombina. Sì, l’ha detto. La volete?
Rosaura. Via, mi sforzerò.
Colombina. (Oh, assolutamente il dottor Onesti è il suo male, il suo medico e la sua medicina). (da sè, parte)
SCENA XII.
Rosaura e Beatrice.
Beatrice. Questa notte avete dormito?
Rosaura. Non ho mai chiuso occhio. (mesta)
Beatrice. Ma da che è derivato questo vostro male?
Rosaura. Io non lo so; so che mi sento rifinita, che non ho forza da stare in piedi, e mi consumo ogni giorno più. (con affanno)
Beatrice. Avete ostruzioni?
Rosaura. Ho dieci mali, uno peggio dell’altro.
Beatrice. Prendete medicamenti?
Rosaura. Ho presa, posso dire, una spezieria intera, e niente mi giova.
Beatrice. Eh, Rosaura, sapete qual sarebbe il medicamento buono per voi?
Rosaura. E quale?
Beatrice. Un bel marito.
Rosaura. Oh, mi fate ridere! (ridendo)
Beatrice. Ah, ah, il marito vi fa ridere.
Rosaura. Non rido del marito, rido di voi che lo dite con quella grazia.
Beatrice. Volete ch’io vi trovi questo medicamento?
Rosaura. Oh, siete pur curiosa! (ridendo)
Beatrice. Ditemi in confidenza, avete nessuno che vi vada a genio?
Rosaura. Oh via, non mi dite queste cose.
Beatrice. Se avete soggezione a dirlo a vostro padre, confidatelo a me, e vi prometto che farò le cose con buona grazia.
Rosaura. Ah, ah, che cara signora Beatrice! Un poco della vostra allegria mi farebbe tanto bene! (ridendo)
Beatrice. Mi consolate, quando vi vedo ridere.
Rosaura. Voi fareste ridere i sassi.
SCENA XIII.
Pantalone e dette.
Pantalone. Coss’è, fia mia, steu meggio?
Rosaura. Ahi il mio cuore! Oh dio! Che dolor di cuore! (sospirando)
Pantalone. Poverazza! Sempre cussì, siora Beatrice, sempre cussì.
Beatrice. (Suo padre le ha fatto venire il male di cuore).(da sè)
Pantalone. Hastu magna gnente?
Rosaura. Niente affatto... non posso mangiare. (con affanno)
Pantalone. Cara fìa, magna qualcossa, se ti me vol ben, magna per amor de to pare.
Rosaura. Ma se non posso.
Beatrice. Via, mangiate, ve l’ha ordinato il dottor Onesti.
Rosaura. Ah! mi sforzerò. (un poco ridendo)
Pantalone. Ti fa bocca da rider, cara? Ti ridi, le mie raìse?10
Via, per amor de to pare magna do bocconcini de panadella. Colombina, porta qua la panada, Rosaura la magnerà per amor de so pare.
Beatrice. Signor Pantalone, bisogna pensare alla salute della signora Rosaura.
Pantalone. Ho speso tanti bezzi per ela, e son pronto a spender tutto quello che gh’ho a sto mondo, perchè la varissa.
Beatrice. Eh, vi vuol altro che medicamenti!
Pantalone. Cossa ghe vol?
Beatrice. Ehi, sentite. (Un marito). (piano a Pantalone)
Pantalone. Eh cara siora, compatime, no savè cossa che ve disè. Subito che una putta gh’ha mal, ghe vol el mario? Poverazza! maridarla co sto boccon de mal, acciò che la mora? Se la va via da so pare, la mor subito. N’è vero, vita mia, ti voi star co to pare?
Rosaura. Ahi, ahi, mi sento morire!
Pantalone. Presto, presto, fia mia, tiò, nasa11. Vedeu, se no la gh’avesse so pare? Un mario no starave miga là a farghe la guardia, co ghe vien mal. Poverazza! la gh’ha bisogno del so povero pare.
Beatrice. (Oh quanto è buono questo vecchio!) (da sè)
SCENA XIV.
Colombina colla zuppa, e detti.
Colombina. Ecco la zuppa.
Rosaura. Non la voglio, non la voglio.
Pantalone. Via, per to pare.
Beatrice. L’ha detto il medico.
Rosaura. Mi12 sforzerò.
Pantalone. Vedeu? Per so pare la se sforzerà.
Colombina. Mangiatela, che è preziosa.13
Rosaura. Ma se non posso.
Colombina. Il medico dirà che non volete fare a suo modo.
Rosaura. La mangerò. (mangia)
Pantalone. Vardè, se la me voi ben, vardè.
Colombina. Il dottor Onesti si consolerà.
Rosaura. (Ride.)
Pantalone. Cara quella bocchetta che ride. Senti, fia mia, vedo che sto dottor Onesti no te varisse, ho pensa de muar mie dego, e ho trova un vertuoso14...
Rosaura. Oimè! mi vien male, non posso più. (getta via la zuppa, e balza dalla sedia)
Pantalone. Fia mia, cossa fastu?
Rosaura. Andate via di qua, non voglio nessuno.
Pantalone. Fermete, per amor de to pare.
Rosaura. Lasciatemi stare.
Pantalone. Se ti vol ben a to pare.
Rosaura. Non so di padre, non so di madre, non so s’io viva, non so s’io mora. Son fuor di me, tremo tutta.
Pantalone. Son qua mi, son qua mi. Nasa. (le sporge una boccetta al naso)
Rosaura. Andate via, andate via. Colombina, aiutami; signora Beatrice, per carità. (s’appoggia alle due suddette)
Pantalone. No ti vol to pare?
Rosaura. No.
Colombina. Non ha bisogno di voi, ha bisogno del dottor Onesti.
Rosaura. Il diavolo che ti porti. (dà una spinta a Colombina, e parte)
Pantalone. Poverazza! el mal ghe va alla testa. Presto, vôi chiamar i miedeghi, vôi far consulto. Vegnirà el dottor Onesti, vegnirà el dottor Buonatesta, chiamerò qualcun altro, vôi far consulto. Povera la mia putta! No gh’ho altro al mondo che questa.
Colombina. Signor padrone, volete guarirla?
Pantalone. Oh magari!
Colombina. Maritatela.
Pantalone. Sì ben: maritatela. Par che el matrimonio sia la medesina de tutti i mali. Povera frasconazza15, domandè a tante che s’ha maridà, e me savarè dir che bon medicamento per una donna xe el matrimonio. (parte)
Colombina. Se il matrimonio fosse una medicina cattiva, tante vedove non tornerebbero a medicarsi16. (parte)
Beatrice. Io ho sempre sentito dire, che quei medicamenti che hanno dell’amaro, fanno bene allo stomaco. (parte)
Fine dell’Atto Primo.
Note
- ↑ Segue nell’ed. Paperini: «Ag. Chi è il medico ordinario della cura? Pant. El dottor Onesti. Ag. L’Onesti? Pant. Sì. Ag. Oh! non faremo nulla ecc.».
- ↑ Paper., qui e dopo: medico; Pasquali: medego.
- ↑ È un abbreviazione di illustrissimo, titolo che si dà a’ medici in Venezia. [nota originale]
- ↑ Zatta: lustrissimo.
- ↑ Pap.: la prego per carità.
- ↑ Pap.: (Aseo! Un zecchin ecc.).
- ↑ Pap.: Credete voi che il padre vorrà spendere per la figlia molti denari?
- ↑ Pap. segue: Se spenderà molti denari? Sentite.
- ↑ Zatta: che questa.
- ↑ Raìse non vuol dir che radice, ma si usa questa frase, come se si dicesse vita mia, radice, sostegno della mia vita.
- ↑ Le dà qualche cosa da odorare. [nota originale]
- ↑ Pap.: Ah! mi.
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Ros. Oimè! mi fa nausea! Pant. Via, Uh sto sculieretto. Ros. Non posso. Pant. Per amor de to pare. Ros. Ma se non posso ecc.».
- ↑ Pap.: un boccon de virtuoso.
- ↑ Sciocca. [nota originale]
- ↑ Zatta: maritarsi.