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LA FINTA AMMALATA 457


se quello che la molesta fosse mal fisico, e non piuttosto ideale. Tre sono gli effetti perniciosi prodotti dalla sua immaginazione: vigilia, inappetenza, oppression di cuore. Ella non può dormire, perchè avendo impegnata la fantasia a pensare, escono continuamente dalla glandula pineale una quantità di spiriti, dai quali si mantengono dilatati i ventricoli del cervello; onde tutte le filature de’ nervi, che da essi derivano, sono tesi e agitati, e la macchina pronta a ubbidire alle operazioni degli spiriti, si mantien vigilante. Ella non ha appetito, perchè l’agitazione degli spiriti diffondendosi per tutta la diramazione dei nervi, agita violentemente la fibra1, e ne produce un’imperfetta chilificazione, onde rimanendo aggravato il ventricolo da materie indigeste e viscose, ne proviene l’inappetenza. Ella patisce delle oppressioni di cuore, ma queste non sono certamente prodotte nè dall’abbondanza del sangue, nè da’ coaguli, nè da vene anguste e molto meno da vene dilatate, poichè il polso regolare ci assicura non esservi alterazioni nei fluidi, nè disordine alcuno nei solidi; onde convien dire, che la stessa forte immaginazione accrescendo il vigore a quelli spiriti che formano la virtù elastica delle arterie e de! cuore, faccia sentir con violenza le pressioni che si formano alle parti vitali, e impediscano per alcun poco il respiro. Ciò mi conferma a credere la facilità con cui ella passa dal riso al pianto, effetti appunto prodotti dai moti diversi delle viscere superiori, cioè dalla restrizione e dalla dilatazione de’ polmoni. Conchiudo pertanto, giudicando io il male di questa signora essere meramente ideale e non fisico, dipendente unicamente dalla immaginazione, non esservi nell’arte medica rimedio opportuno a rischiararle la fantasia; ma ciò doversi fare colla cognizione del motivo della sua fissazione, secondando le di lei brame, se sono oneste, o correggendole, se tali non sono. Rimettendomi al savio parere della loro esperimentata virtù.

Rosaura. (Caro il mio dottorino, ha conosciuto il mio male), (da sè)

  1. Pap. aggiunge: trituratoria.