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456 | ATTO SECONDO |
sicura per guarirla. Spero che saprò tutto dalla signora Beatrice. A me suol dare delle occhiate languide e appassionate, ma le considero come di una supposta inferma, che al medico si raccomanda. Non credo mai ch’ella sia innamorata di me. Se ciò potessi suppormi, lascerei subito di visitarla; perchè non s’avesse a dire che, col pretesto della mia professione, avessi io sedotta la figlia d’un galantuomo. Son un uomo d’onore, che antepone il proprio decoro a qualunque interesse di questo mondo.1 (parte)
SCENA XI.
Camera con varie sedie.
Pantalone dando mano a Rosaura, li tre medici e Tarquinio chirurgo.
Pantalone. Via, fia mia, sèntete qua, e abbi un poco de pazenzia; sentirne cossa sa dir sti tre2 medici; se tratta della to salute.
Rosaura. Sì, sì, ascoltiamo tre medici; acciò, se mi fanno morire, non si sappia a chi dar la colpa.
Pantalone. No i xe qua per farte morir, ma per farte varir.
Rosaura. (Caro il mio medichetto! quello mi farebbe guarire!) (da sè)
Pantalone. Le resta servide, le se comoda. (tutti siedono)
Onesti. Signor Tarquinio, qui non abbiamo caso di chirurgia.
Tarquinio. Può darsi che vi sia bisogno di sangue.
Onesti. Se vi sarà bisogno di sangue, sarete chiamato.
Tarquinio. Come! Non posso star a sedere fra lor signori? Sono addottorato ancor io.
Pantalone. Signori, quella xe la mia povera putta ammalada. Le supplico de intender la qualità del so mal, e dir la so savia opinion.
Onesti. Signori colleghi e padroni miei veneratissimi, a me, come medico attuale della signora, toccherebbe a far l’istoria del male,