Atto III

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Atto II Atto IV
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ATTO III

SCENA I

Lucido e Tiberio.

Lucido. In fine, e’ danari fanno ogni cosa. Quand’io ebbi contato al prete ciò che io volevo da lui, subito si cominciò a fare scrupolo dicendo che questo era un uccellare la relligione. Poi, quand’io li promissi dua scudi, ei rimutò la cosa e disse che, s’io lo facevo a fine di bene e per rimettere d’accordo il padre e ’l figliuolo, che farebbe ogni cosa; si che bisogna giuntarlo di piú dua scudi. L’interessi hanno a correre sopra lui, questa volta. Ma, dappoi che io ho acconcio il fatto del prete, mi bisogna aguzzar l’ingegno come io abbia a fare el diavolo. E che vogl’io anche pensare? Come s’io non sapessi quanta è la sciochezza de’ vecchi e massime del nostro! E’ putti farebbon, oggidí, lor credere che fussino le chimere. E questo è il bello: che, parendo loro essere savi, vogliono consigliare altri, avendo e’ medesimi necessitá di esser consigliati; e pruovon questo col dire che fanno manco errori che e’ giovani. Ed è ben vero che e’ fanno manco cose. Ma che bad’io d’entrare in casa avanti che Aridosio ed il prete arrivin qui? Tò, tò, tò. Oh di casa! olá! aprite! Tò, tò. Volete ch’io rompa questa porta? O costor son morti o assordati. Tò, tò, tò. Tiberio, apri! ch’io son Lucido.

Tiberio. A questo modo, si? Tu non ti debbi ricordare ch’io ti avea promesso lasciar rovinare la porta prima che aprire a nessuno.

Lucido. Per Dio, che, se tu osservi alli altri quel che tu prometti come tu hai osservato questo a me, ne poni a l’imperadore. Bene. Seiti tu cavato la voglia? [p. 160 modifica]

Tiberio. Non sai tu che il desiderio delle cose belle non si estingue mai?

Lucido. Ecco qua tuo padre. Entriam drento Tiberio. Che vien egli a far qua?

Lucido. Non verrá drento. Non dubitare.

SCENA II

Aridosio, Ser Iacopo, Lucido che parla per spirito.

Aridosio. Io son venuto innanzi per vedere se la lastra sta bene; ch’io non posso vivere se, ad ogni poco, non gli do una occhiata. Ma, da poi che non ci è nessuno, voglio rivedere anche una volta la borsa cosí di fuora. O lastra, tu non sei dalle mie braccia. Appunto nel modo che io la messi si ritruova; né la voglio toccare altrimenti. O fogna mia dolce, serbamela ancora un’ora: benché noi abbiam a essere qui, in luogo che io ti vedrò sempre. Ma ecco il prete che m’ara visto chinato. Per mia fé, mi bisogna trovare una scusa.

Ser Iacopo. Aridosio mi disse che sarebbe qui; e non ce lo vedo. , Aridosio. Ah! ah! Io l’ho trovato. Ser Iacopo, io m’ero chinato per ricórre un sasso.

Ser Iacopo. Voi siate qua? Io non v’avevo visto. Che dite voi di «sasso»?

Aridosio. E’ non m’aveva visto: la rivolterò in qualche bel modo; «passo» e «sasso» è quasi quel medesimo. Dico che son venuto passo passo.

Ser Iacopo. Avete fatto bene, per non pigliar una calda. Voi siate a cotesto modo sciorinato!

Aridosio. Che volete far di quel lume?

Ser Iacopo. Oh! Egli è buono a mille cose.

Aridosio. Dite a che.

Ser Iacopo. A far lume, accendere il fuoco e altre faccende. [p. 161 modifica]

Aridosio. Eh! Voi non m’intendete. Dico, a quel che gli è buon per gli spiriti.

Ser Iacopo. Per li spiriti è egli pessimo e doloroso.

Aridosio. Oh! Perché l’avete voi portato?

Ser Iacopo. Per dar loro il mal anno e la mala pasqua.

Aridosio. Ah! ah! Io v’ho inteso: voi parlate troppo astutamente. Che cosa avete voi in quella secchia?

Ser Iacopo. Acqua.

Aridosio. Pur per gli spiriti?

Ser Iacopo. Oh! Che vi pensate?

Aridosio. È ella fredda o calda?

Ser Iacopo. Oh! Voi mi domandate delle gran cose!

Aridosio. Non vi maravigliate, ch’io non ho mai visto scongiurar diavoli.

Ser Iacopo. Non stiam piú a perder tempo. Avviamci in lá.

Aridosio. Quanto ci abbiam noi accostare alla casa?

Ser Iacopo. Accanto alla porta.

Aridosio. Non giá; io non vo’ venir sin lá.

Ser Iacopo. Oh! Perché?

Aridosio. Perché tragon giú tegoli, mattoni. Oimè! che mi guaston tutta la mia casa.

Ser Iacopo. Non dubitate: che, in mentre siate meco, non vi faranno dispiacere nessuno.

Aridosio. Promettetemelo voi?

Ser Iacopo. Si, prometto.

Aridosio. Alzate la fé.

Ser Iacopo. Per questa croce.

Aridosio. Acostiamci piú lá, adunque. Qui sta bene?

Ser Iacopo. Bisogna andar piú innanzi.

Aridosio. Oh Dio! Non potresti voi far questa cosa senza me?

Ser Iacopo. Bisogna che il padrone della casa sia presente. Ed ho bisogno che mi aiutiate in assai cose. Pigliate qui questa candela in mano. Ve’ omo da tener candela! par un moccolo in un candelliere! Tenetela piú ritta. Oh! Io non voglio che mi ardiate la barba, per questo.

Aridosio. Cercate come mi batte il cuore. [p. 162 modifica]

Ser Iacopo. Io ve lo credo senza cercare, che queste son cose che fanno cosi. Ma non abbiate paura, in mentre che voi avete cotesto lume in mano. Accostatevi piú qua; piú ancora; un po’ piú. Orsú! Inginocchiatevi. Che vi guardate voi dirieto? Tenete su questa candela come voi l’avete a tenere. Voi mi parete balordo. Che non badate voi a quel ch’avete a fare?

Aridosio. E s’io ho paura?

Ser Iacopo. A questo non è rimedio. Dite il Paternoster e l’Avemaria: che io comincio a scongiurare.

Aridosio. Ave Maria....

Ser Iacopo. Ditela piano, che non mi diate noia.

Aridosio. E’ non mi sentiranno.

Ser Iacopo. Basta che sentin me. «Hanc tua Penelope lento tibi mittit Ulixes. Nit mihi rescribas; attamen ipse veni».

Aridosio. Parlate in vulgare, che non vi debbono intendere in latino.

Ser Iacopo. Sará meglio. Oh di casa! oh spiriti maladetti! V vi comando da parte d’Aridosio che voi usciate di costá.

Aridosio. Dite pur «da vostra».

Ser Iacopo. Badate a dire l’Avemaria e lasciate scongiurare a me. I’ vi comando da parte mia, che son prete, che voi usciate di costi.

(Fanno romore).

Aridosio. Non piú, non piú, ser Iacopo.

Ser Iacopo. O voi volete che n’eschino o no. A quest’altro scongiuro li caccio via. I’ vi comando da parte di santo Giusto che voi vi partiate di cotesta casa.

Lucido. Noi non ci vogliam partire.

Ser Iacopo. Ve’ che rispondesti!

Aridosio. E’ mi si raccapriccion tutti i capelli.

Ser Iacopo. Cotesta candela sará prima logora che noi abbiam finita l’opera. Tenetela su. Io vi comando, spiriti, da parte del medesimo, che mi dichiate per quel che voi siate entrati qua drento.

Lucido. Per la miseria d’Aridosio. [p. 163 modifica]

Aridosio. Pigliate un po’ questa candela. Io ho bisogno di fare una faccenda.

Ser Iacopo. Eh! Badate costi, se volete. Io ho piú briga di voi che de’ diavoli.

Aridosio. Io ho voglia di fare...

Ser Iacopo. Fatela costi. Se voi vi partite un passo di ginocchioni, io m’andrò con Dio e lascerò stare gli spiriti tanto che venga loro a noia.

Aridosio. Oh! Non vi adirate per questo. Io starò quanto voi vorrete.

Ser Iacopo. V vi comando da parte di santo Cristofano che voi usciate di costi.

Lucido. Noi usciremo, noi usciremo.

Ser Iacopo. Ve’ che la ’ntendesti! Che segno farete voi per il quale noi possiam cognoscere che voi ne siate usciti?

Lucido. Rovineremo questa casa.

Aridosio. Noe, noe. Statevi, piú presto, drento.

Ser Iacopo. Non ci piace questo segno. Fatecen’un altro.

Lucido. Caveremo quell’anello di dito a Aridosio.

Aridosio. E’ son de’ maladetti! Io ho e’ guanti ed hannomi visto l’anello. Cotesto non vogl’io, che non me lo renderebbono.

Ser Iacopo. Né questo ci piace. Un altro ne bisogna.

Lucido. Enterremo a dosso a Aridosio.

Aridosio. Addosso a me? Io me ne maraviglio.

Ser Iacopo. Voi non avete turato tutti i luoghi a punto. S’ei volessino, v’enterrebbono a dosso per tutta la persona. Ma non dubitate: che, senza mia licenzia, non si partirebbono di li. State su ritto e ripigliate la candela. E vedete: uno di questi tre segni vi bisogna pigliare; eleggete qual piú vi piace.

Aridosio. Nessuno non me ne piace. Fatevene dare un altro.

Ser Iacopo. Io non li posso costringere a dar piú che tre segni.

Aridosio. Non se ne posson eglino andare senza far segni?

Ser Iacopo. Ei diranno d’andarsene e non se ne andranno.

Aridosio. Stienvisi. E’ verrá forse loro a noia. [p. 164 modifica]

Ser Iacopo. Voi séte pur semplice; che, a posta d’uno anello che vai dieci scudi, vi volete perdere una casa che vai cinquecento.

Aridosio. Dieci scudi? E’ mi sta in trenta fiorini; ed è l’antichitá di casa nostra.

Ser Iacopo. Dunque non volete che si partano altrimenti? Io l’ho intesa.

Aridosio. I’ voglio, io.

Ser Iacopo. Lassatevi cavare quell’anel di dito.

Aridosio. Non ci sarebbe egli altro modo?

Ser Iacopo. A fatica c’è questo. E vi giuro che non ne potete aver il miglior mercato.

Aridosio. Oh Dio!

Ser Iacopo. E se non si può far altro?

Aridosio. Ben. Io voglio che si oblighino a rifarmi tutti e’ danni che m’hanno fatti in casa.

Ser Iacopo. Questo è bene ragionevole; e lasciatene il carico a me.

Aridosio. Farannom’egli male a cavarmel di dito?

Ser Iacopo. Niente.

Aridosio. Non si potrebbe egli metter in dito a voi?

Ser Iacopo. No, che bisogna che sia cavato di un dito della vostra mano.

Aridosio. Io non vorrei che mi s’appressassino. Come potremo noi fare?

Ser Iacopo. Potrebbesi tagliar la mano e gittarla lá, che ei lo cavassin a loro bell’agio.

Aridosio. Cotesta pazzia non farò io. Ma chiuderò ben gli occhi per non gli vedere.

Ser Iacopo. Aspettate. Io vi legherò questa berretta innanzi agli occhi, che voi non vedrete né sentirete niente.

Aridosio. Graffierannom’ei le mane?

Ser Iacopo. A punto! State voi a vostro modo?

Aridosio. Messer si.

Ser Iacopo. Tenete la candela da quest’altra mano.

Aridosio. Unbè? [p. 165 modifica]

Ser Iacopo. Chiamogli io?

Aridosio. Fate voi.

Ser Iacopo. Spiriti, noi siam contenti che voi caviate l’anel a Aridosio: promettendoci, sopra la fede vostra, di rifare tutti e’ danni che costá drento voi avessi fatti.

Lucido. Cosí promettiamo.

Ser Iacopo. Venite, addunque, via; ma non gli fate né male né paura. Non vi discostate, Aridosio, e non abbiate paura, che io son con voi. Dite pure il Qui habitat e state di buona voglia. Spirito, cava presto e vatti con Dio.

Aridosio. Io ho paura che noi non facciam come ’l Gonnella.

Ser Iacopo. Voi pensate assai ragionevolmente. State sopra di voi ed andiamo in casa a ribenedirla con quest’acqua. Ma non vi levate la berretta dagli occhi; che ei son ancor qui intorno.

Aridosio. Dite loro che se ne vadino affatto.

Ser Iacopo. Se n’andranno bene. Venite pur in casa.

Aridosio. Menatemi, che io non percuota in qualcosa.

Ser Iacopo. Venitemi drieto.

SCENA III

Lucido, Tiberio e Livia.

Lucido. Che vi feci?

Tiberio. Quello che io non pensai mai. Se tu sapessi el dispiacere ch’io avevo quando io sentivo la voce d’Aridosio! Avevo quasi piú paura di lui che lui di noi. Mi tremavano le ginocchia, che io non potevo star ritto.

Lucido. Gran disgrazia, la tua, che non stessi ritto!

Tiberio. Adesso si che mi piace el burlare! Ma allora t’imprometto che non avevo voglia.

Lucido. E avevi paura, quando Lucido era presente?

Tiberio. Quest’era quanto conforto io avevo. [p. 166 modifica]

Livia. Ed io, Lucido, benché l’obligo mio nulla rilieva, pur obligata ti sono quanto esser possa donna a omo.

Lucido. Obligata hai tu a esser a costui che t’ha liberata da si fatto Ruffo; e dipoi non t’ha fatto dispiacere nessuno, ch’io sappia.

Livia. Dove l’obligo è si grande che le parole non bastino a significarlo è meglio tacersi, aspettando l’occasione di mostrarlo coi fatti.

Tiberio. E’ non farebbe a pena Dio che tu non fussi quella nobile figliuola che si stima.

Lucido. Tiberio, gli è bene non perder tempo perché io credo che ei sien presso a venti ore; e il Ruffo verrá piú prima un’ora a chiedere i danari che ei non ci aveva promesso. Credi tu che io cavi venticinque scudi da questo rubino?

Tiberio. Io l’ho sempre sentito stimare trenta.

Lucido. Torneranno a proposito, perché se n’ha a dare dua al prete. Tre che avanzano saranno del povero Lucido.

Tiberio. Gli è ben ragionevole.

Lucido. Io voglio adesso andarlo a vendere, che il Ruffo non è uomo da voler gioie.

Tiberio. E noi che farem, Lucido?

Lucido. Andatevene in casa Marcantonio tanto che la cosa del Ruffo sia assettata. Poi ve ne potrete andare in villa; e costei si potrá star in casa quel tuo amico li vicino; e a tuo padre sará poca fatica dar ad intendere che tu sia stato sempre lá su.

Tiberio. Se e’ ti pare...

Lucido. Si. Togliete le chiave di camera terrena di Erminio e serratevi drente Tiberio. E li che faremo?

Lucido. A cotesto non vo’ io pensare.

Tiberio. Tu di’ bene.

Lucido. Io andrò a fare questa faccenda. Ma spulezziamo, ch’io sento aprire la porta d’Aridosio. Andatevene di qua ed entrate per l’uscio di drieto. [p. 167 modifica]

SCENA IV

Ser Iacopo e Aridosio.

Ser Iacopo. Venite sicuramente, ch’ei se ne son iti affatto.

Aridosio. Affatto affatto?

Ser Iacopo. Come ho io a dire?

Aridosio. Ringraziato sia Dio! Ad ogni modo, e’ dovevono esser un monte di poltroni a starsi tuttodí nel letto a voltolare. Gli avevono ancor apparecchiata la tavola. Ma che farò io di quel letto e di quella tavola e di quelle masserizie che v’hanno portate? Dio me ne guardi ch’io adoperassi cose di diavoli!

Ser Iacopo. Mandatele a me, che son ciurmato.

Aridosio. E voi toccheresti mai quelle cose? Egli è meglio ch’io le faccia vendere.

Ser Iacopo. Avevo trovato l’omo!

Aridosio. Mi pagheranno pure e’ danni che m’hanno fatti in casa; e non arò andar drieto a lor promesse.

Ser Iacopo. E che danni v’hanno e’ fatti?

Aridosio. Rott’una pentola; arso una granata; e delle legne, credo: che io non mi ricordo a punto quanti pezzi gli erono.

Ser Iacopo. Voi siate valente a tener a mente e’ pezzi delle legne!

Aridosio. Chi è povero bisogna che faccia cosi!

Ser Iacopo. Ed a me non si viene niente delle mia fatiche?

Aridosio. Oh! Lucido m’aveva detto che voi non volevi niente.

Ser Iacopo. È vero ch’io dissi a Lucido che non voleva altro che quello che a voi piaceva.

Aridosio. Oh! Cosí fanno gli uomini da bene. Venite stasera a cena meco, per questo amore.

Ser Iacopo. Cotesto non farò io, che io non vo’ morirmi di fame.

Aridosio. Che dite voi? [p. 168 modifica]

Ser Iacopo. Dico che verrò molto volentieri, che ho una gran fame.

Aridosio. Oh ser Iacopo! Ogni troppo è troppo. Ei vi sará un colombo che ieri tolsi di bocca alla faina; poi sei zacchere e del finocchio. Non vi basta?

Ser Iacopo. Cotesta è roba da vendere.

Aridosio. E, oltre a darvi cena, quando voi avete bisogno d’un mezzo fiorino, venite a me: che ve lo impresterò e ve lo lasserò tenere un di intero intero, e piú, se piú vorrete; ed ogni po’ di pegnuzzo mi basta. E che vi pare?

Ser Iacopo. Parmi che voi siate il maggior ricognoscitor di benefizi che io vedessi mai.

Aridosio. Oh! Voi non sapete il ben ch’io vi voglio. Io vi giuro, per questa croce, che, se io non avessi dato quel rubino alli spiriti, ch’io ve lo donerei; ed, alla fé, che me ne sa peggio per amor mio che vostro.

Ser Iacopo. Io l’ho per ricevuto; e ve n’ho il medesimo obligo che se dato me lo avessi.

Aridosio. Fo perché voi veghiate ch’io non son misero come io son tenuto. Ma andatevi con Dio; non state piú a disagio. A rivederci stasera.

Ser Iacopo. Addio, adunque.

Aridosio. Mi raccomando a voi. Oh! Che fa saper usar quattro parole! Io ne l’ho mandato contento come s’io gli avessi donato quel rubino. Cosí non l’avessi io dato agli spiriti, che maladetti sien eglino! che altri che loro non me l’arebbe mai fatto donare. Ma io indugio pure a cavar la mia borsa e riporla, per poter cercar di Tiberio acciò ch’io li faccia patir la pena di quanti peccati e’ fece mai a’ suoi di e di quelli ch’egli ha a fare. Ma ecco a punto uno che vien di qua, che mi guasta il mio disegno. Aspetterò che ei sia passato. [p. 169 modifica]

SCENA V

Ruffo e Aridosio.

Ruffo. Ti so dire ch’egli avevano trovato il corribo! Dov’è’ m’hanno a dare venticinque ducati, voglion con una doppia tórmene cinque de’ mia.

Aridosio. Che dic’egli di ducati?

Ruffo. Io farò quel ch’io promessi loro. Me n’andrò a Aridosio, che intendo che è in Lucca, e dorròmi con lui. E son certo che mi fará render Livia o pagare il resto de’ danari.

Aridosio. Che dia voi dice egli di me e di danari? Dio m’aiuti. J a Ruffo. Va’ a credi poi tu in persona senza pegno! Noi farò mai. Ma di questo ne son io piú sicuro che s’io avessi el pegno. Anzi, mi pare al certo d’aver guadagnati quei venticinque ducati. E, se ben l’ha perso la sua virginitá, la qual io ho sempre guardata com’una gioia, ognun non sa in quant’acqua si peschi.

Aridosio. Costui m’intorbida la fantasia. E non intend’ogni cosa.

Ruffo. El caso sarebbe che la fussi figliuola da vero di chi s’è detto; bench’io n’ho persa fa speranza.

Aridosio. Oh povero Aridosio! Ognun ti fa disegni a dosso.

Ruffo. Io non so se quello è Aridosio o uno che lo somigli. Egli è pur desso. A tempo, per mia fé, v’ho riscontro.

Aridosio. Perché? che vuoi tu da me?

Ruffo. Cosa giusta e ragionevole.

Aridosio. Che non lo di’?

Ruffo. Questa mattina, Tiberio vostro figliuolo venne a casa mia, dove è stato piú volte, per voler comprar da me una fanciulla, ch’io ho allevata da puttina, molto bella.

Aridosio. Di’ tu di Tiberio? [p. 170 modifica]

Ruffo. Tiberio, dico io.

Aridosio. Mio figliuolo?

Ruffo. Penso sia vostro figliuolo: sua madre ne sapea el certo. Ma lasciatemi dire. E, insino adesso, non ha avuto comoditá di far altro che di andarla a veder nel monistero dove elPera perché non aveva da darmi un soldo. Ma, questa mattina, venne con animo deliberato d’averla in ogni modo; e, fatta ch’ei me l’ebbe condurre in casa mia, mi cominciò a pregare ch’io gne ne dessi, dicendo che stasera mi darebbe i danari. Io, che sapevo come le cose vanno delle promesse, non volea star forte a nessun modo. Finalmente, quando e’ vidde che per amor averla non potea, si voltò alla forza e cavòmmela di casa.

Aridosio. Oimè! Che sent’io?

Ruffo. State pure a udire. E, perché io l’andavo drieto rammaricandomi e dolendomi di si gran torto, ei mi disse ch’io avessi pazienzia insino a stasera; che mi pagherebbe venticinque ducati, come piú volte gli avevo detto ne volevo.

Aridosio. Dov’è egli, che io lo vo’ am azzare?

Ruffo. Adesso, che io andavo per veder pur se me li avessi voluti dare (non ch’io n’avessi molta speranza), mi volevon giuntare con un rubin falso e darm’ad intendere che valeva trenta ducati; e debbe valere sei carlini. Ond’io, veggendomi a simil partito e sappiendo quanto voi siate omo dabbene e quanto e’ vi dispiaccion le cose mal fatte, son venuto a voi pregandovi che almanco mi facciate rendere la mia stiava. S’ei vi piacerá poi donarmi qualche cosa, per quel che la sia peggiorata, sendo divenuta di vergine maritata, sará rimesso nella discrezion e liberalitá vostra.

Aridosio. Adunque gli ha fatto questo, lo sciagurato, ch?

Ruffo. Pensatel voi. Ei son stati rinchiusi e soli in casa vostra forse sei ore.

Aridosio. In casa mia?

Ruffo. In casa vostra.

Aridosio. E chi te l’ha detto?

Ruffo. Sollo, che ci hanno desinato lui ed Erminio; e ho visto ordinarvi. [p. 171 modifica]

Aridosio. E qual è la casa mia?

Ruffo. Quella li.

Aridosio. Io non so se tu vuoi la baia di me. Io so che in casa mia non può essere stato.

Ruffo. E perché?

Aridosio. Come «perché»? Perché l’è stata spiritata; e non v’è stato nessun, un pezzo fa.

Ruffo. Spiritata? Mi piacque! Io so ch’io v’ho visto altro che spiriti!

Aridosio. Tu debbi aver scambiato. Non lo so io, che mi son trovat’a cavarnegli?

Ruffo. Orsú! Sia come voi volete; che questo non importa. Io vorrei che voi mi facessi rendere la mia stiava o, se non altro, venticinque ducati.

Aridosio. Ch’io ti dia venticinque ducati? Io non li ho, quando io te li volessi dare. Ma la stiava ti prometto io bene che la riarai e, se sará possibile, come gne ne desti. E lui lo voglio conciare in modo che ne verrá compassione a te, che t’ha offeso. Ma dove lo potrei io trovare?

Ruffo. Io lo lassai in casa vostra con Livia.

Aridosio. Tu abbachi.

Ruffo. Si, voi.

Aridosio. Può far il mondo che tu vogli’essere si caparbio che tu voglia saper me’ di me questo?

Ruffo. Fatevel dire a Lucido.

Aridosio. Chi lo sa me’ di Lucido? Dov’è egli?

Ruffo. Adesso era in piazza che mi vuoleva dar quel rubino.

Aridosio. Quale Lucido di’ tu?

Ruffo. El medesimo che dite voi.

Aridosio. Di’ tu Lucido servo di Erminio?

Ruffo. Cotesto, dico.

Aridosio. Dunque, lui s’impaccia di queste cose?

Ruffo. S’ei se n’impaccia? Lui gli fa fare tutti questi disordini.

Aridosio. Io ho paura che tu non t’inganni. E che rubino era quello che ti voleva dare? [p. 172 modifica]

Ruffo. Un rubino in tavola. Io credo che fosse falso. Avea assai bella mostra; legato all’antica; scantonato un pochetto da una banda. Dice ch ’è antico di casa vostra.

Aridosio. Io non so s’i’ sogno o s’io son desto, alle cose che tu mi di’. Donde dicev’egli d’averi’ avuto?

Ruffo. Io non so tante cose.

Aridosio. Ai segni e’ par quello. Ma come può egli anche esser desso? Io non mi fido in tutto di costui perché ei dice molte cose che non posson essere vere.

SCENA VI

Lucido, Ruffo e Aridosio.

Lucido. Guarda se gli è cascato a punto el presente in su l’uscio!

Ruffo. I’ vi priego che non mi facciate far torto.

Lucido. Adesso ch’io ho i danari in mano....

Aridosio. Non dubitare.

Lucido. ... bisogna far buon cuore ed acconciarmi il viso bene. I’ vi so dire, Aridosio, che voi siate capitato a buone mani.

Aridosio. Hai tu sentito quel che dice costui?

Lucido. Mille volte l’ho sentito. Non sapete voi che gli è (pazzo?

Ruffo. Pazzo mi vorresti far voi. Ma non vi riuscirá; che siamo in luogo ove si tien iustizia.

Lucido. Taci; che ti darò i tua danari, come ti lievi di qui.

Ruffo. I’ non vo’ tacere, se prima non me li dai. Ve’ in che modo mi vorrebbe levar da Aridosio!

Aridosio. Ben. Che cosa è questa, Lucido?

Lucido. Non v’ho io detto che gli è pazzo?

Aridosio. Che dice e’ di Tiberio e di venticinque ducati e d’un rubino falso? Io non l’intendo.

Lucido. Una disgrazia che gli è intervenuta l’ha fatt’impazI zare; e non fa mai altro che parlar di queste cose. Cosí quando [p. 173 modifica]egli è solo come quando egli è accompagnato mai dice altro che «Tiberio», «Livia», «un rubin falso» e «venticinque ducati».

Ruffo. Guarda che sciocca astuzia è questa di costoro! Col dir ch’io sia pazzo, volermi tór el mio!

Aridosio. Ei parla pure da savio, e non da pazzo.

Lucido. Non v’ho io detto che fa sempre cosi? Buon uomo, adesso non ci è tempo d’ascoltar le tua disgrazie. Vatten, ora. Altra volta, Aridosio t’udirá e ti fará far ragione. Io non te li vo’ dare in sua presenzia.

Ruffo. Tu non mi sei per levar di qui, se tu non mi dai o i mia danari o Livia.

Aridosio. Ei dice pur di rubino e di Livia. Chi è ella?

Lucido. Debbe dire anche che gne n’ha tolta per forza.

Aridosio. E cotesto.

Lucido. I’ ve lo sapevo dire!

Aridosio. Parlaci piú chiaro.

Ruffo. Dico che Tiberio e Lucido, questa mattina, m’hanno per forza cavato una stiava di casa. E voglio me la rendino o mi dieno venticinque ducati, che è ’l suo prezzo. Avetemi inteso, ora?

Lucido. Oh che importuno e presuntuoso pazzo è questo! Quando ei s’appicca addosso a uno è come la mignatta.

Aridosio. Ei ne debbe pur essere qualcosa.

Lucido. Voi volete pur creder a parole di matti? Tien qui, sotto la cappa, ch’ei non vegga.

Aridosio. Ma ei dice ben certe cose che non possono essere vere.

Ruffo. l’li voglio annoverare.

Lucido. Di grazia, che ei non vegga.

Ruffo. Che mi cur’io ch’ei non vegga? Mi basta che sien tutti.

Aridosio. Che bisbigliate voi, costá?

Ruffo. Or ch’i’son pagato, non die’ altro.

Lucido. Gli ho dati certi quarteruoli per chetarlo; che tutto di d’oggi arebbe fatto un verso.

Ruffo. Io andrò al banco; e quelli che non saranno buoni me li scambierete. [p. 174 modifica]

Lucido. Gli è onesto. Vatten, in malora.

Aridosio. Ben: avevi e’ quarteruoli amannati?

Lucido. Gli portavo meco per questo, perché spesso m’incontro in lui: e altrimenti non è possibile di levarselo da dosso; e parmi mal aver adoperare le pugna, possendol mandar contento con quattro quarteruoli.

Aridosio. Ei diceva che Tiberio era stato con quella fanciulla a desinar, stamani, in casa mia.

Lucido. Ah! ah! ah! Non vi dich’io che gli è pazzo?

Aridosio. Ma dell’altre cose che m’ha dette non so io che mi dire.

Lucido. Sarebbe bella! Se voi vedete che dice si grandi svarioni, come li potete voi creder el resto? Ma usciamo di questo ragionamento. La cosa degli spiriti è ita bene, secondo che m’ha ragguagliato ser Iacopo.

Aridosio. Eh! ch! ch!

Lucido. Oh! Non son eglino usciti di casa?

Aridosio. Si; ma gli hanno voluto il mio rubino buono. Ma, in ogni modo, l’ho caro. So ben io perché.

Lucido. Ed io, patrone, non ho aver qualche mancia?

Aridosio. Zucche! Io me ne vo in mance.

Lucido. Eh! Al povero Lucido...?

Aridosio. Orsú! I’ son contento.

Lucido. Che mi darete?

Aridosio. Ci vo’ pensar un di. Ma, perch’io son solo in casa e sono ancor digiuno, vorrei un po’ mangiare in casa Marcantonio. Va’ innanzi, Lucido, e ordina. Da bere, un po’ di pane e una cipolla mi basta: che io non sono avvezzo con molte cerimonie.

Lucido. In casa Marcantonio non si mangia cipolle.

Aridosio. Ordina di quel che v’è.

Lucido. Io vo ad obidirvi.

Aridosio. Mi parea mille anni di levarmelo dinanzi per poter tórre la borsa. E anche ho fame. Ed anche risparmierò questo pane, che lo avevo portato meco. Poi voglio ritrovare questa matassa, ch’io sto confuso quel ch’io m’abbia a credere. Ma [p. 175 modifica]non vo’ metter tempo in mezzo, che questo importa troppo. Ei non mi ci par veder persona. Che bado, adonque? Fogna, tu ti sei portata bene. Oimè ! l’è si leggeri! Oimè! che c’è drento? Oimè, ch’i’ sono morto! Al ladro! al ladro! Tenete ognun che fugge. Serrate le porte, gli usci e le finestre. Meschin a me! dove corr’io? Miser’a me! a chi dich’io? Io non so dov’io sia o dov’io vadia. Mi raccomando a tutti voi. Aiutatemi, vi prego, che io son morto. Insegnatemi chi m’ha rubato l’anima, la vita, il cuore. Almen avessi io un capresto da impiccarmi! che meglio m’è la morte che ’l vivere cosi. Ell’ è pur vota. Oh Dio! Chi è stato quel crudele che m’ha, a un tratto, tolto la roba, l’onore e la vita? Oh sciagurat’a me! che questo di m’ha fatto el piú infelice omo del mondo. E che ho io piú bisogno di vivere, e’ ho perso tanti danari? quelli che io ho si diligentemente guardati e ch’io amavo piú che gli occhi mia? quelli ch’io avevo accumulati insin col cavarmi il pan di bocca? Ora un altro gode del mio male e del mio danno.

Lucido. Che lamenti son questi si crudeli?

Aridosio. Fussi qui una ripa, ch’io mi vi gitterei!

Lucido. Io so quel che tu hai.

Aridosio. Avess’io un coltello, ch’io m’ammazzerei!

Lucido. Io vo’ vedere s’el dice il vero. Che volete voi fare del coltello, Aridosio? Eccolo.

Aridosio. Chi sei tu? chi sei tu?

Lucido. Son Lucido. Non mi vedete?

Aridosio. Tu m’hai rubato i mia danari, ladroncello! Rendili qua; rendili qua.

Lucido. Io non so quel che voi vi vogliate dire.

Aridosio. Tu non gli hai tolti, adunque?

Lucido. Vi dico che non so nulla di danari o d’altro.

Aridosio. Io lo so ben io, che mi sono stati tolti.

Lucido. E chi ve li ha tolti?

Aridosio. S’io non li ritruovo, io son deliberato d’ammazzarmi.

Lucido. Eh! Non tanto male, Aridosio.

Aridosio. Non tanto male? Dumila ducati ho perso! [p. 176 modifica]

Lucido. Forse li ritroverete. Ma voi dicevate di non aver un soldo, ed ora dite di aver perso due mila ducati?

Aridosio. Tu te ne fai beffe, sciagurato?

Lucido. Non me ne fo mica beffe. / Aridosio. O perché non piangi tu?

Lucido. Perch’io ho speranza che gli abbiate a ritrovare.

Aridosio. Dio lo volessi, a donar t’avess’io ciò che io ho indosso!

Lucido. Venite adesso a mangiare. Poi li farete bandire, dire in pergamo, all’altare. Li ritroverete in ogni modo.

Aridosio. Io ho voglia a punto di mangiare! E’ bisogna o ch’io muoia o ch’io li ritrovi.

Lucido. Leviamci di qui, dove voi non ne cercate e non desinate.

Aridosio. E dove vuoi tu ch’io vadia? Andar fine agli Anziani....

Lucido. Buono!

Aridosio. ... a far pigliare ognuno?

Lucido. Meglio! Qualche modo troverem noi; non dubitate. Ma andiamcene, che qui noi non facciam niente.

Aridosio. E, se qualcun qui l’avessi tolta, non gli troverrò mai. E’ c’è di molti ladri in fra costoro.

Lucido. Non dubitate di questo. Io li conosco tutti.

Aridosio. Eimè, ch’io non posso spiccare l’un pie dall’altro! Oimè, la mia borsa!

Lucido. Eh! Voi l’avete e volete la baia del fatto mio.

Aridosio. Si; vota! si; vota! Oh borsa mia! Tu eri pur giá piena.

Lucido. Se voi non sollecitate piú il passo, noi sarem qui doman da sera.

Aridosio. La borsa, in malora, non mi lascia....

Lucido. Tu di’ il vero, che l’è troppo lunga e troppo pesante.

Aridosio. Lucido, aiutami, ch’io non mi reggo ritto.

Lucido. Voi siate a questo modo digiuno!

Aridosio. Io dico che gli è la borsa. Oh borsa mia! oh borsa mia! oimè!